Exit Strategy. L'Unione Europea: com'è nata, come funziona e perché bisogna combatterla
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Anteprima del libro
Exit Strategy. L'Unione Europea - Rete Nazionale "Noi Saremo Tutto"
UNALTRASTORIA
Exit Strategy
L’unione europea: com’è nata, come funziona e perché bisogna combatterla
Rete nazionale NOI SAREMO TUTTO
© 2014 Red Star Press
La riproduzione, la diffusione, la pubblicazione su diversi formati e l’esecuzione di quest’opera, purché a scopi non commerciali e a condizione che venga indicata la fonte e il contesto originario e che si riproduca la stessa licenza, è liberamente consentita e vivamente incoraggiata.
Prima edizione in «Unaltrastoria»: giugno 2014
Prima edizione in e-book: febbraio 2014
Design Dario Morgante
Red Star Press
Società cooperativa
Via Tancredi Cartella, 63 – 00159 Roma
www.facebook.com/libriredstar
redstarpress@email.com | www.redstarpress.it
RETE NAZIONALE
NOI SAREMO TUTTO
EXIT
STRATEGY
L’UNIONE EUROPEA: COM’È NATA, COME FUNZIONA
E PERCHÉ BISOGNA ABBATTERLA
REDSTARPRESS
INTRODUZIONE
FINO A NON MOLTO TEMPO FA per gran parte della sinistra, compresa quella di classe, il processo d’integrazione europeo era considerato una questione secondaria da demandare agli esperti o all’attenzione meritoria di qualche addetto ai lavori. Questa sottovalutazione del modo con cui si andava costituendo l’Unione europea, delle forme che questa andava assumendo e soprattutto della sua natura intrinsecamente imperialista, ha determinato un deficit di analisi che ha finito col tradursi in un’assenza di prospettiva strategica e in un vuoto di azione politica. Oggi, complice anche la crisi e le politiche di austerità imposte dai paesi guida, la questione europea diventa un nodo centrale e inaggirabile anche per i più distratti
, e lo è ancor di più per chi ha l’ambizione di porsi sulla strada della trasformazione sociale. In questo volume, che non ha certo la pretesa di essere esaustivo, abbiamo provato a ripercorrere brevemente la storia della UE e abbiamo cercato di farne emergere le ragioni materiali e concrete. Ringraziamo la Red Star Press per il sostegno e la disponibilità che ci ha dimostrato, segno tangibile di come sia indispensabile un’editoria indipendente e di sinistra anche solo per provare a immaginare una società diversa.
Rete Nazionale Noi Saremo Tutto
BREVE STORIA ECONOMICA
E POLITICA DELL’UNIONE EUROPEA
UN’INTERPRETAZIONE IDEALIZZANTE DELLA STORIOGRAFIA sul processo d’integrazione europea vuole che proprio durante la Resistenza e nei campi di concentramento creati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale sia rinata e abbia preso forma l’idea dell’unificazione. Questa lettura, fatta propria in questi ultimi anni anche dalla sinistra unioneuropeista
, non trova però riscontro nella realtà documentale. I comunisti, che della Resistenza furono i protagonisti più numerosi e meglio organizzati, dimostrarono all’epoca scarso interesse quando non un netto rifiuto per una proposta che mal si conciliava con l’internazionalismo e gli interessi delle classi subalterne. Piuttosto se l’idea di un’Europa unita aveva raccolto qualche consenso a cavallo tra le due guerre mondiali questo era avvenuto proprio in chiave anticomunista. Winston Churchill, futuro primo ministro britannico e convinto sostenitore del processo d’integrazione continentale, già dagli anni Trenta esortava i Paesi dell’Europa occidentale a federarsi per contenere e isolare la rivoluzione bolscevica dando vita agli Stati Uniti d’Europa. Per completare il quadro occorre ricordare come in quel periodo anche nelle organizzazioni della Resistenza ispirate ai valori del patriottismo tradizionale, come in Francia il movimento gollista, più che all’Europa si guardasse alla ricostruzione del ruolo internazionale e della grandeur della nazione. Anche nella Resistenza italiana, dove il sostegno al progetto del federalismo europeo fu indubbiamente più forte, esso rimase sempre espressione di gruppi elitari e di forti individualità legate quasi esclusivamente al Partito d’Azione tra cui Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e, soprattutto, Altiero Spinelli, colui che con le sue idee e le sue opere avrebbe influenzato più a lungo e più profondamente il Movimento Federalista Europeo. Nel suo Manifesto di Ventotene, un documento programmatico stilato nel 1944 mentre era al confino sull’isola, Spinelli indicava l’Unione europea come il frutto di una vera e propria rivoluzione politica che avrebbe richiesto una strategia e dei militanti di professione
oltre che la struttura organizzativa di un movimento capace di agire dentro e al di sopra dei partiti tradizionali. Il federalismo italiano rimase però un fenomeno unico e sostanzialmente isolato a livello europeo, costretto nel giro di pochi mesi a una sconfitta sia politica che culturale. A guerra finita esso si troverà a confrontarsi con posizioni moderate e gradualistiche che finiranno per prevalere dando al processo d’integrazione un ben diverso orientamento. E anche il Partito d’Azione, l’unico ad aver accolto con qualche convinzione la prospettiva europeista, si avvierà ben presto verso la dissoluzione. Quando l’idea europea riprenderà a correre lo farà sulle gambe delle tariffe doganali e dei mercati, ma soprattutto sotto la spinta di Washington e delle strategia della guerra fredda.
1945-1950. CARBONE, ACCIAIO E GUERRA FREDDA.
Ancor prima della fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti promossero l’istituzione dei tre principali regimi di cooperazione internazionale del dopoguerra: il sistema di Bretton Woods (1944) per i cambi monetari; il General Agreement on Tariffs and Trade, GATT, (1947) per il commercio internazionale e la North Atlantic Treaty Organization, NATO, (1949) in ambito militare. Questi tre regimi condizioneranno irreversibilmente il processo d’integrazione europea e la costituzione di un blocco occidentale. D’altronde i prodromi del conflitto Est-Ovest incubati nel corso del conflitto si manifestarono pienamente già a partire dal 1946 intorno al futuro della Germania a cui era inevitabilmente legato anche quello dell’Europa. Sul fronte economico il 1946 si era chiuso con un buco di 7 miliardi di dollari nella bilancia commerciale dei Paesi dell’Europa occidentale, e questo nonostante i massicci prestiti americani ricevuti nel corso dell’anno da Gran Bretagna, Francia, Belgio e Olanda. L’enorme deficit suscitava forti preoccupazioni a Washington, per l’evidente incapacità europea di pareggiare i conti con i fornitori nordamericani e per le conseguenze che ciò avrebbe avuto per l’economia statunitense, dipendente dalle esportazioni in misura molto maggiore che nel periodo prebellico. Inoltre, nel contesto della crescente competizione con l’URSS, gli Stati Uniti vedevano l’Europa povera e divisa come un pericolo, poiché facile preda del comunismo. Il 12 marzo del 1947, davanti al congresso degli Stati Uniti, il presidente Truman pronunciò un discorso che molti storici indicano come l’inizio della guerra fredda impegnando gli USA a «sostenere i popoli liberi che si oppongono ai tentativi di oppressione da parte di minoranze armate o di pressioni esterne».
Le implicazioni di quella che venne poi ribattezzata come la dottrina Truman
apparvero chiare fin da subito. Il 10 marzo si era infatti aperta a Mosca la quarta conferenza sul futuro della Germania alla quale partecipava il nuovo segretario di Stato George Marshall. I sovietici insistevano per la creazione di uno Stato unitario tedesco centralizzato, ma la proposta contrastava con il disegno degli USA che propendevano per una soluzione confederativa e questo diede loro il pretesto per far saltare il negoziato. Tornato a Washington, nel corso di alcune apparizioni pubbliche, Marshall non lasciò dubbi sull’inconciliabilità tra le posizioni sovietiche e quelle statunitensi e sull’urgenza di procedere unilateralmente alla ricerca di una soluzione
per la questione tedesca. Dopo poco più di un mese, preparato a tappe forzate dal Dipartimento di Stato, nacque il cosiddetto Piano Marshall
, il cui annunciò fu fatto dallo stesso segretario di Stato il 5 giugno del 1947 con un discorso all’università di Harvard. La guerra fredda era ormai dichiarata.
Dal 1948 al 1952 attraverso il piano Marshall gli Stati Uniti concessero aiuti all’Europa per 12 miliardi di dollari, la metà dei quali a Gran Bretagna, Francia e Germania occidentale. Si trattava principalmente di contributi unilaterali (e non prestiti) che vennero utilizzati per pagare le importazioni di merci dagli stessi Stati Uniti. In particolare questi fondi permisero l’importazione di macchinari tecnologicamente avanzati necessari alla nascita di una produzione su larga