Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La piccola libreria di Venezia
La piccola libreria di Venezia
La piccola libreria di Venezia
E-book267 pagine3 ore

La piccola libreria di Venezia

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il vero protagonista è l'amore per i libri

Dall'autrice del bestseller La collezionista di libri proibiti

Margherita ha un dono: sa consigliare a ogni persona il libro giusto. È per questo che, delusa dalla fine della sua storia d’amore, lascia Parigi e torna a Venezia, con l’intenzione di aprire una libreria nella bottega d’antiquariato appartenuta al padre. Poco prima dell’inizio dei lavori di ristrutturazione, rovistando tra vecchie carte, Margherita trova, incastrata in fondo a un cassetto, una foto che ritrae una giovane donna. “Per Anselmo, il mio grande amore”, recita la dedica sul retro, che riporta anche data e luogo: aprile 1945, Borgo degli Albizi, Firenze. Margherita nota con stupore che la ragazza ha al collo un ciondolo identico a quello che le ha lasciato suo zio Anselmo. Com’è possibile? Quel ciondolo è un pezzo unico, non può trattarsi di una copia. Incuriosita dalla scoperta, decide di indagare e parte per Firenze. La sua piccola ricerca la conduce in una libreria, la cui proprietaria è la figlia di Emma, proprio la donna della foto. Ma in quel luogo Margherita conosce anche qualcun altro: Fulvio, uno scrittore un tempo famoso, che non pubblica da anni e che nasconde un mistero nel suo passato…

Una giovane donna alla ricerca del suo passato. Un incontro del destino tra le pagine di un libro.

Hanno scritto di La collezionista di libri proibiti

«Cinzia Giorgio imbastisce sapientemente una storia tutta costruita sulla passione per la lettura dimostrandosi una scrittrice colta, che sa maneggiare molto bene la lingua e le parole.»
Leggendaria

«Un romanzo al femminile, ma non banale, appassionato, che ha per protagonista l’amore per i libri.»
Mangialibri

«Cinzia Giorgio ha compiuto l’impresa: presentare nel panorama della contemporanea narrativa italiana un libro che costruisce un ponte tra romanzo storico, romanzo di formazione e romanzo d’amore.»
sulromanzo.it
Cinzia Giorgio
È dottore di ricerca in Culture e Letterature Comparate. Si è specializzata in Women’s Studies e in Storia Moderna, compiendo studi anche all’estero. Organizza salotti letterari, è direttore editoriale del periodico Pink Magazine Italia e insegna Storia delle Donne all’Uni.Spe.D. È autrice di saggi scientifici e romanzi. Per la Newton Compton ha pubblicato Storia erotica d’Italia, Storia pettegola d’Italia, È facile vivere bene a Roma se sai cosa fare e il romanzo La collezionista di libri proibiti.
LinguaItaliano
Data di uscita12 lug 2017
ISBN9788822712721
La piccola libreria di Venezia

Leggi altro di Cinzia Giorgio

Correlato a La piccola libreria di Venezia

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su La piccola libreria di Venezia

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La piccola libreria di Venezia - Cinzia Giorgio

    Capitolo 1

    La memoria è tesoro e custode di tutte le cose.

    Cicerone

    Venezia, Natale 2004

    I libri erano da sempre la sua vita. Quando tutto sembrava perduto, loro erano sempre stati lì, a proteggerla. Le avevano impedito di precipitare quando suo padre era morto, le avevano dato una ragione per andare avanti quando aveva affrontato prove difficili e continuavano a starle accanto anche ora, mentre apriva la porta della bottega dove, da bambina, aveva passato i giorni più belli di cui avesse memoria. Li aveva traditi una sola volta, quando aveva deciso di laurearsi. Era l’anno in cui il padre era morto in un terribile incidente stradale. D’istinto aveva smesso di leggere. Con grande stupore di tutti, si era iscritta al corso di laurea in Storia dell’arte, cercando di rimuovere la ferita che quella perdita le aveva procurato e che, già lo sapeva, non sarebbe mai guarita. Rientrare nella bottega antiquaria dopo tanti anni era come riaprire quella ferita. Chi l’aveva acquistata dopo il fallimento che aveva costretto suo padre a venderla non vi aveva quasi mai messo piede. Era stato un investimento del quale si erano pentiti, le avevano detto. Margherita rabbrividì. Fece pressione sulla maniglia e spinse l’anta della porta d’ingresso verso l’interno del locale.

    Fu investita dall’odore acre della trementina e della gommalacca, misto alla polvere e alla puzza di un locale che per troppo tempo era rimasto chiuso. Sorrise e chiuse la porta dietro di sé, sollevando un nugolo di polvere. Si portò la mano sul viso e tossì, dirigendosi a grandi passi verso il retrobottega per spalancare la finestra che si affacciava sul cortile interno del palazzo. L’aria fredda entrò immediatamente attenuando il puzzo di muffa. Gli occhi di Margherita si posarono sul logoro divano appena sotto la finestra. La cassaforte accanto allo scaffale di fronte alla porta, la scrivania al centro della stanza, la madia nella quale si trovavano i registri contabili: era tutto ancora lì, come se il tempo si fosse fermato. Si avvicinò alla porta, dove una volta si trovava una piccola foto che la ritraeva sorridente, a tre anni, con i capelli lisci e scuri, gli occhi che sembravano enormi sul suo viso paffutello di bambina e nei quali s’intravedeva il colore, tra il verde e il nocciola, ereditato dal padre.

    Margherita si guardò intorno sconfortata. Il locale versava in uno stato di abbandono e il primo istinto fu quello di andare via, di abbandonare il suo proposito di riaprire la bottega Calvani. Dove un tempo vi erano stati scaffali pieni di libri antichi, dipinti e stampe, ora si trovavano solo polvere e qualche vecchia scartoffia. Il locale si sviluppava in lunghezza e sembrava un labirinto, poiché il perimetro seguiva la conformazione dell’antico palazzo veneziano sotto al quale c’era il negozio. Margherita mosse qualche passo verso il poderoso tavolo di legno sul quale un tempo c’era stato il registro di cassa. Sullo scaffale retrostante campeggiava il ritratto dello zio Anselmo, che aveva aperto la bottega ereditata in seguito da suo padre Davide. Lo zio, nella foto, appariva come un uomo anziano, che osservava lo spettatore con un’espressione severa. Aveva una lunga barba bianca, splendidi occhi azzurri in parte nascosti dietro agli occhialini posati appena sul naso adunco.

    Il cellulare le vibrò in tasca, interrompendo il flusso di ricordi che l’aveva investita da quando aveva messo piede nella bottega. Sul display comparve il nome della sua datrice di lavoro.

    «Olimpia, ciao!», esclamò.

    «Tutto bene, Margherita? Sei già nella bottega?», le domandò, ansiosa. Olimpia Cattanei, come lei, apparteneva alla storia del negozio dei Calvani. Lì era nato il suo amore per i volumi antichi che l’aveva fatta diventare un’esperta. Era stata il grande amore di suo padre e ora la stava aiutando a risollevare le sorti di quello che considerava il luogo sacro dove erano nate tutte le sue passioni. Aveva rilevato lei la bottega. Il suo aiuto era stato fondamentale, mesi prima, ma ora Margherita voleva fare le cose a modo suo, restituendole parte dei soldi investiti. Avevano aperto una piccola società ed erano socie alla pari. Tuttavia, fino a quando Margherita non le avesse restituito la sua quota, si sarebbe sentita sempre in difetto. Margherita era stata inflessibile. «Mi hai assunto alla tua casa d’aste, mi stai aiutando a rimettere in sesto l’attività di famiglia e la mia vita, penso che sia più che sufficiente, non trovi?», le aveva fatto notare quando Olimpia aveva cercato di dissuaderla.

    Così Margherita Calvani era tornata a Venezia per le vacanze di Natale, decisa a riaprire la bottega del padre, e prima di cominciare con i lavori era andata a dare un’occhiata al locale di famiglia.

    «Sì, sono nella bottega, è in uno stato tremendo», ammise infine, con un sospiro.

    «Uhm, lo immaginavo. Hai già chiamato la ditta di operai?»

    «Sì, certo, ma prima vorrei fare un piccolo inventario. Qui è tutto come lo aveva lasciato papà, non hanno toccato nulla».

    «Ci avevano detto di non aver messo quasi mai piede nella bottega», ribatté Olimpia con la voce rotta dall’emozione.

    «E si vede, credimi. Persino la polvere sembra essersi posata su questi vecchi mobili secoli fa. Penso di rimanere qui tutto il pomeriggio, se hai bisogno di me, chiamami pure».

    «Vale lo stesso per te. Sei sicura di non volere una mano? Potrei mandarti qualche domestico dalla casa di mia madre, ci metto un attimo a farle un colpo di telefono…».

    «No, no», la interruppe. «Posso cavarmela anche da sola, grazie».

    «Come vuoi tu».

    «Vorrei controllare le carte. Dubito di trovare materiale interessante: gli scaffali sono vuoti e c’è solo qualche scartoffia, ma voglio essere sicura che sia tutto pronto per gennaio, quando cominceranno i lavori di ristrutturazione».

    «Sì, hai ragione».

    «Se dovessi trovare qualche cimelio, te lo porto a Parigi non appena rientro».

    «D’accordo. Buon lavoro, cara. Chiamami appena finisci, va bene?»

    «Certo, tranquilla, a dopo».

    Margherita si tolse il giaccone e legò i capelli in uno chignon. «Bene, diamoci da fare!», esclamò.

    Era al lavoro già da un’ora, intenta a svuotare una madia con vecchie fatture e un numero indefinito di bollette pagate vent’anni prima. Il cumulo di rifiuti era immane, aveva già riempito due sacchi scuri della spazzatura. Il vecchio settimino era diventato il tempio della carta straccia. Ancora un paio di cassetti e l’avrebbe svuotato del tutto. Possibile che suo padre prima di vendere non si fosse disfatto di tutti quei documenti? A ben pensarci, sarebbe stato un inutile spreco di tempo: non si trovava nulla di interessante. Margherita aveva conservato un paio di documenti solo perché le avevano fatto ricordare alcune delle bellezze restaurate un tempo nella bottega Calvani. Tirò uno degli ultimi cassetti ma non riuscì ad aprirlo del tutto, sembrava che qualcosa gli impedisse di scorrere. Sollevò leggermente la base del tiretto e si rese conto che qualcosa si era effettivamente incastrato nel fondo. Si rimboccò la manica e infilò la mano all’interno, per cercare di afferrare quello che sembrava essere un cartoncino. Dopo vari tentativi andati a vuoto, si guardò attorno alla ricerca di un paio di pinzette.

    «So che siete da qualche parte…», mormorò. «Vi ho visto prima. Ma dove? Ah, ecco, sì, sulla scrivania!». Prese le pinzette e le sue labbra si schiusero in un sorriso trionfante.

    Qualche minuto dopo Margherita osservava incuriosita una vecchia foto in bianco e nero, che ritraeva una giovane donna. Sul retro c’era una dedica:

    Aprile 1945

    Per Anselmo, il mio grande amore

    Emma

    Borgo degli Albizi, Firenze

    La ragazza nella foto era molto carina: il suo viso ovale era illuminato da un sorriso radioso e da splendidi occhi allungati. Il colore era indecifrabile, ma dovevano essere comunque chiari. Portava una pettinatura molto elaborata, con due trecce che fungevano da cerchietto mentre il resto dei capelli ricadeva sulle spalle. Indossava una camicia bianca che si apriva appena e lasciava intravedere una collana molto particolare. La riconobbe all’istante. Il suo cuore accelerò i battiti: il monile della ragazza era identico a quello che il prozio Anselmo le aveva lasciato in eredità. Si trattava di una catenina d’oro che Margherita indossava ancora. Emma. La giovane della foto si chiamava Emma. Non aveva mai sentito suo padre parlarne. O forse non se ne ricordava. Se però fosse stata un membro della famiglia Calvani, avrebbe dovuto saperlo. Un momento, c’era scritto Per Anselmo, il mio grande amore. Forse non era una Calvani o forse era un’amica fiorentina. La domanda però rimaneva senza risposta: come mai la ragazza della foto possedeva una collana identica alla sua? Il ciondolo dipinto a mano era troppo particolare e unico per essere confuso con un altro simile: ritraeva il mezzobusto di una dama il cui viso era stato dipinto di tre quarti e lasciava intravedere un orecchino. A Margherita sembrava quasi impossibile che ce ne fosse un’altra copia in giro. La curiosità su quella ragazza crebbe. S’infilò la foto in tasca e decise di portarla a casa. Ora era del tutto inutile cercare di risolvere il mistero, anche se il pensiero continuava a tornare a quel sorriso e a quella collana.

    Capitolo 2

    Di qualsiasi cosa siano fatte le nostre anime, la mia e la sua sono la stessa cosa.

    Emily Brontë

    Parigi, 19 gennaio 2005

    «No, non ho mai sentito parlare di nessuna Emma», esclamò Olimpia rigirandosi la foto tra le dita. La restituì a Margherita e si appoggiò allo schienale della sedia per posare lo sguardo sul suo viso contrariato.

    «Per un attimo avevo sperato che tu potessi avere la chiave del mistero», commentò la ragazza. «Durante tutte le vacanze di Natale non ho fatto altro che spulciare nei registri, nelle foto e nei documenti di famiglia per capire chi mai potesse essere questa Emma, ma niente. Non ho trovato un bel niente».

    «Perché hai cercato male, evidentemente», replicò Olimpia, facendole cenno di passarle di nuovo la foto, mentre inforcava gli occhiali e tirava fuori dal cassetto una lente d’ingrandimento. «Intanto concentriamoci sul ciondolo. Fammi vedere il tuo, per favore».

    Margherita le passò la foto e poi si sfilò la catenina d’oro, posandola sulla scrivania. Olimpia prese il monile e sospirò. «Sì, è decisamente lo stesso ciondolo. Sull’identità della modella non ci sono dubbi».

    «Che vuoi dire?»

    «Che la dama ritratta a mo’ di cammeo è Marie Gouze, meglio conosciuta come Olympe de Gouges, autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina pubblicata nel 1791, durante la Rivoluzione francese».

    «Ne sei sicura?»

    «Che domande! Colleziono libri messi all’Indice dalla Chiesa e vuoi che non conosca la de Gouges?», rise Olimpia.

    «Scusa, non volevo essere sfacciata, ma mi pare tutto così strano… Io porto al collo da sempre la riproduzione del ritratto di una delle prime femministe e non ne ero a conoscenza?»

    «In effetti è strano che tuo padre non te ne abbia mai parlato, ma non mi stupisce. Davide aveva un’idea tutta sua riguardo allo studio. Pensa che quando mi insegnava i segreti del mestiere di antiquario, voleva che arrivassi da sola a capire ogni cosa».

    Margherita sospirò e per un attimo il suo sguardo s’incupì. Il ricordo del padre si allontanava sempre di più, quasi non riusciva a distinguere i contorni del suo viso, benché lo avesse adorato e avesse passato molto più tempo con lui che con la madre. Il tempo lenisce le ferite ma per farlo, a volte, allontana i contorni dei ricordi.

    «Tipico di papà. In realtà, io non portavo la collana quando lui era in vita. Da ragazzina credevo fosse orrenda, sembrava quella di una nonna. Ma poi, era un regalo del mio prozio Anselmo e sinceramente non mi sono mai chiesta da dove provenisse».

    Olimpia annuì, comprensiva. «Se te l’avesse data direttamente Anselmo ti avrebbe spiegato ogni cosa, ma lui è morto quando tu eri ancora così piccola».

    «Già».

    «Ora, una volta appurata l’identità della donna ritratta sul ciondolo, resta da scoprire che cosa c’entri con la ragazza della foto».

    «Emma… il nome non mi dice proprio niente».

    «Bisogna più che altro capire se c’è una connessione tra Olympe de Gouges e questa Emma», mormorò Olimpia, quasi a se stessa. «Mi domando, a questo punto, se non sia stato il mio nome a rendermi simpatica al tuo prozio».

    «Dici?»

    Olimpia fece spallucce e commentò: «Anselmo era un sostenitore della teoria del nomen omen, secondo la quale il destino è scritto nel nome e devo dire che non aveva tutti i torti».

    «Quindi tu saresti una femminista che dimora nell’Olimpo …», scherzò Margherita.

    «Sciocchina, torniamo alla de Gouges. Ovviamente è stata ghigliottinata per le sue idee. Aspetta, prendo il testo della Dichiarazione, così vediamo insieme se c’è qualche riferimento che potrebbe aver colpito Anselmo. Perché mi pare di aver capito che il monile lo ha fatto fare lui, giusto?»

    «Sì, è l’unica cosa che ho trovato tra i documenti, c’era la ricevuta dell’orafo nella scatola dove si trovava la collana».

    «È un punto di partenza, fammi dare un’occhiata alla ricevuta». Olimpia afferrò il foglietto spiegazzato che le porgeva Margherita e lo osservò con cura. Poi spinse il pulsante per chiamare la sua collaboratrice.

    Margherita la vide analizzare i bordi della foto con la lente d’ingrandimento. Per qualche minuto rimasero in silenzio, quasi con il fiato sospeso. Fino a quando un sorriso soddisfatto non si dipinse sulle labbra di Olimpia, la quale alzò gli occhi per accogliere l’ingresso di Isabelle.

    «Dimmi, capo», esordì, dopo aver salutato Margherita con un sorriso.

    «Abbiamo un mistero da risolvere», disse Olimpia, togliendosi gli occhiali e posandoli sulla scrivania.

    «Ovvero?»

    «Dovresti fare alcune ricerche su un certo studio fotografico Pucci in Borgo Pinti a Firenze e su un orafo di via del Corso, sempre a Firenze. Devi scoprire chi è la signorina ritratta in questa foto e capire se vive ancora in Borgo degli Albizi come indicato dalla foto».

    «Va bene, hai qualche altra notizia sullo studio Pucci?»

    «No, c’è solo il marchio che riporta il nome dello studio e la via, ma nient’altro. Se siamo fortunate dovrebbe essere ancora lì. Il nome non mi è del tutto nuovo. Forse abbiamo comprato qualche foto d’epoca proveniente da questo studio. Dovresti vedere se abbiamo qualcosa in archivio».

    «Che cos’è il marchio? Non lo avevo nemmeno notato», chiese Margherita.

    «Il marchio è un contrassegno a stampa tipografica, oppure litografica, che si trova generalmente sul retro. Spesso nelle foto d’epoca si trovavano o il marchio o il bollo del fotografo con la relativa via in cui era il suo studio. Gli esperti che abbiamo qui alla Maison ipotizzano in maniera abbastanza attendibile la data delle fotografie anche grazie alla presenza dei marchi. A volte, se si è fortunati, compare addirittura la data di fondazione dello studio. Nel caso della foto di Emma c’è un piccolo marchio rettangolare che si vede bene solo con la lente di ingrandimento, ecco perché non lo avevi notato».

    Isabelle si avvicinò alla scrivania per prendere la foto: «Che bella ragazza!», mormorò, rivolgendosi poi a Margherita. «È una tua parente?»

    «Non che io sappia».

    «Se lo studio Pucci conserva un archivio non ci dovrebbero essere problemi. Anche se ha chiuso, i documenti dovrebbero comunque essere disponibili», continuò Olimpia.

    Isabelle annuì, prese tutto l’occorrente per la ricerca e si congedò.

    «E ora non ci resta che attendere…».

    La bella e istrionica Léonie Joly gestiva una piccola ma ben frequentata cioccolateria in rue Vieille-du-Temple, nel cuore del Marais. Olimpia era solita recarsi lì a sorseggiare la sua bevanda preferita con le amiche e con Isabelle, la sua assistente nonché cugina di Léonie. Anche Margherita aveva preso a frequentare quel luogo per lei magico: oltre a sedersi su comode poltroncine di vimini si potevano ordinare macaron e dolci di ogni tipo per accompagnare la degustazione del cioccolato proveniente da tutto il mondo. A dare un tocco di originalità al locale c’era la bella libreria dove si potevano prendere e lasciare volumi a proprio piacimento. Il mercoledì sera, Léonie chiudeva un po’ prima per dare spazio alle riunioni del suo club del libro. Margherita, che era arrivata a Parigi pochi mesi prima e non conosceva nessuno se non Alain, Olimpia e i colleghi di lavoro, ne aveva approfittato per iscriversi e per conoscere un po’ di gente nuova. Adorava partecipare a quelle riunioni in cui si parlava di libri. Se mai avesse aperto una libreria, di certo non sarebbe mancato un club del libro anche nella sua!

    «Tu hai un dono», le diceva sempre Léonie, «sai consigliare il libro giusto alla persona che in quel momento ne ha bisogno».

    «Sono la dottoressa dei libri!», rideva Margherita, nel vedere l’espressione seria della sua amica.

    «Non sto scherzando, è un dono», l’aveva rimproverata, mentre le passava un macaron al ribes. «Ricordi quando madame Gervais era in piena crisi prematrimoniale e le hai consigliato di leggere Jane Austen?»

    «Sì, le consigliai Persuasione, ma perché aveva una storia analoga alle spalle… Era un gioco facile», aveva replicato Margherita, poco convinta.

    «No, no, facile un corno! Credimi, è rinata dopo quella lettura. Tant’è che poi ha organizzato il matrimonio in stile Regency. Le hai dato fiducia. E ricordi quando mi hai detto di leggere La primula rossa perché avevo bisogno di avventura e avevo già esaurito tutta la mia scorta di Dumas e Verne? E quando alla mia amica Danielle hai consigliato Le relazioni pericolose? Uno spasso quando è tornata qui in negozio, terrorizzata dalla sua rivale! Rido ancora al pensiero».

    «Ho evitato di consigliarle Anna Karenina e Madame Bovary perché fanno una brutta fine, tutto qui».

    «Sminuisci la tua capacità di saper leggere nell’animo delle persone e di capire quale lettura possa dar loro una mano. Sai che ti dico? Coordinerai tu il mio club del libro, così io mi sentirò libera di preparare la cioccolata per tutti, mentre voi parlate di romanzi».

    Era nata così la fruttuosa collaborazione tra le due, con grande gioia di Isabelle e di Olimpia, che di tanto in tanto si univano alle animate discussioni. Quella sera, frustrata e abbattuta dall’ennesima buca di Alain, Margherita si era rifugiata dalla sua amica cioccolataia, in attesa che arrivassero i partecipanti al club per discutere di Cime tempestose.

    La cioccolateria era ancora piena di gente e Margherita era andata a sedersi in un angolino in fondo alla sala. Faceva freddissimo e stava per arrivare la neve. Nonostante fosse abituata al clima rigido, quell’inverno le sembrava ancora più cupo e ghiacciato. L’unica consolazione le veniva dal lavoro e dall’infinita stima che aveva per Olimpia e il suo staff alla casa d’aste. Per il resto, tutto pareva andare a rotoli. A cominciare dalla sua vita sentimentale. Da quando avevano deciso di andare a vivere insieme, Alain era sempre più distante, pensava solo alla sua carriera di pittore e lei temeva che l’avesse tradita ancora una volta. Gli artisti sposano la loro arte, a lei sono devoti, e solo per lei vivono e fremono. Quando si trattava di ritrarre una nuova modella, Alain si faceva prendere dall’ispirazione e dimenticava ogni cosa, anche Margherita. Soprattutto Margherita, a dire il vero. La prima volta, lo aveva perdonato. Era stato solo un bacio fugace con la signora a cui stava facendo il ritratto. Da allora aveva scoperto un lato del proprio carattere che non le piaceva affatto: sapeva essere sospettosa e quasi ossessiva. Rivedeva in sé lo stesso atteggiamento di sua madre, che tanto aveva odiato perché aveva allontanato suo padre

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1