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2024. La bussola e i portici
2024. La bussola e i portici
2024. La bussola e i portici
E-book201 pagine2 ore

2024. La bussola e i portici

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Info su questo ebook

Guido e Gabriella sono i giovani protagonisti di due storie parallele, destinate a incrociarsi. Il racconto prende l’avvio nell’anno 2024, in una Bologna devastata dalla pandemia che ha colpito il pianeta dal 2020 in avanti, e si sviluppa nell’arco di sei mesi. L’Italia e l’Europa sono lacerate dall’avanzata delle destre estreme che, usando ogni mezzo manipolativo del consenso, sono state designate a governare da popoli stanchi e delusi.
La vita dei due protagonisti è a una svolta, sulla scia di un passato filtrato nelle trame di continui flash back, attraverso cui l’autore ci porta nell’intimità delle loro storie: le passioni, le perdite degli affetti più cari e le complicazioni in quegli anni della loro vita sentimentale e sociale.
La democrazia è in crisi, le disuguaglianze sociali ancora più ampie. Il tramonto della cultura occidentale è all’ultimo atto.
Guido e Gabriella sapranno trovare una dimensione alla loro esistenza? La scintilla del loro incontro e l’innamoramento che ne segue faranno ritrovare la bussola lungo i portici del loro viaggio?
Un romanzo distopico provocatorio delle coscienze perché colgano che, a volte, tra fantasia e realtà la linea divisoria è sottile. E ciò che nella narrazione è pura invenzione, potrebbe ancora accadere, magari con effetti più devastanti.

Carmelo De Marco è nato nel 1946 a Messina. Avvocato e giurista, ha pubblicato libri di diritto per Giuffrè Editore e saggi su riviste giuridiche e di management. Negli anni ’80 è stato Top Manager di un gruppo assicurativo-finanziario a Bologna, dove è vissuto per molti anni. Da poco è tornato nella terra natia, a Messina, dove si è stabilito definitivamente. Nel 2008 ha pubblicato per Firenze Libri il volume di poesie Ho dimenticato di stirare e nel 2018 ha pubblicato per i tipi di Kindle, Amazon, Piatti galanti di un cuoco per caso, non un libro di cucina ma un romanzo-non romanzo, storie di vita con protagonisti alcuni ingredienti. Nel 2020 ha pubblicato per la collana EDIFICARE UNIVERSI di Europa Edizioni il romanzo La tela di Marco.
Nel 2021 la silloge poetica Parole, suoni, silenzi – Un’anima e due ali – per i tipi di Venilia Editrice.
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2022
ISBN9791220118613
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    2024. La bussola e i portici - Marco De Carmelo

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    Carmelo De Marco

    2024

    La bussola e i portici

    © 2021 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-1410-3

    I edizione dicembre 2021

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    2024

    La bussola e i portici

    Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto dell’immaginazione dell’autore e sono inseriti nel testo a puro scopo narrativo. Ogni riferimento a persone oggi realmente esistenti oppure morte, o come tali identificabili, nasce dalla fantasia dell’autore, fatti e ambientazioni reali sono puramente casuali.

    Agli amori andati e a quelli che verranno... forse.

    E se anche ce lo restituissero,

    questo paesaggio della nostra gioventù,

    non sapremmo più bene che farne.

    (Erich Maria Remarque)

    1.

    Piove su Bologna

    16 gennaio 2024

    Il portone si è chiuso alle spalle coricandosi, senza fare rumore, sull’enorme cornice di ferro che delimita il portico dell’antico palazzo.

    Guido si gira di scatto, teme che sia rimasto aperto. Con i tempi che corrono, non è il caso di lasciare il passo a ospiti non graditi – pensa. Alza gli occhi al cielo, grigio come l’ovatta, e s’incammina verso via Marsala: Fa freddo, mondo cane – blatera fra sé – ho voglia di prendere un cappuccino caldo. Passa davanti alla farmacia, hanno tirato su la saracinesca da qualche minuto, puntuali come un orologio svizzero, tutte le mattine da sempre, alle 08,30.

    È vuota, la gente non ha più voglia di stare male, preferisce stare in casa, chi può permetterselo è già al lavoro. No, c’è la solita vecchietta seduta di spalle al limitare della porta d’ingresso, curva, con la testa quasi sulle ginocchia e il solito Carlo – il farmacista – che le prende la pressione. Gli sguardi s’incontrano, anche le mani scodinzolano in segno di saluto.

    Dio, come siamo invecchiati! – Guido non può fare a meno di pensare a sua nonna, morta sei anni fa di vecchiaia e di acciacchi, a quando sbirciando oltre il vetro la vedeva lì, nella medesima inquadratura, impegnata con la misurazione del diabete e della pressione. Allora abitavano sullo stesso pianerottolo. Un nodo gli stringe la gola: Almeno è morta da essere umano, con la dignità di un funerale e una sepoltura decente.

    Oggi la pioggia è priva di energia, scivola lentamente sul cappuccio del giubbotto piumato color petrolio, che tiene stretto alla gola per non farne passare una goccia. Guido alza di nuovo gli occhi al cielo, stavolta per scrutarne l’umore: Non ho più voglia di piangere – bisbiglia –, basta lacrime, non ne hai fatte scorrere abbastanza?

    Ancora pochi passi e raggiunge via Marsala, spinge la porta del mitico bar sotto il portico, uno dei pochi rimasti ancora in piedi nei paraggi. Il titolare, il povero Giovanni, è morto tre anni fa, colpito dal nemico del secolo, il Coronavirus. Uno dei milioni di giustiziati nel mondo, la strage del XX secolo. La nipote, sopravvissuta, con una tenacia senza precedenti, guarita miracolosamente dalla malattia anche da lei contratta, senza un euro in tasca per il crollo dell’attività, ha compiuto l’altro miracolo, far sopravvivere il locale.

    Il bar-cockteleria Corona (in omaggio non alla nota birra messicana ma alla bestia contagiosa) ha riaperto l’uscio da circa un anno. Tilde si fa aiutare dal suo nuovo compagno Marco, che si occupa del banco e delle forniture, mentre lei si arrabatta con i cocktail il pomeriggio-sera, e cura soprattutto la gestione. È un bene che questo locale sia diventato il riferimento degli abitanti della zona, bisogna andare verso Piazza Maggiore per trovarne uno ancora aperto.

    Questa, però, è un’altra storia.

    «Buongiorno – saluta Marco, sbuffando insieme alla macchina del caffè – che tempo di merda per iniziare la settimana, almeno facesse freddo sul serio, magari la neve potrebbe uccidere tutti i microbi.»

    Guido, assente, sembra non averlo ascoltato, non risponde neanche al saluto, cosa che non è da lui.

    «Che ti succede, Guido, sei incazzato nero, lo capisco sai, è quasi normale di lunedì ricominciare a faticare, anche se ormai badiamo meno a quest’aspetto.» E ancora, come a sollecitare, a tutti i costi, una reazione al cliente-amico: «E Laura non è con te stamattina, non va a lavorare?»

    Guido si sblocca come d’incanto, al suono del nome della compagna e farfuglia: «No, oggi non sta molto bene, sai forse le sue cose, credo che resterà a casa.»

    «Ti faccio il solito cappuccino e il pane burrato con la marmellata?»

    «Sì, certo, grazie.»

    Bevuto l’ultimo sorso di cappuccino, infastidito dal sovraffollamento che si era creato nell’angusto locale, Guido torna in strada, l’umore è proprio nero. Un’occhiata all’orologio, un Mont Blanc, Time Walker, abbastanza costoso, acquistato parecchi anni fa, quando il ristorante che gestiva con successo gli consentiva di tenere un tenore di vita più che agiato e di spassarsela con le donne più attraenti del quartiere.

    Sono le nove e un quarto. Ha smesso di piovere, si è levato un pungente venticello da nord che fa sentire ancora più freddo, come se non bastasse il gelo nel cuore.

    È un ragazzone di trentotto anni già compiuti a giugno dello scorso anno, un cancro purosangue, alto, con un viso quadrato ma non duro, gli occhi marrone chiaro che attirano la tenerezza degli sguardi, soprattutto quelli delle ragazze, i capelli sono castano chiari, un po’ ribelli ma tutti interi. Insomma quello che si dice un bell’uomo, che non deve chiedere mai! Sembra molto più invecchiato dell’età anagrafica, specialmente in questi ultimi due anni, in cui le avverse vicende della vita gli hanno scavato i muscoli della faccia e accentuato le rughe sulla fronte e all’angolo della bocca.

    Imbocca via Oberdan verso via Rizzoli, le scarpe bagnate slittano sul sanpietrino grigio scuro. Quasi tenta di cadere. Non ha voglia di andare a lavorare, un po’ per stanchezza, un po’ per mancanza assoluta di motivazione. Certo, anni fa era tutta un’altra musica, quando dirigeva le danze nel suo ristorante di via Belle Arti, a due passi dall’edicola di Donatella di fronte alla nota trattoria Anna Maria – un classico della ristorazione bolognese, con la quale non c’era competizione alcuna: La barca di Sara trattava una cucina esclusiva di pesce, in tutte le declinazioni possibili. Una cucina non prettamente siciliana, secondo le radici e l’esperienza materna, piuttosto raffinata. E questo era il gusto che Guido aveva impresso al locale, mixando il lato moderno della sua cultura culinaria con quello più tradizionale della madre.

    Già, mamma Sara, una gran donna venuta dalla Sicilia giovanissima, appena diciotto anni, per partecipare al concorso per un posto fisso da segretaria presso l’USL bolognese – allora si denominava così –, subito dopo avere conseguito il diploma magistrale. Galeotte furono le Due Torri! A cena in un ristorante, Il Gambero di via Belle Arti, conobbe il titolare, Andrea Masi, un bel ragazzone dagli occhi verdi di quarant’anni... fu amore a prima vista e la storia andò avanti su e giù per la penisola – con frequenza quasi mensile – per ben due anni.

    Tre anni dopo, era l’anno 1985, Guido faceva il suo ingresso al mondo, nell’abbondanza dei suoi tre chili e mezzo.

    La Bologna dotta, grassa e rossa era fulgida nel pieno del suo splendore, la chiamavano la bomboniera. Erano gli anni ruggenti della sinistra. Il ristorante di Andrea – allora Il Gambero, appunto – andava a gonfie vele, frequentato dai buoni intenditori locali e anche da qualche turista. Sara coadiuvava in cucina, condividendo con il cuoco i segreti della cucina messinese, ad esempio le braciole di pesce spada e il baccalà alla ghiotta.

    Anni d’oro di vita spensierata e soprattutto sana.

    Dieci anni dopo Andrea morì, in un banale incidente di moto, una mattina di primavera, mentre scorrazzava sulle colline con la sua Benelli 650 S, a respirare la natura – come amava dire alla sua Sara che odiava quella moto e lo implorava continuamente di venderla; fu invece madre natura a rapirlo in una curva ghiaiosa, scivolò giù per il pendio, senza una parola, senza un grido.

    Sara era una donna coriacea, di quelle che per buttarle giù ci vuole un carro armato, stavolta la botta lasciò il segno.

    Non era certo facile con un ragazzo di dieci anni e un’azienda da mandare avanti! Se no, che fare? Chiudere il ristorante? Cercare un altro lavoro per vivere? Quale, con un diploma magistrale e un Paese povero di prospettive?

    La donna forte e testarda come un mulo si rimboccò le maniche. Aveva solo trentatré anni, a quell’età c’è tanta voglia di godersi la vita ma non c’era tempo per i trastullamenti né per ammiccare agli uomini che le correvano dietro – si può immaginare quando erano seduti ai tavoli come la guardavano, anche se in compagnia delle loro signore. Perché Sara non era solo una bella femmina ma qualcosa di più! Alta quanto basta per una donna – un metro e settantacinque –, falsa magra presentava con ostentata sicurezza sotto le gonne audaci che amava indossare, mai volgari, le belle gambe tornite, dritte come quelle di una modella, che ti fanno venire voglia di toccarle; il seno era poco prosperoso ma voluttuoso nella sua geometria a pera; il viso dai lineamenti dolci, quasi nordici, solo i capelli neri, lunghi e lisci, tradivano la provenienza da quella terra focosa del Sud. Gli occhi erano di un marrone cangiante, una magia dalla quale partiva un fascio di luce, tenero e infinito.

    Andrea le aveva lasciato qualche risparmio, non un grande capitale ma quanto bastava per riappropriarsi della clientela, che inevitabilmente nel trambusto del lutto era scemata. Assunse un giovane cuoco, per la sala lasciò spazio ad Assuntina, una coetanea che aveva tirato su dalle ristrettezze del paese dove era vissuta a pochi chilometri da Messina. Per i giorni più carichi si rifugiò nella chiamata a ore. Ristrutturò, ringiovanendolo, il locale: rimodulò gli spazi in un layout moderno e sbarazzino, con colori vivaci e tenui allo stesso tempo; desiderava i colori del mare, d’estate e d’inverno, nella calma e nella tempesta. Diede importanza alle luci e all’insegna, cambiò nome: Il Gambero era troppo desueto e poi bisognava dimenticare, girare pagina e navigare verso altri lidi... già navigare, fu così che battezzò La barca di Sara. E c’era davvero tanto da remare.

    Guido frequentava la scuola media di Piazza Carducci, la mamma lo accompagnava tutte le mattine in macchina, prima di andare al ristorante per preparare la linea del menù e ricevere i fornitori: che non fregassero la povera Assuntina sul pesce.

    Gli anni passarono veloci, furono nonostante tutto gioiosi, faticosi ma pieni d’amore, Sara li dedicò al figlio, mai uomo entrò nella sua vita e nei suoi pensieri, mai una distrazione che non fosse la settimana, o poco più, di ferie che trascorreva col ragazzo sistematicamente in Sicilia. Non fare più sesso fu una sua scelta, assoluta, nonostante i tanti pretendenti al trono.

    Le giornate di Guido scorrevano più dentro il ristorante che in casa; a fare i compiti il pomeriggio, aiutare mamma e soprattutto imparare il mestiere, dal vivo, a contatto con ingredienti e padelle e sui banchi dell’istituto alberghiero. Fino a che divenne un cuoco con una sua personalità e un taglio che lo distinse dagli altri locali, più turistici, portati alla quantità e meno alla qualità. Insomma, se non un gourmet di razza, un posto raffinato ed elegante che già nel 2005, dieci anni dopo la ricostruzione e la rinascita, ottenne il riconoscimento di una guida famosa. Sara non mancò di incorniciarla, perché il suo Andrea potesse vederla da lassù.

    La porta de La Bottega di Mario, in Via Nazario Sauro, è ancora chiusa.

    «Che strano – borbotta Guido – manca un quarto alle dieci e Angelo non è ancora arrivato!» Sta ricominciando a piovere in maniera più insistente e frugando nei calzoni non riesce a trovare le chiavi, che pure possedeva.

    Possibile che le abbia lasciate a casa?, pensa incazzato, quando Laura mi fa andare in bestia, sono capace di qualunque tipo di casino.

    La Bottega è il ristorante di Mario Andreani, un’antica trattoria di cucina squisitamente emiliana, diventata famosa per i tortellini in brodo e i succulenti bolliti.

    Guido è più che un dipendente.

    Il signor Mario lo aveva preso a cuore nel mezzo della crisi finanziaria, alla fine del 2021, dopo che Guido, con le spine nel cuore, fu costretto a chiudere La Barca di Sara. Fu assunto con un regolare contratto – e fu già un successo, con l’aria che tirava nessuno osava scherzare con l’Agenzia delle Entrate –, non come cuoco e neanche come aiuto. La Bottega era allora – lo è tuttora – una trattoria di nicchia ma non d’alto bordo, di piccole dimensioni, capace a malapena di venti/venticinque coperti, ai quali pensava il solo padrone. Faceva il cameriere nei due turni giornalieri e, in virtù del talento riconosciutogli, seguiva i conti e gli ordini con i fornitori, una sorta di gestione a tutto campo per milleduecento euro il mese, più qualche spicciolo dalle mance in verità scarseggianti. Angelo era lo sguattero.

    Mentre Guido ancora smadonna senza trovare le chiavi, la bicicletta sconquassata del colpevole ritardatario si poggia al muro di fianco all’ingresso.

    «Mi hai fatto inzuppare, cazzo, non hai caricato la sveglia stamane?» Poche volte era stato così sgarbato col compagno di cordata, è proprio una giornata storta. Angelo fa finta di niente e mentre tira su la serranda, che emette un lamento terrificante, dice contrito:

    «Mi dispiace che te la prenda tanto, in fondo non sei qui da molto, e dovresti avere le chiavi.»

    Entrano e vanno sul retro a scrollarsi di dosso la pioggia e a cambiarsi. Dopo alcuni minuti, la voce roca di Angelo, sempre cupo in volto, lacera il silenzio: «Stanotte Annina è stata male, un’intossicazione alimentare – dice il dottore – ho dovuto fare la fila in farmacia.»

    Guido ha un attimo di esitazione, poi si avvicina al compagno con fare conciliante e mettendogli una mano sulla spalla: «Scusami, non volevo offenderti, sono solo un po’ nervoso stamattina... ho litigato di nuovo con Laura», ammette alla fine con lo sguardo pensieroso, «... e ho dimenticato di prendere le chiavi del ristorante, non ho neanche quelle di casa... mi dispiace, proprio non volevo», aggiunge chinando la testa.

    Guido si è seduto a

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