Un legame speciale: Harmony Bianca
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In questa clinica davvero speciale, immersa nelle colline scozzesi, si curano le ferite del corpo e si guariscono i cuori solitari.
Il medico veterinario Aksel Olson non ha tempo per le storie d'amore: la figlia che ha appena scoperto di avere è la sua unica priorità! Ma l'entusiasmo e la vivacità contagiosa della sua vicina di casa, la fisioterapista Flora McNeth, iniziano a fare breccia nel suo cuore. Flora sta aiutando Aksel a connettersi con i bisogni della bambina e a diventare il padre che lei merita. Le giornate trascorse fianco a fianco non fanno che alimentare un'attrazione a cui entrambi trovano molto difficile resistere. È possibile che un flirt passeggero si trasformi in un nuovo, dolcissimo inizio?
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Anteprima del libro
Un legame speciale - Annie Claydon
successivo.
1
Da vicino sembrava ancora più...
Rustico, ma quel rustico sexy. Era più alto, più biondo e... più tutto. Una leggera barba gli copriva la mascella squadrata e aveva i capelli lunghi legati in un man bun alla base della nuca. Pur con i jeans sdruciti e la camicia casual aveva l'aspetto di un dio nordico. Flora McNeith dovette resistere alla tentazione di fargli un inchino, un saluto forse un tantino esagerato da riservare a un nuovo vicino di casa.
«Ciao. Sono Flora, abito qui accanto.» Fece un cenno verso il suo cottage, strattonando il guinzaglio di Dougal nel vano tentativo di farlo sedere per un momento. «Benvenuto.»
Lui sembrava sorpreso quando lei gli rifilò in mano un contenitore con una mezza dozzina di mince pie, le tradizionali tortine scozzesi ripiene, tipiche natalizie. Mancavano ancora più di tre settimane a Natale, ma le luci dell'albero della piazza in paese erano già state accese e, in ogni caso, per Flora da settembre in poi ogni momento era buono per le mince pie.
«È molto gentile da parte tua.» Aveva una voce profonda, come del resto il petto ampio dal quale proveniva lasciava supporre.
La fissò in silenzio. Qualsiasi divinità nordica fosse quell'Aksel Olson, la comunicazione e il linguaggio non erano proprio tra le sue doti.
«Lavoro all'Heatherglen Castle Clinic. Ho sentito che tua figlia Mette è una nostra paziente.» Forse, se si fosse aperta di più avrebbe ottenuto una reazione.
Un lampo gli attraversò gli occhi non appena sentì il nome di sua figlia. Un bagliore luccicante, come quello di un raggio di sole sul ghiaccio.
«Fai parte del team che si occuperà di lei?»
Giusto. Ad Aksel non interessava altro, ed era chiaro.
«No, io sono una fisioterapista. So che tua figlia è ipovedente...» Flora si morse la lingua. Non voleva pensasse che si fosse spettegolato su di lui, cosa che peraltro era in parte vera. Che il padre di Mette fosse un affascinante papà single aveva fatto il giro della clinica in un batter d'occhio. E ora che Flora lo vedeva, capiva bene perché le sue colleghe fossero tanto eccitate.
«Hai letto il memo?» Una nota ironica gli attraversò gli occhi.
«Sì.» Ogni volta che un nuovo paziente era ricoverato, veniva fatto girare un memo nel quale si presentava il nuovo arrivato alla comunità della clinica e si chiedeva a ogni membro dello staff di dare il benvenuto. Era solo una delle tante piccole cose che rendeva speciale quel posto.
«Vuoi un caffè?» le chiese lui, spostandosi dalla soglia di casa.
«Oh!» Le maniere brusche di Aksel rendevano quell'invito ancora più sincero. «Non dovrei... Dougal e io ci stiamo ancora abituando uno all'altra e non vorrei che si eccitasse troppo e ti mettesse la casa a soqquadro.»
Aksel, impassibile, si chinò di fronte al cucciolo di sole dieci settimane.
«Ehi, ciao, Dougal!»
Dougal sniffava il pavimento della veranda, agitando la coda animatamente. Sentendo il proprio nome, alzò la testa verso Aksel, drizzando le orecchie. Prese a girare su se stesso, come per mettere in mostra il suo manto rossiccio e Flora fece un passo, calpestando il suo guinzaglio in modo da evitare che vi si ingarbugliasse. Poi Dougal saltò addosso ad Aksel, annusandolo e leccandogli la mano, accordandogli immediatamente la sua amicizia. Aksel sorrise, grattandolo sulla testolina.
«Sono sicuro che sarà bravissimo. Perché non entri?»
Due frasi intere. E un improvviso calore negli occhi al quale era davvero difficile resistere.
«In tal caso... Grazie.» Flora varcò la soglia, strattonando dolcemente il guinzaglio di Dougal.
Lui le prese il cappotto, guardandosi attorno nell'ingresso come se fosse la prima volta che lo vedeva. Non c'era un attaccapanni, così andò verso la cucina e lo posò delicatamente sullo schienale di una delle sedie. Dopo di che, incominciò ad aprire uno dietro l'altro tutti gli armadietti del piccolo locale in cerca del bollitore, una delle poche cose che doveva essersi portato con sé.
Dougal si era ripreso dai suoi soliti primi due minuti di timidezza per essere in un posto nuovo e aveva ricominciato a tirare il guinzaglio. Aveva visto il labrador color cioccolato che sedeva nel suo giaciglio in un angolo della cucina e osservava placido la scena. Flora si chinò per salutarlo e invitarlo ad avvicinarsi.
«Kari. Gi Labb» ordinò Aksel. Il labrador si alzò dal suo giaciglio e trotterellò verso di loro, per poi sedersi e dare la zampa a Flora, prima di incominciare il rituale di conoscenza con Dougal.
«È molto bella.» Il labrador era dolce e incredibilmente educato. «È il cane di servizio di Mette?»
Aksel annuì. «Kari sta con me per un po', intanto che Mette si ambienta. Non è abituata ad avere un cane.»
«Parte del programma in clinica sarà proprio volto a insegnarle a lavorare con Kari. La porterai con te domani, quando andrai a trovarla?»
«Sì. Il centro di dog therapy ha bisogno di un aiuto la mattina, così avrò tutti i pomeriggi liberi per stare con Mette.»
«È bello che tu riesca a darle tutto il supporto di cui ha bisogno.»
Lui annuì, calmo. «Mette ha perso la vista in un incidente. Sua madre guidava ed è morta.»
Flora trattenne il respiro. I pettegolezzi su di lui non avevano incluso quel tragico dettaglio. «Mi dispiace tanto. Dev'essere stata dura per tutti e due.»
«Per Mette sì. Lisle ed io eravamo separati da qualche anno.»
Non doveva essere stato facile comunque... Ma dal bagliore nei suoi occhi d'acciaio, era chiaro che Aksel non avesse voglia di parlarne. Meglio cambiare argomento.
Kari in qualche modo era riuscita a calmare l'esuberanza di Dougal e Flora si chinò per liberarlo del guinzaglio. Non appena lo fece, Dougal prese a correre verso Aksel, gettandoglisi contro le caviglie. L'uomo sorrise e si chinò per acchiappare il cagnolino. Le sue parole dolci riuscirono subito a calmarlo.
«Scusa... ce l'ho solo da un paio di giorni, è di Esme Ross-Wylde, la sorella del Laird Charles.» Aksel doveva aver già conosciuto Esme se lavorava al centro di dog therapy. «È un cane da soccorso ed Esme sta cercando di trovargli una casa.»
«E perché non lo prendi tu?» Gli intensi occhi blu di Aksel si spostarono su di lei e a Flora mancò il respiro.
«No... no. Mi piacerebbe, ma...» Flora si era innamorata di quel cucciolo quasi a prima vista. Era malnutrito e aveva paura della sua ombra quando lo avevano trovato, ma non appena si erano presi cura di lui, era emerso il suo carattere docile. Le strane striature sul suo manto e le sue orecchie buffe avevano poi conquistato Flora.
«Non sarebbe giusto lasciarlo solo tutto il giorno mentre sei al lavoro» osservò Aksel, centrando il punto.
«Esatto. Lo lascio al centro di dog therapy e loro lo tengono di giorno, ma è una soluzione temporanea. Dougal è stato abbandonato e tende ad andare nel panico quando si ritrova da solo.»
Aksel annuì. Disse qualche parola a Kari, che Flora non capì, e il labrador andò a prendere una pallina dalla sua cesta e la lasciò cadere davanti a Dougal. Questi rispose allo stimolo e incominciò a spingerla in giro per la stanza, eccitato, mentre l'altro cane lo seguiva e giocava con lui.
Aksel ricominciò a rovistare tra gli armadietti della cucina, alla ricerca di una teglia per scaldare le mince pie. Nel frattempo tolse il bollitore dal fuoco e vi versò un misurino di caffè, direttamente all'interno. Quella era una novità per Flora e combaciava perfettamente con l'idea che si era fatta di lui come montanaro.
«Ho sentito che sei un esploratore.» Qualcuno doveva pur rompere il ghiaccio e Flora era sicura che Aksel non avrebbe mai fatto il primo passo in quella direzione.
Lui, in tutta risposta, sollevò un sopracciglio.
«È scritto nel memo.»
«Lo ero.» La precisazione sembrava una cosa importante per lui. «Sono un veterinario adesso.»
«Non ho mai incontrato un ex esploratore prima. Dove sei stato di bello?»
«Soprattutto in Sud America. Il Polo...»
Flora rabbrividì. «Il Polo? Nord o Sud?»
«Entrambi.»
Quello spiegava perché lo aveva visto uscire così presto quella mattina, attraversare la strada e incamminarsi nei campi con la neve al ginocchio con l'aria di uno che si stava godendo una bella passeggiata. E anche perché Aksel sembrava completamente a suo agio in maniche di camicia quando Flora aveva freddo anche in casa, avvolta nel suo maglione più pesante.
«Sei abituato al freddo.»
Aksel sorrise all'improvviso. «Andiamo a sederci in soggiorno.»
Versò il caffè, prese le tortine dal forno e la guidò verso il salotto. Aprendo la porta, Flora fu invasa da una piacevole ondata di calore e da un intenso profumo di legno di pino.
La stanza era simile alla cucina: confortevole, anche se sembrava che la presenza di Aksel non avesse ancora lasciato alcun segno di sé neanche lì, a eccezione del misto di legna di pino che bruciava nel focolare.
Kari arrivò e posò la sua pallina davanti al camino, con Dougal che la seguiva scodinzolando con entusiasmo.
«Avrà caldo qui. Forse dovrei togliergli il cappottino.» Flora non poté fare a meno di sorridere dicendo quelle parole. Sapeva che non sarebbe stata un'impresa semplice. E infatti non appena capì le sue intenzioni, il cucciolo decise che era arrivato il momento di giocare ad acchiapparello. Quando lei si inginocchiò per cercare di prenderlo, lui corse sotto il tavolino del salotto e prese ad abbaiare giocoso, schizzando via per rifugiarsi sotto la poltrona.
Lei lo seguì, lanciando ad Aksel un'occhiata di scuse. Il sorriso divertito che le rivolse non aiutò.
«Per lui è un gioco. E tu seguendolo non stai facendo altro che rinforzare la sua convinzione. Vieni a bere il caffè, uscirà da solo.»
Giusto. Il caffè. Flora non aveva fatto altro che rimandare il momento in cui si sarebbe dovuta sedere e assaggiarlo. Ma Aksel aveva ragione.
«È... buono.» Lo era davvero. Leggermente più dolce di quanto fosse abituata, ma dal sapore deciso. Non se l'aspettava.
«È una tostatura leggera. È un metodo tradizionale norvegese di fare il caffè.»
«Il modo migliore per berlo anche in viaggio, immagino.» Una buona tazza di caffè ottenuta senza la necessità di filtri o caffettiere. Flora ne prese un altro sorso e lo trovò ancora più buono del precedente.
«Già. Solo che non viaggio più.» Sembrava deciso a sottolineare quel punto, ma le parve di intercettare una nota di rimpianto nella sua voce. Avrebbe voluto indagare, ma Dougal decise di uscire dal suo nascondiglio proprio in quel momento e di rifugiarsi tra le gambe di Aksel.
Lui si sporse in avanti, prese in braccio il cagnolino e gli parlò in norvegese. Dougal sembrava capire le sue intenzioni, anche se Flora non aveva idea di cosa gli stesse dicendo. Aksel nel frattempo era riuscito a togliergli il cappottino senza che lui opponesse resistenza.
«Funziona» gli disse con un sorriso. Lui annuì e rimise a terra il cucciolo così che potesse raggiungere Kari vicino al camino.
«Non sei scozzese, vero?» le chiese, con un mezzo sorriso. «Il tuo accento sembra più inglese.»
Aveva buon orecchio. Non tutti riuscivano a riconoscere gli accenti stranieri.
«Mio padre è un diplomatico e io ho frequentato una scuola inglese in Italia. Ma i miei sono scozzesi. Mio padre viene da un paesino qui vicino, e a Cluchlochry mi sento a casa.»
Lui annuì. «Raccontami della clinica.»
«Di sicuro il dottor Sinclair ti avrà già detto tutto quello che devi sapere...»
«Sì.» Aksel le lanciò un'occhiata decisa, e Flora comprese. Era chiaro che voleva parlare del posto che sarebbe stato la casa di Mette per le successive sei settimane. Aksel sarà stato anche affascinante – uno schianto, per la verità – e lei avrebbe voluto conoscerlo meglio, ma di fatto l'unica cosa che loro due avevano in comune era la clinica.
La prima cosa che Aksel aveva notato di Flora era il suo cappotto rosso nella luce fioca di quel freddo sabato mattina. La seconda, la terza e la quarta erano arrivate in una rapida successione che gli aveva tolto il fiato. I ricci che le contornavano il viso. Il calore nei suoi grandi occhi marroni. Il sorriso. La sensazione alla bocca dello stomaco che aveva provato nel momento in cui si era accorto che quel sorriso gli piaceva.
Era più che sufficiente per convincerlo a tenersi a distanza. Aveva sempre pensato che uscire con una donna fosse un privilegio, e adesso era un privilegio che lui era convinto di aver perso. Lisle gli aveva fatto capire chiaramente che non lo reputava degno quando aveva deciso di non dirgli che insieme avevano concepito una bambina. Ma non appena lo aveva scoperto, Mette era diventata la sua unica e sola priorità.
Quando aveva capito che Flora