La Rosa del Dong-Giang
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Anteprima del libro
La Rosa del Dong-Giang - Emilio Salgari
La Rosa del Dong-Giang
Immagine di copertina: Shutterstock
Copyright © 1897, 2021 SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788726991703
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.
www.sagaegmont.com
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IL PRIGIONIERO
La notte del 28 febbraio 1861, mentre l'esercito annamita, completamente sbaragliato dalle armi franco-spagnole, fuggiva disordinatamente in tutte le direzioni abbandonando nelle mani dei vincitori la città di Saigon, una gran barca che aveva forzata con audacia la crociera dei vascelli francesi, rimontava rapidamente la corrente del Dong-Giang, bellissimo fiume della Bassa Cocincina che scaricasi nel Tanbinchgiang.
Era una di quelle galee che gli abitanti della regione chiamano balon, scavata in un gigantesco albero di tek lungo oltre quaranta metri, pesante, solidissimo, rialzato a prua ed a poppa, adorno di ciuffi di variopinte penne e di banderuole di seta e con nel mezzo una elegante cupoletta sostenuta da colonne dorate e sormontata da ampi ombrelli aperti e da antenne con svolazzanti orifiamme.
Cinquanta uomini seminudi, coi volti schiacciati, gli occhi obliqui, la pelle gialla, arrancavano con suprema energia, disposti su una doppia fila nella parte proviera e altrettanti, ma meglio vestiti, con casacche di seta rossa, calzoni e cappelli piumati, colle teste e le membra avvolte in fasce imbrattate di sangue, stavano confusamente sdraiati a poppa, stringendo con una specie di rabbia i loro lunghi fucili della fabbrica di Saint-Étienne, colà importati chissà quanti anni prima.
Sotto la cupoletta, adagiati sopra ricchi cuscini di seta e soffici stuoie dipinte a vivaci colori, fumavano due altri personaggi, uno decorato del distintivo di lanhbinch ossia di generale delle truppe di una provincia annamita e l'altro di luogotenente della marina fluviale.
Il primo era un uomo sui cinquanta anni, di statura alta, con spalle larghissime che dinotavano una forza non comune, volto maschio, fiero, ombreggiato da una barba rada; l'altro invece era più giovane di una ventina d'anni, agile, colla fisionomia meno espressiva e la pelle un po' meno abbronzata.
Entrambi pareva avessero preso parte attiva al sanguinoso combattimento della giornata, poiché le loro casacche di seta ricamate in oro ed i calzoni erano lacerati, macchiati di fango e di sangue, i turbanti anneriti dalla polvere dei fucili. Di più, le loro larghe sciabole si scorgevano in più luoghi scheggiate ed arrossate.
Né l'uno, né l'altro parlavano; tutta la loro attenzione pareva volta verso il basso corso della fiumana dove, di quando in quando, attraverso le aperture delle boscaglie, si vedevano lanciarsi alte alte, colle selvagge contrazioni dei serpenti, e spandendo in mezzo alla profonda oscurità dei vivi bagliori, delle lingue di fuoco divoranti le ultime trincee di Saigon e gli ultimi villaggi attorno ai quali i fuggiaschi avevano accanitamente combattuto.
Un trasalimento nervoso agitava i due uomini e faceva lor correre, involontariamente, le mani alle impugnature delle sciabole, quando in mezzo al profondo silenzio rimbombava cupamente, propagandosi di bosco in bosco, la voce del cannone.
Già il balon aveva percorso un gran tratto di via allontanandosi sempre più dal teatro della battaglia, quando il generale si scosse.
— Fatal giornata! — esclamò egli, percuotendo furiosamente il bordo della barca e gettando via la sigaretta. — Ormai tutto è perduto per noi!
— Non essere così pessimista, Tay-Shung — disse il luogotenente. — Una giornata sola non basta per vincere i figli della Bassa Cocincina.
— Perché illuderti, Ca Bong? Nessun sforzo varrà ad arrestare gl'invasori, ora che Saigon è nelle loro mani e che le nostre truppe sono in completa rotta.
— Ma che non si possano sterminare, questi stranieri?
— In quale modo? Non ci rimane che fuggire o farci uccidere.
— Ma perché sono venuti a invadere le nostre provincie? Quale male abbiamo noi fatto agli spagnoli ed ai francesi? Forse che noi siamo andati a devastare le loro terre e le loro città?
— Lo dici sul serio, Tay-Shung?
— È proprio così, Ca Bong. Il nostro re Tu-Duc peccava come il suo avolo e non poteva vedere i missionari bianchi nel suo regno, sicché nel 1852 decapitava il prete Bonard, poi nel 1857 il vescovo Diaz e nel 1858 il prete Melchior. Per la morte di questi tre uomini eccoci addosso francesi e spagnoli, i quali giurano di farci danzare a suon di cannone.
— Ah! La è proprio così? Ma perché Tu-Duc ha decapitato quei poveri missionari, che infine recano a noi la civiltà dell'estremo occidente e mai nulla ci fecero di male?
— È una mania che ha il nostro re, il quale teme la civiltà degli europei.
— E così abbiamo sulle spalle questa disgraziata guerra. Ma che non si possano cacciare dalle nostre terre, quei figli d'occidente? Mi pare che dovrebbero accontentarsi della sanguinosa sconfitta che ci inflissero.
— Ora che ci hanno vinti non si ritireranno più e continueranno a invadere le nostre provincie.
— E tu credi che non resisteremo?
— Lo hai veduto a Saigon.
— Ma noi siamo molti, Tay-Shung, e armi ne abbiamo ancora ed il valore non ci manca.
— Sì, ed ecco in grazia del nostro numero, delle nostre armi e del nostro valore che noi siamo fuggiaschi — disse il generale con cupa voce. — Anch'io credeva di vincere, anch'io mi credeva tanto forte da disfare con queste dieci dita anche i comandamenti di Budda ed armeggiai con vantaggio cogli spagnoli del colonnello Gutierres, e respinsi il nemico sotto i forti di Kiloa e di Fùan-Keou, eppure dovetti riconoscere la mia debolezza di fronte a loro e fuggirmene a scavezzacollo.
— Sicché tutto è perduto.
— Tutto, Ca Bong. Saigon è presa, la costa bloccata dalla flotta dal contrammiraglio Page ed il nostro esercito in fuga. Che vuoi fare?
— Ma tu sei