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Ryokan: Dove gli ospiti non sono graditi...
Ryokan: Dove gli ospiti non sono graditi...
Ryokan: Dove gli ospiti non sono graditi...
E-book190 pagine2 ore

Ryokan: Dove gli ospiti non sono graditi...

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Info su questo ebook

Yoko e Francesco sono una coppia in difficoltà che vive in toscana. Lei non lavora, e tra alti e bassi cercano di tirare avanti, fino a che lui non viene licenziato. La rottura sembra inevitabile, quando una inaspettata eredità li conduce in una sperduta montagna del Giappone per rilevare una vecchia locanda chiusa ormai da tempo. Quella che inizialmente sembrerà un'occasione per cominciare da capo, si rivelerà in realtà la peggiore decisione della loro vita. Forze oscure cercheranno in tutti i modi di scacciarli da quei luoghi per riprendere possesso di quello che nei secoli sembra essere stato tutto tranne che un albergo. In un crescendo di tensione e paura la coppia si troverà quindi ad affrontare situazioni molto più grandi di loro, fino ad arrivare alle estreme conseguenze.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2021
ISBN9791220338103
Ryokan: Dove gli ospiti non sono graditi...

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    Anteprima del libro

    Ryokan - Marco Formichi

    Formichi

    CAPITOLO I

    Il viaggio

    Il volo di dodici ore da Roma a Tokyo della Japan Airlines parve a Francesco incredibilmente lungo. Ad eccezione di alcuni sporadici momenti di sonno continuava a riflettere sulle circostanze che lo avevano catapultato su quell’aereo, stravolgendo la tranquilla esistenza che conduceva nella sua amata toscana. Viveva ormai da dodici anni con Yoko, la moglie giapponese che aveva conosciuto a Firenze durante una visita alla galleria degli uffizi, dove lei si recava abbastanza spesso. Non avevano ancora avuto bambini, nonostante stessero provando da lungo tempo. Erano riusciti a mantenere un discreto tenore di vita durante la crisi economica che perdurava in Italia da diversi anni fino a che, a causa del dissesto della ditta dove lavorava come impiegato, si era ritrovato senza lavoro. Dopo più di un anno, pur con le continue ricerche di impiego effettuate, non aveva ancora trovato una valida alternativa che potesse fornire alla famiglia un minimo di sicurezza economica. Le loro risorse avevano così cominciato ad assottigliarsi a causa delle troppe spese, ed il loro rapporto aveva subito una incrinatura che peggiorava di giorno in giorno e che sembrava destinata a non arrestarsi.

    La notizia della morte dei genitori di lei in un incidente stradale era arrivata quindi in un momento molto delicato della loro vita, e la decisione della moglie di tornare a vivere in Giappone, aveva portato la situazione ad un punto di rottura, difficilmente recuperabile se la situazione non avesse girato quanto prima a loro favore.

    L’unica nota positiva fu la notizia che i genitori, essendo la figlia l’unica parente rimasta in vita, le avevano lasciato in eredità l’intero patrimonio di famiglia, che, seppure limitato, avrebbe potuto aiutarli ad uscire dalla crisi che stavano attraversando. Con grande sorpresa di entrambi scoprirono che, oltre alla casa principale, Yoko era divenuta proprietaria di un Ryokan, un tipo di locanda tradizionale giapponese di proprietà della sua famiglia da generazioni, ma della quale nessuno di loro aveva mai fatto parola, nemmeno con la figlia, con la quale avevano sempre avuto un ottimo rapporto. L’ottimismo iniziale fu però presto smorzato quando l’avvocato che si era occupato dell’eredità li informò che l’edificio era situato in una località sperduta tra i boschi delle montagne intorno al monte Fujiyama, abbandonato da decenni e con una cattiva fama, a causa di antiche superstizioni secondo le quali la struttura era infestata da presenze soprannaturali che si accanivano contro coloro che si avvicinavano, e che avevano impedito sino a quel momento a chiunque di poter realizzare qualcosa di concreto.

    Nei giorni successivi, le discussioni su quello che sarebbe stato il destino del Ryokan si susseguirono senza sosta. Francesco sembrava poco convinto, la moglie appariva invece entusiasta all’idea di tornare a casa. Riteneva che restaurare l’albergo fosse una chiara dimostrazione di come la fortuna avesse girato in loro favore, e che questo rappresentasse per loro una occasione d’oro per intraprendere una carriera da albergatori in una splendida e amena località di montagna. Avrebbe avuto modo oltretutto di poter tornare a vivere nel suo paese di origine, e questo rappresentava per lei un altro punto a favore.

    Si era quindi convinta a restaurare il Ryokan, in barba a qualsiasi superstizione e diceria potesse esistere in merito.

    Rassicurò Francesco in ogni maniera, facendogli presente che si sarebbe occupata lei di tutto quello che riguardava le pratiche burocratiche, mentre sarebbe stato suo compito supervisionare i lavori di restauro. Gli fece anche notare come questa potesse essere una ottima occasione per ricostruire il loro rapporto, ricominciando tutto d’accapo e ritrovando l’entusiasmo iniziale. Era una opportunità che non a tutti veniva concessa, e non si sarebbe presentata di nuovo. Sarebbe stato meglio quindi prenderla al volo prima che sfuggisse, e si trovassero nelle condizioni di doversene pentire in seguito.

    Seppure con molte riserve, Francesco dovette riconoscere che le idee di Yoko erano molto più concrete rispetto alle obiezioni che aveva opposto, nel tentativo di evitare il trasferimento in Giappone. Decisero quindi di portare avanti il progetto: lei sarebbe partita subito per sistemare le pratiche di successione con l’avvocato, e lui, in Italia, avrebbe provveduto al trasloco del loro appartamento e al disbrigo di tutte le incombenze ancora in corso.

    Durante il periodo di transizione Francesco ricevette dalla moglie quasi giornalmente moltissime informazioni e fotografie della locanda e del circondario. Consultando il materiale inviato si rese conto che il luogo dove era situata era molto affascinante e, con un restauro adeguato, sarebbe potuta diventare incantevole. Considerò oltretutto che, in fin dei conti, cambiare stile di vita avrebbe giovato anche alla sua salute, oltre che alla situazione economica. L’idea di diventare albergatore non era affatto insensata come aveva pensato in un primo momento, ma avrebbe potuto rivelarsi invece una scelta intelligente. Si soffermò a valutare quindi meglio le varie foto che aveva tra le mani.

    Le immagini mostravano una rigogliosa foresta che incorniciava un piccolo laghetto di colore blu intenso, e l’albergo, in puro stile giapponese, se ne stava abbarbicato in cima ad una sporgenza rocciosa a dominare il paesaggio sottostante. Era costruito completamente in legno, le tegole del tetto colorate di un non meglio identificato rosso scuro, gli angoli appuntiti come una pagoda su tutti i lati. Il classico giardino zen con lanterne in pietra e l’immancabile ponticello in legno che affacciava poco al di sopra del lago, nonostante fossero invasi dalle erbacce, richiamavano l’iconografia classica del Giappone medievale.

    L’unica cosa che gli parve strana fu il fatto che, nonostante gli avessero comunicato che fosse tutto chiuso ormai da svariati anni, la struttura non sembrasse aver risentito così tanto del trascorrere del tempo. Egli stesso aveva avuto modo di visitare in Italia case di montagna in condizioni assai peggiori dopo solo pochi anni di abbandono e di intemperie. Tuttavia, preso com’era da mille altre considerazioni non esaminò con obbiettività questo aspetto che, in seguito, unito ad altre circostanze, si rese conto avrebbe dovuto valutare con maggiore attenzione. In quel momento particolare però, quello che lo preoccupava di più era la situazione che lasciava in Italia, con i genitori ormai anziani e non autosufficienti, ed i due fratelli che, pur essendosi dichiarati disposti ad assisterli, vivevano troppo lontano per poter fornire un valido aiuto. L’idea di mettere entrambi in casa di riposo, oltre che onerosa dal punto di vista economico, gli sembrava orribile, ma alla fine dei conti era l’unica da prendere in considerazione, quando essi non fossero stati più in grado di gestirsi in maniera autonoma da casa.

    Le operazioni di trasloco e tutta la documentazione necessaria per il trasferimento, alla fine si rivelarono più semplici di quello che aveva temuto. Il container da quaranta piedi che aveva noleggiato era già in viaggio da più di una settimana, ed il suo arrivo in Giappone era previsto entro la fine del mese in corso, nonostante fosse stato convinto che il disbrigo di tutte le pratiche avrebbe richiesto molto più tempo.

    Per i documenti necessari al visto di soggiorno si era recato presso l’ambasciata giapponese di Roma e aveva compilato una speciale domanda per il ricongiungimento familiare, evitando così di dover ripetere ogni anno tutte le varie scartoffie che l’immigrazione giapponese richiedeva, e che comportavano sempre una notevole perdita di tempo e di denaro.

    Riflettendo su quello che avrebbe ancora dovuto affrontare, non si accorse che l’aereo fosse già in fase di atterraggio. Non aveva mangiato nulla durante il volo, e si ripromise di concedersi uno spuntino non appena avesse recuperato le sue valigie.

    Raccolse le sue cose e si allacciò la cintura, preparandosi all’arrivo. Il Boeing 767 atterrò all’aeroporto di Narita alle tre e trenta esatte come da programma. Una gentilissima Hostess lo aiutò a togliere il bagaglio a mano dal contenitore sopra il sedile, e lo accompagnò fino al portello di uscita senza smettere di sorridere e di inchinarsi in ogni momento.

    Se non avesse conosciuto fin troppo bene le usanze giapponesi, e l’estrema educazione che questi possedevano, avrebbe quasi potuto pensare di aver fatto colpo sulla donna. Ironizzando tra sé a questa idea congedò la hostess con un piccolo inchino e si incamminò di buon passo lungo il corridoio che lo avrebbe portato fino alle varie uscite, e da lì, dopo tortuosi passaggi ed una infinità di scale mobili, all’immenso atrio principale di uno dei più grandi aeroporti del mondo.

    In tanti anni di matrimonio era questa solo la seconda volta che viaggiava in Giappone, in parte a causa del suo odio viscerale per gli aerei, in parte per i suoi impegni lavorativi che non coincidevano mai con quelli della moglie, e che gli impedivano quindi di godersi una meritata vacanza insieme.

    L’unica altra occasione per la quale si era spinto sin lì, tanti anni prima, era stato per conoscere i genitori ed i vari amici di lei che non avevano potuto partecipare al matrimonio.

    Si recò di buon passo al ritiro bagagli, che raccolse abbastanza in fretta, e si guardò attorno impaziente. In lontananza intravide un uomo di mezza età che non conosceva, ma che teneva in mano un cartello con il suo nome. Si avvicinò, e dopo essersi accertato che stesse aspettando proprio lui, un po' deluso, si presentò con il suo giapponese stentato. Non riuscì molto bene a nascondere la sua irritazione per il fatto che la moglie avesse mandato qualcun altro a prenderlo, e non fosse venuta di persona, cosa che gli sarebbe sembrata quantomeno opportuna.

    L’altro lo sorprese rispondendo in un italiano quasi perfetto, pur se con un accento tipico degli orientali, presentandosi come amico di famiglia, prestatosi a venire all’aeroporto per accompagnarlo a casa. La moglie, a suo dire, era piuttosto impegnata ed impossibilitata a muoversi anche solo per poche ore.

    Francesco si adombrò, riflettendo sul fatto che il suo arrivo non meritasse alcuna considerazione, ma si ripromise di restare calmo per evitare di cominciare questa nuova avventura con il piede sbagliato e rovinare tutto fin dal principio.

    Rassegnato, si avviò quindi verso l’uscita, in parte facendosi fare strada dal suo nuovo accompagnatore che conosceva in modo sicuro l’aeroporto di Narita, in parte cercando di ricavare qualche informazione dalle indicazioni in inglese disposte lungo i percorsi. Non voleva dare l’impressione di sentirsi spaesato e dipendere quindi interamente dalla sua presenza.

    Dopo una serie di interminabili corridoi, salite e discese di vari piani, arrivarono all’esterno. Si affacciarono sul caldo e umido cielo di metà luglio, tipico di quel periodo dell’anno, su di un enorme parcheggio, e Nomura-San, l’amico di famiglia, si offrì di portare la valigia sino alla macchina. Francesco rifiutò con decisione, sia perché era molto più giovane, sia per non dargli soddisfazione né sentirsi in debito nei suoi confronti.

    Nomura propose anche di fermarsi a mangiare qualcosa ma, anche se questa era stata la sua idea sin dall’inizio, rispose di voler proseguire direttamente sino a casa affermando di essere molto stanco e provato dal viaggio. Ci sarebbe stato tempo in seguito per placare la fame.

    Sistemarono le valigie dentro all’enorme bagagliaio di una lussuosa Lexus, e, dopo pochi minuti, si immisero su di una grande autostrada a quattro corsie che dall’aeroporto conduceva verso Tokyo. Il giapponese gli comunicò che sarebbero state necessarie ancora due ore e trenta di viaggio, sia per l’intenso traffico, sia perché l’appartamento dove erano diretti si trovava in una zona piuttosto periferica della città.

    Durante il tragitto non parlarono molto, le solite considerazioni sul tempo e qualche accenno sull’economia giapponese. Francesco si concentrò sul paesaggio, mentre una fila interminabile di palazzi scorreva davanti a loro.

    Case e grattacieli si susseguivano senza sosta ma, nell’insieme a prima vista monotono, ad una osservazione più attenta si poteva percepire un senso di ordine ed un certo fascino, unito ad una sensazione di meraviglia per chi, come lui, era abituato a tutt’altro genere di panorami.

    Man mano che procedevano lungo la strada il paesaggio cominciò a mutare in modo graduale, e gli imponenti e scintillanti caseggiati, sedi di grandi aziende ed uffici di multinazionali, lasciarono il posto a case più basse, meno pretenziose e spesso malconce, inframmezzate da case in legno di carattere orientaleggiante, più consone allo stile di quel paese, schiacciato dal peso di doversi destreggiare tra l’estrema modernità e tecnologia all’avanguardia, e l’attaccamento alle vecchie tradizioni del Giappone feudale.

    Come già preannunciato da Nomura alla partenza dall’aeroporto, dopo un po' meno di tre ore l’auto svoltò in una piccola strada laterale e si accostò ad un piccolo cancello in legno che separava la via principale da un vialetto in arenaria che conduceva ad una graziosa casetta ad un solo piano, con uno stile non ben definito. Era piacevole alla vista, che veniva però in parte rovinata dalla presenza di finestre e porte esterne in alluminio di un rosa acceso di gusto molto discutibile.

    Le moltissime piante e fiori di vario genere lungo il vialetto rendevano tuttavia più gradevole l’insieme, ed invitavano a soprassedere, per quanto possibile, al colore degli infissi, che avrebbero avuto bisogno di una nuova mano di colore, magari più consono al resto della casa e alle abitazioni vicine, tutte più o meno realizzate in tonalità color legno.

    Francesco aiutò il signor Nomura a scaricare le valigie e, dopo averlo ringraziato e salutato, oltrepassò il cancello, osservando perplesso l’abitazione: ricordava infatti, dal suo viaggio precedente, che la casa dei genitori fosse diversa e che si trovasse in un'altra zona della città.

    Avrebbe scoperto di lì a poco che la casa originaria era già stata venduta, e che quella era solo una soluzione temporanea affittata da Yoko nell’attesa che il restauro della locanda fosse terminato e avessero potuto trasferirsi sul posto. La moglie non aveva sicuramente perso tempo, e con efficienza perfetta aveva già organizzato tutto.

    Si avvicinò all’ingresso, ma prima di poter suonare il campanello, la porta si aprì, ed una Yoko sorridente e radiosa si affacciò entusiasta venendogli incontro, senza tuttavia né abbracciarlo né baciarlo, due atteggiamenti considerati sconvenienti in pubblico, e si limitò a stringergli la mano. Lui non si aspettava da lei questo genere di entusiasmo e rimase infatti interdetto, limitandosi ad un breve saluto. La moglie non si accorse, o fece finta di non accorgersi di questa freddezza, e, presolo per mano, lo trascinò all’interno senza dargli tempo di replicare.

    La casa era in penombra, e la scarsa illuminazione era fornita da alcune piccole lampade disposte con sapienza in posizioni strategiche. Si domandò perché non si limitasse a spalancare le tende o qualche finestra visto che era ancora giorno pieno, ma prima che potesse aprire bocca Yoko lo precedette, essendosi accorta di cosa stesse pensando. Lo liquidò adducendo una forma di infezione agli occhi sopraggiunta in quei giorni, che le rendeva intollerabile ogni esposizione alla luce

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