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Delitto al Festival di Sanremo: La prima indagine del commissario Francesco Orengo
Delitto al Festival di Sanremo: La prima indagine del commissario Francesco Orengo
Delitto al Festival di Sanremo: La prima indagine del commissario Francesco Orengo
E-book264 pagine3 ore

Delitto al Festival di Sanremo: La prima indagine del commissario Francesco Orengo

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Info su questo ebook

Sono le cinque di una domenica mattina. Il vicequestore di Sanremo Francesco Orengo è nel suo alloggio di servizio, in pieno riposo dopo un’intensa giornata lavorativa. Di colpo viene svegliato dal suo primo collaboratore, l’ispettore capo Dario Canevari: hanno trovato un cadavere nella toilette del teatro Ariston. L’omicidio è avvenuto poche ore prima, al termine della serata finale del Festival della Canzone Italiana presentata da Amadeus, con la partecipazione di Fiorello. Uno choc terribile per Sanremo: la capitale italiana della musica e del turismo, la città della Liguria più famosa in tutto il mondo. Per il commissario Orengo, tornato nel suo ponente ligure da poche settimane, dopo parecchi anni di esilio volontario tra la Lombardia e il Piemonte, è l’inizio di un turbine infernale. Al suo fianco, la squadra investigativa lavora a ritmo convulso, tra documenti raccolti, ricostruzioni del passato della vittima, un noto imprenditore nel settore delle calzature in provincia di Caserta, nonostante intoppi e boicottaggi, e numerosi risvolti nascosti che si agitano attorno a Sanremo e alla kermesse festivaliera. Ben presto, Orengo dovrà pure fare i conti con il suo difficile passato e un nemico che agisce per metterlo costantemente in difficoltà. Nel frattempo il giovane commissario ritroverà le sue radici nel paese nativo, il suggestivo borgo medievale di Castel Vittorio, nell’estremo entroterra della Val Nervia, suggellate dal ritrovato incontro con la bella ristoratrice Martina Rebaudo. Un romanzo nel quale emerge l’atmosfera di Sanremo, del suo centro cittadino, dell’atmosfera magica e frenetica del Festival, e di una Liguria di ponente sempre più inquieta e contrassegnata da numerosi colpi di scena.

Achille Maccapani (Rho, 1964) l’autore del ciclo delle indagini dell’ufficiale dei carabinieri Roberto Martielli e del magistrato Viviana Croce, iniziato con il romanzo Il venditore di bibite (Fratelli Frilli Editori, 2018), proseguito con Destini in fumo (Fratelli Frilli Editori, 2019) e Ventimiglia riviera dei fuochi (Fratelli Frilli Editori, 2020). Alcuni racconti dedicati proprio a Martielli e Croce sono stati inoltre pubblicati nelle antologie Una finestra sul noir (Fratelli Frilli Editori, 2017), 44 gatti in noir (Fratelli Frilli Editori, 2018), Tutti i sapori del noir (Fratelli Frilli Editori, 2019) e I luoghi del noir (Fratelli Frilli Editori, 2020), in ricordo dell’editore Marco Frilli. In precedenza ha pubblicato i romanzi Taci, e suona la chitarra – Milano rock Ottanta (Fratelli Frilli Editori, 2005 – XXII Premio Città di Cava de’ Tirreni), Delitto all’Aquila nera (Zona, 2007), Confessioni di un evirato cantore (Fratelli Frilli Editori, 2009 – fiorino d’argento del Premio Firenze) e Bacchetta in levare (Marco Valerio, 2010). Con Delitto al festival di Sanremo inizia il ciclo delle indagini del commissario Francesco Orengo.
LinguaItaliano
Data di uscita28 gen 2021
ISBN9788869435010
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    Delitto al Festival di Sanremo - Achille Maccapani

    1

    È arrivato il momento giusto. Ci siamo.

    Mi trovo nelle vicinanze dell’uscita dai camerini del teatro Ariston. Attraverso uno dei monitor puntati sulla platea, l’ho visto alzarsi, allontanarsi dal suo posto nella fila ventidue e uscire nel corridoio laterale alla sua destra.

    È lui.

    L’uomo che stanotte morirà.

    Il piano è stato concordato e programmato nel dettaglio.

    Avevo fatto una stima della sua sopportazione fisica: tutte quelle ore di diretta televisiva, seduto su una poltrona senza potersi muovere, non erano agevoli per nessuno.

    Soprattutto per uno della sua età, la pausa fisiologica per andare in bagno è inevitabile. Il momento giusto per raggiungerlo ed eliminarlo.

    L’intervallo comprende una carrellata di spot pubblicitari, un tempo tecnico di quattro minuti ininterrotti, più qualche video di autopromozione per le novità della stagione televisiva.

    In totale sei minuti pieni e abbondanti.

    Perfetti per agire indisturbato.

    Mi avvicino alla porta di servizio, lasciandomi alle spalle i camerini con il consueto viavai di tecnici, cantanti, addetti del teatro e delle riprese televisive. Il cronometro digitale sopra la mia testa scandisce il conto alla rovescia dei secondi.

    Sono fuori.

    L’atrio è luminoso, rischiarato dalle sfumature di arancione che caratterizzano le pareti.

    Oltre il vetro divisorio delle porte di accesso, alcune persone sono appoggiate al bancone del bar e sorseggiano un caffè o una bibita.

    A poca distanza scorgo alcuni miei colleghi. Molto più rilassati rispetto a un’ora fa, quando Billie Eilish ha percorso il red carpet di Corso Matteotti. L’apparizione della cantautrice americana in testa alle classifiche mondiali e titolare dell’ennesimo record di download per l’ultimo singolo, ha scatenato il delirio tra la folla.

    Urla e pianti, ragazzine scatenate in preda agli ormoni di fronte all’autrice di hit single come No time to die e Therefore I am. La Eilish rappresenta infatti la ciliegina sulla torta di questo strano mondo che si anima nel giro di un paio di settimane. Ogni anno Sanremo diventa la capitale nazionale dell’effimero, dell’evasione, della spensieratezza e della musica.

    I turisti della canzone si danno appuntamento nella città dei fiori per l’intera settimana. Fieri del loro abbonamento, pagato a caro prezzo, alle cinque serate del Festival di Sanremo.

    Tra di loro c’è il mio obiettivo: l’uomo che si è appena diretto alla toilette.

    Controllo ancora una volta l’ingresso. A parte i miei colleghi, qualche curioso e il personale di servizio del teatro, non vedo altre persone. Sono tutti fuori, a seguire la diretta dal maxischermo allestito dal Comune, compresi gli spot pubblicitari tuttora in corso.

    Infilo una mano in tasca e sfioro il lattice dei guanti. Supero lo spazio perimetrale della telecamera di sorveglianza interna e li indosso rapidamente.

    Pochi istanti e sono davanti alla porta.

    La apro.

    Entro.

    Un gesto rapido, fulmineo. Mi volto veloce, verifico che non ci sia nessuno a osservarmi.

    No. Sono solo. Perfetto.

    Rimango in attesa.

    Il maxischermo posizionato al lato sinistro del palcoscenico scandisce il minutaggio in corso.

    05.57.48

    I secondi e i minuti effettivi dello stacco pubblicitario scorrono incalzanti alla rovescia, in un ritmo infernale che trascina con sé ogni cosa. Gli spettatori presenti in platea e in galleria sembrano ignorarlo, chini sui propri telefoni.

    C’è chi verifica se ci sono chiamate perse, ma la maggior parte è impegnata a scattare foto subito condivise sui social. L’affermazione di se stessi nel nuovo millennio, l’insopprimibile impulso a mostrarsi, con la speranza di essere catturati dalla telecamera per un frammento di diretta in mondovisione.

    Il tempo è sospeso, i tecnici vanno e vengono dal palco. Ci sono microfoni da sistemare e un tavolino da togliere dopo la scenetta di due attori comici, la classica promozione di un nuovo film in uscita nei cinema dalla prossima settimana.

    Dalla platea qualcuno si alza in piedi per sgranchirsi le gambe e concedersi pochi passi lungo i corridoi laterali. Altri chiacchierano tra loro, scambiandosi battute e impressioni.

    04.36.48

    Intanto, uno spettatore scruta dallo schermo dello smartphone gli spot pubblicitari in corso di trasmissione, collegato con il portale del canale televisivo. Poi chiude il riquadro con pochi gesti e controlla se ci siano messaggi o notifiche dal social network blu.

    Vicino a lui, la moglie fruga annoiata nella borsetta in cerca di qualcosa.

    Un uomo si posiziona vicino al palco. Microfono in mano, si rivolge alle persone in platea e nella galleria: «Tra poco ricominciamo, iniziate a tornare ai vostri posti. Grazie.»

    Manca pochissimo alla ripresa della diretta televisiva. È tutta una questione di attimi, di incastri, di rispetto di una scaletta predeterminata da seguire in modo puntuale.

    L’uomo allontana il microfono, lo spegne e si approccia a un assistente di produzione.

    «Siamo in ritardo di quaranta minuti, un casino. E stasera chiudiamo con le premiazioni. Ce la facciamo a recuperare per finire all’una?»

    L’assistente scuote la testa. Ha lo sguardo cupo.

    «Impossibile. C’è il televoto, devi mantenere lo stesso tempo di minutaggio di apertura, lo dice il regolamento. E poi c’è l’elaborazione dei dati. Non la vedo bene, sai?»

    03.00.59

    Uno sguardo verso l’orologio digitale gli conferma che la batteria degli spot è quasi terminata, infine riprenderà la diretta, quaranta minuti di fila.

    Fino all’edizione del telegiornale. Quella breve, tutte le notizie in un minuto. Tranne una: il nome del vincitore del Festival di Sanremo.

    Anche se ci fosse una fuga di notizie, se trapelasse un’indiscrezione, rimarrebbe l’embargo totale. Tassativo. Esclusivo.

    L’assistente di produzione si avvicina all’uomo col microfono.

    «Oh, stavolta quelli del televideo non faranno la cazzata, eh?» gli sussurra.

    «Lascia perdere» risponde l’altro. «Quando è accaduto quel casino – e sono passati anni – è successo di tutto. Urla, cazziatoni. Ormai hanno imparato la lezione. Oh, sbrighiamoci. Tra poco si riprende.»

    Riaccende il microfono.

    «Signori, prego di accomodarsi ai posti. Tra poco torniamo in diretta.»

    01.30.48

    A pochi metri di distanza, dietro le quinte, il conduttore rilegge velocemente gli appunti della scaletta.

    «Mi raccomando col gobbo, non divagarti troppo. Tieni il tempo» lo incoraggia un’altra assistente di produzione.

    «Lo dici a me?» risponde divertito Amadeus. «Non ho mai sforato nelle puntate in diretta del game show domenicale. Ho il timer in testa, io.»

    Quindi si avvicina alla donna e, a voce bassa, mentre col pollice indica altrove, aggiunge: «Semmai è Fiore a non controllare lo schermo in galleria. Improvvisa, ed è bravissimo. Un vero animale da palco, però sfora i tempi. Ma cerchiamo di stare calmi, siamo quasi alla fine.»

    00.56.31

    «Ultima autopromozione. Trenta secondi e siamo in onda!»

    Amadeus si sistema il papillon e la giacca. Getta un rapido sguardo di sbieco per scrutare il pubblico in platea, ci sono ancora diversi posti liberi qua e là. Percepisce il clima elettrico dell’attesa della fase conclusiva del Festival.

    «Come sto?» domanda sorridendo all’assistente di produzione, prima di rientrare sul palco.

    È arrivato il momento. Entro nella toilette.

    Ho individuato la porta, è la terza a sinistra.

    Mi fermo. E rimango in ascolto.

    Riconosco i movimenti tipici dell’intimità. La cintura slacciata, i pantaloni abbassati.

    Ci siamo.

    Mi volto e prendo dalla tasca sinistra della giacca un passe-partout. Do un veloce giro di chiave alla porta principale, un rituale provato nei giorni scorsi, senza che nessuno se ne accorgesse.

    Fatto.

    L’ingresso della toilette è bloccato.

    Ora siamo soli, anche se lui non lo sa.

    Prendo fiato. Muovo le dita delle mani, un po’ per sgranchirle, un po’ per prepararmi alle prossime mosse.

    Adesso ho due opzioni. O apro la porta del bagno e lo affronto subito, oppure attendo che si ricomponga. Ma l’avversario non va messo nelle condizioni di controbattere. Anzi, è sempre necessario anticiparne le mosse, senza dargli il tempo di reagire.

    Estraggo la pistola dalla giacca. Innesto il silenziatore. Tolgo la sicura. La rimetto in tasca, pronta all’uso.

    Quindi utilizzo di nuovo il passe-partout per sbloccare la serratura della cabina. È questione di un attimo. Afferro il pomello e spalanco la porta.

    Ha ancora i pantaloni calati e le mutande appena abbassate, ad altezza dei fianchi.

    Mi osserva. Per quanto tempo, non saprei. Il tempo si ferma mentre cerca di focalizzare il mio volto, coperto dagli occhiali scuri.

    «Lei chi è?»

    2

    00.20.51

    «Siamo pronti?» urla l’assistente di produzione.

    Un ultimo sbuffo di cipria e Amadeus entra in scena.

    La truccatrice si allontana dal palco a passo svelto.

    Gli operatori delle telecamere sono ai propri posti.

    Dalla cabina di regia, scatta il nuovo conto alla rovescia.

    Il conduttore ripassa mentalmente le frasi da dire.

    Il pubblico è rientrato in sala. Le poltrone di platea e galleria sono di nuovo quasi tutte occupate.

    Tranne quella dell’uomo in giacca e cravatta, uscito di scatto al momento della pausa per recarsi alla toilette. E non ancora rientrato.

    00.10.09

    L’assistente di produzione scandisce i secondi, uno dopo l’altro.

    «Sette, sei, cinque, quattro, tre… due. Uno.»

    Luce rossa sulla telecamera principale.

    Sullo schermo del monitor alla sinistra del palco appare il segnale lampeggiante.

    On Air.

    Scatta l’applauso del pubblico in sala, stimolato con ampi gesti delle braccia da un altro assistente di produzione.

    Amadeus, al centro della scena, prende la parola.

    «Benissimo, bentornati. Si è conclusa la fase delle esibizioni dei cantanti rimasti in gara. Avete avuto il tempo di votare, durante l’interruzione pubblicitaria. Pertanto adesso possiamo proclamare… stop al televoto!»

    Sullo schermo della regia compare la fatidica frase in sovrimpressione. Pochi istanti, poi sparisce.

    Scatta un altro applauso.

    «Perfetto» riprende il conduttore. «I dati raccolti dovranno essere dunque elaborati, verificati e poi approvati dal notaio presente in teatro. Naturalmente ci vorrà del tempo, prima di accertare chi sarà… il vincitore dell’attuale edizione del Festival della Canzone Italiana!»

    Applausi.

    Amadeus alza la mano destra, in segno di invito a placare gli entusiasmi.

    «Ho detto che serve del tempo. Quindi dobbiamo aspettare. Con qualcos’altro. Vero, Fiore?»

    Quindi si rivolge all’amico di sempre, con lo sguardo rivolto alle quinte.

    «Oh, dove sei finito? Dai, vieni avanti!»

    Dalla prima fila lo scruta, sorridente e in ottima forma, la moglie Giovanna assieme al figlio José, pronta a non perdere nemmeno una battuta del conduttore e direttore artistico del Festival.

    Pochi istanti e compare tra gli applausi il suo vecchio amico. Elegantissimo, indossa un frac dell’ultima collezione di un rinomato stilista che ne sottolinea il fisico asciutto e tenuto in forma tra la palestra e i campi da tennis, praticamente tutti i giorni.

    Sorridente e cordiale, Fiorello saluta il pubblico in sala, che non smette di applaudirlo con un contorno di urla e ovazioni.

    Amadeus indietreggia di pochi passi. Rosario si volta subito verso l’amico di sempre, compagno di lunghe dirette radiofoniche.

    «Oh, dove vai Ama?»

    Il pubblico in sala scoppia a ridere.

    «E vieni qui, no? Mica penserai di sgattaiolare via, come se niente fosse. E dai!» dice ridendo il compagno di scena.

    Amadeus suda freddo, da Fiorello c’è da aspettarsi di tutto.

    «Scappare, io? Ma questa è davvero bella, eh?» ribatte il conduttore. «Tu, piuttosto, due giorni fa sei sparito, come l’anno scorso. Sappiamo tutti che eri a Bordighera per giocare di nuovo a tennis con Jannik Sinner, il nuovo talento internazionale della racchetta. A proposito, gli hai portato fortuna un anno fa, dopo che ha vinto a Sofia nel torneo Atp!»

    In quel momento, parte un altro applauso dal pubblico.

    «Già! E pensa che a momenti mi slogavo il polso destro, Jannik tirava certe bombe sulla diagonale! È uno che fa sul serio, credimi. Se batte un fuoriclasse come Djokovic, come minimo massacra un principiante come me. Vero, Fogna?» dice Fiorello, rivolgendosi sorridente al campione internazionale di tennis Fabio Fognini, a fianco della moglie Flavia Pennetta, seduti nelle prime file proprio vicino alla moglie di Amadeus.

    «Oh, non vorrai mica proporre di fare una lezione di tennis per incapaci sul palco del teatro Ariston, magari facendo salire sul palco proprio Fabio?» ribatte Amadeus.

    Ancora un applauso.

    Rosario sorride da buon ammaliatore, scuotendo la testa. Sguardo fisso verso la telecamera. Non scruta il gobbo. Non ne ha bisogno. Lui sa come fare.

    «Non ci penso proprio. Anzi, sai cosa ti dico? Qui, su questo palco, c’è un problema che voglio confidarti.»

    Amadeus non risponde e ammicca al pubblico.

    «Tu sei anche il direttore artistico, giusto?» gli chiede Rosario.

    «In persona.»

    «Quindi hai scelto tu le canzoni in gara.»

    «Ebbene sì, maledetto Fiore. Hai vinto anche stavolta.»

    Il pubblico ride.

    L’uomo in frac allarga le braccia. «Infatti mi sono domandato come diavolo le hai scelte. Ma lo sai che la vera musica è ben altra?»

    «Insomma» risponde Amadeus tra il serio e il faceto, «ho cercato di scegliere brani che potessero funzionare soprattutto nelle radio. Dobbiamo fare i conti con le piattaforme streaming e le nuove tendenze giovanili, il mondo musicale cambia alla velocità della luce. Capisci a me…»

    Fiorello sogghigna. E sorridendo scuote la testa.

    «Dai, fingi di non capire. Non c’è solo quel tipo di musica. C’è la musica vera. E ora te lo confesso, davanti a tutto il pubblico in sala e che ci segue da casa: ho sempre avuto un grande sogno nella mia vita. Finalmente posso realizzarlo stasera. Qui. Sul palco del teatro Ariston. Lo sai che l’anno scorso c’era un importante anniversario, e te ne sei dimenticato?»

    Amadeus rimane col viso bloccato.

    «Quale anniversario? Ce ne sono stati tanti nel 2020. Mica possiamo ricordarli tutti.»

    Fiore allarga le braccia. «Ma dai! Proprio uno, l’anniversario più importante della musica: i 250 anni dalla nascita di Beethoven! Lo hanno celebrato in tutto il mondo, tranne che a Sanremo. Vogliamo allora recuperare stasera?» domanda alla platea e alla galleria.

    Un sì corale avvolge il palco.

    «Bene, adesso tocca a me. Sei pronto alla grande sorpresa?» domanda ad Amadeus.

    Il conduttore sbianca. «Oh, mamma! Cosa vuoi combinare?»

    È possibile che Anton Giulio mi abbia riconosciuto, ma non gli lascio il tempo per reagire.

    Estraggo la pistola e sparo.

    Due colpi secchi, dritti al cuore. L’uomo stramazza a terra.

    Indietreggio di pochi passi.

    Mi volto e verifico se, oltre la porta, c’è qualcuno nelle vicinanze.

    Nessun rumore, bene.

    Comunque non possono aver sentito nulla, il silenziatore è ancora innestato sulla canna fumante.

    Adesso devo ripulire tutto. Ripongo l’arma in tasca e mi accingo a spostare il cadavere in un angolo del cesso.

    Ad un cenno di Fiorello, il primo violino dell’Orchestra sinfonica di Sanremo si alza in piedi e gli consegna una bacchetta da direttore.

    «Ma stai scherzando? Vorresti davvero dirigere l’orchestra? Cosa ti è venuto in mente? Non vorrai mica diventare il nuovo von Karajan?» interviene Amadeus.

    Rosario gli sorride e: «Tieniti pronto.»

    Raggiunge la postazione del direttore. Bacchetta in mano, alza il braccio destro e dà l’attacco.

    Sol-sol-sol-miiiiiiiiiii!

    Amadeus riconosce l’inizio della quinta sinfonia di Beethoven¹. Un attacco micidiale, violentissimo, scattante. Fiorello gesticola come un consumato professionista, sollecita gli archi e i fiati, mantiene il ritmo di incalzo, tra i diminuendo e i crescendo, con un’energia e una capacità inusuali.

    Nel frattempo il conduttore ne approfitta, indietreggia, e con pochi passi si ritrova nel backstage.

    «Bene, è andata. Credi che riesca davvero a stare dentro gli otto minuti programmati? La vera Quinta sinfonia dura mezz’ora» domanda all’assistente.

    «Tranquillo, è tutto calcolato. Hai sentito anche tu il risultato della prova di oggi pomeriggio. Adesso fa l’inizio del primo movimento, poi taglia e passa alla fase terminale, che a sua volta sfocia nella parte conclusiva dell’allegro finale. Ci ha pensato il direttore dell’Orchestra sinfonica a preparare questa chicca, anche per dare un lancio alla città di Sanremo.»

    «L’idea è bellissima» riprende il conduttore, mentre osserva di sbieco Rosario Fiorello, ormai a suo agio nei panni di direttore. «Spero solo che alla gente non venga voglia di cambiare canale. Però l’idea è geniale: Fiorello dirige Beethoven.»

    «Appunto. Ormai nessuno cambia canale. Le altre reti stanno trasmettendo film vecchissimi e usurati. E la partita di calcio di stasera sulla pay tv è finita da un pezzo» prosegue l’assistente «Pensa che domani sera gioca la tua Inter…»

    Nel frattempo la ripetizione del tema del destino incombe, in un lieve rallentando. E qui scatta la modifica nella partitura, col passaggio diretto al finale. Col tema del trionfo della vita, della giubilazione, quel perentorio do-mi-soool-fa-mi-re-do-re-do che scatena l’entusiasmo a ogni ascolto, rigenera e ti fa sentire vivo.

    Ormai Fiorello è trasfigurato, non è più lui. Dopo anni e anni di esercizio in casa davanti alla tv, bacchetta in mano, pronto a imitare i grandi direttori del passato e del presente, si sta divertendo a emularli. Al punto tale che, arrivato alle pagine conclusive della partitura, si lascia pure scappare una lacrimuccia. Subito ripresa dalle telecamere.

    Ma non c’è tempo. L’uomo in frac sprona i professori d’orchestra, ed è il primo violino, vero e proprio ideatore di questo inedito fuori programma, nato durante le prove del sabato pomeriggio, a occuparsi di dare gli attacchi ad archi e fiati.

    Così si arriva

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