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Non dite a Romeo che Giulietta mi piace
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E-book174 pagine2 ore

Non dite a Romeo che Giulietta mi piace

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Info su questo ebook

Lui è un ragazzo napoletano di diciannove anni che vuole fare l’attore e sogna la grande occasione della sua vita: un provino all’Accademia di recitazione del Teatro Bellini di Napoli. Ma ha paura di vestire i panni del protagonista, nella vita come sul palcoscenico, risultando un interprete incompleto e poco convincente. Quando coinvolge i suoi amici nel progetto di recitare insieme, affida il ruolo di Romeo a Fabrizio, il suo migliore amico, e quello di Giulietta a Lei, Marica, ex fidanzata di Fabrizio e aspirante ballerina. Sceglie per sé solo ruoli da comprimario, Benvolio e poi Mercuzio, che gli permettono di nascondersi sullo sfondo di quei riflettori sotto i quali vengono prese le decisioni davvero importanti: conoscersi, innamorarsi, scegliere, persino morire.
Durante la preparazione delle scene principali e le relative prove, viene colpito da una rivelazione: Il tema centrale di Romeo e Giulietta non è l’amore! Il vero messaggio della storia è di muovere il culo per realizzare i propri desideri altrimenti qualcun altro lo farà al tuo posto e la vita sarà una tragedia.
Nonostante tutto, lui non riesce a confessare al suo amico di essersi innamorato di Marica e quando anche Fabrizio ammette di avere ancora dei sentimenti per lei, la faccenda si complica.
Amore, amicizia, coraggio, talento, deve fare i conti con tutto questo, mentre le possibilità a sua disposizione diminuiscono poiché Benvolio non ha più scene e Mercuzio viene ucciso a metà della tragedia…
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2021
ISBN9788832929218
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    Anteprima del libro

    Non dite a Romeo che Giulietta mi piace - Giacomo Barba

    1

    Cominciamo di sabato, poco dopo le sette, nel deposito merci dell’ex azienda di mio padre.

    Ci sono soltanto le luci al neon, le piastrelle sporche e i muri bianchi; è un luogo banale, ma i sogni cominciano in posti così.

    Eccoci: Fabrizio, io, Gianni, Ivan, Claudia e Serena, manca solo Marica, perché lei è sempre in ritardo.

    Faremo così, dice Gianni. Scriveremo ogni volta il copione per conoscere le scene che vogliamo girare e dare la possibilità a tutti di imparare la parte durante la settimana. Per questa volta ci arrangeremo con le copie che siamo riusciti a trovare. Adesso faremo delle prove per prendere confidenza con la camera e rompere il ghiaccio.

    Nello stesso istante in cui Gianni toglie la cinepresa dalla custodia in pelle l’aria si condensa, si riempie di tensione; è come se tutti quanti sentissero addosso un grosso occhio che li porta a irrigidirsi trasformando ogni movimento naturale in una posa.

    Perché l’occhio ci fa sentire così? Dovremmo essere abituati al fatto che gli altri ci fissino, analizzando i nostri corpi, i vestiti, i movimenti; eppure, quell’unico cerchio nero sembra essere più forte dei mille telescopi di carne che ogni giorno passano sopra le nostre facce.

    Le voci sembrano fuori controllo, le risate sono grida isteriche, i corpi, quelli di marionette dai fili spezzati. Claudia e Serena si scambiano abbracci di conforto come se stessero per andare incontro a un plotone d’esecuzione. Fabrizio è intento a mimare un pestaggio in cui io sono la vittima e lui e Ivan gli assalitori.

    Sono pronto, cominciamo! urla Gianni, anche lui con la voce fuori scala per l’euforia, e noi restiamo impalati, come statue di ghiaccio, mentre io distribuisco i copioni.

    L’inizio è un disastro!

    Non riusciamo a stare fermi mentre parliamo, e neppure a camminare da una all’altra delle stelle di nastro isolante che Gianni ha appiccicato a terra per mostrarci le posizioni. Ogni muscolo disobbedisce, sembriamo aver dimenticato qualsiasi lingua e, come se non bastasse, scoppiamo a ridere per niente; appena uno comincia ci contagiamo in un lampo fino a ritrovarci sul pavimento come se fossimo ubriachi. Nemmeno il regista fa eccezione.

    Sa che abbiamo bisogno di scaldarci e non cerca di riportare la situazione sotto il suo controllo, anzi, fa coro alle battutacce di Serena chiedendole di ripeterle più forte davanti alla cinepresa. Si lancia in spericolati primi piani del naso di Ivan o del mio culo. Continuiamo per quasi due ore sull’onda di questa euforia.

    Poi, mentre sono impegnatissimo in una caricatura di ballo latino-americano imparato l’estate scorsa al campeggio, nella quale coinvolgo prima Serena e poi Claudia, mi sento afferrare per le spalle con forza. Dopo una mezza piroetta su me stesso cercando di non cadere mi ritrovo a mezzo centimetro dal sorriso di Marica, il suo respiro caldo sulla faccia.

    Marica, primo piano di occhi scuri e profondi, coreografia inquieta fatta di un solo brusco movimento.

    Gli altri cominciano a battere le mani ridendo, e in un secondo si rendono conto tutti che lei sa ballare sul serio, poiché conosce il luogo preciso dove mettere le migliaia di parti del corpo che io faccio ciondolare come panni stesi ad asciugare; persino i suoi occhi sembrano avere un ritmo e io faccio fatica a sostenere il suo sguardo.

    Devi vedere le scene che abbiamo girato, morirai dal ridere.

    Lei fa il giro dei saluti, poi si ritrova di fronte Fabrizio e l’aria si fa pesante. Il bacio sulla guancia è fuori discussione. Ignorarsi è impossibile. Si scambiano un sorriso incartato male e addio magia costata un intero pomeriggio.

    Un po’ li odio per questo e un po’ li invidio; perché se i tuoi sentimenti sono talmente forti da influenzare la realtà delle persone che ti circondano, in qualunque tipo di modo, vuol dire che il tuo cuore è grande, immenso, forse.

    Ma il gelo resta.

    Di colpo siamo di nuovo noi stessi, con i nostri ruoli, quelli veri, il nostro passato e tutto il resto.

    Qualcuno sbadiglia, la stanchezza è arrivata in un lampo alle nostre spalle e sembra prenderci in giro: È solo un deposito merci, cosa credevate?

    Noi ce ne andiamo, dicono Claudia e Serena offrendosi di dare un passaggio anche a Ivan. Gianni fa un cenno a Marica che abita nei pressi di casa sua. In pochi minuti sono andati via tutti eccetto Fabrizio che devo riaccompagnare.

    2

    Siamo nella mia Opel Corsa rossa da una decina di minuti oramai, in silenzio, cosa piuttosto strana. Sulla sinistra il riflesso argentato del lago Patria che può sembrare bello solo a quest’ora di notte, quando non si vede l’immondizia lasciata a marcire sulla riva, gli spaventosi complessi alberghieri sembrano scogli venuti male e i falò delle prostitute non sono ancora accesi.

    Ci sarà anche lei alle prossime prove?

    Speravo me lo chiedesse, eppure sembra che qualcuno mi abbia puntato una torcia in faccia, mentre cercavo di svignarmela nella notte. Decido di fissare lo sguardo sul riflesso della luna sopra i pontili che a tratti scompaiono sotto i denti dell’acqua.

    Sì. Che problema c’è?

    Nessuno, figurati. L’alzata di spalle che accompagna la frase gli viene talmente artefatta da sembrare ridicola.

    È un baratro interiore, amico mio, e tu sei seduto proprio sul ciglio. Non sai se è giusto rischiare, venire allo scoperto. Sta capitando anche a noi. Peccato! Ero certo di avere seminato altro nel campo della nostra amicizia; non tutta roba di prima qualità, le erbacce le porta il vento, insieme alle farfalle, e quindi un po’ del tuo timore è giustificato, ma solo una parte. Il resto, da dove viene? Ci siamo incontrati alle due estremità di un banco di scuola di prima liceo, che se ci pensi ha la stessa forma di una trincea, e anche lo stesso scopo, una difesa contro quello che ti sta davanti e a lato, perché ci attaccano da tutti i fronti, contemporaneamente, senza uno straccio di modello, una dannata strategia; guerriglia e scontro aperto, improvvisazione e forza bruta. Gli americani ci hanno perso una guerra contro una cosa così, non è da sottovalutare, ma nel banco, fianco a fianco siamo sempre stati più forti.

    Come vanno le cose con Stefania? gli domando.

    Benissimo.

    Una parola fatta di un milione di gradini che scendono tutti verso il basso.

    Mi sembra che sul viso di Fabrizio sia in corso una battaglia. Gli occhi sono ancora quelli del ragazzo che conosco, ma la bocca sembra essergli diventata adulta obbedendo a una rivoluzione tutta personale, appare di colpo rigida e sembra una cosa vecchia stesa in mezzo a delle cose giovani. Mi mette a disagio vederla lì, se potessi le chiederei di andarsene.

    Perché non l’hai portata alle prove? Si sarebbe divertita.

    Non mi degna di una risposta e allora colpisco più forte.

    "Ti ci sei messo pure tu con la campana di vetro! Non bastavano i suoi genitori? Okay, suo padre ha avuto il cancro, ma ne è uscito. L’ansia, le crisi di panico, ha solo bisogno di stare con quelli della sua età, fa o’burdell. È la ventenne più vecchia che abbia mai visto."

    Proprio per questo bisogna andarci piano. La voce di Fabrizio si tende come un arco.

    Tu neanche te ne accorgi ma, quando siamo tutti insieme, viene fuori un’energia, un vortice, che sembra non voler finire mai. C’è sempre qualcosa di più da dire, da vedere. Cazzo! A volte persino io ho problemi a gestirla, è come se dovessimo morire tutti domani, come se il primo che se ne va dovesse pagare una specie di conto.

    Ed è una cosa negativa? Ma tengo il pensiero per me e lo lascio continuare.

    Stefania non è pronta. Persino un tono di voce troppo alto la mette in soggezione. E poi c’è Marica.

    Già, Marica! ripeto nella mia mente, mentre Fabrizio mette un grosso lucchetto al cancello della sua.

    Vederla lo ha turbato, ne sono certo, e io voglio trascinarlo in un discorso su di lei, voglio sapere perché si sono lasciati.

    Farò un commento osceno sul suo corpo, dirò qualcosa su quel modo che ha di muoversi, di mettersi in contatto con quello che le sta intorno come se il mondo aspettasse lei per dare il meglio di sé; qualcosa che costringa Fabrizio a spiegarsi, per mettere a confronto il tipo di donna che inseguiva un tempo e quella che ha scelto adesso. Perché queste due cose sono troppo, dannatamente differenti, e mi confonde il modo in cui le ha messe in fila.

    Poi però mi sembra tutto fuori luogo e me ne sto zitto, mentre già imbocco il viale di casa sua.

    È solo che… Le sue parole sembrano una bolletta scaduta da un pezzo.

    Cosa?

    Niente, niente di importante. E chiude di nuovo l’argomento o almeno così io credo.

    Spengo il motore.

    Ma tu perché la vuoi fare questa cosa di recitare insieme?

    Mi aspettavo una bella confessione e lui invece ne chiede una a me.

    Quando finalmente mi decido a parlare, mi viene in mente una cosa assurda, nascosta tra una fetta di subconscio e una foglia di indecisione.

    Ricordi Alessandra, quella che stava in classe con noi, che abita dalle tue parti?

    Sì, mi risponde con un punto interrogativo negli occhi.

    "E Mariano Garofano? Chillu piezz’ e mmerd!"

    Certo.

    Queste domande sono inutili, io lo so! Fabrizio conosce entrambi molto bene; Alessandra è stata un’ossessione per me, ne ho parlato per tutto il liceo. Mariano era un attaccabrighe, c’eravamo picchiati spesso, con odio sincero. È morto poco dopo il diploma, a vent’anni, in un incidente stradale con la fidanzata minorenne e il fratello di lei. Erano tutti in macchina e improvvisamente lui ha perso il controllo. Io e Fabrizio siamo andati anche al funerale e durante la funzione io mi sono sforzato di pensare a qualcosa che mi permettesse di essere triste per lui. Guardavo sua madre sulla panca davanti all’altare, il modo in cui si schiacciava contro la spalla della figlia maggiore. La cassa di legno scuro era proprio davanti a loro. Cercavo di immaginarlo steso lì dentro, per sempre. Forza, dai, piangi! E invece…

    Quella di Latino mi ha portato in quinta A per finire l’interrogazione, ho visto tua sorella, è tosta! Me la chiaverei proprio! lo aveva detto ridendomi in faccia durante la ricreazione.

    La tua ha un gran bel culo. Quando è venuta ai colloqui con i professori aveva i jeans talmente infilati nelle pacche che le si vedevano le mutandine. La prossima volta ci butto la mano.

    E poi i pugni in faccia, gli insulti e l’odore della pelle sudata di quel corpo massiccio con il quale mi rotolavo sull’asfalto. E ora lei era seduta lì, piangeva il fratello chiuso in quella bara; la guardavo sentendomi il più grande bastardo del mondo. Sono dovuto uscire dalla chiesa.

    A Fabrizio racconto un altro pezzo tratto dallo stesso film.

    "Un giorno, durante un’ora di supplenza, Mariano è venuto a sedersi proprio accanto a me con altri quattro o cinque nostri compagni. Mi guarda negli occhi e mi dice che ha questa grande idea per far morire dal ridere tutta la classe. Consiste nel trovare un nomignolo osceno per ognuna delle ragazze che sono lì e gridarlo non appena il supplente chiama i loro nomi per l’appello. Uno di noi per ogni ragazza. Comincia a decidere gli accoppiamenti e naturalmente, indovina un po’? A me tocca Alessandra. Il gioco inizia: Bova Valentina Bucchinar! Bruni Imma A’ vacc! Coviello Antonella Cess a’ vient! La classe ci prende gusto, il ritmo è tutto. I bersagli abbassano la testa per la vergogna e restano in silenzio. Al supplente non gliene frega nulla. Probabilmente pensa che ai suoi tempi è toccato anche a lui e quindi adesso è giusto che sia qualcun altro a soffrire questo tipo di umiliazioni.

    Mariano è molto contento del suo nuovo giochetto, poi arriva il mio turno.

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