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La regola d'arte
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E-book232 pagine3 ore

La regola d'arte

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Info su questo ebook

Bilal è un "archeologo metropolitano" che scava nella Milano dismessa di case, fabbriche, attività commerciali, giardini, in cerca di oggetti e di storie. Qui è la compagna Dyne a trascinarlo in una nuova avventura. Un pittore viene ucciso a Brera e sembra un delitto di malavita. L'uomo nascondeva un segreto legato a strani furti compiuti in Pinacoteca anni prima. Segreto che fa gola a molti e porta Bilal sulle tracce del traffico clandestino di quadri. Ma come capita per certi dipinti dubbi, qualcosa di ben diverso sta sotto la superficie.

LinguaItaliano
Data di uscita3 ott 2021
ISBN9781005231835
La regola d'arte
Autore

Federico Bini

Federico Bini is an Italian writer. He worked as a journalist and editor in daily newspapers and magazines, on television and for the radio. His published works include novels, comics and many stories for children, such as the series of "TIMO - The young sailor", "Dakota" and "Mosiro" for the WWF. Among his latest books are: "The treasures' search- 100 stories of lost fortunes". His greatest passions are; the sea, the stars, numbers, biology, gorillas, action movies, adventure novels and flight simulators.

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    Anteprima del libro

    La regola d'arte - Federico Bini

    Federico Bini

    LA REGOLA D'ARTE

    Un'avventura di Bilal a Brera

    romanzo

    ****

    Milano, pinacoteca di Brera. Molti anni prima.

    Davanti a Raffaello i custodi si stavano ingozzando di michette al salame. Le Vergini erano incustodite e lui era sicuro che gli scarsi sistemi di sicurezza non l'avrebbero individuato.

    Madonna col bambino e un coro di cherubini di Andrea Mantegna. La azzurra.

    Madonna del roseto di Bernardino Luini. La rosa.

    Madonna col bambino e un angelo di Moretto da Brescia. La gialla.

    Madonna Monti di Romanino. La rossa.

    Madonna col Bambino di Giovanni Bellini. La blu

    La pinacoteca era avvolta in una pace mistica. L'unico vago rumore appena distinguibile era quello mandibolare nella sala 24.

    Si mise al lavoro.

    1

    Milano, ottobre 2017

    «Mi stavo chiedendo, Bilal, se il tuo personalissimo codice morale ti consente di frugare nelle vite altrui anche alla luce del sole o se invece devi farlo solo di notte, possibilmente in mezzo a topi e sterpaglie. Meglio se in mia compagnia, così, per rovinarmi un po' la vita.»

    Dyane era di cattivo umore. Mr. Lin era entrato in astinenza da collezionabili e lei, sua dipendente e personale trovarobe nel mondo dell'arte, non aveva sottomano nulla in grado di sfamarlo. Niente nel giro degli antiquari, niente in quello dei rigattieri, niente sui siti online, niente tra i contatti privati, niente nel mondo parallelo e niente, figurarsi, tra gli oggetti recuperati dal compagno. Che peraltro ben difficilmente possedeva qualcosa di gratificante per Mr Lin. Bilal era solo un archeologo metropolitano, che andava a scavare nei luoghi abbandonati della Milano dismessa, alla ricerca di oggetti forse ricchi di storie, ma certamente poveri di valore intrinseco e quindi non appetibili per il famelico e megalomane orientale.

    «Io non frugo nelle vite degli altri, Dyane. Cerco nel mondo perduto, è diverso. Sono le vite che si raccontano da sole, attraverso gli oggetti che trovo abbandonati. Per esempio, la vedi quella?»

    Le stava indicando una brutta cornice art déco rotta in un paio di volute, trovata mesi prima in una villa abbandonata dell'Ortica e chissà perché tenuta da parte. Lei si chiese se lo faceva apposta per irritarla.

    «Sai che detesto quella cornice vuota. Mi fa paura.»

    «Perché è vuota. Lì c'era l'immagine di una persona: una donna amata, un figlio lontano, un soldato morto, un antenato illustre chi lo sa. Tempo fa qualcuno, quando ha lasciato la villetta, ha deciso di abbandonare la cornice, non prima però di aver tolto il contenuto, tenendosi così la storia... Ecco: ti fa paura perché c'è un 'vuoto di storia'. Ma cosa vedi?»

    «Cosa vedo? Un bel niente.»

    «Guarda meglio.»

    Non lo sopportava, il maestrino. Soprattutto di sera, sdraiati a letto nella stanza del Look the Moon quando potevano impegnarsi in altro. Così fece appello al suo tono più petulante, modello autopsia.

    «Vedo una cornice primo Novecento, di fattura mediocre, rotta in due punti nella parte superiore, con un vetro in parte graffiato e al suo interno un cartoncino color panna, macchiato...»

    «Nient'altro?»

    Basta, per pietà, pensò lei. Ma non voleva dargliela vinta.

    «Nient'altro.»

    «Tu non sai in realtà cosa c'è dietro a quel cartoncino macchiato, che serve da spessore nella cornice. L'ho trovata così e mi ha incuriosito il fatto che si tratta di una foto rovesciata. L'immagine cioè è sul retro. Qualcuno ha usato una foto di cui non gli importava nulla e l'ha girata per creare uno spessore e inserirvi una nuova fotografia, per lui più importante, tanto che l'ha portata con sé, mentre questa l'ha tranquillamente abbandonata nella cornice.»

    «Interessantissimo. Hai finito?»

    «No di certo. Non l'ho appesa, ma l'ho tenuta sulla libreria perché se la appendevo al muro, perdevo la storia della foto che sta dietro. L'hai vista?»

    «La persona ritratta dici? Sì, è una donna con un cappello anni Quaranta.»

    «Ci arriviamo dopo.»

    Pietà, pietà, pensò lei, mentre sentiva le palpebre diventare pesanti.

    «Se guardi bene i margini della foto» riprese Bilal, gli occhi fissi sul cielo stellato oltre la finestra del soffitto che, come nelle altre stanze, dava al motel l'insolito nome, «noterai che porta la traccia inconfondibile delle volute. Un tempo c'era quella foto nella cornice, sul davanti intendo, ma poi è stata soppiantata ed è diventata solo un cartone da spessore. Ecco la storia, Dyane. Che cosa è successo alla donna? Chi era? Un amore finito male? Una moglie ripudiata? Una prostituta da nascondere? E perché la foto non è stata fatta a pezzi, ma si è preferito umiliarla così? Mi segui?»

    Dyane dormiva già.

    Peccato, avrebbe avuto un'anticipazione. Avrebbe forse capito subito i complessi eventi delle settimane successive.

    Perché, come la foto nella brutta cornice, anche le vite possono essere rivoltate.

    Da qualche settimana Bilal aveva superato i cinquant'anni, da lui considerati con discreto ottimismo la metà esatta della vita. Si sentiva un ciclista che aveva appena scollinato e che ora doveva per forza impostare una differente strategia di corsa, di certo non tutta in discesa. Si era lasciato alle spalle un lavoro ondivago iniziato in modo promettente ma poi arenatosi a poco a poco. Come avventizio cronista di nera in una piccola radio locale aveva conosciuto luoghi e storie di una città nascosta che lui chiamava con affetto la Milano B. Quella delle ultime fabbriche e dei cinema di quartiere, degli oratori e degli artigiani nei cortili, dei bar con gioco delle carte e dei negozi di alimentari dove il padrone ti salutava chiamandoti per nome. C'erano, in quegli anni, la Milano da bere che presto si sarebbe scontrata con le inchieste giudiziarie e la Milano B che aveva già un cuore malandato, era invecchiata non benissimo, ma poteva ancora guardarsi allo specchio senza vergogna.

    Poi era successo qualcosa che neppure lui sapeva spiegare, anche a distanza di anni. Quel lavoro non interessava più: i cronisti avevano abbandonato le strade e affollato le sale stampa del potere. Non c'erano più storie da raccontare, ma storie da riportare perché venivano dai P&P&P, politici piemme e poliziotti, ed erano dunque storie di parte, prendere o lasciare.

    Non seppe mai a chi aveva pestato i piedi o se ad un certo punto aveva fatto la domanda giusta alla persona sbagliata o la domanda sbagliata alla persona giusta, tanto era lo stesso. L'aria attorno si era fatta all'improvviso pesante. Le minacce arrivarono per telefono, per posta, un paio di volte direttamente da individui incrociati non proprio per caso sotto la sua abitazione. Le intimidazioni si erano estese alla cerchia degli affetti, ma grazie al cielo Bilal non aveva ormai più nessuno e gli unici affetti rimasti erano un motorino Trotter vintage e una macchina seminuova. Gli fracassarono il primo e con la seconda si limitarono a generiche minacce peraltro incise con metodo sul cofano.

    Non aveva mai avuto relazioni sentimentali stabili e date le circostanze era meglio così. Gli restavano pochi amici, nessuno particolarmente raccomandabile, neppure Lobbia il poliziotto di strada che veniva con regolarità cacciato dai vari commissariati e con il quale condivideva la passione per le cattive trattorie e forse qualche vecchia prostituta, ma a insaputa l'uno dell'altro.

    Senza conoscere chi e perché aveva un conto in sospeso con lui, Bilal decise allora di andarsene in giro per il mondo per qualche anno e raccontare storie attraverso documentari per la tv. Non proprio la scelta più azzeccata in un momento in cui si affermava la televisione dei lustrini. Aveva potuto viaggiare in lungo e in largo, ma le sue storie continuavano a interessare poco. Un produttore gli confidò un giorno: «Lascia perdere Bilal: qui al massimo cercano documentari sulla 'elle-apostrofo-ucertola'.»

    Lasciò perdere e per anni fu un vagabondare tra case editrici perennemente sull'orlo del fallimento, siti web perennemente sull'orlo del decollo, giornali perennemente sull'orlo della chiusura. Grazie al cielo, almeno in apparenza, il misterioso nemico si era dimenticato di lui, ed era positivo, anche se non del tutto positivo perché se di qualcosa ignori l'inizio non sai mai se e quando è arrivata la fine.

    Gli era rimasta la Milano B.

    Che nel frattempo era diventata un fantasma. Le fabbriche se ne erano andate, i cinema avevano chiuso, e poi i negozi spariti, le stazioni demolite, i campi sportivi abbandonati, vecchie strutture cittadine lasciate al degrado per mancanza di fondi o di intese più o meno opache, e ancora scuderie, ospedali, cascine: la lista era lunga. Dentro la nuova Milano dei grattacieli c'era un'altra città fatiscente, ridotta in rovine. Ma con un cuore che ancora batteva debolmente e che Bilal, pur avanti negli anni e nella disillusione, era in grado di percepire.

    Solo allora, dopo tanto peregrinare avvertì, vicino alla sommità della collina, la sua vera vocazione. Per una vita aveva cercato storie: adesso le storie avrebbero trovato lui. Doveva solo incontrarle in quei luoghi dell'abbandono, attraverso gli oggetti che per fretta, incuria o disinteresse erano stati lasciati lì.

    Non si diventa archeologi metropolitani per scelta. Chi lo è, lo è da sempre, soltanto che prima non se ne era mai accorto.

    Adesso aveva scollinato e davanti a lui c'era un paesaggio nuovo.

    2

    «Poi non mi hai risposto.»

    Fu quello, la mattina seguente, il buongiorno di Dyane ancora di pessimo umore.

    Bilal preferì non provocarla di nuovo.

    «Certo che posso lavorare anche di giorno. Perché me lo chiedi?»

    «Conosci la Rossella?»

    Domanda retorica. Lui non conosceva nessuna delle amiche di lei, a parte un'improbabile produttrice televisiva e un'insegnante di yoga. Non si chiamavano Rossella.

    «E' una mia vecchia compagna di scuola» continuò Dyane senza aspettare risposta, «non ci vedevamo da tempo e ci siamo incontrate per caso l'altro giorno dalle parti di Brera. La Gibelli! Una gigantesca stronza.»

    «Ah ecco, mi pareva...»

    Lei non raccolse.

    «Insomma mi vede e mi fa: 'Guarda la combinazione! Non sei tu che ti occupi di traffici d'arte?' Ora capisci che come opening line è proprio degna di una come la Gibelli. Le spiego che lavoro faccio cercando di essere educata, il più possibile almeno, e alla fine lei se ne esce con questa frase, pronunciata con aria da signorina snob: 'Lo sai che mio padre era un pittore? Un fallito.'»

    Con intermezzi di commenti davvero poco lusinghieri su Rossella Gibelli, la sua moralità, il suo modo di vestire, di muoversi e di parlare, le sue frequentazioni e via criticando di ricamo, Bilal venne messo al corrente della storia di Brino Gibelli pittore, morto ammazzato due settimane prima nella sua casa di via Fiori Chiari a Brera.

    Già il nome l'aveva incuriosito.

    «Sarà Bruno, non Brino.»

    «No, no, proprio Brino. L'ho domandato anch'io e Rossella me l'ha confermato. Non sa da dove viene.»

    «E non si è mai interessata? Fammi capire: il padre si chiama Brino e lei non gli ha mai chiesto il perché del nome?»

    «No.»

    «Beh, una stronza davvero.»

    Dyane felice colse la palla al balzo.

    «Cosa ti dicevo?»

    Brino era un pittore semisconosciuto, uno dei tanti che popolava il milieu artistico della Milano di fine anni Settanta, quando ormai si era assopita la spinta creativa del dopoguerra e ci si consumava nello sterile dibattito tra i fautori della Transavanguardia e altri gruppi emergenti, gli Anacronisti, i Nuovi-nuovi, i Neofuturisti. Gli spazi si erano ristretti ed era difficile farsi notare in un mondo che dentro una sostanziale carenza di idee aveva posti limitati sulla ribalta artistica. Così in molti, e Brino Gibelli era fra di loro, restavano sospesi in una terra di mezzo, mai seriamente considerati oppure dimenticati in fretta da una città che negli anni a cavallo tra Settanta e Ottanta aveva ben altro, e di tragico, a cui pensare.

    Lo avevano trovato nella sua abitazione del quarto piano, scala destra, la porta più malandata dello stabile. Qualcuno gli aveva sparato in mezzo alla fronte, il che sapeva tanto di esecuzione o di regolamento di conti, ma non aveva molto senso perché almeno all'apparenza Brino Gibelli pittore era un signor nessuno nell'ambiente artistico e nella terza classe della vita.

    L'appartamento era stato rivoltato malamente, però nulla sembrava mancare all'appello. I quadri erano rimasti lì, tanto erano brutti. Niente ricchezze segrete: l'uomo conduceva da tempo una vita miserabile, troppo miserabile anche per chi, magari afflitto da patologica avarizia, poteva aver nascosto chissà quali beni mobili, cioè denaro contante. Per gli investigatori un rompicapo, che tuttavia non sembrava sollecitare sforzi eccessivi. Un signor nessuno nella vita, Brino lo era anche nella morte, per la quale la polizia non intendeva spendere troppe energie oltre il dovere di routine. Un caso classico da addebitare in fretta ai soliti ignoti.

    Quanto alla figlia, unica parente rimasta, era ancor più indifferente, ma cosa aspettarsi dopotutto da una che aveva un padre con quello strano nome e non aveva mai sentito il bisogno di chiederne conto? Così Rossella Gibelli, seccata per il contrattempo del lutto familiare, quando aveva incontrato a Brera la vecchia compagna di scuola vi aveva visto una buona opportunità per farle fare le pulizie finali.

    «Ascolta Dyane, dal momento che ti occupi d'arte, perché non vai a dare un'occhiata alla casa di mio padre? Io ho già portato via quel che poteva interessarmi, ben poco in verità, ma ho lasciato lì tutti gli orribili dipinti e le cianfrusaglie pittoriche che ho sempre detestato e che non valgono un fico secco. Prendi pure ciò che vuoi, meglio se tutti i quadri: bruciali, rivendili, appendili a casa tua non mi interessa. Mi fai un piacere, così libero il campo per l'architetto che farà una ristrutturazione radicale».

    A quel punto era entrata in piena modalità Airbnb, magnificando i vantaggi economici di un appartamentino da affittare a settimane nel cuore della Milano ex bohemiènne.

    «Insomma che tu ci creda o no» concluse Dyane, «quella mi ha dato le chiavi, lasciandomi mano libera. Più porto via, meglio è per lei.»

    «Se c'è stato un delitto dovrebbero esserci ancora i sigilli...»

    «Già tolti.»

    «E poi i quadri sono la tua specialità, non la mia.»

    «Appunto, me ne occupo io. Ma la deficiente è capace di aver lasciato qualche oggetto interessante, almeno per te. Diciamo che una volta tanto non ti tocca ravanare nelle schifezze in modo più o meno lecito, ma cercare legalmente tra ciò che è stato abbandonato. Allora mi accompagni o no?»

    3

    Nonostante l'aumento del costo della vita, la conclamata ripresa economica e le ultime teorie finanziarie sulla necessità di ritoccare i listini al rialzo per migliorare l'immagine di qualsivoglia esercizio commerciale, il Jessielanotte, infima trattoria della periferia est di Milano, si ostinava a tener inchiodato il prezzo fisso a otto euro. Che potevano scendere a sette in promozione, ma mai salire a nove.

    «Jessie non si fa abbindolare dalle mode» esclamò Lobbia guardandosi attorno soddisfatto di tutto quello squallore.

    «Te l'ho già detto una decina di volte: Jessie non esiste. La padrona si chiama Maria.»

    Lobbia non voleva farsene una ragione per principio, fermo nella convinzione che chi dava da mangiare al prossimo doveva metterci anche la firma. Comunque l'ostinazione non era tra i suoi peggiori difetti; altri lo avevano accompagnato lungo la poco prestigiosa carriera nella pubblica sicurezza sballottato tra commissariati che facevano a gara nel disfarsene il più in fretta possibile. Lento, bugiardo, refrattario alla disciplina ma onesto, geniale quel tanto che bastava a irritare

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