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Tra eredità e tempo presente: Antropologia e oltre
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Tra eredità e tempo presente: Antropologia e oltre
E-book85 pagine1 ora

Tra eredità e tempo presente: Antropologia e oltre

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Ernesto De Martino è l’antropologo che ha portato sulla scena la magia del Sud o il Sud che recita la sua magia o che recita con la sua magia. Potrebbe essere questo il filo conduttore del discorso. Quando De Martino, napoletano di formazione, è giunto nelle terre lucane e del Salento, scavando nella cultura popolare e contadina in cui il senso del lamento era espressione di un popolo e di una civiltà, si è reso conto come questa territorialità avesse matrici e origini molto antiche.
Qui il neolitico ha costruito la sua civiltà. Una civiltà in cui l’intreccio tra identità e memoria resta una prospettiva e una profezia nello scavo dei radicamenti popolari.
La cultura matriarcale ha rappresentato un punto di riferimento, non solo sul piano archeologico, ma anche su quello antropologico. L’antropologia non nasce con Ernesto De Martino. Non si era ancora coniato il termine, ma già esisteva. L’archeologia aveva senso soltanto se leggeva gli strumenti che rintracciava nelle tombe e oltre, mediante una interpretazione che andava “oltre” l’archeologia stessa. Una lettura che portava a comprendere il sistema delle civiltà, la struttura dei popoli, “lo stare insieme” delle genti. Antropos è lo stare insieme delle genti e delle civiltà. Proprio per questo motivo De Martino, ponendo l’attenzione sui fenomeni colti nel Sud tra territorio e uomini, tra territorio e civiltà, è andato oltre il tempo della sua ricerca e ha fatto sì che quei popoli raccontassero le sfumature delle leggende.
Siamo fatti di tempo e viviamo nello spazio.
Siamo fatti di civiltà e viviamo nei luoghi.
Siamo fatti di dubbio, ma cerchiamo il senso della certezza.
Un percorso in cui l’antropologia non è rivelazione, ma proposta di una vera e propria comprensione. Ernesto De Martino ha cercato di fornirci gli elementi per comprendere un Sud di certo “magico”, ma anche meticciato di parole, pensieri e coscienze. Un Sud scavato nel Mediterraneo.


Pierfranco Bruni è nato in Calabria. Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all'Estero, è presidente del Centro Studi “Grisi”.
Ha pubblicato libri di poesia (tra i quali "Via Carmelitani", "Viaggioisola", “Per non amarti più", "Fuoco di lune", "Canto di Requiem"), racconti e romanzi (tra i quali vanno ricordati "L'ultima notte di un magistrato", "Paese del vento", "L’ultima primavera", “E dopo vennero i sogni", "Quando fioriscono i rovi"). Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D'Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro. Numerosi sono i suoi testi sulla letteratura italiana ed europea del Novecento.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e si considera profondamente mediterraneo. Ha scritto, tra l'altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo", giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.
 
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita2 mar 2020
ISBN9788835380047
Tra eredità e tempo presente: Antropologia e oltre

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    Tra eredità e tempo presente - Pierfranco Bruni

    Bruni

    Introduzione di Pierfranco Bruni

    Un Sud scavato nel Mediterraneo

    Ernesto De Martino è l’antropologo che ha portato sulla scena la magia del Sud o il Sud che recita la sua magia o che recita con la sua magia. Potrebbe essere questo il filo conduttore del discorso. Quando De Martino, napoletano di formazione, è giunto nelle terre lucane e del Salento, scavando nella cultura popolare e contadina in cui il senso del lamento era espressione di un popolo e di una civiltà, si è reso conto come questa territorialità avesse matrici e origini molto antiche.

    Qui il neolitico ha costruito la sua civiltà. Una civiltà in cui l’intreccio tra identità e memoria resta una prospettiva e una profezia nello scavo dei radicamenti popolari.

    La cultura matriarcale ha rappresentato un punto di riferimento, non solo sul piano archeologico, ma anche su quello antropologico. L’antropologia non nasce con Ernesto De Martino. Non si era ancora coniato il termine, ma già esisteva. L’archeologia aveva senso soltanto se leggeva gli strumenti che rintracciava nelle tombe e oltre, mediante una interpretazione che andava oltre l’archeologia stessa. Una lettura che portava a comprendere il sistema delle civiltà, la struttura dei popoli, lo stare insieme delle genti. Antropos è lo stare insieme delle genti e delle civiltà. Proprio per questo motivo De Martino, ponendo l’attenzione sui fenomeni colti nel Sud tra territorio e uomini, tra territorio e civiltà, è andato oltre il tempo della sua ricerca e ha fatto sì che quei popoli raccontassero le sfumature delle leggende.

    L’antropologia si basa su un dato scientifico, su una forza scientifica in cui il confronto con un materiale è importante, ma vive anche di una oralità che è fatta di mito, di leggenda e che in seguito si trasforma in fiaba.

    Sud e magia di De Martino, vive quella dimensione di recupero del senso dell’oralità del territorio per trasformarlo in un vero e proprio canto, così il fenomeno del tarantismo. Nel Sud d’Italia il tarantismo non è solo parte caratterizzante del territorio del Salento. Ha contaminato una vasta area meridionale – mediterranea.

    Gli studi di De Martino sul tarantismo costituiscono questa asse contaminante all’interno del Salento. Ma il tarantismo nasce anche dal rito funebre che si viveva in tutto il territorio del Sud intriso di contaminazioni del Mediterraneo. È impensabile comprendere la ritualità funebre, il morso del ragno, la figura femminile o il mondo contadino, senza conoscere i popoli e le civiltà del Mediterraneo nell’ambito di una visione culturale generale.

    I popoli, le civiltà africane, quel mondo sciamanico al quale fa riferimento Ernesto De Martino, costituiscono lo stesso contesto che Mircea Eliade ha raccontato, trasmesso, portato alla luce con La prova del labirinto e con i suoi studi. Il dibattito intorno a questi temi in quegli anni era molto forte. Si parlava di Pettazzoni, di Eliade. Tra questi antropologi e studiosi delle religioni pure si è inserito uno scrittore che di antropologia se ne intendeva. Cesare Pavese.

    Quando Pavese scrive del mito, del simbolo e della ritualità, pone all’attenzione la ritualità e il mito non solo greco, ma anche dei popoli selvaggi. Il concetto di civiltà e mondo selvaggio è dentro questa visione. La napoletanità è mediterraneità. Questo è il punto. Il canto funebre è il lamentìo napoletano. Lo stesso lamentìo napoletano che troviamo nella commedia d’arte napoletana. Basterebbe ricordare Eduardo de Filippo e Luigi Pirandello.

    Mettendo insieme i due aspetti, che sono elementi del Regno delle Due Sicilie, ci si rende immediatamente conto come questo vasto, articolato e disubbidiente territorio (né armonico, né monolitico) ha espresso l’insieme di una contaminazione tra terra e mare, ovvero una contaminazione mediterranea.

    Ernesto De Martino ha saputo scavare all’interno di questa dimensione mettendo in evidenza il legame tra il canto funebre e il tarantismo. Due popoli, una civiltà. Una civiltà e due viaggi all’interno di un territorio che si lega. Il tarantismo esprime il proprio essere nelle movenze della danza, nel vocìo.

    Il canto funebre è il lamentìo. Le tribù dell’Africa del Nord, e del centro Africa, sono ancora intrise di questi elementi. Un mondo che è parte integrante di una civiltà, di una tradizione. Sappiamo bene che senza il rispetto della tradizione, non è possibile rimandare il tempo della conoscenza. Se l’antropologia non venisse applicata al sapere archeologico e filosofico, rimarrebbe una disciplina sterile. Questo è il motivo per cui è necessario l’incontro tra i modelli archeologici attraverso i quali si esprime il valore antropologico e la filosofia intesa come metafisica di ciò che un oggetto, o un bene immateriale, possono esprimere.

    Siamo fatti di tempo e viviamo nello spazio.

    Siamo fatti di civiltà e viviamo nei luoghi.

    Siamo fatti di dubbio, ma cerchiamo il senso della certezza.

    Un percorso in cui l’antropologia non è rivelazione, ma proposta di una vera e propria comprensione. Ernesto De Martino ha cercato di fornirci gli elementi per comprendere un Sud di certo magico, ma anche meticciato di parole, pensieri e coscienze. Un Sud scavato nel Mediterraneo.

    La cultura popolare come filosofia della memoria tra civiltà e popoli

    L’antropologia ha dei modelli valoriali profondi che attraversano elementi che interessano in modo particolare il concetto di memoria, di tempo, ma anche la definizione di futuro, perché nel momento in cui poniamo al centro l’uomo, o gli uomini, ovvero l’antropos, poniamo al centro il senso della comunità dei popoli e delle identità delle civiltà.

    Dovremmo confrontarci con questi concetti che portano alla base una conoscenza del futuro e cercare di approfondire il senso del passato per catturare e percepire un modello di profezia. Quando parliamo di futuro, parliamo di percezione del futuro. Entra in gioco il sacro concetto di profezia. Conoscere l’antropologia dei popoli è

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