La bellezza, la filosofia e il Möbius strip
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Anteprima del libro
La bellezza, la filosofia e il Möbius strip - Giacinto Plescia
Cap. 1
Il bello e il sublime
• La natura e l’angoscia
La notte è sublime ma il giorno è bello, poiché ciò che suscita terrore, non sempre lo troviamo sublime e, al contrario, mostriamo avversione di fronte a ciò che ci riempie di timore.
Il sublime è intimamente connesso con la paura e l’angoscia che sorgono di fronte all’essere infinito, alle altezze imprevedibili: l’oceano, le grandi figure della natura o il genius nella creazione fisica.
Il sublime è ciò la cui rappresentazione ci incute terrore e timore: altezze, solitudini profonde e, in esse, il luogo di soggiorno terrificante e solitario degli anacoreti.
Alcune cose sublimi possono suscitare un sacro terrore: un mostruoso castello le cui rovine ci mostrano l’antichità, moti dell’animo provocati da tragedie, rappresentazioni poetiche, oggetti naturali, giudizi estetici della riflessione.
Non sempre vi è una coincidenza fra il terrore e il sorgere in noi dell’idea di sublime a testimonianza che, spesso, nei confronti di ciò che suscita terrore, assumiamo un atteggiamento di ripulsa.
La paura, viene sospinta indietro e moderata dalla considerazione della propria sicurezza, e dell’impulso a pensare che è troppo grande per le capacità di comprensione.
• Il gegenstand e l’abgrund. L’assenza di una comparazione
Il sentimento del sublime consiste nella possibilità di pensare un oggetto, gegenstand, che per grandezza supera qualsiasi misura sensibile. Per il sublime, non si dispone di una denominazione atta a caratterizzarlo: una comparazione ci conduce ben al di là della misura abituale delle grandezze e l’immaginazione subisce, alla vista di esso, un’estensione tale che la misura abituale non è più sufficiente a comprendere l’oggetto, gegenstand.
Il sublime scaturisce dalla scoperta di un abisso, abgrund, che si estende oltre i confini dei sensi: il sublime quale rappresentazione, destinazione o disposizione ad estendersi fino a superare ogni misura dei sensi.
L’assolutamente grande non è il risultato di un paragone o una comparazione spaziale.
• Il sentimento del sublime
Il sentimento del sublime si fonda sulla tendenza alla propria conservazione e sul timore, su di un dolore.
Il dolore, poiché non arriva dallo sconcerto reale delle parti del corpo, produce dei movimenti capaci di suscitare emozioni piacevoli, non un vero piacere, ma una specie di orrore piacevole, una certa calma mista allo spavento.
Il rilassamento delle fibre del corpo, e quindi, un intenerimento, una dissoluzione, un illanguidimento, un soggiacere, uno struggersi dal piacere: il sentimento della bellezza o del sublime può esser suscitato dall’immaginazione congiunta con l’intelletto, ma anche con quelli in cui la causa determinante è una sensazione.
Migliore sublime è ciò in cui l’immaginazione viene a tal punto estesa dall’oggetto, che la misura usuale non è più sufficiente a comprenderlo.
• Il giudizio estetico
Ma se il piacere, per un oggetto, si fa dipendere del tutto dal fatto che questo diletta, per via di attrattive od emozioni, non si può esigere da nessun altro il consenso nel giudizio estetico: perché, allora, ciascuno consulta il suo sentimento particolare, cessa anche interamente ogni disputa.
L’universalità empirica e non necessaria del giudizio estetico, cui conduce la definizione del sublime come attrattiva e commozione, vengono elevate a precetto
, in accordo con la metodologia empiristica che, dall’osservazione di come si giudica di fatto, ricava le norme su come si deve giudicare il sentimento immediato del ben-essere cui sottoporremmo il piacere o un dispiacere: piacere disinteressato, contrapposizione fra attrattiva e bellezza, coincide con quel piacere che l’anima ricava dalla contemplazione della bellezza o del desiderio.
• Le rappresentazioni
Il desiderio, mira al possesso della cosa che di per sé non è bella per l’anima, ma le procura piacere, per motivi del tutto diversi, a prescindere dall’attrattiva e dalla commozione nella spiegazione del piacere disinteressato: il sublime ci libera, attraverso il nesso con il sentimento etico del rispetto, dai moventi sensibili e allontana da ogni commistione con qualsivoglia interesse dei sensi.
Tutte le rappresentazioni, siano esse oggettivamente sensibili o intellettuali, possono essere soggettivamente congiunte col piacere e col dolore.
• La corporeità in Epicuro
Il sublime ad una tensione
delle fibre del corpo, può esser suscitato dall’immaginazione congiunta con l’intelletto, ma anche con quelli in cui la causa determinante è una sensazione.
Ricondurre il sublime al rilassamento e alla tensione delle fibre del corpo e nel farli consistere in essi, quindi in sentimenti di natura sottesa, è la tesi, che risale ad Epicuro, della corporeità.
Così pure, come affermava Epicuro, il piacere e il dolore sono sempre corporei anche se provengono dall’immaginazione o da rappresentazioni intellettuali.
Tra ciò che piace semplicemente nel giudizio e ciò che diletta piace nella sensazione, vi è, spesso, una differenza essenziale.
Il diletto pare che consista sempre in un sentimento dello svolgimento, e quindi anche del benessere corporeo, cioè della salute. Sicché Epicuro, che considerava ogni diletto come, in fondo, una sensazione corporea, in ciò non aveva torto e s’ingannava, soltanto, quando poneva tra i diletti il piacere intellettuale e il pratico.
• Kant interprete di Epicuro
Kant legge nel principio epicureo non tanto quello che il suo autore vi ha detto, quanto quello che, a suo avviso, egli vi ha voluto dire. La novità de La Critica del Giudizio
di Kant consiste nell’avere stabilito una connessione con il principio epicureo, secondo il quale piacere e dolore hanno una connotazione corporea.
Kant pensa ad Epicuro, nella riconduzione del piacere e del dolore, al legame fra la mente ed il corpo.
Epicuro ha ragione ad asserire che il piacere, quale che ne sia l’origine, è sempre identico a sé stesso, e che non è possibile stabilire una differenza qualitativa fra i diversi tipi di piacere.
Cap. 2
Le parole e l’immagine
• L’oggetto e la parola
Quando si legge che Vulcano forgia la saetta di Giove mescolando fulmine, grandine e tuono e fitte tenebre, qui le semplici parole suscitano commozione: Tres imbris torti radios, tres nubis aquosae/ addiderant; rutili tres ignis et alitis austri;/fulgores nunc terrificos, sonitumque, metumque/miscebant operi/flammisque sequacibus iras
.
E’ l’oggetto, l’immagine di esso oppure sono le parole con le quali si esprime, senza riferimento all’immagine, a produrre un sentimento? Anche le parole, possono produrre sensazioni