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Leone de’ Sommi Hebreo e il teatro della modernità
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E-book120 pagine1 ora

Leone de’ Sommi Hebreo e il teatro della modernità

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In seno alla comunità ebraica la festa di Purim assolve a funzioni sociali e ludiche simili al carnevale e viene festeggiata con balli, canti e rappresentazioni teatrali. A Mantova in pieno Rinascimento la qualità degli spettacoli, organizzati dagli ebrei, ha raggiunto un tale livello da suscitare l’interesse dei Gonzaga. Durante il governo dei duchi Guglielmo (1550-1587), e Vincenzo (1587-1612), si affida agli ebrei il compito di provvedere alla gestione degli allestimenti per le feste di carnevale e di rappresentanza. Leone de’ Sommi, (1525-1591) corago dell’Università israelitica mantovana, ha il compito di creare, organizzare, coordinare e approntare tutti i soggetti che concorrono alla messinscena. Il palcoscenico che fin dal Medioevo era il luogo dove il giudeo era confinato al ruolo di figura derisoria, rozza ed esecrabile, con de’ Sommi diventa la sede della mediazione fra ebrei e cristiani. L’ebreo è portavoce di una sapienza millenaria da valorizzare attraverso la divulgazione e l’interazione con la società in cui opera.
LinguaItaliano
Data di uscita12 giu 2015
ISBN9788868670986
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    Anteprima del libro

    Leone de’ Sommi Hebreo e il teatro della modernità - Giorgio Pavesi

    475-493.

    Quale scena?

    In sala prove, il regista consegna il copione agli attori e assegna le parti. Spiega la trama, delinea il carattere dei personaggi, qualche accenno all’autore e si parte per un altro spettacolo. Per l’attore l’importante è leggere il copione, lasciarsi guidare dalle intenzioni del regista e costruire con pazienza e tenacia la messinscena che avrà nel debutto il suo momento di gloria. Si può essere buoni attori, musicisti o ballerini senza avere una profonda conoscenza della storia dell’arte e dello spettacolo. Tuttavia, senza riferimenti culturali, si è orfani e pertanto mancanti delle fondamenta per apprezzare e condividere al meglio un’opera d’arte.

    Il teatro è una disciplina artistica che, per sua stessa natura, amalgama analisi sociale e tradizione, testo e letteratura, arti sceniche e costume, diventando specchio della società. Anche la cultura teatrale odierna, in quanto riflesso della realtà, sottende ai moderni modelli di sviluppo sociale adeguandosi a quel processo in divenire che non lascia spazio al passato, o per meglio dire alla tradizione, preferendo inseguire un prototipo di società ubriaca, avida di trangugiare banalità e qualunquismo. Anche l’arte, e in particolare lo spettacolo, si è arenata incapace di rinnovamento efficace. In questo caso può essere utile reinventare il teatro del futuro acquisendo consapevolezza dal passato. Sembra un paradosso, ma i grandi cambiamenti culturali in epoca moderna sono nati attualizzando i classici. Ripensando anche alla storiografia teatrale e al contributo offerto dal pullulare di studi compiuti fino al termine degli anni Settanta del Novecento, si osserverà come l’affievolirsi di riferimenti culturali abbia creato un diffuso disinteresse, producendo, come conseguenza, la lenta ma inesorabile agonia dello spettacolo.

    In questa sede non saranno valutate le cause del decadimento, si cercherà piuttosto di rivitalizzare l’interesse attorno all’arte scenica, dimostrando come Mantova, a partire dalla fine del XIV secolo, sia stata testimone del processo di inventio teatrale che ha definito le coordinate della regia del teatro moderno.

    LA SCENA IMMAGINARIA - Leone de’ Sommi e il teatro della modernità

    In pieno Rinascimento, nella seconda metà del XVI secolo, e grazie alle intuizioni di un illustre cittadino mantovano, Leone de’ Sommi ebreo, viene pubblicato il trattato Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, in pratica il primo manuale di regia teatrale.

    Perché un mantovano ebreo, pertanto emarginato per condizione sociale, decida di scrivere per il teatro, argomento avulso dalla propria cultura, trova significato in quel processo di dialogo fra culture diverse che contraddistinguerà l’agire degli uomini più ispirati del Rinascimento e che getterà le basi della modernità. Il trattato di Leone de’ Sommi si colloca come il punto di incontro tra sacra rappresentazione medievale e commedia dell’arte, teatro popolare e quello di corte, architettura e scena, cultura ebraica e cristiana, antico e moderno, conferendo all’evento teatrale i caratteri dell’opera d’arte.

    Per comprendere come tutti questi aspetti dialoghino fra di loro è necessario recuperare le tessere del puzzle che vanno a comporre lo scenario del teatro rinascimentale.

    Chiunque abbia consultato un testo di storia del teatro della prima metà del secolo scorso avrà notato che Leone de’ Sommi non è neppure menzionato, solo nel 1975 la Enciclopedia dello spettacolo riporta alcune notizie relative alla vita e all’opera. Prima di allora soltanto Alessandro D’Ancona aveva dedicato un ampio spazio al teatro degli ebrei a Mantova, riservando un’attenzione particolare a Leone de’ Sommi e alla sua attività di drammaturgo e impresario teatrale[1]. In seguito, la sua figura è stata ricordata nel 1904 quando un incendio distrusse gran parte dei manoscritti conservati nella biblioteca di Torino. In questi ultimi anni, sull’onda di un processo di rilettura della storia e della cultura del nostro paese, storici e ricercatori stanno riscoprendo la straordinarietà di figure un tempo relegate ingiustamente al margine del processo culturale. Nel caso di Leone de’ Sommi, l’incendio di Torino e il dissenso verso il mondo ebraico hanno senza dubbio contribuito ad avvolgere nell’indifferenza il suo prestigio.

    La rinascita desommiana avviene secondo una direttrice che da una parte coinvolge gli studi moderni di cultura ebraica, intesi come ridefinizione della questione ebraica rispetto alla cultura dei non ebrei, e dall’altra gli studi di teatro, tesi alla ridefinizione del processo storico e culturale dello spettacolo. Nello specifico, Leone de’ Sommi recupera l’interazione fra la comunità degli ebrei mantovani e il fenomeno di inventio teatrale nel periodo rinascimentale. Fin dagli esordi, egli utilizza la scrittura ebraica, dunque sacra, per esaltarne la dimensione poetica.Una scelta coraggiosa che si confronta con la tradizione rabbinica e nello stesso tempo, proiettandosi in una visione più vasta, recupera la tradizione per rivestirla dell’abito della modernità. In questo caso il linguaggio sacrale non rimane relegato alla sinagoga, ma si espande al di fuori dei suoi confini arricchendosi degli elementi che contraddistinguono l’ambiente rinascimentale, diventando anch’essi fattori determinanti nel processo di reinvenzione letteraria e artistica.

    In questo contesto può essere interessante notare come studi recenti abbiano associato l’antica presenza di comunità ebraiche all’origine suggestiva del termine Mantova, che nella definizione semantica giudaica troverebbe in Man Tovah il significato di «[città della] manna buona»[2]. Mi sembra che non si potrebbe immaginare un termine più appropriato per un territorio che dal X al XVII secolo ha conosciuto un continuo sviluppo economico, sociale e culturale culminato nel XVI secolo consacrando Mantova fra le maggiori capitali culturali europee. Manna, intesa come dono divino ma anche nutrimento, in senso traslato, per coloro che amano abbeverarsi alla fonte della conoscenza. Man Tovah, di nome e di fatto, fin dagli albori ha beneficiato di doni speciali in ambito culturale, diventando una roccaforte intellettuale del Rinascimento. Gli studi di questo periodo sono normalmente interessati agli eventi storico-politici, alle lettere e alle arti, relegando il teatro a manifestazione di scarso interesse. La continua ricerca di nuove fonti teatrali sta portando alla luce documenti sconosciuti che gettano una nuova luce alle generiche classificazioni ottocentesche di commedia dell’arte, teatro di corte, sacre rappresentazioni, teatro popolare, solo per citarne alcuni, evidenziando degli scenari talmente complessi da stravolgere, in alcuni casi, l’impianto su cui poggia la storia del teatro

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