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Sabbia sugli dèi: Pratiche commemorative tra le Tigri tamil (Sri Lanka)
Sabbia sugli dèi: Pratiche commemorative tra le Tigri tamil (Sri Lanka)
Sabbia sugli dèi: Pratiche commemorative tra le Tigri tamil (Sri Lanka)
E-book295 pagine3 ore

Sabbia sugli dèi: Pratiche commemorative tra le Tigri tamil (Sri Lanka)

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All’inizio degli anni Novanta, nello Sri Lanka dilaniato dal conflitto civile, i guerriglieri indipendentisti decidono di modificare profondamente le pratiche funebri riservate ai propri combattenti: destinati sino a quel momento, secondo i riti induisti, al fuoco della cremazione, i corpi delle Tigri vengono da allora sepolti e affidati alla terra. Frutto di una ricerca, condotta tra il 2002 e il 2003, nelle aree sotto il controllo della guerriglia, questo libro ha il pregio di essere il primo studio che indaga le ragioni e le conseguenze di una scelta radicale che ha coinvolto i familiari dei caduti, i membri del movimento, l’intera società.
Dopo avere ricostruito il quadro storico-politico che fa da sfondo all’insorgere del conflitto, l’autrice traccia il profilo dei combattenti mettendo in luce il ruolo svolto dalle donne e la rilevanza accordata alle unità delle black tigers – i commando suicidi –, per poi dedicare uno studio accurato ai tuilum illam («case del sonno»), gli spazi destinati alle sepolture. Rifiutando di definire i tuilum illam come «cimiteri», i tamil elaborano intorno ad essi metafore che risultano illuminanti per la comprensione del rapporto tra concezioni della morte, tradizioni religiose e strategie del ricordo. L’autrice mostra come le pratiche legate alla sepoltura diano luogo a ricche elaborazioni tese a riformulare il significato del mutamento rituale. Tale riformulazione si rende necessaria per accettare l’abbandono della prassi abituale di cremare i corpi. Nel contesto critico della guerra civile il proliferare di interpretazioni risulta funzionale anche ai guerriglieri, i quali, lungi dal rifiutare spiegazioni che giustificano il mutamento con motivazioni religiose, le accettano e spesso le promuovono nonostante la dichiarata laicità del movimento delle Tigri.
 
LinguaItaliano
EditoreCLUEB
Data di uscita19 mar 2020
ISBN9788849156805
Sabbia sugli dèi: Pratiche commemorative tra le Tigri tamil (Sri Lanka)

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    Anteprima del libro

    Sabbia sugli dèi - Cristiana Natali

    Il libro

    All’inizio degli anni Novanta, nello Sri Lanka dilaniato dal conflitto civile, i guerriglieri indipendentisti decidono di modificare profondamente le pratiche funebri riservate ai propri combattenti: destinati sino a quel momento, secondo i riti induisti, al fuoco della cremazione, i corpi delle Tigri vengono da allora sepolti e affidati alla terra. Frutto di una ricerca, condotta tra il 2002 e il 2003, nelle aree sotto il controllo della guerriglia, questo libro ha il pregio di essere il primo studio che indaga le ragioni e le conseguenze di una scelta radicale che ha coinvolto i familiari dei caduti, i membri del movimento, l’intera società.

    Dopo avere ricostruito il quadro storico-politico che fa da sfondo all’insorgere del conflitto, l’autrice traccia il profilo dei combattenti mettendo in luce il ruolo svolto dalle donne e la rilevanza accordata alle unità delle black tigers – i commando suicidi –⁠, per poi dedicare uno studio accurato ai tuilum illam («case del sonno»), gli spazi destinati alle sepolture. Rifiutando di definire i tuilum illam come «cimiteri», i tamil elaborano intorno ad essi metafore che risultano illuminanti per la comprensione del rapporto tra concezioni della morte, tradizioni religiose e strategie del ricordo. L’autrice mostra come le pratiche legate alla sepoltura diano luogo a ricche elaborazioni tese a riformulare il significato del mutamento rituale. Tale riformulazione si rende necessaria per accettare l’abbandono della prassi abituale di cremare i corpi. Nel contesto critico della guerra civile il proliferare di interpretazioni risulta funzionale anche ai guerriglieri, i quali, lungi dal rifiutare spiegazioni che giustificano il mutamento con motivazioni religiose, le accettano e spesso le promuovono nonostante la dichiarata laicità del movimento delle Tigri.

    L’autrice

    Cristiana Natali (PhD) insegna Antropologia culturale, Antropologia dell’Asia meridionale e Metodologie della ricerca etnografica presso l’Università di Bologna. Ha condotto ricerche nei territori dei guerriglieri tamil dello Sri Lanka e tra i tamil della diaspora. Si occupa in particolare di antropologia della danza e di antropologia dei riti funebri. Tra le sue pubblicazioni: Percorsi di antropologia della danza, Milano, Edizioni libreria Cortina, 2009 e Contesti etnografici dell’Asia meridionale, Milano, Cuem, 2010.

    La collana

    TRAME

    Antropologia, teatro e tradizioni popolari

    Collana diretta da Giovanni Azzaroni e Matteo Casari

    Trame è una collana di antropologia, teatro e tradizioni popolari nata per accogliere e valorizzare studi scientifici afferenti gli ambiti disciplinari che ne tessono la geografia culturale con particolare riguardo ai casi asiatici e africani. Trame si propone di tracciare nuove vie di conoscenza, di scendere tra le pieghe del pensiero e delle pratiche antropologiche, teatrali e del folklore, di aprire fronti di riflessione cogliendo l’emergente e ridiscutendo ciò che si considera assodato.

    Trame fa sua e rilancia la storia e gli intenti metodologici delle collane Teatro in Asia e in Africa, Quaderni di teatro in Asia e in Africa e Storia del folclore e delle tradizioni popolari edite dalla Clueb a partire dal 2003.

    La collana si avvale di un comitato scientifico internazionale che garantisce una produzione di testi dall’alto valore culturale.

    Comitato scientifico

    Stefano Allovio (Università Statale di Milano), Claudio Bernardi (Università Catto- lica di Mliano), Stefano De Matteis (Università di Roma tre), John Freeman (University of Huddersfield and University of Notre Dame), Diego Pellecchia (Kyoto Sangyo University), Mirella Schino (Università di Roma tre).

    Copyright

    Tutte le fotografie del testo, salvo dove diversamente indicato, sono dell’autrice.

    L’Editore è a disposizione di tutti gli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare, nonché per involontarie omissioni o inesattezze nelle citazioni delle fonti dei brani riprodotti nel seguente volume.

    Progetto grafico di Jean-Claude Capello

    © 2020, Clueb casa editrice

    via Marsala, 31 – 40126 Bologna

    ISBN 9788849140118

    Per conoscere le novità e il catalogo, consulta 

    www.clueb.it

    Cristiana Natali

    Sabbia sugli dèi

    Pratiche commemorative tra le Tigri tamil (Sri Lanka)

    Prefazione di Marco Aime

    Logo-Clueb-TRAME.png

    Prefazione

    di Marco Aime

    In un’epoca in cui troppo spesso l’antropologia sembra rinchiudersi su se stessa, raggomitolandosi in arzigogoli teorici di tipo metodologico, che a volte finiscono per condurre più a se stessa, che non alla società di cui vorrebbe occuparsi, il libro di Cristiana Natali è una ventata di aria nuova e insieme classica. Classica perché si fonda su una profonda e attenta ricerca sul terreno, come nella migliore tradizione antropologica, e su una ben consolidata conoscenza dello Sri Lanka e della questione tamil, che spesso ha assunto i toni della tragedia. In questo senso Sabbia sugli dèi può essere riposto senza dubbio alcuno nella libreria sullo scaffale delle monografie.

    Nuovo perché rivela molti elementi che non sono consueti all’antropologia italiana. Primo fra tutti la scelta di campo: il panorama antropologico italiano non brilla certo per l’attenzione al mondo asiatico e orientale. Nella tradizione nostrana, peraltro neppure troppo ricca, l’Asia e in particolare il subcontinente indiano sono sempre stati appannaggio degli «orientalisti», eruditi studiosi che si occupavano delle grandi civiltà, ma sono stati pochissimi gli antropologi che si sono cimentati con il gigante indiano, Sri Lanka compreso. Un racconto così dettagliato, minuzioso, ma soprattutto vivo come quello che ci restituisce Cristiana Natali è per questo ancora più apprezzabile, grazie anche alla qualità della scrittura, sempre gradevole e coinvolgente.

    Un altro elemento non comune è dato dal fatto che la ricerca è stata condotta in un’area segnata da un conflitto, il che richiede una riflessione di tipo teorico sul come affrontare una situazione di crisi, a cui ogni società spesso risponde con modalità diverse, ma soprattutto congiunturali. I tamil, infatti, che costituiscono circa il 18% della popolazione dello Sri Lanka e sono in larga maggioranza induisti, a partire dal 1983 sono stati coinvolti in una violenta guerra civile con i singalesi, l’etnia di maggioranza del paese. Sono proprio gli elementi più attivi in questa lotta per l’indipendenza, il gruppo armato delle Liberation Tigers of Tamil Eelam (LTTE), più note come Tigri tamil, a essere i protagonisti del libro.

    Ogni guerra ha i suoi caduti, che spesso divengono martiri ed entrano a fare parte di quella memoria collettiva e condivisa, indispensabile per tenere insieme un gruppo. Una memoria che per sopravvivere nel tempo ha bisogno di riti e luoghi, che rendano materialmente visibili i fatti a cui fanno riferimento. Abbiamo bisogno di vedere, di toccare per non dimenticare. A questo servono i monumenti, di qualunque tipo e sostanza.

    Ogni anno, il 27 novembre, i tamil in tutto il mondo celebrano il giorno dei maaveerar, «i grandi eroi», coloro che sono caduti lottando per la libertà. Curiosamente, però, i corpi dei maaveerar non vengono bruciati, come nella tradizione induista, ma sepolti nei tuilum illam, «le case del sonno». Per i tamil questi luoghi non sono cimiteri, anzi, ne rappresentano quasi l’opposto: «mentre il tuilum illam è un posto piacevole da vedere, un cimitero non è considerato un bel posto da vedere», fa notare Cristiana Natali. La sensazione è quella di un grande ordine: tutte le tombe sono uguali, per ribadire il principio di uguaglianza che vige tra le LTTE, cancellando qualsiasi privilegio di casta.

    Molte altre cose distinguono il tuilum illam dal cimitero: nei cimiteri difficilmente le persone vanno da sole, specialmente di notte, hanno paura, mentre nel tuilum illam ci si reca a qualsiasi ora. Raramente le donne si recano in un cimitero, mentre presenziano alle cerimonie di commemorazione degli eroi caduti. Un altro particolare importante segna la differenza tra due luoghi, che accolgono entrambi cadaveri, ma che sono concepiti in modo assolutamente diverso dai tamil. Quando si fa ritorno da un cimitero, ci si deve lavare, per purificarsi, dopo aver visitato un tuilum illam non è necessario, al contrario, ci si lava prima di entrarci. Il luogo degli eroi, seppure morti, non può essere impuro, sono al di là della comune umanità, si sono sacrificati per la collettività.

    Per comprendere fino in fondo l’eccezione di questi luoghi di sepoltura, ci spiega Cristiana Natali, occorre comprendere una sorta di metafora ufficiale, secondo la quale quei morti non sono veramente morti, ma «dormono».

    Mi si conceda una piccola parentesi personale, ma leggendo le pagine che seguono, mi sono tornati in mente i versi di Birago Diop, poeta senegalese che scrive:

    Quelli che sono morti non sono mai andati via:

    sono qui nell’ombra che si dirada

    e nell’ombra che si ispessisce.

    I morti non sono sottoterra.

    Sono nell’albero che stormisce,

    sono nel bosco che geme,

    sono nell’acqua che scorre,

    sono nell’acqua che dorme.

    Gli eroi sono vivi per la loro gente e per questo il luogo dove riposano è simile a un giardino. Non a caso, infatti, la vegetazione viene curata con particolare attenzione, tenuta in ordine, pulita. Per comprenderne la ragione, occorre ancora una volta cogliere «il punto di vista del nativo», come diceva Malinowski, che in questo caso si esplicita attraverso un’altra metafora. Quegli eroi non sono davvero morti, o meglio non sono morti come la gente comune, destinata a perire e scomparire. I maaveerar sono destinati a rimanere, sebbene in forma diversa, per rigenerare perpetuamente una stirpe di eroici combattenti. Per questo non vengono seppelliti, ma «seminati» e dalla loro semina nasceranno altri coraggiosi come loro, che rinnoveranno un ciclo eterno. Questa visione ci porta a una riflessione generale: una delle definizioni di «esseri umani» è quella per cui saremmo l’unico animale che seppellisce o comunque accudisce i propri morti. Infatti, non esiste al mondo una società che abbandoni i propri cadaveri: li si seppellisce, brucia, mummifica, li si veste, si dà loro cibo, armi, abiti… Mai come in questo caso tale definizione risulta pertinente. I maaveerar sono la spina dorsale di una società, che per molti anni ha dovuto lottare per la propria esistenza e per questo ha dovuto imparare anche a convivere con la morte e a farne una risorsa spirituale e politica.

    In una sua celebre poesia Totò conclude: A morte ’o ssaje ched’e?... è una livella, ci rende tutti uguali, è l’unica cosa che accomuna tutti noi umani in un destino comune. La poesia di Totò si inserisce in un filone popolare, in cui si spera in una redenzione dei poveri, almeno dopo la vita terrena. Eppure, nemmeno di fronte alla morte siamo uguali. La morte accomuna i destini biologici dei corpi, ma non cancella l’identità attribuita loro dai vivi. Infatti, i tuilum illam non solo non sono cimiteri, ma giardini, sono anche dei templi e il tempio è la casa di una o più divinità, perché i caduti sono degli dèi, e anche per questo meritano rispetto.

    Nota alla nuova edizione

    Da quando questo libro è stato scritto lo scenario nello Sri Lanka è completamente mutato. Nel 2009 le LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam) sono state sconfitte dall’esercito governativo, e i territori del nord e dell’est sono stati sottratti al controllo della guerriglia.

    I luoghi della memoria descritti nelle pagine che seguono, i tuilum illam, non esistono più.

    I lettori che volessero approfondire quanto accaduto potranno leggere in italiano, a cura di Giuseppe Burgio, il volume Oltre la nazione. Conflitti postcoloniali e pratiche interculturali. Il caso della diaspora tamil (Roma, EDIESSE, 2014). All’interno della raccolta il mio articolo Uccidere i morti. La distruzione dei cimiteri delle Tigri e le strategie diasporiche per la memoria è dedicato alla descrizione di quanto avvenuto dopo la sconfitta del movimento delle LTTE, nonché all’illustrazione del ruolo assunto dalla danza nelle strategie del ricordo della diaspora.

    Bologna, 15 dicembre 2019

    Il primo gesto che mi ha mostrato è stato quello che significa «guerrigliero»: le due braccia nella posizione di chi impugna un fucile, le mani che simulano una pistola. Il secondo è stato quello per «tigre»: le mani ad artiglio, pronte all’aggressione.

    Ciò che mi stava illustrando erano le posizioni di danza inventate dalla sua gente per raccontare la guerra civile che da vent’anni insanguina lo Sri Lanka. Qui, nella grande isola a sud dell’India, le tigri sono le Tigri Tamil, i guerriglieri del movimento di liberazione delle terre nord-orientali. Terroristi, per il governo singalese. Patrioti, per i loro sostenitori, tra i quali tanti tamil rifugiatisi all’estero.

    Sita è una di questi. In Italia dal 1999, è attraverso la danza che questa giovane donna insegna ai bambini delle associazioni tamil la lotta, le sofferenze, le conquiste della minoranza a cui appartiene.

    Speriamo che presto sia costretta a comporre nuovi gesti che raccontino finalmente la pace. Una pace che faticosamente le parti in conflitto stanno cercando di trattare.

    Bologna, 12 settembre 2000

    Introduzione

    Ho conosciuto Sita e gli altri componenti dell’associazione tamil in occasione della cerimonia per la commemorazione dei combattenti caduti nella guerra civile. Ogni anno, il 27 novembre, in tutto il mondo i tamil espatriati legati alle LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam¹) celebrano il giorno dei maaveerar² («grandi eroi»). I caduti delle Tigri, più di 17.000 sino a oggi, rappresentano solo una parte delle vittime della guerra scoppiata nello Sri Lanka nel 1983. I morti tra i civili sono 50.000, 14.000 i caduti dell’esercito governativo, 12.000 gli scomparsi, 200.000 i feriti e i mutilati, 800.000 gli sfollati (Hyndman 2003).

    Di questo conflitto, come d’altronde di molti altri, abbiamo in Italia una conoscenza molto limitata, legata per lo più al coinvolgimento di turisti italiani in attentati compiuti dalle LTTE³. Ciò non significa però che nel nostro paese non vi siano ripercussioni di questa guerra lontana. Il massiccio esodo di profughi dall’isola – nell’ordine di 15.000-18.000 persone all’anno – ha interessato direttamente anche il nostro paese, soprattutto a partire dal maggio 2000, quando il governo dello Sri Lanka ha introdotto nuove leggi di emergenza che hanno esteso i poteri di arresto delle forze di sicurezza. Il CIR (Consiglio Italiano per i Rifugiati) ha denunciato la violazione di norme di diritto internazionale da parte del governo italiano per il trattamento a cui sono sottoposti i cittadini dello Sri Lanka. Una delle violazioni più gravi si è verificata il 4 ottobre 2001⁴, quando, con un volo speciale, si è provveduto al rimpatrio di 113 srilankesi. Sbarcati a Portopalo, in provincia di Siracusa, sono stati subito rinchiusi in un centro di permanenza temporanea a Lecce e non è stata data loro l’opportunità di avanzare domanda d’asilo, in aperta violazione delle convenzioni internazionali e nazionali⁵ e più in generale in violazione del principio di non respingimento. Tra i 113 cittadini dello Sri Lanka molti erano di etnia tamil e dunque, come si legge nella dichiarazione del CIR, «a rischio di persecuzione nel loro paese»⁶. Il respingimento di individui che al ritorno in patria rischiano l’incolumità fisica, se non addirittura la vita, deve far riflettere su come – in questo mondo che è divenuto lo scenario di guerre che comportano esodi di massa non solo in zone di confine – sia impossibile pensarsi non toccati da ciò che accade in luoghi che per un intreccio di ragioni storiche e geografiche avvertiamo come «lontani».

    Ma i tamil dello Sri Lanka sono tristemente noti in Italia soprattutto per una vicenda drammatica che li ha visti involontari protagonisti. Decine di loro corpi giacciono imprigionati in un relitto inabissatosi nel 1996 al largo delle coste siciliane. Una nave aveva fatto naufragio, provocando centinaia di vittime di varie nazionalità. Poiché i racconti dei superstiti erano stati considerati inattendibili, le autorità per anni hanno negato l’accaduto, nonostante le proteste dei familiari degli scomparsi. Soltanto grazie a un’inchiesta condotta nel 2001 dal quotidiano la Repubblica, avviata in seguito alle voci sul rinvenimento di cadaveri da parte di pescatori siciliani, è emersa la verità della tragedia. Il cosiddetto «naufragio fantasma», salito temporaneamente agli onori della cronaca, è poi stato velocemente rigettato nell’oblio e sulla sorte dei corpi degli annegati è calato il silenzio⁷. Nonostante un’interrogazione parlamentare del giugno 2001 e un appello di quattro premi Nobel italiani – Renato Dulbecco, Dario Fo, Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia – nessuna azione per recuperare le salme è stata sinora intrapresa.

    Non ci è dato sapere se i tamil che fuggivano dal proprio paese e che hanno trovato un’indegna sepoltura nei nostri mari fossero o meno sostenitori delle LTTE⁸. Molti tamil residenti in Italia lo sono, e hanno parenti e amici che fanno parte dell’esercito dei guerriglieri⁹, o che sono morti combattendo nelle sue fila. Per il governo dello Sri Lanka quello delle LTTE è un movimento terrorista¹⁰, e non solo i suoi membri, ma anche i suoi sostenitori sono perseguibili in base alla «Legge sulla prevenzione degli atti di terrorismo» che consente la detenzione sino a due anni senza processo (vale a dire senza che venga provata la colpevolezza degli arrestati). È per questa ragione che i tamil che ho conosciuto vivono spesso con grande preoccupazione, anche in terra di immigrazione, la propria adesione al movimento delle Tigri.

    Nonostante i timori legati alle possibili ripercussioni di un’aperta adesione alla causa della guerriglia, molti tamil immigrati in Italia, come si è detto, celebrano ufficialmente la giornata del 27 novembre nella quale vengono commemorati i soldati caduti. Lettura di poesie, performance teatrali, esecuzioni danzate e proiezioni di video, unitamente a elementi simbolici della ritualità politica (alzabandiera, discorso ufficiale del leader del movimento) caratterizzano questa giornata, alla quale partecipano non solo i tamil ma anche cittadini del paese di accoglienza.

    La cerimonia alla quale ho assistito nel novembre 2000 a Bologna¹¹ ha rappresentato il punto di partenza della mia ricerca. Mentre seguivo i canti che celebravano gli eroi della guerra di liberazione e le danze che ne mettevano in scena i combattimenti, mi affioravano alla mente domande relative al protocollo rituale seguito dal cerimoniale nello Sri Lanka: quali forme assumevano le pratiche rituali, quali erano i soggetti coinvolti, quali i luoghi delle commemorazioni?

    Proprio da questi ultimi doveva venirmi la sorpresa maggiore. Nel paese d’origine, mi fu spiegato, le cerimonie si svolgevano nei cimiteri delle LTTE, dove sono sepolti i corpi dei caduti: «I corpi dei soldati morti non li bruciamo. È come, per esempio, un albero di arancio che fa i semi: tu li seppellisci e ne nascono tanti altri. Così, se seppelliamo le Tigri nasceranno tanti guerriglieri», aveva chiarito il presidente dell’Associazione Tamil di Bologna.

    L’esistenza dei cimiteri e la sepoltura dei soldati era un dato tutt’altro che ovvio. Nella religione induista, che è quella professata dalla maggioranza dei tamil, per i morti è prevista di norma non la sepoltura, bensì la cremazione¹², e questo radicale mutamento del rituale funebre aveva suscitato in me molti interrogativi. Come era stato possibile introdurre, per i morti delle LTTE, una pratica che contraddiceva le usanze funebri tradizionali? Quale ne era il livello di accettazione da parte degli attori

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