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Il Giardino Segreto
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E-book276 pagine4 ore

Il Giardino Segreto

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Info su questo ebook

Mary Lennox non è una bambina simpatica. Tutti dicono che è brutta e troppo magra. Nella lussuosa villa in India dove vive, viene servita e riverita da una balia che ubbidisce a ogni suo capriccio. I genitori, da sempre, sono troppo occupati per stare con lei. Ecco perché è arrogante, egoista, viziata e incapace di sorridere. Ma una mattina, Mary si sveglia e nella casa non c’è più nessuno. I genitori e tutta la servitù sono morti improvvisamente, colpiti da un’epidemia. Solo lei si è salvata, ma non può rimanere da sola in India, così viene mandata in Inghilterra, affidata alle cure di uno zio. Nel misterioso e solitario Castello di Misselthwaite, in mezzo alla brughiera, Mary si sente se possibile ancora più sola di prima. Finché un giorno, il cinguettio di un bizzarro pettirosso la conduce fino a un muro che nasconde un meraviglioso giardino. Abbandonato e inaccessibile a tutti, il giardino rifiorisce grazie alle cure di Mary e di Dickon, un ragazzo che sembra avere il potere di incantare gli animali. E una volta che la natura si sarà risvegliata, il suo potere benefico potrà aiutare tutti, ma proprio tutti, gli abitanti di Misselthwaite…

Originariamente apparso a puntate su una rivista letteraria, Il giardino segreto è un romanzo pieno di magia che parla del potere della natura e dell’amicizia, e che ha incantato e continua a incantare generazioni di ragazzi (ma anche di adulti) in tutto il mondo.
LinguaItaliano
Data di uscita16 set 2021
ISBN9788830530690
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    Anteprima del libro

    Il Giardino Segreto - Frances H. Burnett

    I

    NON C’È PIÙ NESSUNO

    Quando Mary Lennox fu mandata a vivere con suo zio a Misselthwaite Manor, tutti dissero che era la bambina più sgradevole che avessero mai visto. Ed era vero. Aveva un faccino sottile, un corpicino sottile, sottili capelli chiari e un’espressione corrucciata. Aveva i capelli gialli e il viso giallo, perché era nata in India ed era sempre stata malata per un motivo o per l’altro. Suo padre aveva ricoperto una carica importante per il governo inglese ed era sempre stato indaffarato e malato anche lui, mentre sua madre era stata una gran bellezza a cui importava solo di andare alle feste e divertirsi con gente allegra. Non voleva affatto una bambina, e quando Mary era nata l’aveva affidata a una ayah, una bambinaia indiana, a cui era stato fatto capire che se desiderava compiacere la sua padrona, la Memsahib, doveva tenerle la piccolina il più lontano possibile. Perciò fu tenuta a distanza quand’era una brutta neonata malaticcia e frignona, e anche quando imparò a camminare, sempre malaticcia e frignona. Non ricordava di aver mai visto nient’altro di famigliare che i visi scuri della sua ayah e degli altri servi indiani, e siccome le obbedivano sempre e la assecondavano in tutto, perché la Memsahib si sarebbe arrabbiata se fosse stata disturbata dai suoi strilli, all’età di sei anni era la bambina più maleducata, dispotica ed egoista che si fosse mai vista. La giovane governante inglese che venne per insegnarle a leggere e scrivere provò tanta antipatia per lei che rinunciò al posto dopo tre mesi, e quando ne vennero altre se ne andarono via tutte dopo un periodo ancora più breve. Quindi se Mary non avesse deciso di imparare a leggere i libri, non avrebbe mai imparato l’alfabeto.

    Una mattina caldissima, quando aveva circa nove anni, si svegliò di malumore, e il malumore aumentò appena vide che la domestica accanto al letto non era la sua ayah.

    «Perché sei venuta?» disse a quella strana donna. «Non ti voglio qui. Mandami la mia ayah

    La donna sembrò spaventata, ma si limitò a balbettare che la sua ayah non poteva venire e, quando Mary s’infuriò e cominciò a picchiarla e a darle calci, parve ancora più spaventata e ripeté che l’ayah non poteva venire da Missie Sahib.

    C’era qualcosa di misterioso nell’aria quella mattina. Nulla veniva fatto nel solito modo e sembrava che mancassero molti servi indiani, mentre quelli che Mary scorgeva sgattaiolavano via o si affrettavano con volti cinerei e impauriti. Eppure nessuno le diceva niente e la sua ayah non arrivò. Di fatto rimase sola intanto che la mattinata scorreva, e alla fine andò in giardino e si mise a giocare sotto un albero accanto alla veranda. Finse di preparare un’aiuola e infilò grandi fiori di ibisco rosso scarlatto in piccoli mucchi di terra, sempre più arrabbiata e borbottando tra sé ciò che avrebbe detto e gli insulti che avrebbe rivolto a Saidie al suo ritorno.

    «Maiale! Maiale! Figlia di maiali!» urlò, perché chiamare un indiano maiale è il peggior insulto che ci sia.

    Digrignava i denti e continuava a ripeterlo quando sentì sua madre uscire in veranda con qualcuno. Era insieme a un giovane biondo e si fermarono a parlare con strane voci sommesse. Mary conosceva quell’uomo che sembrava un ragazzo. Aveva sentito che era un giovanissimo ufficiale appena giunto dall’Inghilterra. La bambina lo osservò, ma osservava soprattutto sua madre. Lo faceva sempre quando aveva l’occasione di vederla, perché la Memsahib – Mary la chiamava così il più delle volte – era una donna molto alta, snella e carina, e indossava abiti deliziosi. I suoi capelli ricci erano come seta, aveva un nasino delicato che sembrava disprezzare ciò che aveva intorno e grandi occhi ridenti. I suoi abiti erano leggeri e fluttuanti, e Mary diceva che erano pieni di pizzo. Sembravano più pieni di pizzo che mai quella mattina, però i suoi occhi non ridevano affatto. Erano grandi e spaventati e si rivolgevano imploranti verso il viso del biondo ufficiale.

    «È così grave? Davvero?» la sentì dire Mary.

    «Terribile» rispose il giovane con voce tremante. «Terribile, signora Lennox. Dovevate andare in collina due settimane fa.»

    La Memsahib si torceva le mani. «Oh, lo so!» gridò. «Sono rimasta solo per andare a quella stupida cena. Che sciocca sono stata!»

    Proprio in quel momento si levò un lamento tanto forte dagli alloggi della servitù che lei afferrò il braccio dell’uomo, e Mary rabbrividì dalla testa ai piedi. Il lamento divenne sempre più disperato.

    «Che cos’è? Che cos’è?» sussultò la signora Lennox.

    «È morto qualcuno» rispose l’ufficiale ragazzo. «Non mi avevate detto che si era diffuso tra la servitù.»

    «Non lo sapevo!» urlò. «Venite con me! Venite con me!» e si voltò e corse in casa.

    Dopodiché accaddero cose spaventose e il mistero di quella mattina si svelò a Mary. Era scoppiato il colera nella sua forma più letale e le persone morivano come mosche. La ayah si era ammalata nella notte, ed era per la sua morte che i servi avevano fatto sentire i loro lamenti dalle baracche. Entro la fine della giornata erano morti altri tre servi e alcuni erano scappati in preda al terrore. Ovunque c’era il panico e gente agonizzante nelle abitazioni.

    Tra la confusione e lo sconcerto del secondo giorno Mary si nascose nella nursery e tutti si scordarono di lei. Nessuno pensò a lei, nessuno la voleva, e successero strane cose di cui non seppe niente. Mary passava le ore a piangere e dormire. Sapeva solo che c’era gente malata e udiva suoni misteriosi e terribili. A un certo punto sgattaiolò nella sala da pranzo e la trovò vuota, nonostante sul tavolo ci fosse un pasto in parte consumato e sembrava che le sedie e i piatti fossero stati spinti via in fretta quando i commensali si erano alzati all’improvviso per qualche ragione. La bambina mangiò frutta e biscotti, e siccome aveva sete bevve un bicchiere di vino che era ancora quasi pieno. Era dolce e lei non sapeva quanto fosse forte. Molto presto si sentì stordita, quindi tornò alla nursery e vi si chiuse dentro di nuovo, terrorizzata dai pianti che sentiva nelle baracche e dagli scalpiccii frettolosi. Il vino le fece venire tanto sonno che stentava a tenere gli occhi aperti e si sdraiò sul suo letto e per molto tempo dimenticò tutto.

    Accaddero parecchie cose nelle ore in cui dormì profondamente, ma non la svegliarono né i gemiti né il rumore di ciò che veniva portato dentro e fuori da casa.

    Quando si svegliò, rimase sdraiata a fissare la parete. In casa tutto taceva. Non le era mai capitato di sentirla così silenziosa. Non c’erano voci né passi, e si chiese se tutti fossero guariti dal colera e il problema fosse risolto. Si chiese anche chi potesse prendersi cura di lei, ora che la sua ayah era morta. Ci sarebbe stata una nuova ayah, e forse lei avrebbe ascoltato delle nuove storie. Mary si era un po’ stancata di quelle vecchie. Non pianse perché la sua tata era morta. Non era una bambina che si affeziona e non le era mai importato granché degli altri. Il rumore, lo scompiglio e i lamenti dovuti al colera l’avevano spaventata, e si era arrabbiata perché nessuno sembrava ricordarsi che era viva. Erano tutti troppo in preda al panico per pensare alla ragazzina che non piaceva a nessuno. Ma se tutti erano guariti, di sicuro qualcuno si sarebbe ricordato di lei e sarebbe venuto a prenderla.

    Tuttavia non venne nessuno e, mentre se ne stava sdraiata ad aspettare, la casa le parve sempre più silenziosa. Udì un fruscio sulla stuoia e abbassando lo sguardo vide un piccolo serpente che strisciava guardandola con occhi come gioielli. Non aveva paura, perché era una creaturina innocua che non le avrebbe fatto del male e sembrava che avesse fretta di uscire dalla stanza. S’infilò sotto la porta e lei rimase a osservarlo.

    «Che strano silenzio» disse. «Sembra che in casa ci siamo soltanto io e il serpente.»

    Un attimo dopo sentì dei passi in giardino e poi nella veranda. Erano passi maschili, e gli uomini entrarono in casa parlando a bassa voce. Nessuno andò ad accoglierli o a parlare con loro e sembrava che aprissero le porte e guardassero nelle stanze.

    «Che desolazione!» sentì dire. «Quella donna così bella! Anche la bambina, immagino. A quanto pare c’era una bambina, anche se nessuno l’ha mai vista.»

    Mary era in piedi al centro della nursery quando aprirono la porta, qualche minuto dopo. Aveva l’aspetto di un esserino brutto e scontroso, e aggrottava le sopracciglia perché cominciava ad avere fame e si sentiva vergognosamente trascurata. Il primo a entrare fu un robusto ufficiale che aveva visto parlare con suo padre una volta. Sembrava stanco e turbato, ma appena la vide fu talmente stupito che quasi balzò indietro.

    «Barney!» gridò. «C’è una bambina qui! Una bambina sola! In un posto del genere! Che Dio abbia pietà di noi, chi è?»

    «Sono Mary Lennox» disse la bambina, irrigidendo la schiena. Pensò che l’uomo fosse molto scortese a chiamare la casa di suo padre un posto del genere!. «Mi sono addormentata quando tutti avevano il colera e mi sono appena svegliata. Perché non viene nessuno?»

    «È la bambina che nessuno ha mai visto!» esclamò l’uomo, voltandosi verso i compagni. «L’hanno dimenticata!»

    «Perché mi hanno dimenticata?» chiese Mary pestando i piedi. «Perché non viene nessuno?»

    Il giovane che si chiamava Barney la guardò con grande tristezza. Mary pensò perfino che strizzasse gli occhi per scacciare le lacrime.

    «Povera piccina!» disse. «Non c’è più nessuno che possa venire.»

    In quel modo strano e improvviso Mary scoprì che non aveva più né un padre né una madre, che erano morti ed erano stati portati via nella notte, e anche i pochi servi indiani che erano ancora vivi avevano lasciato la casa in gran fretta, senza nemmeno ricordarsi che ci fosse una signorina Sahib. Per questo il luogo era tanto silenzioso. Era vero che in casa non c’era nessuno tranne lei e il serpentello strisciante.

    II

    SIGNORINA CAPRICCIOSA

    Un tempo a Mary piaceva guardare sua madre da lontano e la trovava molto bella, ma siccome sapeva pochissimo di lei non ci si poteva aspettare che le volesse bene o che le mancasse quando se ne andò. Non le mancava affatto, in realtà, visto che era una bambina egocentrica che pensava soltanto a sé stessa, come aveva sempre fatto. Se fosse stata più grande avrebbe senz’altro provato angoscia all’idea di essere sola al mondo, ma era piccola, e siccome qualcuno si era sempre preso cura di lei, immaginava che sarebbe stato sempre così. Avrebbe invece voluto sapere se sarebbe andata da persone gentili, che sarebbero state cortesi con lei e l’avrebbero assecondata come avevano fatto la sua ayah e gli altri servi indiani.

    Sapeva che non sarebbe rimasta nella casa del pastore inglese in cui era stata portata all’inizio. E non voleva rimanerci. Il pastore inglese era povero e aveva cinque figli molto vicini di età che indossavano abiti logori, litigavano sempre e si strappavano i giocattoli. Mary odiava la loro abitazione disordinata ed era così antipatica con loro che dopo un paio di giorni nessuno voleva più giocare con lei. Il secondo giorno le avevano già dato un nomignolo che la mandava su tutte le furie.

    Era stato Basil a inventarlo. Basil era un bimbetto con insolenti occhi azzurri e il naso all’insù e Mary lo detestava. Lei se ne stava da sola a giocare sotto un albero, proprio come aveva fatto il giorno in cui era scoppiato il colera. Faceva montagnette di terra e vialetti da giardino; Basil si avvicinò e rimase a guardarla. Presto ne fu intrigato e a un tratto le diede un suggerimento.

    «Perché non metti un mucchio di sassi lì e fai finta che sia un giardino roccioso?» disse. «Lì in mezzo» e le si avvicinò per mostrarle il punto.

    «Vattene!» gridò Mary. «Non voglio i maschi. Vattene!»

    Per un momento Basil sembrò arrabbiato, ma poi cominciò a prenderla in giro. Prendeva sempre in giro le sue sorelle. Girava loro intorno ballando e faceva le boccacce e cantava e rideva.

    «Signorina capricciosa,

    Il tuo giardino com’è fatto?

    Ha conchiglie e campanelle,

    E un tagete molto adatto.»

    La cantò finché gli altri bambini la sentirono e si misero a ridere anche loro; e più Mary si arrabbiava, più loro cantavano Signorina capricciosa; dopodiché per tutto il tempo che restò lì la chiamarono signorina capricciosa quando parlavano di lei tra loro, e spesso anche quando le si rivolgevano.

    «Ti mandano a casa» le disse Basil, «alla fine della settimana. E noi siamo contenti.»

    «Anch’io ne sono contenta» replicò Mary. «Dov’è la mia casa?»

    «Non sa dov’è casa sua!» esclamò Basil, con tutto lo sdegno di un bambino di sette anni. «È in Inghilterra, ovviamente. Ci vive la nonna e nostra sorella Mabel è stata mandata da lei l’anno scorso. Tu non vai da tua nonna. Non ce l’hai. Vai da tuo zio. Si chiama signor Archibald Craven.»

    «Non so niente di lui» disse Mary brusca.

    «Lo so» ribatté Basil. «Tu non sai niente. Le bambine non sanno mai niente. Ho sentito papà e mamma che parlavano di lui. Vive in un’enorme casa di campagna, vecchia e desolata, e nessuno gli si avvicina. È così bisbetico che non vuole e comunque non gli andrebbero vicino nemmeno se volesse. È gobbo ed è orrendo.»

    «Non ci credo» disse Mary; gli voltò le spalle e si tappò le orecchie perché non voleva più ascoltarlo.

    Ma ci pensò tanto in seguito; e quando quella sera la signora Crawford le disse che si sarebbe imbarcata per l’Inghilterra di lì a qualche giorno e sarebbe andata da suo zio, il signor Archibald Craven, che viveva a Misselthwaite Manor, si mostrò così ostinatamente impassibile e indifferente che non sapevano cosa pensare di lei. Cercarono di essere gentili, però lei girò il viso appena la signora Crawford cercò di darle un bacio, e rimase rigida quando il signor Crawford le diede qualche pacca sulla spalla.

    «Che bambina insignificante» commentò più tardi la signora Crawford compatendola. «E dire che sua madre era una creatura così graziosa. Aveva anche maniere molto graziose, Mary invece ha i modi più odiosi che abbia mai visto in un bambino. I ragazzi la chiamano signorina capricciosa e, per quanto sia dispettoso da parte loro, non si può non comprenderli.»

    «Forse se sua madre avesse portato più spesso il suo grazioso viso e le sue graziose maniere nella nursery, anche Mary avrebbe potuto imparare qualche graziosa maniera. È davvero triste, adesso che quella povera e bella creatura se n’è andata, ricordare che molti non sapevano neppure che avesse una figlia.»

    «Credo che non se ne sia quasi mai occupata» sospirò la signora Crawford. «Quando è morta la sua ayah nessuno si è ricordato di lei. Pensa alla servitù che è corsa via e l’ha lasciata da sola in quella casa abbandonata. Il colonnello McGrew ha detto che si è spaventato a morte quando ha aperto la porta e l’ha trovata in mezzo alla stanza.»

    Mary fece il lungo viaggio per l’Inghilterra affidata alle cure della moglie di un ufficiale, che accompagnava i propri figli in collegio. Questa era molto assorbita dal suo bambino e dalla sua bambina, e fu contenta di lasciare la ragazzina alla donna che il signor Archibald Craven aveva mandato a Londra per accoglierla. Si trattava della governante di Misselthwaite Manor e si chiamava signora Medlock. Era una donna robusta, con guance molto rosse e due penetranti occhi neri. Indossava un abito di un viola carico, un mantello di seta nera con una frangia di giaietto e un cappello nero con fiori di velluto viola che si rizzavano e tremolavano quando muoveva la testa. A Mary non piacque nemmeno un po’, ma siccome era raro che le piacesse qualcuno non c’era nulla di strano in questo; tra l’altro era del tutto evidente che nemmeno la signora Medlock avesse una grande opinione di lei.

    «Dio mio! È una creatura proprio bruttina!» esclamò. «Eppure abbiamo sentito dire che sua madre era una gran bellezza. Non gliene ha lasciata molta, eh, signora?»

    «Forse migliorerà crescendo» disse la moglie dell’ufficiale, benevola. «Se non fosse giallognola e avesse un’espressione più simpatica, i tratti del viso sono piuttosto belli. I bambini cambiano tanto.»

    «Dovrà cambiare parecchio» rispose la signora Medlock. «E non c’è niente che faccia migliorare i bambini a Misselthwaite, se vuole saperlo!»

    Pensavano che Mary non sentisse perché se ne stava in disparte, alla finestra della pensione in cui erano andati. Guardava gli omnibus, le carrozze di passaggio, e la gente, ma aveva sentito bene e le venne una gran curiosità di conoscere suo zio e il luogo in cui abitava. Che razza di posto era e com’era lui? Cos’era un gobbo? Non ne aveva mai visto uno. Forse non ce n’erano in India.

    Da quando viveva in casa d’altri e non aveva più una ayah, aveva cominciato a sentirsi sola e ad avere strani pensieri che erano nuovi per lei. Aveva cominciato a chiedersi perché non le sembrava di essere mai appartenuta a nessuno, nemmeno quando suo padre e sua madre erano ancora in vita. Altri bambini sembravano appartenere ai loro padri e alle loro madri, ma lei non aveva mai percepito di essere figlia di qualcuno. Aveva avuto servi, cibo e vestiti, però nessuno si era mai curato di lei. Non sapeva se dipendesse dal fatto che era una bambina sgradevole; e poi naturalmente non sapeva di essere sgradevole. Credeva spesso che lo fossero gli altri, ma non immaginava di esserlo lei.

    Pensò che la signora Medlock fosse la persona più sgradevole che avesse mai visto, con il suo viso colorito e volgare e la volgare cuffietta. Quando l’indomani si misero in viaggio per lo Yorkshire, attraversò la stazione per raggiungere il treno a testa alta, cercando di tenersi il più possibile lontano da lei perché non voleva dare l’impressione di appartenerle. La irritava pensare che la gente la credesse sua figlia.

    Ma la signora Medlock non era affatto turbata da lei e da ciò che pensava. Era il tipo di donna che non tollerava nessuna sciocchezza da parte dei giovani, o per lo meno è questo che avrebbe detto se le fosse stato chiesto. Non avrebbe voluto andare a Londra proprio quando la figlia di sua sorella Maria si sposava, ma aveva un posto da governante comodo e ben pagato a Misselthwaite Manor e il solo modo di tenerselo era eseguire all’istante ciò che il signor Archibald Craven le ordinava. Non osava mai nemmeno fare domande.

    «Il capitano Lennox e sua moglie sono morti di colera» aveva detto il signor Craven nel suo tono spiccio e freddo. «Il capitano Lennox era il fratello di mia moglie e io sono il tutore della figlia. Bisogna portare qui la bambina. Dovete andare a Londra e portarla qui.»

    Quindi lei aveva riempito il suo piccolo baule e affrontato il viaggio.

    Mary sedeva in un angolo della carrozza e sembrava insignificante e nervosa. Non aveva niente da leggere né da guardare, e aveva intrecciato in grembo le sottili manine ricoperte dai guanti neri. Il vestito nero le donava un colorito più giallo che mai, e i flosci capelli chiari spuntavano disordinati dal cappello di crespo nero.

    Non ho mai visto in vita mia una ragazzina dall’aria più viziata e capricciosa, pensò la signora Medlock. Non aveva mai visto una bambina che se ne stesse immobile senza fare niente: alla fine si stancò di osservarla e cominciò a parlare con voce brusca e dura.

    «Tanto vale che vi racconti qualcosa del luogo in cui siete diretta» disse. «Sapete niente di vostro zio?»

    «No» rispose Mary.

    «Non avete ne avete mai sentito parlare da vostro padre e vostra madre?»

    «No» rispose Mary accigliandosi. Si accigliò perché si ricordò che suo padre e sua madre non le avevano mai parlato di niente in particolare. Di sicuro non le avevano mai raccontato qualcosa.

    «Bah» mugugnò la signora Medlock, fissando il suo bizzarro faccino impassibile. Non aggiunse altro per qualche attimo e poi riprese. «Tanto vale che sappiate qualcosa… per preparavi. State andando in uno strano posto.»

    Mary non disse assolutamente niente, e la signora Medlock parve piuttosto sconcertata da quell’apparente indifferenza, ma dopo aver sospirato proseguì. «C’è da dire che è un luogo grande e maestoso in maniera sinistra, e il signor Craven ne va fiero a suo modo… e anche questo è abbastanza sinistro. La casa ha seicento anni, si trova ai margini della brughiera e ha quasi cento stanze, anche se perlopiù chiuse a chiave. E ci sono quadri, bei mobili antichi e oggetti che sono lì da secoli, e c’è un grande parco intorno e giardini e alberi con rami che toccano terra… alcuni.» Si interruppe e fece un altro sospiro. «Ma non c’è nient’altro» concluse all’improvviso.

    Mary aveva cominciato ad ascoltare suo malgrado. Sembrava tutto così diverso dall’India, e le novità la attiravano. Ma non aveva intenzione di mostrarsi interessata. Era uno dei suoi lati tristi e spiacevoli. Quindi rimase seduta immobile.

    «Bene» disse la signora

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