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I misteri di Ashworth Hall: Harmony History
I misteri di Ashworth Hall: Harmony History
I misteri di Ashworth Hall: Harmony History
E-book207 pagine3 ore

I misteri di Ashworth Hall: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1815
Quando una vecchia amica gli chiede di indagare sulla misteriosa morte del marito e su una serie di altri inquietanti decessi che si sono verificati nella zona, sir Benedict Grantley coglie al volo quell'opportunità di sfuggire alla sua vita di ricco e annoiato scapolo. Parte così per Ashworth Magna, dove incontra Emma Lynn, un'affascinante ragazza che cattura subito la sua attenzione visto che, sebbene lavori come cuoca nella taverna di quel paesino, possiede un'intelligenza vivace e i modi di una raffinata aristocratica. Un altro mistero da risolvere? No, piuttosto una valida e seducente alleata con cui Benedict...
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2021
ISBN9788830524064
I misteri di Ashworth Hall: Harmony History
Autore

Anne Ashley

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    I misteri di Ashworth Hall - Anne Ashley

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Tavern Wench

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2002 Anne Ashley

    Traduzione di Leonora Sioli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-406-4

    1

    «Uffa, che barba!»

    Con l’ultima edizione del Morning Post in mano, Fingle entrò nella biblioteca appena in tempo per sentire quella sconcertante ammissione.

    Come? Il suo padrone annoiato? Non era possibile!, si disse.

    Il nobile Benedict Grantley, avvolto in un’elegante vestaglia di seta, era accasciato su una confortevole poltrona, con i piedi distesi su uno sgabello. Aveva un’aria completamente rilassata.

    «Non incomodarti a entrare, mio caro amico!» lo canzonò Benedict, senza nemmeno sollevare lo sguardo. «Tanto questa mattina non ho alcun desiderio di leggere le solite chiacchiere.»

    Il maggiordomo non poté evitare di sorridere. «Vi prego di perdonarmi, signore» si scusò, posando il giornale sul tavolino vicino a Benedict. «Ma, entrando, mi è parso di udire una frase che mi ha un po’ stupito. Probabilmente ho inteso male.»

    «Sfortunatamente, caro Fingle, temo che tu abbia udito molto bene, invece. Devo riconoscere che in quest’ultimo periodo la mia vita è diventata davvero monotona! E non posso incolpare altri che me stesso per questa insopportabile noia.» Si alzò svogliatamente in piedi e si fermò di fronte al camino, appoggiando un braccio su una mensola. «Non hai mai conosciuto mio padre, vero?»

    «No, purtroppo non ne ho mai avuto l’onore. Io iniziai a lavorare presso di voi proprio l’anno successivo alla sua morte.»

    «Però immagino che tu ne abbia sentito parlare spesso.»

    Il maggiordomo non negò. Al contrario, ammise con orgoglio di essere stato lui stesso a chiedere informazioni sul padre di Benedict, il defunto conte di Morlynch.

    Si diceva che il conte fosse stato un uomo abbastanza eccentrico e che avesse più volte portato la propria famiglia sull’orlo della rovina, a causa dei continui debiti di gioco. Per fortuna nessuno dei suoi figli aveva ereditato quel vizio. E, a dire il vero, neanche il suo carattere.

    «Mi sono sempre ripromesso di non seguire le orme del mio caro padre» ammise Benedict, interrompendo le meditazioni di Fingle. «Ti ho mai detto» aggiunse accigliato, «che alcuni dei miei familiari sostengono che tu sappia dove io mi trovi e perché in ogni momento del giorno e della notte?»

    In fondo non era affatto difficile seguire i movimenti del signor Grantley, dato che la sua vita era scandita da abitudini molto rigide.

    Quando era a Londra, si svegliava e si ritirava ogni giorno alla stessa ora. Frequentava il suo circolo sempre gli stessi giorni della settimana, e faceva visita ogni giorno alla sua amante, trattenendosi da lei invariabilmente per il medesimo periodo di tempo. Se accettava di partecipare a un ricevimento, si presentava puntualmente alle dieci di sera, e rientrava a casa alle due di mattina. E nessuno aveva mai avuto l’ardire di criticare queste sue abitudini, nonostante potessero risultare a volte fastidiose. Del resto, quale saggia padrona di casa avrebbe osato contrariare lo scapolo più interessante di Londra?

    «Siate comunque certo, signore, che sarò sempre molto discreto al riguardo.»

    «Non ti preoccupare, caro Fingle, non intendevo rimproverarti. È rincuorante sapere che, in caso di necessità, sapresti dove trovarmi. Ciò non toglie, tuttavia, che, dopo ben dodici anni di vita perfettamente ordinata, io inizi a essere davvero stanco di questa tediosa esistenza! Avrei bisogno di impegnarmi in qualcosa che mi distragga un po’.»

    Già, avreste bisogno di una moglie!, disse tra sé Fingle. Non capitava spesso che il maggiordomo si trovasse d’accordo con la sorella di Grantley, ma in questo caso lady Agnes Fencham aveva davvero ragione: era giunto il momento che suo fratello si sposasse.

    Peccato che l’interessato non fosse di questa stessa opinione. Se soltanto avesse voluto, infatti, avrebbe trovato da tempo una moglie degna di lui. All’età di trentaquattro anni, era ormai un veterano delle stagioni mondane, e non gli mancavano affatto le qualità per essere considerato un marito ideale. Era un uomo rispettabile, gentile e, senza dubbio, interessante. Nonostante odiasse masticare tabacco e indossare quei buffi occhialini molto in voga all’epoca, era considerato uno dei gentiluomini più alla moda di Londra. Inoltre, madre natura gli aveva concesso un aspetto alquanto gradevole. I suoi occhi, di un tenue viola tendente al blu, incorniciati da capelli neri, leggermente mossi, e striati da qualche ciocca argentea, lo rendevano infatti particolarmente affascinante.

    Perciò non avrebbe faticato a conquistare il cuore di qualche attraente gentildonna. Il fatto era, però, che lui non aveva alcuna intenzione di prendere moglie. Forse perché nessuna donna, sino ad allora, era mai riuscita a farlo innamorare. Anzi, la maggior parte delle dame che conosceva gli risultavano irritanti poiché non avevano alcun rispetto per una qualità per lui imprescindibile, vale a dire la puntualità...

    Dei vigorosi colpi alla porta d’ingresso riportarono Fingle alla realtà.

    «Non vi preoccupate, signore, mi sbarazzo subito di questo impertinente!»

    Il signor Grantley, infatti, non accettava mai visite prima delle due del pomeriggio. Rassicurato quindi dalla determinazione del maggiordomo, si accomodò di nuovo in poltrona. Dopo alcuni secondi, però, udì strane voci provenire dall’anticamera e, in men che non si dica, la porta della biblioteca si spalancò, lasciando passare un giovanotto che, con fare un po’ sfrontato, attraversò a lunghi passi la stanza.

    «Come! Non siete ancora vestito, zio? Dovreste vergognarvi! State davvero invecchiando.»

    Inutile dire che quell’improvvisa irruzione non riuscì affatto gradita a Grantley. «Come ti permetti di presentarti a casa mia a quest’ora?» gli domandò, indispettito. «E che cosa ci fai in città a metà maggio? Non dirmi che sei stato espulso di nuovo dall’università, per una delle tue solite monellerie!»

    Un’espressione tra il divertito e il crucciato si dipinse sul volto allegro del giovane Harry Fencham. «Niente di grave, caro zio! Tra una settimana o poco più sarà tutto dimenticato!»

    Senza attendere l’invito dello zio, il ragazzo si sedette su una sedia e si versò del vino. «Comunque, dovreste essermi grato per avervi fatto questa visita! Volevo, infatti, avvertirvi che mia madre ha deciso di imporvi la sua presenza quest’oggi, per parlarvi di un certo... matrimonio!»

    Una smorfia perplessa piegò le labbra di Grantley. «Sebbene io non sia per nulla incline a intromettermi nelle vostre questioni familiari, cercherò di far capire a tua madre che sei ancora troppo giovane per pensare al matrimonio.»

    «No! Avete frainteso!» sghignazzò Harry. «È voi che lei vuole vedere sposato! Credo che abbia già invitato tutte le donne più affascinanti di Londra al ricevimento che ha organizzato per la prossima settimana. Le ho già detto che sarà solo tempo sprecato, visto che nessuna signora accetterà mai di sposare un uomo noioso come voi!»

    «Caro nipote, ho sempre pensato che avrei dovuto essere molto più severo con te.»

    Una sonora risata rimbombò nella biblioteca. «Vi siete forse scordato di quando restai qualche giorno da voi a Fairview, e tentai di cavalcare il vostro adorato purosangue? Ho temuto che mi voleste uccidere con le vostre mani!» confessò divertito Harry. «E... a proposito di Fairview... se, per caso, doveste aver voglia di farvi ritorno, per allontanarvi qualche giorno dalla vita caotica della città, io sarei onorato di tenervi compagnia.»

    «Oh, sei davvero un furbacchione, mio caro!» replicò Benedict allegro. L’idea di trascorrere qualche giorno nella residenza di campagna con Harry gli parve molto allettante, anche se tentò di nascondere il proprio entusiasmo. «Prenderò in considerazione la tua proposta. Nel frattempo...» si alzò dalla poltrona svogliatamente, «mi cambierò d’abito per accogliere la tua adorabile madre nel modo più degno.»

    «Sapete che siete l’unico in grado di tenerle testa?» osservò il ragazzo con occhi colmi di ammirazione. Si alzò anch’egli e seguì lo zio. «Ciò significa che sarà molto meglio per me... non farmi trovare qui. Vi prego di non dirle che vi ho fatto visita, altrimenti penserà che ho tentato di mandare all’aria il suo piano. Spero di vedervi al ricevimento di venerdì prossimo, caro zio, e mi auguro che per allora mi direte qualcosa in merito alla possibilità di trascorrere alcuni giorni nell’Hampshire.»

    Anche se non diede una risposta al nipote, in cuor suo Benedict aveva già deciso di accogliere la sua proposta. In effetti non vedeva l’ora di lasciare Londra per spezzare la noiosa routine della vita cittadina. Senza contare il fatto che, a dispetto delle apparenze, adorava la compagnia del giovane nipote, visto che era una delle poche persone capace di divertirlo.

    Un’ora più tardi, Benedict tornò nella biblioteca, vestito di tutto punto, pronto ad accogliere finalmente gli ospiti che, come spesso accadeva, si sarebbero presentati nella sua elegante dimora cittadina.

    Ebbe appena il tempo di sedersi allo scrittoio per curiosare tra la corrispondenza, che subito udì qualcuno bussare alla porta. Convinto che si trattasse di lady Fencham, fu alquanto sorpreso quando invece vide comparire sulla porta il fedele maggiordomo, con espressione perplessa.

    «Vi prego di perdonarmi signore, ma una donna chiede di parlare con voi.» Fingle conosceva molto bene tutti gli amici del signor Grantley, ma, evidentemente, questo ospite non rientrava tra i volti a lui noti.

    «Che... genere di donna?» chiese Benedict, allarmato dall’aria sorpresa del maggiordomo.

    «Oh... no, signore... non quel genere di donna. Si tratta di una signora molto elegante che dice di chiamarsi Lavinia Hammond. È un’amica di lady Fencham» aggiunse Fingle, notando l’espressione accigliata di Benedict. «Almeno, così ha detto, ed è la figlia di un certo colonnello Penrose.»

    «Oh, certo! Ora rammento, Lavinia Penrose! Prego, lasciala entrare, Fingle.»

    Nonostante il nome gli fosse subito suonato familiare, Benedict faticò non poco a riconoscere la signora Hammond. E a Lavinia non sfuggì lo sguardo stranito del suo ospite. «Siete stato molto gentile a volermi ricevere» esordì lei, stringendogli con affetto una mano. «So che non potete ricordarvi di me, visto che eravate ancora un bambino quando mi sposai e lasciai il Kent. Io, però, sarei riuscita a riconoscervi ovunque. Avete lo stesso sguardo di vostro padre.»

    «Signora Hammond, invece mi ricordo molto bene di voi, e di tutte quelle volte in cui mi salvaste dai severi rimproveri di vostro padre, quando ero un ragazzino.» Un altro ricordo gli tornò alla mente osservando l’abito nero che aveva indosso la signora. «Sono davvero rammaricato... mia sorella mi ha informato della triste perdita che ha colpito la vostra famiglia.»

    «Vi ringrazio, Benedict. E, purtroppo, è proprio l’improvvisa morte del mio caro marito che mi ha portata qui, oggi» ammise in tono sommesso. «Anche se, a dire il vero... mi sembra così assurdo disturbarvi per quella che potrebbe sembrarvi una... una pura follia. Credo però siate l’unica persona in grado di aiutarmi a comprendere... ciò che è accaduto.»

    «Non vi preoccupate, signora Hammond, non mi disturbate affatto» la rassicurò lui con gentilezza. «Vi prego, sedete.»

    «Cercherò di essere breve e di non rubarvi troppo tempo» promise, accogliendo l’invito di Benedict. «Inoltre, avendo approfittato delle gentilezza di alcuni amici per venire qui, e non volendo farli attendere per il ritorno, non posso trattenermi a lungo.»

    Grantley si accomodò sulla sua poltrona, impaziente di conoscere il motivo che aveva portato la signora Hammond a Londra. Dall’aria turbata e nervosa della donna si poteva infatti intuire che si trattasse di una questione abbastanza grave.

    «Posso sapere in che modo potrei aiutarvi, signora Hammond?» domandò Benedict.

    «Dunque... forse voi non sapete che io vivo in un paesino nel Wiltshire, non lontano da Salisbury» spiegò la donna, dopo una momentanea esitazione, «e che gli Ashworth sono la famiglia più influente di quella zona. Lord Ashworth, dopo aver a lungo sofferto di problemi di salute, morì pochi mesi prima della... scomparsa di mio marito. Non avendo eredi diretti, ora il suo titolo dovrebbe passare a suo cugino Cedric.»

    «Sì, ne ho sentito parlare, e mi sembra che la faccenda sia abbastanza controversa.»

    «Esattamente» confermò lei. «Lord Ashworth aveva infatti un fratello minore, che lasciò l’Inghilterra molto tempo fa, prima che io andassi a vivere ad Ashworth Magna. Non avendo più ricevuto notizie da lui, i suoi familiari credettero che fosse morto...»

    «E invece?»

    «Invece non fu così. O meglio, morì solo molto tempo dopo. Partì infatti per l’America, dove conobbe e sposò una giovane donna, quindi tornò con lei in Inghilterra, e qui la ragazza diede alla luce il loro bambino. Purtroppo, in seguito, sia George sia la moglie morirono e il piccolo fu mandato in America, per vivere con il nonno materno. Se il piccolo, che sarà ormai un giovanotto, è ancora vivo, allora l’erede legittimo di lord Ashworth è lui.»

    «E se dovesse tornare in Inghilterra, per Cedric sarebbe una bella delusione!» si compiacque Benedict, che non nutriva molta simpatia né per Cedric né per il figlio Percy.

    «Lo conoscete?»

    «Sì. Ho avuto modo di incontrarlo qualche volta.» Benedict guardò pensieroso la signora Hammond, per qualche istante. «Non capisco, però, come potrei aiutarvi. Non spetta di certo a noi rintracciare l’erede degli Ashworth.»

    «Oh, no. Lo so bene, e non mi permetterei mai di intromettermi in una questione così delicata.» Lo sguardo della donna si rattristò all’improvviso. «In realtà, vorrei chiedervi di aiutarmi... a scoprire se... davvero la morte di mio marito è stata... accidentale. È stato aggredito da un gruppo di briganti, una sera, mentre si stava recando a far visita a un conoscente, ed è stato ferito a morte.»

    «Sì, mia sorella me lo ha detto e ne sono davvero addolorato.» Benedict era sincero. Anche se non aveva mai incontrato il povero dottor Hammond, tuttavia ne aveva sempre sentito parlare così bene da parte di Agnes, che ormai si era abituato a considerarlo un amico di famiglia. «Che cosa vi fa supporre che la morte di vostro marito non sia stata... accidentale?»

    «Be’, tre settimane fa ho avuto una strana conversazione con una certa signorina Evadne Spears. La donna lavorava da anni presso gli Ashworth. Dapprima istitutrice, negli ultimi tempi era diventata la dama di compagnia della figlia e della sorella del defunto barone, che vivono tuttora a casa Ashworth.»

    «Conoscevate bene questa donna?»

    «No, a dire il vero no. Mi capitava di incontrarla la domenica in chiesa o a volte quando venivo invitata a casa Ashworth, ma non avevo mai avuto modo di parlarle prima. Tre settimane fa, invece, ci incontrammo casualmente a Salisbury, alla fermata della diligenza diretta a Londra. Pareva volesse dirmi qualcosa di importante, ma era molto agitata e riuscì soltanto a borbottare qualcosa in merito a una visita che avrebbe fatto, una volta giunta a Londra, a Bow Street per denunciare alla polizia i propri sospetti.»

    «E a che cosa si riferivano tali sospetti?»

    «A quanto ho capito, temeva che la vita dell’erede legittimo di lord Ashworth fosse in pericolo. Inoltre, mi ha detto qualcosa

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