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Un Lord irresistibile
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E-book238 pagine4 ore

Un Lord irresistibile

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1802 - Lord Melburne, detto Buck, è annoiato. Annoiato dalla sua ultima amante, dai tentativi dei suoi familiari di indurlo al matrimonio, dalla sua vita tutta dedita ai piaceri. Per questo decide di rispondere alla richiesta di aiuto di Lady Clarinda Vernon, che per lettera gli comunica che Sir Vernon, caro vecchio amico del padre di Buck, è in punto di morte. Quando dunque si reca a Melburne Manor incontra anche la bella Clarissa che si dimostra tutt'altro che ospitale nei suoi confronti. Lord Melburne non può negare di essere attratto da lei, anche per il fatto che la ragazza sembra del tutto immune al suo fascino e al suo denaro. Quando però scopre che Clarissa è in pericolo e che la situazione a Melburne Manor è meno semplice di quel che appare, nel cuore di Buck si apre un varco inaspettato.
LinguaItaliano
Data di uscita19 lug 2016
ISBN9788858952559
Un Lord irresistibile
Autore

Barbara Cartland

Nata a Edgbaston, nei pressi di Birmingham, il 9 luglio 1901, negli anni Venti e Trenta fu una delle personalità più celebri dell'alta società londinese, acclamata oltre che per la bellezza e il fascino anche per gli audaci ricevimenti che organizzava e per la sua innata capacità di "fare tendenza" nel campo della moda. Nel corso della sua lunghissima vita ha dato il proprio sostegno a numerose cause umanitarie e caritatevoli, e nel 1981 è stata nominata dalla Regina Elisabetta Dama dell'Ordine dell'Impero britannico proprio per il suo impegno in ambito letterario, politico e sociale. Autrice di numerosi romanzi storici, biografie, commedie e persino saggi, è diventata famosa in tutto il mondo per aver scritto più di 700 romanzi rosa, impresa per la quale nel 1983 ha meritato un posto d'onore nel Guinness dei primati. Si è spenta alla veneranda età di 99 anni il 21 maggio del 2000.

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    Un Lord irresistibile - Barbara Cartland

    successivo.

    1

    Lord Melburne sbadigliò.

    Nel farlo, si rese conto di non essere stanco, ma piuttosto annoiato. Annoiato dal dipinto dei grassi cupidi discretamente velati che lo fissava dalla mensola sopra il caminetto. Annoiato dalle tende di satin rosa, ornate di fiocchi e nappe di seta, e annoiato dalla stessa stanza, troppo profumata e calda, per i suoi gusti.

    I suoi occhi guizzarono sulla giacca di finissimo tessuto blu gettata sopra la sedia e sulla cravatta di mussola bianca che giaceva negligentemente tra le bottiglie, le lozioni, gli unguenti e i profumi sulla toletta sovraffollata. E il fastidio di rendersi conto che avrebbe dovuto alzarsi e indossare quegli indumenti lo indusse a sbadigliare di nuovo.

    «Tu es fatigué, mon cher» pronunciò una voce morbida al suo fianco.

    Guardò di lato e incontrò due occhi scuri, due labbra rosse atteggiate a un broncio provocante, e comprese che anche quella situazione lo annoiava.

    Non era un buon momento per scoprire di essere annoiato della sua amante.

    Sdraiata contro i cuscini ornati di pizzi, lei indossava solo una collana di rubini per cui lui aveva speso un'esorbitante somma di denaro, e ai piedi calzava delle pantofoline di satin rosso abbinate alle pietre.

    Lord Melburne ricordò quasi incredulo di averle dato una caccia disperata, solo un mese prima, e che all'epoca la signora in questione, Mademoiselle Liane Defroy, era stata in dubbio se accettare la protezione del Marchese di Crawley o quella di Sir Henry Stainer, il che aveva aggiunto un che di piccante al corteggiamento. Il marchese poteva ricoprire un'alta posizione sociale, ma Sir Henry Stainer era indubbiamente più danaroso. Entrambi erano generosi all'estremo, oltre che membri del più celebrato gruppo di corinthian che girava attorno al Principe di Galles ed erano ospiti abituali di Carlton House.

    L'aver sfilato Liane, si poteva dire, sotto i loro aristocratici nasi, non solo gli aveva procurato una certa soddisfazione, ma aveva anche fatto ridere fragorosamente il Principe di Galles, inducendolo a dichiarare che Lord Melburne era davvero irresistibile, quando si trattava del gentil sesso.

    Era tale dichiarata irresistibilità, pensò Sua Signoria con un aggrottare di sopracciglia, a rendere la vita così incredibilmente tediosa. La caccia era sempre troppo breve, la conquista sempre troppo monotona.

    Si ritrovò a desiderare di essere di nuovo con il suo reggimento e che vi fossero battaglie da combattere e vincere, con una fila apparentemente interminabile di francesi da uccidere. L'armistizio l'aveva riportato alla vita civile, e tutto ciò che poteva dire in proposito era che sembrava una cosa maledettamente noiosa.

    Fece il gesto di alzarsi, e le piccole mani di Liane svolazzarono verso di lui.

    «Non, non!» esclamò, ansiosa. «Non andartene, te ne prego. È ancora molto presto, e noi abbiamo così tanto da dirci, tu comprends

    Le labbra della donna erano molto vicine alle sue. Lord Melburne era violentemente consapevole del profumo pesante che lei usava: in precedenza l'aveva trovato troppo dolce, troppo fastidioso, e adesso aumentava il suo senso di disgusto.

    Si alzò dal letto, scuotendosi quasi di dosso le braccia della donna. «Devo andare a dormire presto» annunciò, allungando una mano verso la cravatta. «Domani partirò per la campagna.»

    «Per la campagna?» ripeté Liane, alzando un po' la voce. «Ma perché? Perché mi stai lasciando sola? C'est la folie! Londra è così allegra, c'è talmente tanto, come si dice... pour t'amuser. Perché vuoi andare dove c'è solo fango?»

    Sua Signoria annodò la cravatta con la mano esperta di un uomo in grado di vestirsi in modo competente anche senza l'aiuto di un valletto. «Devo vedere un vecchio amico di mio padre» replicò. «Sarei dovuto partire la settimana scorsa, ma tu mi hai convinto a restare a Londra, contro ogni buonsenso. Adesso devo fare il mio dovere.»

    «C'est impossible!» protestò Liane, sedendosi sul letto, i rubini attorno al collo lampeggianti alla luce delle candele. «Hai dimenticato il ricevimento di domani sera, a cui siamo tutti invitati, tout le corps de ballet? Sarà un ricevimento molto allegro, e immagino anche alquanto scandaloso. Ti divertirai.»

    «Ho i miei dubbi, al riguardo» replicò Lord Melburne infilandosi la giacca.

    Restò per un momento a guardare in basso verso di lei, ai lunghi capelli scuri come l'ala di un corvo che le cadevano fin sotto la vita, al visetto dal naso con la punta all'insù e dalla bocca generosa che gli era parso così attraente, solo poche settimane prima. Era un'abile ballerina e sapeva sfruttare al meglio i propri talenti, ma, mentre la guardava, non poté fare a meno di chiedersi come avesse mai potuto sopportare la banalità della sua conversazione, lo svolazzare artificioso delle mani, lo scuotersi delle spalle sottili, il modo civettuolo con cui velava gli occhi con le lunghe ciglia nere per apparire misteriosa.

    In realtà, non c'era alcun mistero.

    Liane lo guardò, notando quasi per l'ennesima volta quanto fosse affascinante, in grado di distinguersi anche in una stanza affollata di uomini attraenti e di buoni natali. Non era soltanto il suo bell'aspetto, pensò ? come molte altre donne prima ? a renderlo tanto affascinante. Non soltanto la mascella squadrata o quegli strani occhi grigi che sembravano così misteriosamente penetranti, al punto che una donna aveva l'impressione che stesse cercando in lei qualcosa di più profondo di una mera attrazione superficiale.

    No, percepì Liane con un'improvvisa intuizione: erano le linee ciniche che correvano dal naso alla bocca, il ghigno delle labbra, che sembrava schernire la vita anche nel momento del massimo piacere, e l'improvviso lampo nei suoi occhi che smentiva proprio quel ghigno quando uno meno se lo aspettava.

    Sì, era irresistibile, e con un sorriso gli tese le braccia. «Non trattenerti in campagna» gli raccomandò a bassa voce. «Ti aspetterò, mon brave. È ciò che desideri, n'est-ce pas

    «Io non ne sono... sicuro» pronunciò piano Lord Melburne, e già mentre articolava le parole si rese conto di aver commesso un errore.

    La scena che seguì, infatti, fu rumorosa, spiacevole e tuttavia inevitabile. Lasciò Liane a singhiozzare istericamente sui cuscini e, mentre scendeva la stretta scalinata, si chiese perché non gli riuscisse mai di mettere fine a una relazione in modo pulito com'erano soliti fare altri uomini di sua conoscenza. Per loro la separazione dalle amanti era semplice, una mera questione di denaro e forse di un diamante o due, e del tutto priva di rancore. Per lui invece significava sempre lacrime e recriminazioni, e proteste culminanti nell'inevitabile lamentela: «Che cosa ho fatto? Perché non mi trovi più attraente? C'è qualcun'altra?».

    Nell'uscire dall'elegante portone dipinto di giallo, sbattendolo alle proprie spalle in modo da far sferragliare il battente di ottone, si disse che era l'ultima volta che si comportava in modo così stupido da sistemare la sua amante in una casa propria.

    Era alla moda avere una ballerina d'opera sotto la propria protezione, condurla in calessino al parco, procurarle una carrozza personale e una coppia di cavalli, aspettandosi che lei restasse apparentemente fedele fino alla fine della relazione. Mentre per gli altri uomini, però, quella fine era amichevole e priva di complicazioni, per Lord Melburne le cose andavano invariabilmente in modo diverso. Lui si trovava perseguitato da lacrime e lettere strappacuore, suppliche per avere spiegazioni e il rifiuto ostinato di credere che lui non provasse più alcun interesse.

    La vettura chiusa che usava la notte per simili visite lo stava aspettando. Il cocchiere parve sorpreso di vederlo così presto e sollevò le redini di scatto. Dopo aver chiuso lo sportello dietro Sua Signoria, il giovane lacchè balzò a cassetta e mormorò, dall'angolo della bocca: «Scommetto che è finita».

    «Non può essere» ribatté il cocchiere con lo stesso tono. «Non ha passato con lei più di un mese.»

    «Però deve essere finita» insistette il lacchè. «Riconosco l'espressione sulla faccia di Sua Signoria. Quando dice che è finita, ed è finita.»

    «Non gli è mai importato di quella francesina» rimarcò il cocchiere. «Quella che aveva prima dell'ultima, era inglese. Lei era davvero speciale.»

    «Si è stancato di lei dopo tre mesi» gli fece notare il lacchè, divertito. «Mi chiedo cosa lo faccia annoiare così in fretta.»

    All'interno della vettura, Sua Signoria si stava rivolgendo la stessa domanda. Perché gli capitava sempre di stancarsi di una donna all'improvviso e in modo inaspettato? Gli era piaciuto esibire Liane davanti ai suoi amici. L'aveva portata alle sale da gioco, alle Albany Room, da Mott e ai Vauxhall Garden, dove gli era parso che lei oscurasse ogni altra donna. Liane era allegra, divertente e possedeva una joie de vivre e una vitalità che galvanizzavano chiunque parlasse con lei.

    «Sei un mascalzone dannatamente fortunato» gli aveva detto Sir Henry Stainer, e l'invidia nella sua voce era stata molto gratificante. Si chiese se adesso l'amico si sarebbe abbassato a raccogliere quello che lui aveva scartato.

    Se non Sir Henry, ci sarebbero stati comunque altri fin troppo felici di gareggiare per i favori della bella francese che aveva fatto incapricciare di sé un gran numero dei più schizzinosi e viziati giovani di sangue blu del ton.

    «E tuttavia non la voglio più» affermò ad alta voce. «All'inferno tutte le donne!»

    Era assurdo che provasse quel lieve senso di colpa per la scena che aveva appena avuto luogo. Era Liane, e non lui, che stava infrangendo le regole.

    Si conveniva che l'accordo tra un gentiluomo e la sua amante fosse puramente commerciale. Entrambi godevano della reciproca compagnia ed era compito della donna essere più affascinante possibile ed estorcere quanto più poteva per i propri favori. Non erano previste implicazioni affettive, innamoramenti o sentimenti feriti.

    E tuttavia, quando si trattava di Buck Melburne, le regole andavano sempre a farsi benedire.

    Lo chiamavano Buck da quando era un ragazzino. Perfino i suoi parenti avevano difficoltà a ricordare quale fosse il suo vero nome. Aveva acquisito il soprannome dopo essere apparso per la prima volta in un abito con pantaloni di satin al ginocchio, riuscendo perfino all'età di sei anni a indossarli con uno stile che aveva fatto esclamare a un amico di suo padre: «Dio, ha già l'aspetto di un elegantone!».

    E Buck, il termine che indicava un giovanotto elegante e mascolino, aveva attecchito, e non c'era dubbio che fosse molto appropriato. Il Principe di Galles seguiva le mode che lui inaugurava, con le sue semplici giacche ben tagliate e le cravatte annodate in modo squisito, il suo disprezzo per l'ostentazione dei gioielli e di qualunque altra cosa connotasse un appartenente alla categoria dei dandy.

    Il nome era appropriato anche per altri motivi: non c'era nessuno, in tutto il paese, che fosse in grado di condurre una carrozza o un phaeton in modo così abile. Nella caccia a cavallo aveva il portamento migliore, e la sua mira era la più precisa che si fosse mai vista. Per non menzionare il fatto che tirava di pugilato con perizia quasi professionale.

    Buck Melburne era il più ricercato, il più invidiato, il più irresistibile gentiluomo di tutta Londra.

    Fu, comunque, con le linee di cinismo profondamente incise sulla faccia e la bocca serrata e dura, che Sua Signoria scese dalla carrozza in Berkeley Square ed entrò nella hall della sua casa londinese.

    Tese cappello e bastone al maggiordomo. «Partirò per Melburne domattina alle nove e mezzo, Smithson» gli comunicò. «Ordina che il mio phaeton sia preparato e di' a Hawkins di precedermi con la carrozza dei bagagli. La più veloce, non quell'arca di Noè che ha cercato di usare l'ultima volta che mi sono recato in campagna.»

    «Molto bene, milord» replicò il maggiordomo. «C'è un messaggio per Vostra Signoria.»

    «Un messaggio?» Lord Melburne afferrò la busta dal vassoio d'argento che l'altro tendeva verso di lui. Anche prima di toccarla capì da chi provenisse.

    Accigliato, attraversò la hall, diretto in biblioteca, dove era solito passare il tempo quando era solo. Un lacchè si affrettò ad aprirgli la porta, e lui attraversò il lungo salone dagli scaffali pieni di libri che, con le sue colonne di lapislazzulo e il soffitto a cassettoni di legno dorato, era una delle stanze più belle di Londra.

    «Vino, milord?» chiese il lacchè.

    «Farò da solo» rispose. Non appena la porta si fu richiusa dietro il domestico, restò per un momento a fissare la lettera nella sua mano, prima di aprirla. Sapeva anche troppo bene chi era il mittente e si chiedeva se fosse, in effetti, la risposta e la soluzione ai problemi che l'avevano tormentato nella carrozza.

    Avrebbe dovuto sposarsi? Forse tale condizione si sarebbe dimostrata più piacevole o, comunque, meno fastidiosa delle continue lamentele delle amanti?

    Lentamente, quasi con riluttanza, aprì la lettera. L'elegante e artificiosa grafia di Lady Romayne Ramsey era tipica delle donne del suo rango, e tuttavia chiunque avrebbe notato che c'era anche parecchia determinazione, nei sottili tratti della sua penna. Il messaggio era breve.

    Mio caro, imprevedibile cugino,

    avevo immaginato che sareste venuto a farmi visita, questa sera, ma sono rimasta delusa. Ho molte cose che vi riguardano di cui desidero parlare con voi. Venite domani alle cinque in punto, quando saremo soli.

    La vostra Romayne.

    Non c'era niente di particolarmente fastidioso, nel messaggio, e tuttavia lui lo appallottolò nella mano e lo lanciò nelle fiamme del caminetto.

    Conosceva perfettamente l'argomento di cui Romayne Ramsey desiderava parlargli, così come sapeva da lungo tempo che era intenzionata a sposarlo.

    Una cugina alla lontana, sulla base della loro distante parentela, l'aveva incluso nel circolo dei suoi amici intimi molto prima che lui avesse deciso se desiderasse farne parte o meno. E tuttavia sarebbe stato ridicolo non esserne compiaciuto. Lady Ramsey era l'idolo di Saint James, la più bella e acclamata incomparabile che il gruppo di Carlton House avesse mai conosciuto da anni.

    Era stata poco più che una bambina quando i suoi genitori, intimoriti dalla sua bellezza, l'avevano fatta sposare. Non era stata colpa loro se Alexander Ramsey, un ricco nobiluomo di campagna, si era rotto il collo a caccia poco tempo prima che la moglie festeggiasse il ventitreesimo compleanno.

    Lei non aveva atteso la fine del periodo di lutto per trasferirsi a Londra, dove aveva preso una casa, trovato una compiacente chaperon e messo in agitazione Saint James. Era adorabile, vivace, acuta, ed era ricca. Che cosa avrebbe potuto desiderare di più, un uomo da una moglie? E aveva scelto Buck Melburne come suo secondo marito.

    E lui ne era consapevole. Aveva troppa esperienza dei metodi femminili per non rendersi conto di quanto fossero studiati i piccoli sotterfugi nel richiedere il suo consiglio o la sua opinione, o nell'affidarsi a lui in qualità di parente per farsi scortare alle funzioni reali e patrocinarla, poiché lei non aveva un marito che potesse assolvere a tale funzione.

    Romayne gli stava avvolgendo attorno la propria tela, come un diligente e abile piccolo ragno. Tuttavia, ricordò Lord Melburne a se stesso, non era ancora stato catturato. Poteva essere la soluzione, poteva essere ciò che voleva, ma non ne era ancora sicuro.

    Lei sarebbe apparsa magnifica, con i gioielli Melburne indosso. Avrebbe abbellito la sua tavola e la sua casa in campagna con un'eleganza innegabile.

    Tuttavia aveva notato qualcosa di oscuro e appassionato, nelle profondità dei suoi occhi, e quando le baciava la mano per congedarsi aveva sentito spesso il suo respiro divenire più affrettato e visto i merletti agitarsi sul suo petto. Era andato molto vicino ad arrendersi alle sue lusinghe, al silenzioso invito che leggeva nei suoi occhi e al modo in cui lei invariabilmente gli chiedeva di seguirlo all'interno della sua casa, dopo essere stati a un ricevimento. C'erano sempre candele accese oltre la porta aperta della sua camera da letto.

    E tuttavia Buck Melburne, nonostante la sua reputazione, non aveva ceduto a Lady Ramsey.

    La trappola era stata approntata in modo troppo evidente. Sua Signoria provava ripugnanza a fare esattamente ciò che ci si aspettava da lui, a partecipare a una campagna pianificata nei più piccoli dettagli e di cui conosceva l'inevitabile conclusione.

    Dannazione, voglio essere io il cacciatore!, aveva sbottato tra sé una volta, al ritorno dalla casa di Lady Romayne, ben consapevole dell'invito offerto e sentendosi inaspettatamente un mascalzone per averlo rifiutato.

    Niente era mai stato detto esplicitamente, e tuttavia entrambi erano consapevoli che si stavano affrontando come duellanti. Lei stava preparando l'offensiva, tentando di ottenere un vantaggio, di forzarlo in un angolo. E lui stava combattendo non per la vita, ma per la libertà.

    Le fiamme trasformarono la lettera di Lady Ramsey in cenere e, mentre assisteva alla scena, Lord Melburne esclamò: «Che siano dannate tutte le donne! Un uomo dovrebbe liberarsi di loro».

    Nonostante quelle preoccupazioni, comunque, quella notte Sua Signoria dormì bene. Quando si sistemò sul suo phaeton dall'alto sedile, il mattino dopo, con i raggi del sole che si riflettevano sulle briglie argentate della sua coppia di purosangue, si trovava in uno stato d'animo sorprendentemente buono.

    Era un sollievo, pensò, lasciare Londra. Inevitabilmente si restava in piedi troppo a lungo, si beveva troppo e si parlava di un mucchio di sciocchezze. Anche il duello di abilità ai tavoli di carte da White's, o la scintillante eleganza dei ricevimenti di Carlton House, perdevano il loro interesse, quando se ne abusava.

    Era piacevole sapere che stava guidando i più costosi cavalli che potessero trovarsi in una scuderia, che il suo nuovo phaeton era più leggero e meglio molleggiato di quello costruito per il Principe di Galles, e che stava tornando a Melburne.

    C'era qualcosa, nella sua casa, che lo rallegrava sempre e, anche se non vi si recava spesso come avrebbe desiderato, era una soddisfazione sapere che fosse là. Il grande edificio, che era stato ricostruito quasi integralmente da suo padre su disegno dei fratelli Adam, si

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