Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Lexy
Lexy
Lexy
E-book257 pagine3 ore

Lexy

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Fantasy - romanzo (211 pagine) - Un’avventura nell’Irlanda magica ed epica!


Lexy è una giovane strega dallo spirito irrequieto che, sebbene appartenga a una Congrega, non riesce veramente a farne parte. Scopre che le sue capacità magiche stanno evolvendo e mutando. Il suo destino s'incrocia con quello di Mike, un giovane ancora inconsapevole dei suoi poteri soprannaturali. I due sono legati dal destino e si incontrano nel momento in cui lo stregone Fenrir sta per sferrare un temibile attacco al mondo della Magia.

Lexy è un romanzo fantasy ambientato nell'Irlanda dei nostri giorni, ma che riprende caratteristiche del fantasy epico.


Giulia Bemporad è nata a Genova il 22 settembre 1983 e abita in un piccolo paese in provincia di Torino. Sposata, ha una bambina di nome Aurora. Ha conseguito una laurea triennale in Scienze Naturali e una laurea magistrale in Etologia. Dopo aver svolto diversi lavori in ambito scientifico-divulgativo, nel 2012 ha iniziato a insegnare matematica e scienze nelle scuole medie, conseguendo l'abilitazione nel 2015 e diventando, infine, docente di ruolo nel 2016.

Le sue passioni sono la natura, gli animali e ovviamente la scrittura. Racconti, diari, pensieri, lettere… soprattutto nei momenti difficili, lei scrive. Il suo genere preferito è il fantasy, perché, dice, permette di esplorare mondi immaginari, di volare con la fantasia in luoghi sconosciuti, elaborando contestualmente, in modo allegorico, temi sociali, riflessioni morali e risvolti psicologici.

LinguaItaliano
Data di uscita1 mar 2022
ISBN9788825419504
Lexy

Correlato a Lexy

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Lexy

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Lexy - Giulia Bemporad

    Prima parte

    Capitolo 1

    Era una giornata strana. Da quando si era svegliata quella mattina, Lexy aveva una sensazione che non sapeva bene identificare.

    In effetti quella sera non sarebbe stata come tutte le altre, era il 30 aprile: la notte di Valpurga. Eppure, non era questo a preoccuparla tanto, anzi le era sempre piaciuta molto questa festa. Conosceva i vari significati di questa speciale occasione e sapeva anche che le altre streghe della Congrega delle Artios la temevano. Nonostante questo, per lei era sempre stata un’occasione per usare la magia liberamente e l’atmosfera mistica che si respirava riusciva a darle un’energia e una carica che l'accompagnavano per giorni.

    Lexy ricontrollò la lista della spesa, aveva preso tutto. Si avvicinò alla cassa e aspettò pazientemente il suo turno. Cominciò a guardarsi intorno e fuori dalla vetrina incrociò gli occhi color nocciola di Finn. Il grosso cane la fissava intensamente mentre l’aspettava seduto vicino a un cespuglio.

    Il bel pelo nero e lungo risplendeva colpito da un debole raggio di sole, le orecchie erano dritte, attente e il suo sguardo non voleva distogliersi dagli occhi scuri di Lexy.

    Una fitta di dolore colpì Lexy alla testa, chiuse gli occhi a causa del male e vide il giovane volto di un ragazzo che le sorrideva, poi una luce e di nuovo l’oscurità…

    – Signorina, signorina – la cassiera la stava chiamando. – Si sente bene? – chiese.

    – Come? Sì sì benissimo grazie – rispose Lexy, ancora un po’ frastornata.

    – Allora è il suo turno. – La cassiera assunse un’aria un po’ scocciata e Lexy si sbrigò a pagare, doveva uscire immediatamente da lì.

    Finn le corse incontro scodinzolando, o meglio muovendo rapidamente il posteriore dato che non aveva praticamente la coda ma solo un abbozzo. Il bel muso tricolore del pastore australiano le sorrideva, cosa che inteneriva sempre Lexy, ma in quel momento era troppo confusa e preoccupata per accorgersene.

    Finn non le badò e continuò a seguirla mentre lei portava i sacchi della spesa a casa. Era una tipica giornata primaverile irlandese. Il sole cercava di fare capolino dalle nubi, ma presto quest’ultime avrebbero preso il sopravvento, faceva piuttosto caldo se non fosse stato per l’arietta fresca proveniente dall’oceano. Castletown era un paesino di pescatori di salmoni a ovest dell’Irlanda, Lexy era cresciuta qui e adorava il paese. Tutti la conoscevano ma in pochi sapevano realmente chi fosse.

    Continuò a camminare velocemente e finalmente arrivò a casa. Il piano terreno era adibito a piccola bottega. Lexy produceva e vendeva gioielli artigianali, soprattutto rappresentanti simboli celtici, al piano superiore invece vi era il suo piccolo ma accogliente appartamento.

    Salì le scale e cominciò a sistemare la spesa cercando di non badare a quello che era appena successo. Era stata una visione, una premonizione… cosa? Non riusciva a spiegarlo, lei non aveva capacità divinatorie, almeno fino a quel momento. Era pur vero che una strega non aveva poteri limitati, poteva riuscire a sviluppare diverse capacità ma era comunque propensa a sviluppare meglio solo alcune di queste, le altre doveva apprenderle nel tempo e con difficoltà.

    Mentre faceva di questi pensieri aprì l’armadio e tirò fuori il suo mantello blu scuro, non era totalmente stropicciato ma una bella stirata certo non gli avrebbe fatto male; tuttavia, decise di sistemarlo semplicemente su un attaccapanni e lasciarlo appeso fino a sera per la cerimonia.

    Era giunta l’ora di aprire il negozio, ma Lexy non riusciva a concentrarsi in quel momento, doveva uscire, andarsene da lì e riflettere.

    Finn continuava a osservarla accucciato sul piccolo divano rosso del salottino e quando la vide riprendere le chiavi e avvicinarsi all’uscita schizzò a terra pronto a seguirla.

    Uscì dal negozio e incontrò Martha, la proprietaria del vecchio pub del paese. – Lexy, tesoro non apri il negozio stamattina?

    – Buongiorno Martha, veramente no, devo fare delle commissioni– tagliò corto Lexy e prima che la corpulenta signora potesse ribattere la risalutò e si mise in marcia, Finn si attardò solo un attimo, Martha aveva sempre in serbo qualche biscottino per lui e anche quella volta non rimase deluso.

    S’incamminò per la strada che costeggiava il mare, le grosse imbarcazioni dei pescherecci riposavano silenziose sotto il cielo grigio, ormai totalmente ricoperto dalle nubi.

    Superò la fila di casette colorate e uscì dal paese, il mare spumeggiava contro gli scogli, decise di addentrarsi nell’entroterra e imboccò una stradina sterrata. Alcune pecore pascolavano e sonnecchiavano nella distesa di erba umida. Finn si fermò un attimo a osservarle e poi riprese a trotterellarle vicino.

    Arrivarono finalmente nei pressi di un piccolo lago, alle loro spalle due ruscelletti scendevano da una collinetta direttamente nello specchio d’acqua scura.

    Lexy prese posto su una grossa pietra e respirò profondamente, adorava quel posto. C’erano una pace e una serenità che provava raramente.

    Incominciò a giocherellare con i boccoli dei lunghi capelli ramati, come al solito quando era nervosa, mentre il grosso cane annusava allegramente per terra. I colori e la carnagione olivastra non erano tipicamente irlandesi, li aveva presi dalla madre, di origine portoricana, dal padre invece, nato e cresciuto a Castletown, aveva ereditato il naso piccolo e leggermente a punta e la bocca sottile.

    Ripensò ai suoi genitori, erano morti tre anni prima in un banale incidente d’auto e da allora aveva dovuto cavarsela da sola, o meglio era stata adottata dall’intera cittadina ma essendo da poco maggiorenne aveva deciso di finire gli studi e di dedicarsi alla sua passione che aveva fatto diventare una professione. Questo le dava anche modo di occuparsi maggiormente della magia e della sua Congrega che per lei era diventata una seconda casa.

    Mentre rifletteva continuando a torturarsi i capelli, Finn a un tratto smise di annusare e tirò su le orecchie all’erta.

    Lexy lo fissò intensamente. – Cosa c’è, Finn? – chiese guardandosi intorno. Alcuni cespugli cominciarono a muoversi e Lexy scattò in piedi con i muscoli tesi, mentre il cane continuava a fissare attentamente gli arbusti.

    Un verso famigliare seguì la comparsa di un bell’ermellino bianco come la neve, che si mise in piedi sulle zampe posteriori a osservare i due. – Eilis! Sei tu! Mi hai fatto paura – sbuffò Lexy rimettendosi a sedere sulla sua roccia, Finn abbaiò due volte e cominciò a invitare Eilis a giocare, la quale non se lo fece ripetere due volte e cominciò a correre facendo impazzire Finn nel tentativo di prenderla.

    – Buongiorno Ryana – disse con calma Lexy mentre osservava divertita i due animali. Ryana spuntò silenziosa e graziosa come sempre, i lunghi capelli biondi le scendevano lisci sulle spalle, ma non riuscivano a nascondere le tipiche orecchie a punta degli elfi. Indossava un leggero abito di seta verde corto in modo da lasciarle scoperte le lunghe gambe affusolate. Sulla fronte portava il gioiello che le aveva regalato Lexy, fatto apposta per lei: un triangolo di argento con incastonato una bella ametista che risaltava sulla fronte pallida con il suo tipico colore viola.

    – Buongiorno Lexy, come stai?

    – Benissimo, perché? – Lexy rispose troppo velocemente e Ryana la studiò con i suoi penetranti occhi azzurri che in quel momento tendevano quasi al grigio riflettendo le nubi del cielo. – Non mentirmi. Sembri piuttosto nervosa, ho percepito la tua preoccupazione. E poi stamattina non hai aperto il negozio a quanto vedo.

    Lexy alzò gli occhi al cielo, non poteva mai nascondere niente a Ryana, ormai avrebbe dovuto saperlo.

    Eilis saltò sulla spalla della giovane creatura elfica e si sistemò intorno al suo collo. Finn la fissava combattuto, lì non avrebbe certo potuto acchiapparla, abbaiò contrariato e Ryana sorrise appoggiandogli la mano delicatamente sulla testa, accarezzandolo in modo quasi impercettibile. Finn si calmò e andò ad accucciarsi ai piedi di Lexy, i giochi erano finiti.

    – Mi è successa una cosa strana stamattina. – Ryana aveva lasciato che Lexy si prendesse i suoi tempi e adesso aveva voglia di parlare.

    – È una cosa stupida, ma è accompagnata da una strana sensazione che non riesco a spiegarmi. – Ryana ascoltò attentamente il racconto di Lexy, lei le descrisse i particolari della sua visione.

    – Ho visto il volto di questo ragazzo, sembrava così reale, aveva un’aria simpatica ma subito dopo ho percepito qualcosa di oscuro e di terribile ho sentito come un brivido gelido salire su per la schiena, è durato solo un instante, ma è stato orribile.

    – Credi che la sensazione negativa sia collegata al ragazzo? – chiese con la sua voce chiara e limpida, sembrava quasi un canto, parlare con lei era sempre rilassante e rassicurante, in qualche modo fece già sentire meglio Lexy.

    – Non riesco a capire, non sembrava malvagio, il suo volto era allegro, positivo ma subito dopo… non so neanche perché mi sia apparsa questa immagine, io non sono pratica di visioni non ne ho mai avuta una, lo sai che non ho capacità divinatorie, per me è una cosa totalmente nuova.

    Ci fu un attimo di silenzio. Ryana sembrava riflettere e l’idea che adesso ci fosse qualcun altro a preoccuparsi per lei in qualche modo tranquillizzò Lexy, la quale prese a giocherellare con qualche filo d’erba.

    L’elfo guardò il lago per qualche istante, mentre l’ermellino dormicchiava tranquillo sul suo collo. – Oggi è la notte di Valpurga giusto? – chiese senza voltarsi verso Lexy, come se fosse ancora concentrata a riflettere. Lexy confermò.

    – Stasera le streghe di tutto il mondo festeggeranno, è una giornata in cui vi è un grande afflusso di magia, sia bianca che nera, non penso sia un caso che proprio oggi tu abbia avuto una capacità che non ti si è mai presentata finora. – Lexy annuì, a questo non aveva pensato.

    – Inoltre, mi hai detto che hai avuto la visione, e penso proprio che sia tale da come me la descrivi, mentre guardavi Finn e anche lui stava ricambiando il tuo sguardo attentamente, giusto? – Ryana si girò verso Lexy e lei annuì di nuovo, non voleva interromperla, desiderava che arrivasse velocemente al punto. Finalmente riprese: – Probabilmente la connessione con il tuo spirito protettivo ti ha aiutata ad averne una, non hai idea di quanto possa essere potente il legame magico che ognuno di noi ha con il proprio spirito protettivo – Ryana grattò l’orecchio di Eilis, la quale si accoccolò ancora di più.

    – Può farci avere capacità impensate e aiutarci a fare cose inaspettate, significa che il vostro legame si sta rafforzando sempre di più, è un buon segno.

    Lexy guardò Finn che dormicchiava vicino a lei e provò un grande moto di affetto verso di lui.

    – E cosa significa, secondo te? – chiese d’un tratto Lexy. L’amica scrollò le spalle.

    – Non ne ho idea, purtroppo, la visione è stata molto breve; magari potresti parlarne alla tua Congrega, potrebbe aiutarti ad avere una risposta.

    – Sì, potrei. – In realtà era dubbiosa, non sapeva se avrebbe voluto parlarne apertamente con la Congrega, decise tuttavia che ci avrebbe pensato più tardi. Parlare con Ryana l’aveva già aiutata molto e si sentiva meglio.

    Le due amiche rimasero ancora un poco a osservare il lago che stava diventando ancora più scuro, tra poco avrebbe cominciato a piovere. Lexy ringraziò e salutò Ryana, la quale contraccambiò e si allontanò in un soffio scomparendo dalla vista poco dopo.

    Lexy, con Finn sempre accanto, s’incamminò rapida verso il paese, mentre lentamente qualche goccia cominciava a cadere.

    Anche quel giorno Mike si era fermato a giocare a calcetto con i suoi amici finita la scuola. Era quasi l’ora di cena quando prese l’autobus che lo riportava verso casa. Il sole dell’Italia illuminava e riscaldava come se fosse già piena estate.

    Finalmente arrivò alla sua fermata e scese di corsa imboccando immediatamente la solita scorciatoia che attraversava un piccolo parco immerso nel verde, nel cuore della città. Cominciò a giocherellare con il suo telefonino quando un rumore attirò la sua attenzione, qualcosa si stava muovendo tra i rami di un albero. Si sentì stupido, dopotutto in un parco era normale che qualche uccello facesse muovere le fronde di un albero, eppure quei movimenti continuavano ad attirare la sua attenzione, se fosse stato un animale avrebbe dovuto essere comunque piuttosto grosso.

    Riguardò di sfuggita lo schermo del cellulare, erano le sette e mezzo, si stava facendo tardi, era meglio accelerare il passo.

    Sebbene non volesse farci troppo caso, Mike aveva l’impressione di essere osservato da qualcuno, o da qualcosa. Assorto in questi pensieri, non si rese nemmeno conto di essere arrivato sotto casa.

    Salì le scale di corsa, percorrendo gli scalini a due a due, aprì la porta di casa e urlò: – Sono arrivato!

    Senza aspettare risposta si buttò sotto la doccia e quando, finito di lavarsi, varcò la porta della cucina in calzoncini morbidi e maglietta bianca si rese conto che i suoi presentimenti erano fondati. Sua madre lo stava aspettando in piedi con aria arrabbiata e allo stesso tempo preoccupata.

    – Micheal, siediti dobbiamo parlare. – Lo aveva chiamato Micheal, il suo nome completo, non era un buon segno….

    – Non possiamo farlo dopo cena? Avrei una certa fame. – Nel dirlo Mike assunse un tono noncurante, ma in realtà voleva posticipare il più possibile il momento che temeva.

    Incrociò lo sguardo rigido di sua madre Claire e capì che non gli conveniva insistere con quel tono. Di solito era una donna molto dolce e paziente, ma non era saggio farla arrabbiare, non alzava mai la voce ma Mike sapeva che c’erano dei momenti in cui non bisognava discutere con lei, le bastava uno sguardo o un gesto e lui capiva. Questo era uno di quei momenti.

    – Siediti. – Il ragazzo obbedì e sua madre si accomodò vicino a lui, sospirò come a voler riunire le forze e le energie per affrontare il discorso.

    – Ho parlato con i tuoi professori stamattina Micheal. Sono molto preoccupati e anch’io. I tuoi voti non sono migliorati durante quest’ultimo quadrimestre e difficilmente riuscirai a recuperare tutte le insufficienze che hai preso, dopotutto manca poco più di un mese alla fine dell’anno scolastico. – Mike ascoltò senza interrompere, lo sguardo fisso sul tavolo di legno, non era certo sorpreso da quelle parole, conosceva bene i fatti, ma sentirseli dire col tono deluso e pacato di sua madre non era facile. Dopo una breve pausa Claire riprese: – Dicono tutti che sei un ragazzo intelligente e in gamba e io so che è così, eppure sei sempre distratto, non studi, te la sei cavata finora solo perché ti basta poco per ricordarti le cose, ma quest’anno è l’ultimo anno delle superiori. Non bastano una buona memoria e un po’ di inventiva, dovevi studiare sodo, cosa che per qualche motivo non hai avuto voglia di fare. – Sua madre cominciava a scaldarsi, aveva cercato di mantenere un tono tranquillo ma la frustrazione stava prendendo il sopravvento. Come a volerla scacciare via, si alzò di scatto e appoggiò le mani sul piano della cucina senza guardare più suo figlio. Odiava arrabbiarsi e ancora di più alzare la voce, Claire aspettò un attimo nel tentativo di calmarsi.

    Mike osservò sua madre, sembrava invecchiata di colpo. I lineamenti del viso erano tesi e marcati, i corti capelli rosso scuro che di solito le davano un’aria sbarazzina quel giorno sottolineavano ancora di più la sua stanchezza e il viso pallido. Disse qualche parola tra sé e sé nel suo tipico inglese dall’accento irlandese. Spesso parlava in inglese a suo figlio ma a volte preferiva sforzarsi di parlare in italiano anche con lui, anche per rispetto nei confronti di suo marito Stefano che tra poco sarebbe rientrato a casa.

    Quest’ultimo non tardò ad arrivare e nel farlo salutò allegramente, ma appena mise piede in cucina capì quale fosse l’argomento della conversazione. – Gliel’hai già detto? – chiese rivolto a Claire.

    – Non ancora, aspettavo te – rispose la donna.

    Mike, che fino a quel momento era rimasto in un mortificato silenzio, saltò in piedi con aria di sfida. – Detto cosa? Che sta succedendo?

    – Mike, calmati figliolo. Io e tua madre dobbiamo dirti una cosa, ma sappi che è solo per il tuo bene. – Il ragazzo scrutò sua madre negli occhi e questa cominciò a parlare con voce ferma: – Io e tuo padre pensiamo che questo posto non vada bene per te. Ci sono troppe distrazioni e tu non riesci a concentrarti come dovresti sullo studio. Molto probabilmente verrai bocciato quest’anno e noi pensiamo che sarebbe più saggio trasferirti per un po’ in un posto più tranquillo…

    – E dove sarebbe questo posto tranquillo? – Gli occhi verdi come la giada luccicavano di rabbia, l’aria spavalda e canzonatoria che aveva di solito sul volto lasciava il posto alla collera che gli saliva dentro. Conosceva la risposta alla sua domanda; eppure, voleva sentirlo dire esplicitamente.

    Sua madre riprese, cercando di mantenere un tono sicuro: – Da tuo nonno. In Irlanda, a Castletown. Prima che tu ti innervosisca devi capire che noi lo facciamo solo per il tuo bene, so che non conosci molto tuo nonno ma…

    – Non lo conosco molto? Non lo conosco proprio! L’ultima volta che l’ho visto avrò avuto, non so…cinque anni forse? Non ricordo niente di lui, so solo che vive in un posto dimenticato dal mondo dove piove in continuazione e dove non fanno altro che pescare salmoni dalla mattina alla sera! Come potete farmi questo? Va bene non sono andato bene a scuola quest’anno, il prossimo m’impegnerò di più, ma mandarmi via mi sembra eccessivo.

    – Mike lo facciamo solo per il tuo bene! Forse noi non siamo in grado di aiutarti come dovremmo, forse tuo nonno riuscirà a farlo meglio.

    – Ma per favore! E comunque sono maggiorenne non potete obbligarmi a fare niente! – Mike era furioso, non credeva alle sue orecchie e cominciò a percorrere la cucina con grandi falcate.

    – Non mancare di rispetto a tua madre! Ormai abbiamo deciso, partirai appena finita la scuola, tra qualche settimana. Così avrai il tempo di ambientarti e sarà anche un modo per migliorare un po’ il tuo inglese. – Stefano non era intervenuto fino a quel momento, ma sapeva quanto era stato difficile per Claire prendere quella decisione e voleva aiutarla e spalleggiarla il più possibile.

    – Il mio inglese è migliore di quello di tutti i ragazzi della mia età, sono solo scuse, in realtà volete mandarmi via per vivere più tranquilli, la realtà è che sono solo un peso per voi! Vero Stefano? Ah! Mamma, ancora una precisazione, lui non è mio padre.

    Mike si fermò a guardare Stefano per qualche istante, il ragazzo era molto più alto di lui come, del resto, di qualsiasi suo coetaneo.

    Poco dopo andò a rinchiudersi in camera sua sbattendo la porta, la rabbia gli aveva completamente chiuso lo stomaco. Era confuso e inorridito, avrebbe sprecato l’estate e tutto il resto dell’anno in un posto sperduto e isolato, dove non conosceva nessuno, meno che mai suo nonno. Non poteva crederci. Si passò una mano nei capelli biondo scuro, sbuffò e si sedette sul letto.

    La collera si mischiava a un senso di colpa per quello che aveva detto. Era vero, Stefano non era biologicamente suo padre, ma era tutto quello di più vicino a un padre che avesse mai conosciuto. L’aveva sempre allevato come se fosse suo figlio, ma lui non aveva mai voluto chiamarlo papà, anche se nutriva profondo affetto per lui. In ogni caso fino a quel momento non gli aveva mai rinfacciato di non essere suo

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1