I rotoli dell'immortalità
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Info su questo ebook
Uno spietato killer, il migliore, inviato per portare a termine una missione importante, la più importante che l'organizzazione di cui è parte, abbia mai messo in atto. Appropriarsi dei segreti del mondo. Segreti conservati in un altro mondo, sotterraneo e misterioso, le cui chiavi sono in possesso di un anziano professore. Tutto sembrava una passeggiata sulla carta, ma l'amore, il passato e la mente contorta dell'organizzazione, renderanno questa avventura difficile e mortale. Con risvolti imprevisti e cruenti. Dove non sempre il lieto fine prevale.
Nella trama si intrecciano, un'organizzazione segreta, spietati killer, il grande Gengis Kan, i segreti del mondo, un pizzico d'amore, e dei poveri studenti universitari. Il tutto legato da fitti misteri, storie che si intrecciano e battute divertenti. Il tutto in una salsa noir e pulp, ambientata tra gli USA, Londra, la Puglia (Barletta e dintorni), la Grecia, la Mongolia e la Svizzera.
Pierluigi di Cosimo
Mi chiamo Pierluigi, e sin da piccolo sono appassionato di tecnologia, numeri, matematica, fisica, giardinaggio, cinema, etc...Da bambino avevo un amico immaginario, PIC, con cui giocavo moltissimo e, dopo aver imparato a scrivere, mi divertivo ad inventare storie, e a scrivere brevi racconti avventurosi e fantastici. Qualche tempo fa ho ripreso l'abitudine di mettere su carta tutto quello che mi passa per la testa, è nato così il mio primo racconto, "I Rotoli dell'Immortalità". Nel frattempo avevo iniziato a scriverne un secondo, "Dove tutti i sogni finiscono", che ho pubblicato da poco. Ora sono alle prese con il terzo "I racconti del Calamaio" e abbozzato un un quarto "I maledetti casi irrisolti di Ely", che potrebbe diventare una serie. Tutto questo tra una ricetta di cucina ed un'altra, sì, perché tra le mie passioni c'è anche quella di cucinare, ed è per questo che scrivo, insieme a mia moglie, anche su un blog dove condivido con gli altri semplici ricette fatte in casa. Se riesco in tutto questo, lo devo soprattutto a mia moglie e ai miei due fantastici figli.
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Anteprima del libro
I rotoli dell'immortalità - Pierluigi di Cosimo
PROLOGO
L’uomo con l’impermeabile, come ogni sera, era solo a bere il suo cappuccino, seduto in quel bar solitario, mentre un solitario barman asciugava i soliti bicchieri.
L’uomo si alzò, lasciò i soldi sul tavolo, e s’incamminò per quella strada solitaria.
Ogni sera gli stessi, ripetitivi, gesti. Eppure, quell’uomo, era considerato una persona tanto imprevedibile quanto furba.
Ci si poteva aspettare di tutto da quell’uomo, fuorché che fosse abitudinario. Inoltre, sembrava sempre avere i soldi precisi per pagare ogni cosa che comprava, fino al singolo centesimo, mai nessuno era riuscito a dargli il resto.
Faceva freddo, e le folate di vento autunnali portavano sulle loro ali il gelo dell’inverno. L’uomo, con passo sicuro, continuò per la sua strada, semplicemente calcandosi il cappello a falde e tirandosi su il bavero del soprabito beige, ma tanto sicuro quell’uomo non doveva essere, poiché era già morto, ma non lo sapeva.
* * *
Qualche mese prima, dall’altra parte del globo, il sole inondava la spiaggia tropicale, e la risacca, con la sua suadente voce, cullava Mr. X sdraiato sull’amaca all’ombra del porticato della sua villa.
L’aveva ereditata dal nonno, questo era quello che si diceva in giro, non era molto grande, ma suscitava comunque l’invidia di molti.
Completamente in legno, due piani, tetto spiovente, un’enorme vetrata per l’accesso al portico costruito sulla spiaggia, ed una vista mozzafiato sull’oceano.
Molti erano i misteri che circondavano quell’uomo. Era schivo, spesso assente per lunghi periodi, e i vicini, preferivano farsi i fatti loro. L’unico vantaggio, era che da quando si era trasferito in quella casa, sia lui che i vicini, non avevano mai ricevuto la visita dei ladri, e la delinquenza nel quartiere era cessata. Certo, qualche volta si sentiva un colpo di pistola nel cuore della notte, ma a chi importava, se il risultato era quello di vivere tranquilli?
La camicia di lino blu semiaperta e i pantaloncini corti, nascondevano a stento quel fisico asciutto e perfettamente abbronzato che, abbandonato sull’amaca, si lasciava cullare da una leggera e fresca brezza. Capelli corti e neri, una barba leggermente incolta, e due splendidi occhi neri, completavano quello che a detta di molte ragazze, era considerato l’uomo dei proprio sogni.
X stava facendo il suo riposino, era riuscito da poco a riprendere questa sana abitudine, e, dal quel momento, odiava fortemente chiunque lo disturbasse durante quella pausa.
I periodi di solitaria tranquillità erano rari per lui. Era quasi sempre fuori per lavoro, e pretendeva che niente e nessuno potesse rubargli quegli attimi di pura e semplice vita.
Non aveva scelto lui il lavoro che faceva, né i rischi che doveva correre, e neppure tutto quello che doveva dimenticare dopo ogni lavoro. Gli era tutto piombato addosso da giovane, e, come una tuta da lavoro, appena poteva l’appendeva al primo gancio sulla parete e si girava dall’altra parte per rilassarsi e dimenticare.
Forse era per questo motivo, o per la fama che aveva di essere un tipo istintivo, che il giovane davanti alla porta esitava a bussare. Lo scricchiolio delle assi di legno calpestate, non era comunque sfuggito all’orecchio sempre vigile di X. E lui aveva già iniziato ad accarezzare una delle sue ferree amiche. Riposavano sempre accanto a lui, gli davano sicurezza, un po’ come gli orsacchiotti per i bambini, tanto per intenderci.
Purtroppo per il ragazzo, quando si decise a bussare, la risposta non si fece attendere, la Beretta di Mr. X ruggì, ed il colpo si conficcò con precisione estrema nel ginocchio di quel poveretto, fracassandolo, non avrebbe più camminato correttamente. Stringendosi la gamba, completò comunque il suo dovere e consegnò la busta a Mr. X, che nel frattempo si era materializzato sulla soglia per finirlo.
Il giovane non disse una parola, non emise un solo gemito di dolore, solo la sua faccia contratta, il panico nei suoi occhi, tradivano quel misto di dolore e paura che stava provando.
La pistola, stretta nella mano e con la canna a pochi centimetri dal naso del giovane, era ancora fumante quando X degnò di un rapido sguardo quel viso dello stesso colore della cera. I suoi occhi neri, ma freddi come il ghiaccio, incrociarono quelli del ragazzo solo per un istante. Raccolse la missiva e incurante del ragazzo ferito, si voltò, chiudendogli la porta in faccia, aveva riconosciuto la scrittura sulla busta. Nella mente di X, l’averlo lasciato in vita, avrebbe dato al ragazzo il modo di imparare il momento e il tempo giusto per fare ogni cosa, e gli era costata solo una semplice menomazione permanente. In pratica una lezione gratis.
* * *
In quello stesso momento nella steppa mongola, l’antico mondo di Gengis-Kan, un vento solitario giocava con nuvole di polvere, quando i quattro studenti universitari entrarono nella tenda principale. Il Professore alzò la testa dai suoi appunti, e li guardò come se fossero entrati degli spettri; erano tutti coperti da una polvere giallastra. Nella tenda montata al riparo delle antiche rovine, e assorto nei sui cupi pensieri, non si era accorto del peggiorare del tempo, mentre il suo codazzo spolverava antiche ossa dalla sabbia. Ora i quattro si stavano dirigendo verso le docce, imprecando per il brutto tempo, che aveva vanificato il lavoro dell’intera giornata.
Il Professore decise di fare una pausa, in fondo una tazza di caffè se la meritava.
E mentre assaporava quello che sarebbe stato caffè in qualsiasi altra parte del mondo, ma non lì, chiuse gli occhi e ripensò al giorno in cui aveva trovato quelle carte.
Era finito in quello stanzino per caso. A quell’ora tarda erano poche le persone che si trattenevano nel museo, e lui stava cercando uno dei tanti schedari. Non c’era nessuno a cui chiedere, e allora iniziò ad aprire tutte quelle maledette porte. Ricordava ancora l’odore dell’aria viziata, che aveva colpito le sue narici, quando aveva aperto la porta consumata e rosicchiata di quello stanzino dimenticato. E poi la curiosità, la vocina sottile del vecchio archeologo, formato sul campo, che l’aveva spinto ad inoltrarsi in quell’antro buio, e a togliere le ragnatele da quello scrittoio. Ricordava ancora quando aveva inciampato in quella piccola cassetta di legno, che una volta aperta gli aveva rivelato quei pezzi di pergamena arrotolati ordinatamente. Ed infine ricordava perfettamente le notti passate a studiare quei piccoli rotoli, chiuso in casa sua, che ormai somigliava sempre più ad una discarica, e la consapevolezza crescente, ora dopo ora, di aver fatto la scoperta del secolo. La scoperta dell’immortalità.
Da quel momento era iniziata l’avventura che l’aveva portato in mezzo a quel tempaccio. Il Professore Maurice era avanti con gli anni, piccoli occhiali rotondi, calati un po’ sul naso, incastonavano stanchi occhi azzurro mare. Si era fatto le ossa da giovane scavando in circa la metà del globo. Aveva consumato gran parte del suo fuoco sacro, scavando e studiando, ma nessuna delle scoperte fatte, gli aveva dato la notorietà che cercava. E così, ormai rassegnato, aveva iniziato ad invecchiare dietro una scrivania. Cercando di trasmettere la fiammella superstite di quel fuoco sacro a dei giovani, che invece volevano solo ottenere un pezzo di carta, una laurea, un trofeo da inserire nel loro curriculum.
Questa era una cosa che non sopportava, che lo faceva arrabbiare. Non riuscivano ad apprendere, a capire che l’archeologia non poteva solo essere studiata, doveva essere assorbita lentamente, sporcandosi le mani, toccando con mano i reperti trovati, maneggiando un osso, un fossile e porsi mille domande sui motivi per i quali quell’osso giacesse lì, dove non sarebbe dovuto stare, sul perché e sul percome di un semplice foro fatto in una piramide. Evidentemente, o lui non riusciva a trasmettere queste cose nelle sue lezioni oppure non c’era più la voglia di diventare bravi archeologi, forse era passato di moda, forse era tutta colpa di Indiana Jones
. Fu per questo motivo, che non disse ai suoi ragazzi cosa e dove cercare, non meritavano quella scoperta, ma in fondo loro erano contenti lo stesso di poter superare l’esame universitario agevolmente, guadagnandosi al contempo qualche sterlina.
capitolo 1
Era metà maggio, ma faceva già caldo come se fosse estate. Mr. X scese dall’aereo appena atterrato all’aeroporto di Bari, conosceva bene quelle zone, le usava spesso come tappe intermedie per i suoi spostamenti.
Aveva ancora qualche giorno prima di salpare alla volta della Grecia, prese una macchina a noleggio, ogni volta la trovava sempre allo stesso posto, appena uscito dall’aeroporto e già con le chiavi inserite. Si mise sulla strada lungo la costa. Il mare gli piaceva e gli ricordava la sua infanzia, in fondo c’era cresciuto con l’aria di mare nelle narici. Arrivato in vista del mare, invece di andare a sud, decise di fare una piccola deviazione verso nord, una città che sulla guida turistica aveva quattro stelle, Barletta, la città della disfida. Trovò un albergo, e si registrò con uno dei tanti passaporti che aveva. Stranamente quella notte dormì tranquillo, sempre con la sua inseparabile Beretta sotto il cuscino, stretta nella destra, con il pollice sul cane e l’indice sul grilletto, ma tranquillo.
Il giorno dopo si concesse qualche ora di libertà, fece il turista. Visitò il castello, la cattedrale e la cantina della disfida, purtroppo chiusa, come al solito. Poi cominciò a vagare per la città, gli piaceva il calore della gente, il modo di parlare incomprensibile, a chi non era del posto. Sembrava che da quelle parti il tempo si fosse fermato. I contadini ancora giravano per la strada a bordo di piccoli trattori. Piccole rimesse al piano terra, diventavano botteghe d’improvvisati artigiani, o rivendite di frutta e verdura fresca, gestite da donne anziane.
La cultura dell’usa e getta ancora non faceva parte di quel mondo, e le cose rotte si riparavano, o si riciclavano. Gli edifici storici, appena ristrutturati e ripuliti, rilucevano al sole in tutto il loro candore, accecando con il bianco delle loro pietre. L’unica sbavatura di colore, in quella foto bianco e nero, erano i giovani, accecati dalle false promesse del mondo moderno, che giorno dopo giorno cercava di soffocare quella dura ma vera singolarità con l’apparente facilità e falsità della globalizzazione. In quella terra ancora si respirava aria buona, ancora c’era gente che credeva nel lavoro della terra, che li ripagava con splendidi uliveti a ridosso del mare. Quei posti, quel vociare di un altro mondo, quell’odore di mare e ulivi, riuscivano a rapire la mente di Mr. X, a riportarlo alla sua giovinezza. Una giovinezza breve, ma intensa.
Dovette crescere in fretta, ma non rimpiangeva niente del suo passato, o delle scelte che qualcun altro aveva fatto per lui.
Mentre vagava senza meta, la sua attenzione fu attirata da un gran numero di persone davanti ad una chiesa, un po’ per il caldo, un po’ per la curiosità, entrò e si sedette al centro della navata. La chiesa era grande, ma moderna. I mosaici che riempivano le pareti ed il soffitto erano stati creati miscelando sapientemente minuscole tessere color oro, blu, verde e rosso. Non era stato facile coniugare il moderno del cemento con l’antica arte delle tesserine colorate, ma questa volta era riuscito bene, si trovò a pensare Mr. X.
Era un funerale, ma la salma non era ancora arrivata, molti erano tristi e silenziosi, altri parlottavano e chiedevano, chi saranno i parenti e chi il morto. Donne anziane, iniziavano già a struggersi di lacrime. Mr. X rifletté su quelle parole, e quelle scene di dolore. Evidentemente, pensò, le anziane donne avevano bisogno di piangere qualcuno, erano state istruite da piccole che bisognava piangere ogni tanto. Nel frattempo arrivò la salma, dentro una semplice bara lucida, cominciò il pianto vero e sincero dei parenti. Il feretro percorse lentamente la navata, sorretto da quattro ossuti becchini e Mr. X si ritrovò a pensare