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Il ritorno di Lord Dereham: Harmony History
Il ritorno di Lord Dereham: Harmony History
Il ritorno di Lord Dereham: Harmony History
E-book238 pagine4 ore

Il ritorno di Lord Dereham: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1814/1817.
Sola e disperata, Julia Prior sta vagando per le campagne dell'Oxfordshire cercando di capire cosa fare della propria vita quando si imbatte per caso in William Hadfield, Barone di Dereham. Al giovane gentiluomo, gravemente malato, basta conversare un po' con Julia per capire che lei è la soluzione a tutti i suoi problemi: diventerà la nuova baronessa e si occuperà della tenuta di King's Acre, lasciandolo libero di partire per un lungo viaggio dal quale è convinto che non farà più ritorno. Ma tre anni dopo, quando Julia crede di essersi ormai lasciata alle spalle il passato, all'improvviso si ritrova davanti proprio il marito che credeva morto da tempo. Più forte e affascinante che mai, William sembra deciso a recuperare il tempo perduto. Anche con la moglie che non è mai stata davvero sua.
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2020
ISBN9788830513662
Il ritorno di Lord Dereham: Harmony History
Autore

Louise Allen

Tra le autrici più lette e amate dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il ritorno di Lord Dereham - Louise Allen

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    From Ruin to Riches

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2014 Melanie Hilton

    Traduzione di Anna Bianca Natoli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-366-2

    1

    Queen’s Head Inn, Oxfordshire, 16 giugno 1814

    In piedi alla luce tremula delle candele, mentre si versava del vino rosso nel bicchiere e lo tracannava in un sol sorso, Jonathan era l’immagine della virilità.

    Per Julia, che fino a quel momento aveva ignorato l’intimità con un uomo, trovarsi fra le sue braccia era stato diverso da come aveva immaginato, meno dolce, più doloroso. Tornò a raggomitolarsi nel letto ancora tiepido e lo chiamò: «Jonathan?». Sì, adesso l’avrebbe abbracciata, baciata, avrebbero parlato a lungo e ogni dubbio sarebbe svanito.

    Durante la loro precipitosa fuga dal Wiltshire, lui era rimasto quasi tutto il tempo seduto a cassetta e poi avevano cenato nella sala della locanda, che non era il posto adatto per parlare della loro nuova vita insieme.

    «Julia? Puoi lavarti lì» rispose lui come sovrappensiero. Con la testa indicò il paravento nell’angolo e, dandole ancora le spalle, si versò un altro bicchiere.

    Lei sentì affiorare un senso di inquietudine. Lo aveva deluso? Ma no, forse era solo stanco. Si alzò, si avvolse in un lenzuolo e, svelta, raggiunse il portacatino dietro il paravento.

    Fare l’amore era una cosa imbarazzante, l’ennesimo piccolo turbamento in una serata piena di rivelazioni. Ma ormai era tempo di tornare a essere una donna adulta e assennata, pensò sorridendo dei suoi sogni di fanciulla. Quella era la vita reale. Era insieme all’amato, l’uomo che teneva a lei al punto che aveva sfidato lo scandalo rapendola alla famiglia.

    Prima di lasciar cadere il lenzuolo, si sporse verso la finestra per chiudere bene la tenda. Udendo dalla strada lo squillare di un corno e l’urlo del vetturino che annunciava la diligenza per Londra, sbirciò e notò che la carrozza oltrepassava l’arco del piazzale e svoltava a destra.

    Le parve strano, ma era troppo stanca per pensarci, così si lavò, si riavvolse nel lenzuolo e ritornò verso il letto, mentre una insolita agitazione le serrava lo stomaco.

    Jonathan adesso era seduto e, con lo sguardo fisso sul camino spento, si rigirava il bicchiere fra le dita. La camicia aperta mostrava i muscoli magri del petto, la peluria scura che affondava dentro i pantaloni.

    Julia si sentì avvampare.

    Lontano dal corpo di lui sentiva freddo, allora si versò del vino e si rannicchiò nella poltrona di fronte. Con tutta probabilità Jonathan stava pensando alla mattina dopo, al lungo viaggio che li avrebbe condotti al confine scozzese e al matrimonio. Forse temeva che li stessero inseguendo, tuttavia lei dubitava che il cugino Arthur si desse la pena di sapere dov’era finita. La cugina Jane avrebbe fatto il diavolo a quattro e gridato allo scandalo, anche se la cosa che più l’avrebbe angustiata sarebbe stato perdere la sua serva.

    Il vino era scadente, ma servì a mettere ordine fra i suoi pensieri. Negli ultimi giorni Julia non si era preoccupata molto di usare la testa e, dalla donna giudiziosa che era in realtà, si era trasformata in una sciocca ragazzina.

    Dopo che Jonathan le aveva spiegato perché non puntavano subito a nord, verso Gloucester e il confine, la loro fuga a rotta di collo attraverso l’Inghilterra era stata meno disagevole. Avrebbero confuso gli inseguitori deviando a nordest, verso Oxford, per poi proseguire verso nord, lungo una strada meno accidentata. Purtroppo in città le locande erano costose e quella che avevano trovato, lì in campagna, era sembrata una buona alternativa per la loro prima notte insieme.

    Julia pensò che avrebbe cercato di rendersi utile. Da quel momento in poi al denaro avrebbe pensato lei, quanto meno per sollevare Jonathan dall’impiccio delle spese. A nord, verso il confine scozzese...

    Verso nord.

    Ecco cosa c’era di strano. Il vino spillò dal bicchiere e macchiò come sangue il lenzuolo. La diligenza per Londra aveva svoltato a destra, la stessa direzione che avevano seguito per arrivare sin lì.

    «Jonathan.»

    «Sì?» rispose lui alzando lo sguardo. Gli occhi blu dalle folte ciglia che ogni volta le davano il batticuore erano, come sempre, indecifrabili.

    «Perché per arrivare qui abbiamo deviato verso sud?»

    Il volto di lui si indurì. «Perché è la strada per Londra.» Posò il bicchiere e si alzò in piedi. «Torna a letto.»

    «Noi non stiamo andando a Londra. Siamo diretti a Gretna, per sposarci.» Quando lui non rispose e la verità la travolse, si sentì il respiro mozzato in gola. «La nostra meta non è mai stata la Scozia, vero?»

    Jonathan scrollò le spalle, senza prendersi il disturbo di negare. «Se l’avessi saputo non saresti mai partita con me, o sbaglio?»

    Un istante solo e il mondo non era più lo stesso. Julia si sentì avvolgere da un gelo mai provato prima. Impossibile fraintendere quelle parole. «Tu non mi ami. E non hai alcuna intenzione di sposarmi.»

    «Esatto» fu la conferma, accompagnata da un sorriso assonnato. «Eri un grosso fastidio per i tuoi parenti, non ne volevi sapere di andartene.»

    «Ma Grange è casa mia!»

    «Era casa tua» la corresse. «Dopo la morte di tuo padre la proprietà è di tuo cugino. Sei una spesa e nessuno è tanto sciocco da sposare una donna saccente, sgraziata e senza una dote, come te. E così...»

    «E così Arthur ha pensato che grazie a una fuga d’amore con la pecora nera della famiglia si sarebbe liberato di me una volta per tutte.» Sì, ora era tutto chiaro.

    «Proprio così. Sei intelligente, Julia. Ma questa volta ci hai messo un po’ a capire.»

    Possibile che l’uomo con quel volto e quella voce fosse lo stesso che lei aveva creduto di amare? «E ti hanno dipinto come un incompreso, un reietto, perché provassi compassione per te.» Il piano era nitido, come se glielo avessero disegnato davanti agli occhi. «Chi avrebbe mai detto che Arthur potesse essere tanto astuto?» Il gelo nel suo stomaco si trasformò in un blocco di ghiaccio. «E adesso che hai intenzione di fare?»

    «Con te, amore mio?» Negli occhi di Jonathan baluginò uno sguardo divertito e crudele. «Puoi venire con me. Non ho nulla in contrario. A letto non sei un granché, ma forse potrei insegnarti qualche trucco...»

    «Io diventare la tua amante?» Dovrai passare sul mio cadavere.

    «Per un paio di mesi, se fai la brava. Una volta a Londra non ci metterai molto a sistemarti. Ora torna a letto e mostrami che vale la pena tenerti.» Si alzò in piedi, le afferrò la mano e la tirò a sé.

    Julia indietreggiò, sentendo che le stava stritolando il polso. «No!»

    «Sei una sgualdrina ormai, smettila di fare storie. Forza, impegnati. Magari ci prenderai gusto.»

    «Ho detto di no!»

    «Tu mi devi ubbidire.»

    Quell’uomo era un bugiardo e, a quanto pareva, anche un violento. Julia cercò di opporre resistenza, mentre la fitta al polso diventava lancinante. Scivolando sul pavimento lucido, incespicò nel tappeto davanti al camino e perse l’equilibrio, atterrando sul focolare con un fragore metallico, singhiozzante di rabbia, dolore e paura. Gli attrezzi di ferro le rotolarono addosso.

    «Alzati!» Jonathan la prese per i capelli e la strattonò.

    Poiché era per lei impossibile divincolarsi, Julia cominciò a menare colpi, come una furia, finché il suo braccio schizzò all’indietro per un contraccolpo. Udì un rantolo e si sentì finalmente libera. Scappa!, si ammonì. Urtò contro il piede del letto e si alzò sulle gambe tremanti.

    Silenzio. Jonathan era disteso sul focolare, una pozza rossa dietro la nuca.

    Julia si guardò le dita che stringevano l’attizzatoio. L’arnese grondava sangue, le sue mani pure. Lasciò cadere il ferro a terra, che rotolò e si fermò accanto al corpo esanime.

    Tutto questo sangue... Oh, mio Dio, orrore... che cosa ho fatto?

    2

    King’s Acre, Oxfordshire, notte del solstizio d’estate

    Al canto dell’usignolo si fermò. Da quanti giorni stava correndo? Quattro, cinque? Aveva perso il conto. I suoi piedi erano pieni di vesciche, ma il dolore, seppur lancinante, era poca cosa rispetto alla disperazione che provava.

    Quando raggiunse la sommità del ponticello, la luce della luna svelò la liquida bellezza di un lago.

    Silenzio. Nessuno in giro, nessun rumore, nessun timore di essere inseguita: solo la luna sulle acque immobili, la massa oscura dei boschi, il piccolo uccello e il suo canto magico nell’aria tiepida della notte.

    Julia si tolse il cappello e si guardò attorno. Dove si trovava? Quanta strada aveva percorso? Era troppo tardi, ormai, per rimpiangere di non aver affrontato la situazione, tentando di spiegare che aveva agito per difendersi, che era stato un incidente.

    Ancora non aveva capito come avesse fatto a scappare. Ricordava di aver lanciato un grido di orrore, e che quando qualcuno era entrato nella stanza si era nascosta dietro il paravento, dove si trovavano i suoi vestiti. La gente si era radunata intorno al corpo, senza dare segno di accorgersi di lei.

    Si era lavata le mani e rivestita, per rendersi presentabile al momento di uscire allo scoperto, ma non le era passato per la testa di tentare la fuga: era stata solo fatalità.

    Jonathan aveva lasciato il portafoglio posato sul suo cappotto. E lei, forse per puro istinto, se lo era infilato nella borsetta di rete. Quando finalmente si era decisa a uscire e affrontare l’inevitabile, la stanza era piena di gente e sulla porta c’erano persone che si spintonavano per guardare all’interno.

    Nessuno aveva fatto caso alla giovane donna con la mantella grigia e il cappellino di paglia. Nessuno l’aveva vista, entrando nella stanza? Forse aveva raggiunto il paravento prima che la porta si aprisse, e poi, pallida e tremante, si era confusa fra i tanti ospiti della locanda attirati dal trambusto.

    L’istinto di fuga e l’ingegno dell’animale braccato l’avevano guidata verso le scale di servizio. Scesa in cortile, si era nascosta in mezzo ai sacchi sul retro di un carro. Alle prime luci dell’alba era saltata giù di soppiatto e si era avventurata nella campagna sconosciuta. E, da quel momento, le era sembrato di non aver fatto che correre.

    Ora desiderava solo potersi sedere un attimo e godere quella pace, la gioia di non dover mentire né nascondersi a nessuno. Le sarebbe bastato trovare requie dalla paura per qualche istante, riacquistare un po’ di forze prima di riprendere il cammino.

    Al centro del ponticello di pietra un’alta colonna grigia scintillava al chiaro di luna, i lunghi capelli scuri sollevati dalla brezza notturna: una donna. Impossibile. Aveva le allucinazioni?

    Will allertò i sensi. Silenzio. Poi la notte fu nuovamente infranta dalle prime languide note dell’usignolo, un canto così bello e struggente da indurlo a chiudere gli occhi.

    Quando li riaprì, convinto che si sarebbe trovato solo, la figura era ancora là. La vide voltarsi, mostrare un volto pallido. Un fantasma? Ridicolo da parte sua rabbrividire di superstizione, quando lui stesso era ormai così vicino al mondo degli spiriti. No, non voleva credere ai fantasmi. Era già difficile, anche senza la spaventosa prospettiva di tornare in quei luoghi dopo la morte e dover assistere alla loro distruzione per mano di quello scialacquatore di Henry.

    No, quella era una donna in carne e ossa, una donna dal volto pallido sotto una corona di capelli scuri.

    Will si addentrò nel buio fitto che circondava le rive del lago e si avvicinò con cautela. Che ci faceva nei giardini della sua proprietà, a un miglio almeno dalla strada di campagna che collegava Thame e Aylesbury?

    La lunga mantella grigia si sollevò: la donna era alta. Si sporgeva, scrutando le acque scure sotto il ponte come se custodissero un segreto. Sembrava stremata, e quando la vide appoggiarsi col fianco sul bordo di pietra Will si irrigidì.

    «No!» Maledicendo il corpo che lo tradiva, costrinse le proprie gambe ad avanzare. Giunto alla base del ponte, inciampò e si aggrappò al primo appiglio che trovò. «No, non fatelo!» Le ginocchia cedettero e lui, tossendo, cadde in avanti.

    Per un attimo ebbe paura che per lo spavento si sarebbe buttata, ma la donna-spettro scese dal parapetto e corse verso di lui, inginocchiandosi al suo fianco.

    «Siete ferito!» Gli circondò le spalle con un braccio e lo strinse a sé con fare energico.

    Per un istante Will chiuse gli occhi. La tentazione di abbandonarsi al contatto umano era quasi insopportabile. «Sono malato, ma non contagioso, non preoccupatevi» specificò.

    «Non mi preoccupo per me» replicò lei con prontezza, quasi con impazienza. Sentendo che si abbandonava con la schiena contro il suo petto, gli mise una mano fresca sulla fronte. «Voi avete la febbre!»

    «Ho sempre la febbre, a quest’ora della notte» ribatté forzando il respiro. «Temevo che vi sareste buttata.»

    «Oh, no» rispose lei scuotendo forte la testa. «Non credo che potrei mai essere tanto disperata da fare una cosa simile. Che morte orribile! E poi, mai perdere le speranze.» Parlava con voce bassa e roca, come se avesse pianto. «Mi stavo riposando e guardavo la luna nell’acqua. È così bello, tranquillo, e il canto dell’usignolo mi ha ammaliata» aggiunse con una risata mesta.

    C’era qualcosa di strano in quella donna, sembrava stanca e agitata. Will doveva fare attenzione, o sarebbe potuta fuggire. O forse no, sembrava proprio decisa a occuparsi di lui. Si rilassò e la assecondò, come se avesse di fronte un animale ferito. «È per questo che vengo qui quando c’è la luna piena» confessò. «E questa notte di inizio estate è quasi magica. Al chiaro di luna tutti i sogni, o quasi, paiono possibili.» Riacquistare la salute, magari... «Vi avevo scambiata per un fantasma.»

    «Oh, no» ripeté lei, questa volta quasi divertita.

    Dopo mesi di rassegnato disinteresse per l’altro sesso, era una bellissima sensazione abbandonarsi al solido appoggio del corpo morbido e sinuoso di quella donna. Quando lei lo lasciò andare e si rialzò in piedi, Will trattenne un gemito di dispiacere.

    «Sto qui a parlare di spettri e usignoli quando invece dovrei cercare aiuto per voi. Qual è la direzione più breve?»

    «Non occorre. La casa è...» Gli mancò il fiato e fece un gesto vago col braccio. «Se mi aiutaste ad alzarmi...» Chiedere aiuto era umiliante, ma dopo mesi di inutili sforzi aveva imparato a ingoiare l’orgoglio. Quella donna aveva bisogno di soccorso, e lui non poteva offrirglielo restando lì disteso.

    «Non muovetevi. Vado a cercare qualcuno.»

    «No.» Sapeva ancora dare un ordine quando vi era costretto. Seppur riluttante, la donna tornò indietro. «Basta che mi sorreggiate.» Gli diede l’impressione di voler ribattere, ma lei tenne le labbra serrate e gli afferrò la mano con presa salda.

    «Suppongo che vi riteniate abbastanza adulto da sapere cos’è meglio per voi» disse lei aiutandolo a tirarsi su, «ma mi sento di dirvi che andare in giro di notte febbricitante è una gran sciocchezza. Vi prenderete un brutto malanno.»

    «Non datevene pena.» Will si sostenne alla pietra del ponte e si rialzò in piedi. Era alta quasi quanto lui, la sua donna-spettro. Ora poteva vedere quell’espressione severa del volto che il chiaro di luna aveva colorato d’avorio. Non capiva quale età avesse, ma la bocca, imbronciata per il disappunto, era carnosa come aveva immaginato nella penombra. A quanto pareva, neanche a lei piaceva essere contraddetta. «Il brutto malanno l’ho già preso.»

    Will intuì che lei aveva colto al volo il significato delle sue parole e si aspettò i soliti commenti imbarazzati, le solite frasi di circostanza.

    Invece lei si limitò a dire: «Mi dispiace molto». Forse non era sorpresa, poteva vedere che era gravemente malato ed era un miracolo che alla vista di quello scheletro ambulante non si fosse gettata nel lago per il terrore. «E mi rincresce di essermi introdotta senza permesso nella vostra proprietà.»

    «Siete la benvenuta a King’s Acre. Vogliate accompagnarmi in casa e darvi una rinfrescata, dopodiché il mio cocchiere vi porterà a destinazione, qualunque essa sia.»

    Lei si morse le labbra e distolse lo sguardo.

    Evidentemente ai suoi occhi non appariva inoffensivo quanto credeva. «Sarete al sicuro, ve lo garantisco. Ho una governante rispettabilissima.»

    Le sue rassicurazioni le strapparono un sorriso, com’era ovvio che accadesse. Will si illudeva se pensava che potesse scambiarlo per il dongiovanni più pericoloso del suo reggimento, fama di cui aveva goduto un tempo. Anche alla fanciulla più apprensiva sarebbe bastato uno sguardo per capire che difficilmente avrebbe potuto attentare alla sua virtù.

    «Sir, in questo momento la presenza di uno chaperon è l’ultima delle mie preoccupazioni.»

    Nella voce di quella donna c’era una sfumatura di amarezza che non era spiegabile.

    «Ma non posso disturbare voi e i vostri domestici a quest’ora di notte.»

    Ora che il suo respiro era più fermo, Will si rese conto che anche la sua mente era più lucida. Doveva esserci un buon motivo se una giovane signorina rispettabile – e la sua ospite era forse non giovanissima, ma di certo un’aristocratica – si materializzava al chiaro di luna senza bagaglio e senza scorta.

    «L’ora non è un problema. La mia servitù sa che ho abitudini da nottambulo. Ma dove sono i vostri bagagli? E la vostra cameriera? Manderò qualcuno a prenderli.»

    «Non ho né bagaglio né cameriera, sir.» Voltò il capo, sforzandosi di parlare con voce salda. «Diciamo che sono... allo sbando.»

    Julia sapeva che non poteva confessare la verità, anche se forte, fortissima era la tentazione di scoppiare in lacrime, lanciarsi fra le braccia di quell’anziano uomo e raccontare tutto. Probabilmente era un giudice e, anche se non lo fosse stato, sarebbe stato suo dovere consegnarla alle autorità. Ma aveva errato come una vagabonda per le campagne, nascondendosi nelle stalle, comprando qua e là un po’ di pane e formaggio e della birra leggera, ed era esausta, smarrita, disperata. Non c’era bisogno di rivelare ciò che era accaduto, meglio correre il rischio di scoprirsi brava a mentire.

    «Sarò franca con voi,

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