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Un irreprensibile marchese (eLit): eLit
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E-book118 pagine2 ore

Un irreprensibile marchese (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Gli sfrontati di Havisham

Devonshire, 1847.
La vita dell'irreprensibile Marchese di Marsden viene letteralmente sconvolta dall'incontro con Linnie Connor, una donna assolutamente poco adatta a lui.
Pazzo di desiderio, però, decide che nessun ostacolo potrà frapporsi tra lui e la donna che gli ha strappato il cuore, a costo di infrangere tutte le regole del bel mondo.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2018
ISBN9788858987643
Un irreprensibile marchese (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Un irreprensibile marchese (eLit) - Lorraine Heath

    successivo.

    Prologo

    Havisham Hall, Devonshire. Inizio autunno, 1834

    George William St. John, sesto Marchese di Marsden, correva così forte e così veloce da pensare che il cuore potesse scoppiargli nel petto. Nei suoi dodici anni su questa terra, non aveva mai odiato nessuno quanto le persone che parlavano, ridevano e continuavano a vivere come se niente fosse. Agghindati in abiti neri da lutto, simili a tanti corvi scheletrici, avrebbero dovuto essere tristi quanto lui, pieni di dolore perché suo padre era morto. Certo, avevano mostrato l'opportuna solennità in chiesa durante la processione funebre, e le signore avevano consolato sua madre. Ma quegli stessi gentiluomini ora stavano bevendo i liquori del padre, quasi fossero a una festa.

    Non poteva tollerarlo. In qualità di nuovo marchese, doveva farli smettere. Ma la madre gli aveva detto che doveva essere gentile, persino con il dannato cugino Robbie, che gli aveva rammentato di essere il prossimo sulla linea di successione se lui fosse morto all'improvviso.

    George, però, non aveva alcuna intenzione di morire. Soprattutto, non tra le braccia di una sguattera di taverna, come era successo al padre.

    Nessuno avrebbe dovuto conoscere quell'informazione, neanche lui; ma George aveva ascoltato i domestici che si sussurravano la notizia, divertiti. Non gli piacevano neanche loro. Voleva unicamente stare solo. Si gettò di peso contro una quercia e lasciò scorrere le lacrime che si erano accumulate da quando la madre lo aveva informato che il padre era morto. Furono accompagnate da enormi singhiozzi che gli scossero le spalle e l'esile struttura. Odiava ogni cosa, persino le proprie ossa, e in quel momento decise che sarebbe stato sempre così.

    Ricomponendosi, si asciugò l'imbarazzante umidità dalle guance, prese un profondo respiro e alzò lo sguardo al cielo. O cercò di farlo. La vista era ostruita dall'abbondanza di foglie e da un paio di gambe che oscillavano. Era una stupida ragazzina.

    «Salve» salutò lei.

    «Non stavo piangendo» sbottò George, detestando che la sua voce sembrasse gracchiante e rauca.

    «Lo so. Perché non vieni su?»

    La madre gli aveva proibito di arrampicarsi sugli alberi; gli impediva di fare moltissime cose. «Non posso.»

    «Hai paura? Non essere spaventato. Ti piacerà quassù.»

    Era imbarazzante che una ragazza lo ritenesse codardo. Lui era l'erede. Fece una smorfia. No, non più. Adesso era il marchese. Doveva poter fare ciò che desiderava. E così si arrampicò.

    Mentre si avvicinava al ramo su cui era seduta la bambina, lei si fece da parte per fargli posto.

    «Mi dispiace per tuo padre» disse lei, una volta che lui si fu sistemato. George non era sorpreso che lei lo conoscesse. Tutti lo conoscevano.

    «Tu chi sei?»

    «Linnie, la figlia del fornaio.»

    Veniva dal villaggio. Lo aveva attraversato di tanto in tanto, ma non era mai entrato in alcuna delle botteghe. A sua madre piacevano solo i negozi di Londra. Suo padre, invece, aveva avuto un debole per ciò che il villaggio aveva da offrire, ma non aveva mai portato il figlio con sé.

    «Ho otto anni» continuò Linnie, con un tono tutto inteso a sottolineare l'importanza di quell'età. «E non mi sposerò mai.»

    «Come lo sai?»

    «Perché non voglio.» Traendo un profondo respiro, distolse lo sguardo da lui. «Farà buio presto. Amo la notte.»

    George decise che lei probabilmente amava tutto. Del resto, suo padre non era morto.

    «Sei così fortunato a vivere qui» continuò lei. «È così bello, e la tua casa è enorme. Mi piace guardarla.»

    A sua madre non piaceva; d'altro canto, a lei non piacevano moltissime cose. Forse non le era piaciuto neanche suo marito.

    «Vuoi parlare di lui?» gli chiese.

    «Di chi?»

    «Di tuo padre.»

    George scosse il capo.

    Lei gli prese la mano. «D'accordo, allora. Resteremo solo seduti qui in silenzio.»

    E così fecero. Le ombre cominciarono ad allungarsi e a strisciare sulla terra, il sole scivolava piano al di là dell'orizzonte, la brezza si faceva via via più fredda.

    «Devo andare» disse infine la bambina nell'ultima, indugiante luce del crepuscolo, e George desiderò che non avesse spezzato l'incantesimo che lo aveva aiutato a dimenticare la rabbia, la tristezza e la preoccupazione.

    «Su, scendi.» Gli diede un colpetto al braccio.

    Scendere. Quando si era arrampicato non aveva considerato come avrebbe fatto a scendere dall'albero, e guardando giù dalla sua postazione adesso, si rese conto di essersi arrampicato molto in alto. La terra, la salvezza di un appoggio sicuro era a miglia e miglia di distanza. «Non posso.» La sua voce era un imbarazzante squittio.

    «D'accordo, allora. Andrò prima io.»

    La bambina lo scavalcò con grazia, senza alcun timore. Quando raggiunse il tronco, distese la gamba e spostò l'equilibrio su un piede, che posò su un ramo più in basso prima di incontrare il suo sguardo, distendere le braccia e stringergli la mano rassicurante. «Mantieni gli occhi su di me. Non ti farò cadere.»

    Era una cosa stupida, ma le credette, credette che lei avesse il potere di guidarlo giù. E così la seguì, piano, con esitazione, terrorizzato a ogni pollice, guardandole dentro gli occhi azzurri mentre lei gli fissava i suoi, verdi e spaventati. Finché i suoi piedi non approdarono sul terreno.

    «Ci vediamo!» gridò lei e corse via, schizzando verso la strada che conduceva al villaggio.

    Con un certo stupore, lui la guardò andare via.

    George poteva avere solo dodici anni, ma nell'ultima mezz'ora si era innamorato e aveva capito senza alcun dubbio che un giorno avrebbe sposato la figlia del fornaio.

    1

    Devonshire, 1847

    «Non sopporto quando le nostre madri si mettono a cospirare» si lamentò il Duca di Ashebury, stravaccato su una sedia al tavolo d'angolo del Fox and Hare. «Chi organizza un ballo in campagna la vigilia di Natale? Ho una mezza idea di non partecipare.»

    «Ci lascerebbero in pace se fossimo sposati, ma non lo siamo.»

    «Ti piace sottolineare l'evidenza, Greyling?» domandò il Marchese di Marsden, sebbene la sua attenzione non fosse del tutto assorbita dalla conversazione. Stava fissando la cameriera della taverna, con la treccia di capelli biondi attorcigliata sulla sommità del capo, che passava tra i tavoli facendo oscillare con maestria i fianchi snelli per evitare mani vaganti. George aveva sempre maggiore difficoltà a sopprimere la frustrazione e la rabbia che chicchessia osasse toccarla.

    «Non l'hai ancora montata?» chiese il Conte di Greyling, guadagnandosi uno sguardo torvo da Marsden.

    «Siamo amici, nulla di più.»

    «Questo non significa che non puoi montarla. Lavora in una taverna. E devo ammettere che è piuttosto seducente. Forse potrei provarci io.»

    Il marchese fu attraversato da una furia che gli fece serrare la mascella, al punto che le parole riuscirono solo a strisciare fuori. «Solo se vuoi perdere i denti.»

    «Non puoi credere che sia vergine.»

    Non solo lo credeva, ne era quasi certo. Linnie, la figlia del fornaio, non era priva di morale.

    Trasportando quattro boccali, due per mano, si incamminò tra i tavoli, la bocca semiaperta in una risata, come se si stesse divertendo. Se avesse avuto una mano libera, avrebbe senza dubbio fermato i gentiluomini che erano abbastanza temerari da toccarle il didietro quando passava loro accanto. George avvertiva la necessità di spezzare qualche dito, alcuni nasi e un po' di mascelle. Di animo indipendente, Linnie non avrebbe apprezzato la direzione di quei pensieri. Tuttavia lui sentiva uno schiacciante bisogno di proteggerla. Lei era fin troppo ingenua per lavorare in un posto come quello.

    Con un sorriso impertinente, gli occhi azzurri che brillavano maliziosi, Linnie camminò piano verso il loro tavolo, piegandosi per servirli e presentando una vista innocente dell'attaccatura dei seni, rivelata dalla scollatura profonda del corsetto; piazzò due boccali davanti a lui, uno davanti ad Ashebury e l'ultimo a Greyling. «Ecco qui, ragazzi. Ho immaginato che foste sul punto di ordinare un'altra pinta.» Strizzò l'occhio a Marsden. «Sorridi, George. È Natale e sembri piuttosto scorbutico.»

    «Non è ancora Natale» si lamentò lui. Mancava ancora una settimana. I suoi amici erano arrivati quel pomeriggio, in modo da avere il tempo di aggiornarsi a vicenda su ciò che era accaduto nelle rispettive vite prima del temuto ballo.

    «È il periodo natalizio. Adesso bevi e rallegrati.»

    Con un gesto plateale, Linnie girò sui tacchi e tornò verso il bancone per prendere la birra di qualcun altro, nuovamente preda della lascivia degli avventori. Più

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