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Un desiderio che ritorna: Harmony Collezione
Un desiderio che ritorna: Harmony Collezione
Un desiderio che ritorna: Harmony Collezione
E-book165 pagine2 ore

Un desiderio che ritorna: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Una travolgente storia d'amore e un bruciante tradimento...
L'ultima cosa che Eliza Lincoln si aspettava era di trovare Leo Valente di fronte alla porta di casa sua. Quattro anni dopo la fine della loro avventura. Leo era stato per lei una ventata di libertà in un momento difficile della sua vita, ma quando lui aveva scoperto il suo segreto tutto era finito così come era cominciato.
Lui ora non è lì per riannodare i fili della loro relazione, ma per farle una proposta che lei non può rifiutare. Eliza però non è certa di voler correre il rischio di stare ancora accanto all'uomo che ha desiderato di più in tutta la sua vita.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2020
ISBN9788830517202
Un desiderio che ritorna: Harmony Collezione
Autore

Melanie Milburne

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Un desiderio che ritorna - Melanie Milburne

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    His Final Bargain

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2013 Melanie Milburne

    Traduzione di Raffaella Perino

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-720-2

    1

    Eliza aveva atteso quella riunione con ansia e preoccupazione per diverse settimane. Prese posto con gli altri quattro insegnanti nell’aula docenti e si preparò all’annuncio della preside.

    «Stiamo chiudendo.»

    Le parole piombarono nella stanza come la lama di una ghigliottina. Il silenzio che seguì echeggiava con un comune senso di disperazione e panico. Eliza pensò agli alunni della scuola elementare e alle loro situazioni familiari difficili, così simili a quelle vissute da lei. Aveva lavorato duramente per farli arrivare dov’erano... cosa sarebbe successo se avessero chiuso la piccola scuola del loro quartiere?

    Avevano già così tanti problemi! Non sarebbero sopravvissuti nel sovraffollato sistema scolastico tradizionale. Si sarebbero persi, proprio come era successo ai loro genitori e ai loro nonni.

    Come era quasi successo a lei stessa.

    Il tremendo ripetersi di povertà e negligenza sarebbe continuato. Le loro vite, quelle piccole vite che avevano così tante potenzialità, sarebbero state fuorviate, rovinate, e probabilmente distrutte dalla delinquenza e dal crimine.

    «Non c’è niente che possiamo fare per proseguire almeno un po’?» domandò Georgie Brant, l’insegnante del terzo anno. «Che ne dite se organizzassimo un’altra vendita di torte, o una fiera?»

    La preside, Marcia Gordon, scosse tristemente la testa.

    «Temo che nessuna torta e biscotti potrebbero tenerci a galla. Abbiamo bisogno di un’ingente immissione di fondi entro la fine del quadrimestre.»

    «Ma manca solo una settimana!» esclamò Eliza.

    Marcia sospirò.

    «Lo so. Mi spiace, ma le cose stanno così. Abbiamo cercato di contenere le spese, tuttavia con questa crisi economica è sempre più difficile. Non abbiamo altra scelta che chiudere prima di accumulare altri debiti.»

    «E se alcuni di noi si riducessero lo stipendio o lavorassero gratis?» suggerì Eliza. «Io potrei sopravvivere senza guadagnare per un mese o due.» Più a lungo la cosa sarebbe diventata insostenibile, ma non poteva tirarsi indietro senza provare. Doveva esistere una soluzione, qualcuno a cui chiedere aiuto, magari un ente benefico o una sovvenzione statale.

    Doveva pur esserci una soluzione, una qualsiasi!

    Prima che Eliza potesse pronunciare quelle parole Georgie si chinò in avanti sulla sedia e propose la sua stessa idea. «Non potremmo chiedere un sostegno pubblico? Vi ricordate quanta attenzione suscitammo l’anno scorso, quando Lizzie ricevette il premio per l’insegnamento? Forse potremmo scrivere un altro articolo di giornale che mostri quello che offriamo ai bambini disagiati. Magari qualche filantropo disgustosamente ricco si farà avanti e offrirà una donazione.» Alzò gli occhi al cielo e si accasciò, avvilita, sulla sedia. «Naturalmente sarebbe utile se qualcuno di noi conoscesse già il riccone in questione.»

    Eliza sedeva immobile al suo posto. Un brivido sottile passò sulla sua pelle come un soffio di aria fresca. Ogni volta che pensava a Leo Valente il suo corpo reagiva come se lui fosse presente nella stessa stanza. Il cuore accelerò i battiti quando le tornarono in mente i suoi bei lineamenti...

    «Tu conosci qualcuno, Lizzie?» le chiese Georgie, voltandosi verso di lei.

    «Mmh... no» rispose Eliza. «Non frequento quell’ambiente.» Non più.

    Marcia giocherellò un po’ con la penna, con espressione pensierosa. «Suppongo che provare non costi nulla: farò un comunicato stampa. Se riuscissimo a rimanere aperti almeno fino a Natale, sarebbe già un passo avanti.» Si alzò e raccolse i documenti dal tavolo. «Spedirò le lettere ai genitori con la posta di domani.» Sospirò di nuovo. «Se qualcuno di voi crede nei miracoli, questo è il momento buono per pregare.»

    Eliza vide l’auto non appena svoltò l’angolo della sua strada. Si aggirava lentamente, come una pantera a caccia, con i fari alogeni che brillavano simili agli occhi di un felino. Era troppo buio all’interno della vettura per distinguere il guidatore, ma capì subito che si trattava di un uomo.

    Stava cercando proprio lei.

    Un brivido rivelatore la attraversò come la mano di un fantasma mentre l’autista parcheggiava la Mercedes nuova di zecca nell’unico posto disponibile fuori da casa sua.

    Il fiato le si bloccò in gola quando un’alta figura ben vestita e con i capelli scuri scese dall’auto.

    Trovarsi di fronte Leo Valente per la prima volta dopo quattro anni la lasciò disorientata e in preda al panico, e perfino le sue gambe vacillarono come se il pavimento sotto di lei si fosse trasformato improvvisamente in gelatina.

    Perché era lì? Cosa voleva? Come l’aveva trovata?

    Eliza tentò di recuperare l’equilibrio mentre lui le andava incontro sul marciapiede. Aveva lo stomaco in subbuglio, la fronte imperlata di sudore.

    «Leo» disse, stupendosi di trovare la voce per parlare.

    Lui chinò la bella testa bruna in un saluto formale. «Buonasera.»

    Eliza deglutì velocemente, cercando di non farlo notare. La voce di lui, con quell’accento italiano così sexy, le aveva sempre fatto effetto.

    Il suo aspetto era letale... alto, asciutto e straordinariamente bello, con occhi di un marrone così scuro da sembrare quasi neri. I tratti del viso erano quelli di un uomo abituato a fare a modo suo: la linea cesellata della mascella e quella decisa della bocca lasciavano intendere che non era abituato ad accettare compromessi.

    Appariva più vecchio di quando lo aveva visto l’ultima volta. Eliza notò che i capelli corvini mostravano tracce argentate sulle tempie, e sospettò che le sottili rughe ai lati della bocca e intorno agli occhi non fossero dovute a troppi sorrisi o a risate.

    «Ciao...» mormorò, pentendosi subito di non aver detto qualcosa di più formale. Non si erano lasciati in modo amichevole, anzi, esattamente il contrario.

    «Vorrei parlarti in privato.» Leo fece un cenno con la testa verso il suo appartamento al piano terra, con uno sguardo determinato, affilato come una lama. «Possiamo entrare?»

    Eliza indugiò. «A dir la verità sono... molto impegnata.»

    Gli occhi di Leo divennero ancora più duri, come se avesse capito che era una scusa. «Non ruberò più di cinque, dieci minuti del tuo tempo.»

    Eliza sostenne il suo sguardo più a lungo che poté, ma alla fine cedette per prima. «Va bene» sospirò. «Non più di cinque minuti.»

    Si incamminò lungo il sentiero crepato e disconnesso verso la porta, consapevole della presenza di Leo alle sue spalle. Cercò di non fare nessun pasticcio con le chiavi, ma il modo in cui le tintinnavano tra le dita tradiva il nervosismo. Alla fine riuscì ad aprire la porta ed entrò, sentendosi in imbarazzo per la semplicità del suo appartamento, così modesto in confronto alla villa a Positano di Leo. Non le era difficile immaginare cosa stesse pensando in quel momento... Come ha potuto accontentarsi di questo invece di ciò che le offrivo io?

    Quando varcò la soglia, Eliza si voltò a guardarlo. Si era dovuto chinare per poter entrare, le ampie spalle occupavano quasi interamente lo stretto ingresso. Si guardava intorno con occhio critico. Si stava forse chiedendo se il soffitto gli sarebbe crollato addosso?

    «Da quanto tempo vivi qui?»

    Eliza sollevò il mento di mezzo centimetro con un moto d’orgoglio. «Quattro anni» dichiarò.

    «Sei in affitto?»

    Eliza digrignò i denti. Lo stava facendo di proposito? Le stava forse ricordando tutto quello che aveva gettato via quando aveva rifiutato la sua proposta di matrimonio? Di certo sapeva che lei non poteva permettersi di acquistare una casa in quella zona di Londra, in nessuna zona di Londra, a dir la verità... E ora con il problema del lavoro rischiava perfino di non essere in grado di pagare l’affitto.

    «Sto risparmiando per un posto tutto mio» annunciò, mentre appoggiava la borsa sul piccolo tavolino dell’ingresso.

    «Ti potrei aiutare io.»

    Eliza studiò la sua espressione, ma era difficile decifrare cosa si celasse dietro i suoi occhi scuri.

    Si inumidì velocemente le labbra, cercando di apparire naturale nonostante l’ansia.

    «Non sono sicura di cosa mi stai proponendo» commentò. «Ma, giusto per la cronaca, non sono interessata.»

    Gli occhi di Leo duellarono nuovamente con i suoi. «C’è qualche posto in cui possiamo parlare o dobbiamo rimanere nell’ingresso?»

    Eliza esitò mentre considerava in tutta fretta la condizione del minuscolo soggiorno. Il giorno prima aveva frugato tra le riviste per trovare quella che il giornalaio le aveva consigliato per dei lavoretti con la sua classe. Aveva riposto quella rivista di pettegolezzi che stava leggendo? Leo era stato fotografato a un evento di beneficenza a Roma. La rivista era di un paio di settimane prima ma era l’unica volta in cui aveva letto qualcosa che lo riguardava. Leo aveva sempre protetto la sua vita privata, e vedere la foto poco dopo la riunione della scuola l’aveva profondamente sconvolta.

    Aveva fissato a lungo l’immagine, domandandosi se la sua apparizione improvvisa fosse solo una coincidenza.

    «Certo» rispose Eliza. «Da questa parte.»

    Se poco prima l’ingresso era apparso angusto, la presenza di Leo faceva sembrare il salotto come quello di una casa lillipuziana. Eliza fece una smorfia quando lui urtò l’economico lampadario che pendeva dal soffitto.

    «È meglio che ti sieda» suggerì, chiudendo furtivamente la rivista e nascondendola sotto alle altre. «Accomodati sul divano.»

    «Tu dove ti siedi?» chiese Leo, aggrottando un sopracciglio.

    «Prenderò una sedia dalla cucina.»

    «Vado io, puoi sedere tu sul divano.»

    Eliza avrebbe obiettato se solo le sue gambe fossero state più affidabili. Si sedette sul divano e appoggiò le mani sulle cosce, per fermarne il tremore.

    Leo sistemò la sedia nel piccolo spazio di fronte al divano e si sedette in quel modo autorevole che lo contraddistingueva, con le mani posate sulle cosce divaricate.

    Eliza aspettò che parlasse. Il silenzio sembrava interminabile mentre lui sedeva tranquillo e la esaminava con il solito sguardo imperscrutabile.

    «Non porti la fede» dichiarò poi.

    «No...» Eliza chiuse le mani sul grembo, con le guance roventi come se fosse seduta troppo vicino a un caminetto.

    «Ma sei sempre fidanzata.»

    Eliza sfiorò con le dita la sommità del suo solitario. «Sì... sì, sono ancora fidanzata.»

    Gli occhi di lui si infiammarono di risentimento e di astio.

    «È un fidanzamento piuttosto lungo, non ti sembra? Sono stupito che il tuo fidanzato sia così paziente.»

    Eliza pensò al povero Ewan, bloccato su quella sedia con lo sguardo vacuo, giorno dopo giorno, anno dopo anno, in tutto e per tutto dipendente dagli altri. Sì, paziente era la parola che definiva al meglio Ewan. «Gli va bene così, è soddisfatto della situazione.»

    «E tu?» le chiese Leo con uno sguardo così pungente che sembrò trafiggerla. «Sei soddisfatta?»

    Eliza si costrinse a reggere il suo sguardo penetrante. Sarebbe stato in grado di intuire quanto fosse sola e triste, di come si sentisse in trappola?

    «Sono molto felice» dichiarò, tenendo rigidamente sotto controllo l’espressione.

    «Lui vive con te?»

    «No, ha una sistemazione sua.»

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