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Vite sospese
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E-book177 pagine2 ore

Vite sospese

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Info su questo ebook

Mario, giovane giornalista freelance, sbarca il lunario tra ripetizioni e qualche articolo per la stampa locale e nazionale; la sua passione vera, però, quelle che lui definisce le cose d’altri tempi, lo porta a partecipare – da squattrinato – ad aste di vario genere, con la speranza di riuscire a portare via con sé qualche oggetto per lui importante. È proprio in una giornata fortunata che, all’asta organizzata da alcuni eredi per pagare i debiti della zia defunta con i beni lasciati loro in eredità, si aggiudica – complice un prezzo d’asta alla sua portata – un piccolo quadro che ritrae una donna nell’arte del ricamo, unitamente a una piccola vecchia valigia. Con questo moto di curiosità per l’insolita abbinata, Mario entra in possesso di uno scritto della defunta che disvela l’inizio di un segreto gelosamente custodito e che per Mario rappresenta, forse, l’opportunità che aspetta da una vita. Con questo suo meta-romanzo, Elio Sabia ci regala una storia, dentro una storia, racchiusa in un’altra storia, un avvincente romanzo-scatola cinese che ci delizia ad ogni pagina, uno scorrere delle pagine che non può fermarsi, complice una scrittura piacevole e coinvolgente.

Elio Sabia, nato a Napoli, città in cui vive, fisico e ricercatore di professione è autore di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali e di libri specialistici di fisica e matematica. In età matura si dedica alla scrittura di romanzi, dopo anni di idee appena abbozzate, coniugando la passione per la scienza a quella della narrativa, realizzando così un suo desiderio giovanile che era stato accantonato per le sue intense attività di ricerca scientifica. Nel 2017 pubblica il suo romanzo d’esordio, L’incoscienza del tempo (Edizioni DrawUp, 2017), un thriller dal sapore esoterico che è anche un racconto d’amore. Nel 2021 segue Initium (Edizioni DrawUp, 2021), un romanzo fantasy-thriller. 
Con Vite sospese, primo romanzo con Europa Edizioni, l’autore cambia registro e si cimenta in  un romanzo di formazione in cui le vicende storiche fanno da sfondo a una trama fitta di avvenimenti in cui si inseriscono, intrecciandosi, le vite dei personaggi.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2022
ISBN9791220124638
Vite sospese

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    Anteprima del libro

    Vite sospese - Elio Sabia

    Prologo

    Mario, giovane giornalista freelance, scriveva ogni tanto un articolo di cronaca per conto di qualche giornale secondario, a volte riusciva a farsi passare qualche pezzo anche su Il Mattino di Napoli, ma gli succedeva raramente. Si arrangiava dando alcune lezioni private, qualche supplenza breve a scuola. Aveva la passione per le cose d’altri tempi e spesso partecipava alle aste per rendersi conto di che cosa offrisse il mercato in quel determinato periodo. Squattrinato, la sua partecipazione era sempre passiva, mai aveva provato a inserirsi nella gara al rialzo per quella tale opera messa all’asta. Quel giorno forse era il suo giorno fortunato. Si recò in tarda mattinata nella sede dove si tenevano le vendite all’asta e venne a sapere che il giorno successivo sarebbero arrivati oggetti provenienti da una casa prestigiosa della Riviera di Chiaia che affacciava sul lungomare di Napoli. La proprietaria, che non aveva figli, era deceduta da qualche mese e aveva lasciato ai nipoti il prestigioso appartamento unitamente a un considerevole debito. I nipoti avevano quindi deciso di accettare l’eredità e, per far fronte ai debiti residui, avevano messo all’asta tutti i mobili e gli oggetti che erano presenti nella casa.

    Il giorno successivo verso le diciassette si presentò all’apertura della gara, con la piccola speranza di riuscire finalmente a strappare qualcosa. Dopo aver dovuto sopportare l’aggiudicazione di alcuni dipinti di macchiaioli napoletani di fine Ottocento a un signore che parlava un italiano stentato, a cifre che per lui erano considerate esorbitanti anche per un benestante, finalmente pensò che fosse giunto probabilmente il suo turno. Il battitore stava mostrando un piccolo quadro che ritraeva una donna nell’arte del ricamo, unitamente a una piccola vecchia valigia. Strano abbinamento, pensò Mario il giornalista. La cosa lo incuriosiva. Prezzo d’asta del lotto: cento euro. Mario alzò la mano, in sala nessuno pareva interessato ai due oggetti, e comprese che forse ci sarebbe riuscito finalmente.

    «Cento euro e uno, nessuno offre di più?» silenzio in sala.

    «Cento euro e due» pausa di una decina di secondi durante i quali il cuore di Mario cominciò a palpitare con insistenza.

    «Cento euro e tre, aggiudicato. Venga signore al banco, grazie e complimenti per l’acquisto» aggiunse.

    Mario, felice del successo ottenuto, si avvicinò al banco per pagare e ritirare l’acquisto esagerato che aveva fatto. Nel passare nel corridoio lungo la fila di sedie, per la verità poco occupate, s’imbatté nello sguardo pungente dello straniero che aveva acquistato tanti oggetti, sembrava che fosse offeso che qualcun altro avesse osato acquistare in quell’asta in sua presenza. Si fermò al banco, pagò e ritirò la merce. Il dipinto ritraeva una donna d’altri tempi intenta a ricamare una rosa blu su un tessuto bianco. La valigia di piccole dimensioni era di pelle invecchiata, un po’ rovinata e sdrucita, era chiusa con una doppia serratura a scatto ma mancavano le chiavi. S’incamminò verso casa, salutò frettolosamente un amico e salì al suo appartamento che era ampio ma fatiscente: non poteva permettersi un affitto alto, in compenso però viveva in centro. La serratura della porta d’ingresso era difettosa e come al solito ogni volta doveva inventarsi un movimento opportuno per avere ragione di essa. Anche questa volta riuscì a entrare. Prima o poi rimarrò fuori pensò. Buttò le chiavi su una mensola all’ingresso e si recò in cucina con il suo carico di acquisti prestigiosi. Posò il quadretto sulla credenza e la valigetta sul tavolo della cucina.

    Provò ad aprire la valigetta: niente. Doveva pensare a un sistema per far scattare le leve. Rovistando tra gli arnesi che si trovavano in un cassetto della credenza trovò un paio di piccole chiavi che sicuramene erano a corredo di qualche valigia. Le usò con una certa insistenza fin quando non ebbe ragione delle levette che scattarono, prima una poi l’altra. Aprì la valigia e vi trovò una busta da lettere da cui si intravedeva un foglietto di color rosa; accanto una serie di quaderni con la copertina nera, ognuno protetto da un cellofan trasparente. Erano a occhio una decina di quaderni. Mario, incuriosito da quello strano ritrovamento, aprì la lettera e cominciò a leggere:

    Miei cari nipoti,

    se state leggendo questa lettera significa che io non ci sono più. Oltre la casa che vi ho lasciato tramite il testamento che troverete dal notaio che si metterà in contatto con voi dopo qualche giorno dalla mia dipartita, vi lascio in eredità gli arredi e tutti gli oggetti in essi contenuti ma, in particolare, questi quaderni che, anche se all’apparenza miseri, sono di enorme valore affettivo per me. Essi mi furono regalati da un signore che voi non avete conosciuto ma che io ho frequentato in segreto per anni, una brava persona. Mi disse che questi quaderni furono ritrovati all’interno di una vettura molto antica, che era stata abbandonata insieme ad altre automobili e motocicli, in una delle cavità sotterranee che fungevano da ricovero per la popolazione durante le incursioni aeree nella seconda guerra mondiale. Per l’esattezza, il ricovero in questione è stato di recente ripulito e risistemato e rappresenta oggi un itinerario turistico molto seguito: il tunnel borbonico. Ho letto questi quaderni e ne sono affezionata: descrivono la vita di un bimbo, poi adolescente, che mi ha riempito il cuore per i sentimenti e le vicende in essi descritte. Vi chiedo di leggerli e che uno di voi ne tragga un romanzo, per rendere eterna la vita dei personaggi in essi descritti: è una storia bellissima. Se nessuno di voi si sente in grado, o non ne ravvisa la necessità o le motivazioni, allora vi prego di contattare un letterato, un editore e sottoporre al loro giudizio i contenuti. Vi abbraccio, consapevole che rimarrà un abbraccio solo teorico, la vostra affezionatissima zia Elena.

    La curiosità e l’impazienza di Mario avevano superato ogni limite. Doveva assolutamente leggere quei quaderni e forse da essi, così come suggerito dall’anziana signora, avrebbe potuto trarre degli spunti per un romanzo. Comprese anche che i nipoti della defunta erano ormai fuori gioco. Erano talmente, secondo lui, poco interessati alla zia, da non verificare i contenuti degli arredi e oggetti che avevano messo all’asta. Il loro unico interesse, realizzò, era quello di pagare i debiti della vecchia per poter ereditare il sontuoso appartamento di enorme valore economico. Era quindi suo diritto, dopo aver acquistato quegli oggetti, farne quello che voleva: sarebbe stato lui lo scrittore. Estrasse dalla valigia i quaderni e si rese conto che erano numerati. Iniziò dal primo, era entusiasta, prese appunti su un bloc-notes e decise che avrebbe scritto la storia del ragazzino Gennarino.

    Capitolo 1

    Napoli, 1930

    Era sempre così, gli veniva voglia di correre per le scale del Petraio con quell’incoscienza e sregolatezza tipica di un bambino di nove anni. Gennarino usciva da scuola e quello era il suo passatempo. Ragazzino di umili origini, era animato da una voglia di fare che lo rendeva estremamente versato in tutte le materie scolastiche, apprendeva con disinvoltura le nozioni elementari della scrittura, della grammatica e di ogni materia che il maestro spiegava a quei ragazzini magri e malnutriti. Bambini che mangiavano quel poco che i genitori riuscivano a mettere a tavola.

    La ragazzina vestita di bianco, con scarpette nere lucide e calzini bianchi aveva in testa una fascia rosa che manteneva i capelli neri. Giocava con le amiche al gioco della campana, avrà avuto forse dieci anni, per Gennarino che la incontrava spesso nelle sue scorribande all’uscita di scuola era la sicurezza della vita. Era affascinato da quella ragazzina che vestiva abiti costosi, avrebbe voluto avvicinarsi per chiederle il nome ma non se la sentiva. E se gli avesse detto, vai via straccione, pensava, non l’avrebbe perdonata e pertanto rimaneva per lui solo una visione alla quale si era affezionato. La sera prima di andare a dormire soleva scrivere alcuni pensieri sul suo quaderno dalla copertina nera¹. Spesso ci si addormentava sopra e il padre, che non lo vedeva dormire nel suo letto, lo sollevava delicatamente per non svegliarlo e lo metteva a letto e nel ritornare a dormire esclamava sottovoce.

    «Chisto guagliunciello tene’ ‘a capa sempe ‘a ‘n’ata parte, sperammo che cresce ambressa²».

    Il genitore era rimasto vedovo da qualche anno, una malattia improvvisa e implacabile aveva portato via la sua Titina lasciandolo in un mare di guai: un lavoro saltuario e un bambino da crescere senza mamma. Nessuno poteva aiutarlo, l’unica sorella che aveva era partita per l’America anni prima insieme al marito a cercare fortuna. Era solo. Gennarino, per la verità, non gli dava tanti pensieri, andava bene a scuola e avrebbe imparato un mestiere per sopravvivere. Però lo impensieriva quel suo continuo desiderio di scrivere in quei quaderni. Non è una cosa buona, è roba per signori, andava dicendo a quei pochi amici che frequentava quando si recava a bere un bicchiere di vino. Salvatore era un brav’uomo ma non riusciva a capire che forse era quello il modo per dare un futuro a suo figlio, permettergli di studiare.

    E gli anni passavano e Gennarino cresceva e scriveva. Nei quaderni erano annotate le sue riflessioni e le vicende salienti della sua vita, e le richieste di aiuto a un mondo immaginario che costruiva sera dopo sera, un mondo in cui lui era un signore e la ragazzina, che ormai era cresciuta, poteva essere avvicinata. Nel suo immaginario lei era contenta di ascoltare le sue parole e le parole erano parole d’amore, Gennarino aveva cominciato a scrivere qualche poesia che teneva gelosamente custodita all’interno di quei quaderni con la copertina nera e con il bordo dei fogli in rosso.

    La primavera del 1937 si presentò con la solenne decisione del padre di Gennarino di emigrare. Salvatore attese impaziente che il figlio rientrasse dal lavoro saltuario che gli aveva procurato don Vincenzo il parroco. Voleva comunicargli, con tutta la forza che poteva esprimere con il suo povero lessico, l’entusiasmo di quell’impresa e Gennarino arrivò.

    «Buonasera papà».

    «Guagliò, ce ne andiamo, ce ne jamme ‘a Napule. Andiamo in America! ‘E capite Gennari’?».

    «Ma che dicete, papà, America, ma quale America e poi pecché?».

    «Ha scritto zia Antonietta, ci dice che si sono ingranditi e che hanno bisogno di me, do frate e pure do nepote. ‘E capite Gennarì?».

    «A fare che?».

    «Vuole sapere se accettiamo, così ci compra pure i biglietti da’ nave. Ce ne jamme a Nuova York, America!» e così dicendo, a Salvatore gli brillavano gli occhi, non accadeva da una vita e la cosa non passò inosservata e Gennarino capì.

    «Figlio mio, che ce facimmo ccà, nun ce sta cchiù mammà, nun ce sta ’a fatica. Una volta che abbiamo la possibilità di migliorare!».

    «Papà, io sono stato sempre nu bravo guaglione, vuie ‘o sapite, ma chesta cosa dell’America mi pare assai difficile. Aggia lassà gli amici, non potrò vedere più il mare di Napoli, i luoghi che amo».

    «Gennarì, che so’ ‘ste cose? Si rimanimme ccà murimme puverielle e muorte ‘e famma. E Poi si tu nun vuò venì, me ne vaco sulo je».

    «Ma che dicete papà, ve ne iate sulo. E nun ve vene ‘a nustalgia poi. Ma vuie sapite quant’è lontano l’America?».

    Salvatore si alzò dalla sedia e andò nella camera da letto, ne uscì con una busta da lettere piena di francobolli United States Postage. L’aprì come se fosse una reliquia e mostrò la lettera al figlio.

    La lettera era scritta in un italiano troppo perfetto per essere stata scritta dalla sorella Antonietta di proprio pugno. Era evidente che qualcuno l’aveva scritta al posto suo, mettendo in bella forma ciò che la donna voleva comunicare al fratello e aggiungendo dettagli per poter effettuare il viaggio.


    1 In quegli anni e fino agli anni ‘50 del secolo scorso erano gli unici quaderni per le scuole.

    2 Questo ragazzino ha la testa altrove, speriamo che cresca presto.

    Capitolo 2

    Mario aveva scritto poche pagine ed era indeciso se essere coerente con i fatti narrati in quella storia o introdurre delle varianti di fantasia. Aveva letto solo la prima metà del primo quaderno: in esso venivano riportate le annotazioni di un bambino di una quarta elementare. Le annotazioni erano molto profonde rispetto alla grafia arrotondata e all’età dello scrivente e questo di per sé rappresentava già un mistero: come poteva un bambino di nove anni, di umili origini e condizioni di vita, avere sentimenti così elevati e riflessioni così penetranti? Il cicalino stava emettendo il solito fastidioso suono.

    «Sì?».

    «Camilla».

    «Ok».

    Camilla era la ragazza che aveva conosciuto alcuni mesi prima durante la stesura di un fatto di cronaca nera. Entrambi erano stati sopraffatti da una forte attrazione che si era trasformata in un legame profondo. Avevano una grande affinità elettiva e le stesse passioni. Mario aveva raccontato a Camilla del ritrovamento di quei quaderni e lei ne era rimasta subito entusiasta: il primo quaderno era vecchio di ottant’anni. Era stato

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