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Pavia sporca estate: La nuova indagine di Sambuco & Dell'Oro
Pavia sporca estate: La nuova indagine di Sambuco & Dell'Oro
Pavia sporca estate: La nuova indagine di Sambuco & Dell'Oro
E-book170 pagine3 ore

Pavia sporca estate: La nuova indagine di Sambuco & Dell'Oro

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Info su questo ebook

Chi è Marco Alibrandi? Quali misteri si nascondono dietro al suicidio dell’uomo politico di lungo corso, erede di una famiglia della buona borghesia pavese, sorpreso a intascare una tangente da un imprenditore noto negli ambienti della malavita? Gigi Sambuco viene ingaggiato dalla sorella di Alibrandi per far luce su una morte che, secondo lei, è stata giudicata troppo in fretta come un suicidio. La donna è una figura curiosa, appassionata di pratiche occulte e con amicizie quanto meno originali. Siamo in una Pavia estiva, pigra e noiosa, soffocata dal caldo opprimente tipico della Pianura Padana. Sambuco e Dell’Oro – il primo alle prese con un amore tormentato e l’altro sempre impegnato nelle sue tresche erotiche – sembrano muoversi, inizialmente, controvoglia, come se il clima afoso e umido della città condizionasse il loro agire. O forse non credono, neppure loro, alle parole della donna che immagina chissà quali complotti dietro la morte del fratello. Ma gli eventi, come spesso accade, possono riservare sorprese che confondono la realtà, in un gioco di specchi – tra vittime, colpevoli e presunti innocenti – dove quello che sembra logico diventa assurdo
e viceversa, ciò che è apparentemente assurdo può risultare logico. Gli investigatori di Borgo Ticino si trovano così a indagare tra segreti di famiglie borghesi, politici in declino, imprenditori legati alla ’ndrangheta, delinquenti comuni, detective sopra le righe e donne intriganti. Come sempre, Sambuco riuscirà a districare la matassa. Ancora una volta, al di là delle azioni criminali, a spronarlo verso la verità sono gli aspetti psicologici dei personaggi in cui si imbatte, prototipi di una provincia italiana con tanti vizi e qualche virtù.

Alessandro Reali è nato a Pavia il 4 febbraio 1966. Per Fratelli Frilli Editori ha già pubblicato Fitte nebbie. La prima indagine di Sambuco & Dell’Oro (2012 III ed.), La morte scherza sul Ticino. La seconda indagine di Sambuco & Dell’Oro (2013 II ed.), Risaia crudele. Quei giorni dell’inverno del ’45 (2014), Sambuco e il segreto di viale Loreto. La nuova indagine di Sambuco & Dell’Oro (2014), Ritorno a Pavia. Un altro Natale per Sambuco & Dell’Oro (2015), La Bestia di Sannazzaro. Lomellina, inverno di guerra 1917 (2016), Ultima notte in Oltrepò (2016) e Il fantasma di San Michele (2017). Per Ticinum Editore ha pubblicato la raccolta di racconti Il diavolo del Ticino (2017).
LinguaItaliano
Data di uscita11 dic 2018
ISBN9788869433214
Pavia sporca estate: La nuova indagine di Sambuco & Dell'Oro

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    Anteprima del libro

    Pavia sporca estate - Alessandro Reali

    PROLOGO

    La barca avanzava rompendo il silenzio della campagna. Saliva un odore intenso di acqua e fogliame, un odore freddo nell’aria ancora scura. A oriente, dove l’alba era spuntata, brillava un nastro dorato e azzurro chiaro contro cui svettavano come ombre morbide le colline d’Oltrepò.

    Anguilla, al timone, si guardava intorno, soddisfatto; pescare sul Ticino era la cosa che gli piaceva di più al mondo. Starsene tutto solo in quel silenzio, che non era un silenzio di pace ma un fermento animale continuo, lo faceva sentire vivo. Era così da sempre, fin da quando era bambino e sul fiume, a pescare, lo accompagnava suo padre. Un tipo come lui, suo padre: non amava la compagnia della gente. Forse anche per questo sua madre se n’era andata quando era piccolo e il vecchio – che allora vecchio non era ancora – si era messo a bere fino a rovinarsi il fegato.

    Il Ticino era per lui un lungo nastro imprevedibile, con le acque increspate di ricordi che lambivano le rive del suo pensiero.

    Non aveva deciso dove piazzare le lenze. Non faceva neppure troppo caldo, ancora. Presto il sole di luglio, implacabile, avrebbe iniziato a scottare e più tardi sarebbero arrivati nugoli d’insetti a infestare l’aria calma.

    Indirizzò la barca verso una riva, sotto le fronde verdi, dove l’acqua era più scura. Una grossa radice spuntava nella melma sulla battigia, prima della sabbia bianca e fine protetta da un groviglio di rovi e arbusti. Accostò. Man mano che si avvicinava la sua espressione mutava, gli occhi celesti si assottigliavano fino a diventare due fessure concentrate su un obiettivo solo. Il naso, affilato, fendeva l’aria come il rostro d’un rapace.

    – Ma guarda! Allora... – disse.

    Non era una radice, quella cosa. Era un uomo, indubbiamente morto, probabilmente annegato.

    UNO

    La luce del sole mattutino attraverso la vetrata rendeva visibile lo strato di polvere sul bancone del Blu Bar. I quattro giocatori di scopa seduti attorno al tavolino non facevano caso a questi particolari, e ancor meno i due osservatori disincantati della sfida, il Fantino e il Balestra. Stropicciati nella loro precarietà, ma ostinati nel proporsi quando beccavano un tizio ideale a lasciarsi spennare a scopa, briscola o ramino.

    Selmo Dell’Oro fece il suo ingresso, stranamente pimpante. Il mattino, solitamente, lo sorprendeva piuttosto fiacco, per non dire malandato. Ma quel giorno sembrava in ottima forma: rasato di fresco, con la maglietta dei Motörhead nera, i jeans sbiaditi e le Nike nere. Quando il suo sguardo da falco si insinuò nella scollatura della Signorina Grandi Tette lei replicò con il solito sorriso melenso, dopo aver spazzolato con la lingua il baffo di schiuma del cappuccino che stava bevendo.

    – Cosa prendi, Selmo? – chiese.

    – Buongiorno cara. Hai notato quanta polvere sul bancone? Tesoro, da quando sei diventata socia di maggioranza le cose al Blu Bar stanno peggiorando. Ti sarai mica montata la testa? – osservò Dell’Oro.

    – Invece di sparare cazzate come al solito, offri un paio di bianchi ai tuoi amici – lo imbeccò il Fantino, minuto e lercio, come sempre portavoce del blasonato Balestra, ex grande centravanti del Pavia Calcio caduto in disgrazia. Ma, come sosteneva il vecchio toro d’area di rigore: io mi sono consumato ma, ai miei tempi, la squadra era una meraviglia, come pure la città. Oggi sono una pena, tutt’e due.

    Selmo ignorò la richiesta del Fantino: poggiò i gomiti sul bancone e spiattellò un sorriso acido alla bella barista. L’abito leggero metteva in evidenza le forme prosperose: una vera femmina da letto, come sosteneva Dell’Oro che da anni cercava di farsela senza successo. Col tempo questi tentativi erano diventati una prassi più che un desiderio vero e proprio. Avesse smesso d’importunarla, si sarebbe interrotta una specie di curiosa tradizione, tra le quattro mura del Blu Bar di Borgo Ticino a Pavia. Luogo d’inconsapevole e per niente eroica resistenza, in una città tanto cambiata, frequentato, più che altro, da vecchi pavesi che lì assaporavano la suggestiva illusione del tempo che non passa.

    – Allora, solo il caffè o anche la brioche?

    – Solo il caffè. Mia figlia dice che devo fare la dieta. Mia moglie cucina oramai solo schifezze vegane, per la piccola e il genero, sempre a sbafo, anche lui. Una vita culinaria più triste che mai. Ma ieri sera mi sono rifatto con la mia amica Robertina, in birreria a Ferrera: hamburger con lardo, pancetta, tante salse e cipolle caramellate. E birra, tanta birra, naturalmente.

    – Tutto per farci sapere che hai una nuova amichetta eh, Dell’Oro? – intervenne il signor Calindri, ex colonnello dell’Aeronautica che ogni mattina usciva per comperare il pane, promettendo alla moglie di rientrare subito e finendo immancabilmente per impantanarsi in una sfida a scopa con i soliti compagni.

    – Modestamente, mantengo il mio stile. Ha un certo successo, vero?

    – Come no, non vedi che viavai di ragazze per tutto il Borgo? Dov’è Dell’Oro, chissà cosa sta facendo Dell’Oro, tutte lì a strapparsi i vestiti – intervenne la signorina Grandi Tette

    – Va beh, dai, parliamo di cose serie. Sambuco non si è visto?

    – È passato questa mattina presto. Ha preso il caffè ed è scappato via, taciturno come al solito.

    – Non l’ho ancora sentito. Strano. Non mi preoccupo, ho le mie cose da fare. Tanto per cominciare vado in ufficio, allungo i piedi sulla poltrona e leggo la Gazzetta. Sarà il caldo o gli anni che passano, ma sto diventando pigro. Spilla un paio di bianchini a questi due scrocconi, se no me li tengo sulla coscienza tutto il giorno.

    Il primo ammiccò con un sorriso sdentato; il secondo alzò appena un sopracciglio: la classe di un tempo gli impediva di fare cerimonie, almeno in quel giorno d’estate che l’aveva sorpreso col piede sbagliato.

    Selmo uscì in strada. Il sole splendeva caldo allagando di luce la città. La vita scorreva come al solito, con i suoi amori, i suoi orrori, la sua noia. Come una ferita improvvisa lo colse l’idea balzana di recarsi a trovare una certa signora che lavorava in un appartamento poco distante. Sambuco si era volatilizzato e casi urgenti non ne avevano: c’era in ballo solo un capomastro ricattato da alcuni dipendenti. Con Anna Salimbene, la bella giornalista della Provincia Pavese, le cose non andavano troppo bene: era impegnata a seguire una mostra al Castello e altri progetti culturali che lui ignorava. La sua nuova amica, Robertina, era una trentenne con due grandi occhi blu, fanatica di musica rock, che una sera, ubriaca, aveva deciso di concedersi a lui. Era abituato a questo tipo di situazioni e anche preparato a uscirne con le ossa rotte e il cuore usurato. Per il momento aveva rimediato un discreto mal di schiena, amoreggiando sulla Golf parcheggiata in una stradina tra due risaie lambite dalla luce opaca di una luna afosa, più lugubre che romantica.

    In maniera del tutto insensata decise di fare una capatina dalla Teresa, una puttana professionista di Borgo Ticino. Aveva superato i cinquanta e non era mai stata una gran bellezza, però costava poco, ci sapeva fare e ti accoglieva in mutandine e reggiseno neri, con al collo un terribile peluche rosa che puzzava di naftalina. La numero due, in città, secondo la personale classifica di Selmo: veniva immediatamente dopo la Rossa, sua grande amica, che in quei giorni era impegnata a Genova, dove millantava una relazione con un facoltoso industriale di origine indiana.

    A passo svelto si recò presso la palazzina dove lavorava Teresa e suonò al campanello: era libera. Non c’era bisogno di preamboli, si conoscevano da più di vent’anni. Fecero l’amore sul letto rotondo, con la finestra chiusa. Sudarono parecchio e alla fine fu necessaria una doccia. Quindi Teresa, spiegando quanto fosse in crisi il mercato per colpa delle ragazzine dell’est, delle cinesi e delle nigeriane, gli preparò un caffè con la moka. Si salutarono con un bacio sulla guancia e Selmo ritornò in strada sull’asfalto rovente.

    A pochi metri dall’ingresso del palazzo dove aveva sede l’Agenzia Investigativa Sambuco & Dell’Oro, notò una donna vestita completamente di nero. Il sole a picco non sembrava turbarla e sulla fronte spaziosa e candida non c’erano tracce di sudore. Il viso risultava severo. Le braccia, come i polpacci, sembravano irrigidite, di un candore diafano. Difficile stabilirne l’età, meditò grattandosi la nuca.

    Passò oltre, gettando la sigaretta sul marciapiede e salì le scale col solito passo appesantito. Dalla grande finestra sul pianerottolo filtrava una striscia di luce, un sorriso placido, un labile messaggio dalla città soleggiata. Mentre apriva la porta, facendo scappare il gatto, Mattia – da quando era arrivato, piccolo e denutrito, l’anno prima, lui e Selmo avevano iniziato a detestarsi immediatamente – udì i passi sulla prima rampa di scale. Forse era proprio la donna che, poco prima, in strada, sembrava attendere qualcuno. Chiunque fosse, si augurò non avesse come meta l’Agenzia: non vedeva l’ora di piazzarsi sulla sua poltrona preferita, allungare le gambe e dedicarsi alla lettura delle notizie di calciomercato relative all’Inter.

    Appena seduto, dovette alzarsi: avevano suonato il campanello. Era proprio lei, la donna vestita di nero.

    – Lei è il signor … – disse fissandolo negli occhi.

    – Dell’Oro, mi chiamo Selmo Dell’Oro. Sono il numero due dell’Agenzia Investigativa. Prego, entri.

    – Grazie. Bene, cioè, male: vorrei parlare con il numero uno che, deduco, si tratti del signor Sambuco.

    Aveva una voce stridente, irritante. Dell’Oro desiderò prepotentemente rifilarle un calcio nel culo e buttarla giù dalle scale.

    – In questo momento, come può notare, il signor Sambuco è assente. Se vuole dire a me, intanto, il motivo della sua…

    – No, lo aspetto – interruppe lei brusca.

    – Come vuole, si accomodi.

    – Grazie.

    – Le dà fastidio se fumo?

    – Sì.

    Selmo sospirò, accese la sua Marlboro e, aperto il giornale, si piazzò al davanzale, con la finestra aperta, pensando: Avanti Sambuco, sbrigati….

    Gigi Sambuco si allacciò le stringhe delle scarpe. La camicia era ancora fuori dai pantaloni. Si alzò dalla poltrona per avvicinarsi allo specchio, si sistemò i capelli e passò l’indice e il pollice della mano destra sui baffi. Osservò la donna alle sue spalle, sul letto disfatto: era bella, i capelli sciolti e il seno nudo. Fumava una sigaretta e lo guardava con una calma strana nello sguardo verde chiaro.

    – Io vado, Marzia – disse.

    – Va bene, tra poco scendo anch’ io. Doveva succedere, prima o poi, Gigi. Era nella natura delle cose. Siamo grandi, non è un problema, vero?

    – Vero, siamo grandi. Non so bene cosa voglia dire ma va bene così. Forse siamo solo stanchi e cerchiamo di dimostrarci qualcosa. Alla nostra età è tutto più facile e più difficile per lo stesso motivo. Manca il tempo, davanti a noi. O forse è solo una questione di volontà. O di possibilità…

    Marzia¹ si alzò. Il corpo snello, il pube velato di peluria folta e scura.

    – Devo essere a Fortunago per le undici, ho un impegno di lavoro.

    – Io vado in Agenzia. Magari ti chiamo, nei prossimi giorni.

    – Quando vuoi.

    – Non è necessario che qualcuno lo sappia, vero Marzia?

    – No.

    Sambuco pensò a sua moglie: era la prima volta che la tradiva da quando si erano sposati. La loro era una storia lunga e complicata, segnata indelebilmente dalla tragedia della morte del figlio. Il tradimento non era nelle sue corde. Non tanto per l’educazione tradizionale ricevuta dai genitori, ma per un suo modo di vedere la vita e i rapporti tra le persone. Però con Marzia era successo. Era successo e basta, come qualcosa di inevitabile e, forse, atteso troppo a lungo. Ora bisognava andare avanti, come sempre. Andare avanti, fino alla fine, con quella faccia un po’ così, la faccia di Gigi Sambuco.

    Uscì in strada e raggiunse la vecchia Citroën parcheggiata sullo spiazzo protetto dalla siepe del Motel di Bressana. Avviò il motore sulle note di Alle prese con una verde milonga di Paolo Conte, invocando

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