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Poker con la morte: Un’indagine genovese di Matteo De Foresta
Poker con la morte: Un’indagine genovese di Matteo De Foresta
Poker con la morte: Un’indagine genovese di Matteo De Foresta
E-book270 pagine3 ore

Poker con la morte: Un’indagine genovese di Matteo De Foresta

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Info su questo ebook

Matteo De Foresta, giornalista che abita e lavora a Genova, convive con Barbara. Hanno una figlia ma la loro relazione è in crisi. Decide di aiutare Evgeni, un suo amico scassinatore a cui deve la vita, a scoprire chi ne ha ucciso il cugino. Le indagini lo portano ad un misterioso giocatore del poker online. Con l’aiuto di Attilio, giocatore di poker paralizzato e sulla carrozzina, si infiltra nelle partite clandestine a casa di Rodolfo Mutti, avvocato e primo sospettato. Intanto il giornale per cui lavora Matteo è a rischio chiusura. Direttrice pro tempore viene nominata l’avvenente Clara Manzini, al cui fascino il giornalista non è insensibile.
LinguaItaliano
Data di uscita15 gen 2017
ISBN9788869431814
Poker con la morte: Un’indagine genovese di Matteo De Foresta

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    Anteprima del libro

    Poker con la morte - Marvin Menini

    1.

    Io, Bruno ed Andrea ce ne stiamo lì, parcheggiati come vecchie auto in rimessa, a guardare il tramonto sugli scogli vicino a Quinto. Tanto per cambiare, teniamo in mano un Rum Cooler, e nel cuore la solita voglia di fare due chiacchiere. È domenica, una bella serata di primavera. Una di quelle in cui si sente nell’aria l’odore del pitosforo e dei suoi fiori. Il sole scalda ancora abbastanza il viso da non sentire il freddo della tramontana, ed il mare di fronte a noi è così placido che ti fa venire voglia di tuffartici. Insomma: una di quelle giornate che ti metterebbe di buonumore anche se avessi appena scoperto che tua moglie fa la pornostar, guadagna un sacco di soldi e versa tutto su un conto alle Cayman a tua insaputa.

    Lì vicino ai tavolini del bar, la piazza è piena di bambini che scorrazzano ed urlano. Riempiono lo scivolo e la giostra, traboccando gioia dagli occhi. Tranne qualcuno, che frigna per la caduta e l’inevitabile sbucciatura sul ginocchio.

    Noi tre, invece, non avendo più l’età legale per lo scivolo, parliamo, tanto per cambiare, di Dio e del destino. È circa la settemilionesima volta in venticinque anni. Bruno Cevasco è tutto impegnato a spiegarci come il concetto di entropia possa essere applicabile anche in caso di esistenza del caro vecchio con la barba bianca. Cosa che io reputo probabile, mentre Andrea è più propenso al no, da sempre.

    Ceva, è una vita e mezza che ti sento parlare di entropia, gli dice Andre. Hai scassato le palle, belin.

    Lo fa con il solito sorriso di sempre, da bravo ragazzo che aiuta le vecchiette a fare la spesa, e la cadenza genovese marcata che si porta appresso senza speranza. Andrea Ferrando potrebbe dirmi le peggio cose con quel sorriso ed io non riuscirei comunque ad avercela con lui.

    Già, aggiungo io. E continuo a non capirci nulla.

    Bruno soffia con la cannuccia nel bicchiere, e fa le bolle rimestando lo zucchero di canna sul fondo.

    Perché siete due testoni. Allora, ci riprovo.

    Andre allunga il braccio a mano aperta, come se si volesse proteggere da un raggio laser.

    No, ti prego, non ricominciare con il pacchetto di fiammiferi ed io che lo svuoto di colpo e tutto il resto.

    In quel momento, una nana con i capelli neri, le cosciotte piene con le pieghe sulle ginocchia e gli occhi profondi come sua madre mi viene vicino.

    Papi, posso mangiare un altro gelato?.

    La prendo in braccio. Margareth ormai ha quasi cinque anni, ed inizio a fare un po’ di fatica nel sollevarla. Fino a qualche tempo fa, mi sembrava di prendere in mano un uccellino.

    Amore, lo sai che poi non mangi e la mamma ci sgrida.

    Ma io ho fame.

    Margie, amore, papà ha detto no.

    Ma tu mangi le noccioline e le patatine.

    Bruno ride.

    Ma papà è grasso come un maialino tesoro, dice, vuoi diventare come lui?.

    Andrea le mette l’indice sul naso. Schiaccia delicatamente, e fa il verso del maiale. Margareth si tira indietro, con una risatina civettuola.

    Dai, va’ a giocare ancora cinque minuti che poi andiamo.

    Ok papi.

    La guardo trotterellare verso lo scivolo, e sospiro. In quel momento, è come se qualcuno avesse tolto di colpo cinque tonalità ai colori del mondo.

    Sempre uguali le cose con Babe?, mi dice Bruno.

    Sì. Non è cambiato niente. I rapporti sono come quelli tra i Klingon e Federazione.

    Star Trek prima o seconda serie?.

    Spiritoso. Ma tanto eh.

    No, scusa, era per capire.

    Andre afferra una manciata di patatine più grande della sua mano, e se la infila tutta in bocca. Mentre sgranocchia e si riempie la camicia di briciole unte mi dà una pacca sulla spalla, che è più una carezza. Suppongo non sia affetto e si voglia solo pulire la mano dall’unto.

    Ho parlato con Elisa. Ho estorto con astuzia informazioni al nemico. Ma belin, silenzio o scoppia la bugna eh, mi dice.

    Ma sì, ma sì. Mica sono scemo.

    Ecco. Su quello ho ancora dei dubbi, Ciccio.

    Va’ al punto.

    Sì. Ecco. Allora. Non è che Barbara non ti ami più. Si lamenta. Tutto qui.

    Immagino delle stesse cose che mi dice ogni giorno. E che suppongo Elisa dica a te. Che non facciamo nulla in casa, che siamo disordinati, che siamo pigri, che ci viene voglia di fare qualcosa solo quando siamo tra di noi o con quelli del calcetto e che quando siamo con loro diventiamo narcolettici.

    Sì. Ma non solo.

    Fratelli, le donne spaccano tutte il cazzo allo stesso modo, dice Bruno chiudendo gli occhi verso gli scogli.

    Bruno. Lascialo finire, gli dico.

    Si lamenta che non scopate più. Che non la guardi più. Pensa anche che tu abbia una.

    Alzo gli occhi al cielo ed allargo le braccia. Mi sento tanto Mosè, ma il mare di Quinto non si apre per far passare noi tre.

    Ma è incredibile. Cioè. Si lamenta che non la guardo più? Ma hai presente come gira per casa? Il primo anno di convivenza, era tutto uno sfoggio di lingerie, pizzi e tivedonontivedo. Era sempre depilata e profumata. La pelle liscia e lucida. Non saltarle addosso, era un delitto da punire con l’ergastolo. Adesso, ha sempre o il pigiamone grigio con l’orsacchiotto che stringe il cuore oppure la tuta di flanella rosa a coste. E nel dubbio, ci mette pure sopra un bel paio di calzettoni di lana a righe.

    Andrea ride.

    Le gambe di Elisa, sembrano una foresta pluviale da tutta la vegetazione che c’è sopra.

    Ecco. Appunto. Quelle di Barbara, un bayou della Louisiana. Rende meglio.

    Bruno si stiracchia, ed emette un rantolo di disapprovazione.

    Perché siete due ragazzini, fratelli. Il sesso parte sempre dalla testa, dall’immaginazione, dice, picchiettandosi la tempia con l’indice.

    Belin, piantala, gli risponde Andre, parli tu che te le cannelli sempre più giovani. Se continui così, la prossima foto che tiri fuori per farci vedere chi ti chiavi sarà un’ecografia prenatale.

    Tutta invidia fratello. Perché io piaccio ancora. Tu e quest’altra ameba no.

    Io ed Andre, senza nemmeno guardarci, prendiamo il bicchiere e tiriamo il ghiaccio addosso a Bruno. Lui risponde al fuoco. Infila la mano nel Rum Cooler, da buon pallanuotista in pensione carica il braccio come se dovesse infilare una palla nel sette e mi tira un cubetto di ghiaccio. Io lo schivo, ma quella specie di proiettile colpisce in piena nuca un ragazzino dietro di noi, che avrà sì e no sette anni. Il bambino crolla a terra, come un cervo abbattuto da una fucilata.

    La madre, una signora elegante sulla quarantina, alta e con due metri di coscia si lancia su di lui, con la rapidità di un rapace. Manco fosse finito in una pozza di piombo fuso.

    Bruno si alza, va verso il bambino e lo aiuta a rialzarsi. Io ed Andre vediamo benissimo l’infame che elimina la prova e schiaccia il cubetto di ghiaccio con un piede. Poi, si china su di lui, gli dice due cose, e gli fa il solletico sotto l’ascella. Il bambino gli sorride, e smette di piangere. La madre guarda Bruno estasiata con due occhi pieni di ammirazione, e lo ringrazia.

    Oh, ma sarà un bastardo, dice Andrea accennando un pugno sul tavolino.

    Vedrai che le chiede anche il numero di telefono.

    No Ciccio, non ci credo. Questa volta non ci credo. Non si può proprio.

    Il bambino riprende a correre e saltellare. Bruno continua a chiacchierare con la signora. Dopo un minuto, tira fuori il cellulare dalla tasca ed inizia a comporre un numero.

    Belin. Giuda potrebbe vincere il premio come uomo dell’anno in confronto a questo, mi dice Andre.

    Bruno torna, con il suo solito sorriso fetente. Fa spallucce, mentre gli diciamo bravo eh, bravo e lo applaudiamo con aria schifata.

    Guardo l’ora. Chiamo Margareth a rapporto, le do una sistemata e saluto i due balordi.

    Quando ci vediamo adesso fratelli?, chiede Bruno.

    Per me quando volete, risponde Andre. Tanto giovedì calcetto, no? Ah, Ciccio. Tu e Barbara siete a cena da noi domani sera. Te l’annuncio in anteprima.

    Si sono messi d’accordo i due generali?, gli dico.

    Sì. Ovvio. Non è certo una mia trovata. Io meno ti vedo in questo periodo con quel muso lungo e meglio sto.

    Mi abbraccia forte, e mi dà un bacio sulla guancia.

    Papà, vengo anch’io domani dalla zia Eli?.

    Certo amore.

    Che bello. Così gioco con Marilde

    Bruno ride in modo scomposto.

    Che gioie mi ha dato la vita fratelli, dice. Due stronzi con le donne come voi, due figlie femmine. Vedete? Dio esiste. Anche senza mettere di mezzo l’entropia.

    Se Dio esiste, gli risponde Andre, come minimo per quello che combini tu ti si dovrebbe seccare l’uccello, e cadere nella tazza mentre pisci.

    Oh, voi due. Basta!, dico io indicando con gli occhi Margie.

    Margareth capisce, e ride.

    Ma papà, tanto la mamma me lo dice sempre che gli zii dicono un sacco di parolacce e non devo ascoltarli.

    Inizia a fare freschetto, le manine di Margareth sono gelide. Le sistemo il cerchietto sulla testa e le metto i guanti. Bruno ed Andrea si chinano per salutarla. Andre si fa stampare un bacio con lo schiocco sulla guancia, mentre Bruno le dà un bacino sulla fronte.

    Saliamo sulla mia Citroën due cavalli verde pastello. Il sole è già quasi sparito del tutto, sembra un’unghia fluorescente che ferisce l’orizzonte tra cielo e mare. Margareth si è addormentata, con la testa reclinata indietro sul seggiolino e la bocca aperta. Russa in modo lieve e quasi buffo, come un cartone animato. Sembra sua madre quando dorme.

    Mi scappa un sorriso dolce nel guardarla dallo specchietto. Ma si spegne subito, perché ripenso alle parole di Andre. O meglio, a quelle di Barbara. E mi rendo conto che forse è il momento di fare un po’ di chiarezza tra noi.

    2.

    Parcheggio sotto casa. Sveglio Margie, che non la prende bene come tutte le volte che se la dorme alla grande e viene interrotta. Si lamenta, e scalpita; dopo qualche secondo di coccole e baci riesco a ripristinare la calma. In fondo, mi dico, è mia figlia ma resta pur sempre una donna e la tecnica non cambia. Ascoltare, dire più volte hai ragione tesoro, contare per un numero variabile da dieci a mille senza rispondere, passare alle coccole e poi proseguire verso l’obbiettivo una volta ripristinata la calma. La prendo in braccio, lei appoggia la sua guanciotta sulla mia spalla stringendomi forte il collo. Mentre l’ascensore sale, mi guardo allo specchio e provo vari sorrisi. Ecco. Ne trovo uno che è decisamente bello e convincente. Lo ripeto varie volte, giusto per essere sicuro di farlo alla perfezione. Suono il campanello.

    Dopo qualche secondo, Barbara apre la porta. Io sfodero il famoso sorriso dell’ascensore, e cinguetto Ciao amore mio!. Lei mi guarda torva, forse anche un po’ schifata. Mi sento un testimone di Geova che suona per portare la buona novella alle sei di domenica mattina.

    Ma non le abbiamo le chiavi, eh?, mi dice.

    Subito dopo, guarda la nanetta e spalanca il suo sorriso dolce e gli occhi le si incendiano di quella luce che adoro. Prende in braccio Margareth. Forse, sarebbe più corretto dire che me la strappa quasi.

    Ciao amore della mamma! Quanto mi sei mancata!.

    Margareth ride, se la strizza forte, e la riempie di baci sulle labbra. Poi Barbara fa naso contro naso e la posa a terra .

    Hai sudato amore?.

    Le infila la mano nella schiena.

    Accipicchia, eccome.

    Mi fulmina con lo sguardo, mi manca l’aria e sto soffocando. Barbara è senza dubbio un Sith.

    Ma papà sapeva che non dovevi sudare. Hai avuto l’influenza la settimana scorsa.

    Mi sono divertita tanto mamma, sai? Ho fatto lo scivolo ho mangiato il gelato con il cioccolato e ho mangiato anche le patatine degli zii e del mio papà.

    Piccola traditrice. È proprio vero che cominciano subito.

    Dai, va’ a guardare un po’ di tv che poi facciamo il bagnetto e ceniamo, dice Barbara.

    Matte, vieni in cucina con me ad aiutarmi?.

    Ahia. Frase tremenda. C’è tutto un mondo dietro. In realtà, ti sta dicendo ehi bello, vieni dove nostra figlia non sente che ho intenzione di dirti tutto quello che penso di te. Oppure, potrebbe essere ho proprio voglia di sfogarmi come si deve e farti sentire l’imbecille che sei. La seguo. Non posso fuggire al mio destino.

    Apre la portafinestra del terrazzo, ed esce fuori. Si siede al tavolino, e si accende una sigaretta. Aspira con tale avidità che le guance quasi si toccano per il risucchio. Resto di sasso e spalanco occhi e bocca.

    Da quando hai ricominciato?, le dico.

    Da ieri. Perché? È proibito?.

    No, no. Però, cacchio. Mi hai fatto un elmo tale quando eri in gravidanza perché smettessi anche io che mi sembrava impossibile rivederti con una sigaretta in mano.

    Panta rei. Tutto scorre, diceva Eraclito. Le persone cambiano. E anche le cose. No?.

    Per carità. Me ne offri una?.

    Mi indica con la testa il pacchetto.

    Son lì.

    Esito qualche istante, ma poi mi accendo la sigaretta. Mentre aspiro la prima boccata di fumo dopo più di tre anni e tiro l’inevitabile colpo di tosse, provo un misto di piacere e delusione. A dirla tutta, mi sento un po’ coglione.

    Devi dirmi qualcosa Babe?.

    Barbara fissa il mare. Spegne la sigaretta e si strofina le braccia con le mani, come volesse cancellare una lieve pelle d’oca. Poi, allunga le gambe sulla sedia lì vicino. Mi guarda. Vedo nel fondo dei suoi occhi un velo di tristezza e diventano talmente scuri che nemmeno riflettono più le luci del porto. Il buio della paura e del dubbio. Prende un lungo respiro.

    Matte, non sono felice.

    Io divoro la sigaretta e la spengo con stizza nel posacenere.

    Ecco. Bene. Potrei capire perché?.

    Perché non sono felice. Tutto qui.

    E questo me l’hai appena detto. Ma posso sapere che cosa ti manca? Cioè. Abbiamo una bambina bellissima. Una casa bellissima. Il negozio va alla grande da quando lo gestisci tu.

    Ma certo. Abbiamo tutto. Che scema eh a farmi delle domande? Anzi, scusa se ho osato.

    Sto solo cercando di capire, Babe.

    Ma capire che cosa? Mentre tu fai domande io porto la bambina a scuola, cucino, faccio la spesa e sistemo casa. E tu? Non ci sei mai. E quando ci sei giri per casa con sguardo assente, manco ti togli il piatto da davanti. E mi chiedi perché? Matteo, non sono le domande il problema.

    Si alza di scatto, e rientra in cucina. La seguo, tira fuori con nervosismo una pentola e la riempie d’acqua, mentre chiama Margareth e le ricorda che è l’ora del bagnetto.

    La abbraccio da dietro, e le bacio una spalla. Lei si divincola di scatto.

    Puoi occuparti del bagnetto di Margie per favore?.

    Sbuffo, e sto zitto. Ma la tentazione di una rispostaccia è forte, perché Barbara sta camminando su quella sottile linea che separa la comprensione dal vaffanculo.

    Certo, le rispondo.

    Grazie.

    Grazie. Odio quando mi dice grazie con quel tono sterile. E lo sa. Me lo fa apposta. Respiro profondo, e scelgo di stare dalla parte della comprensione. Ma che fatica.

    Abbiamo sempre risolto tutto parlando Babe. Entro in casa, mi dici che non sei felice ed io ti chiedo perché. E l’unica cosa che fai è sbottare, alzarti ed andartene.

    Barbara si gira, mi guarda con occhi vitrei, pieni di rancore e rabbia.

    Forse perché se non ti fosse ancora chiaro è una domanda stupida.

    No. È solo una domanda. E credo meriti una risposta ben più profonda.

    Ecco. Allora, sai che c’è? Inizia a cercartela dentro questa risposta profonda, e poi magari ne parliamo.

    Un aiutino? Che so, il cinquanta e cinquanta. Oppure la telefonata a casa.

    Mi guarda di sbieco.

    Non fa ridere. E prepara il bagno a Margie che ci siamo quasi con la pasta.

    Riesci davvero ad essere indisponente, sai? Sto solo cercando di capire.

    Lei sospira e si mette le mani sui fianchi, io mi allontano per recuperare Margie.

    Matte, non puoi sempre pretendere che gli altri ti aiutino. Non è che non ci arrivi. Sei solo pigro.

    Mentre gioco con Margareth e le insegno a fare le bolle di sapone usando solo le mani, la mia testa gira come un frullatore. Conosco Barbara come me stesso. Ho sempre saputo trovare la risposta giusta, la frase giusta. A volte, mi bastava fare il buffone per farla ridere, smettevamo di insultarci e ci aggrovigliavamo per fare l’amore. E tutto si sistemava. Ora, di colpo, non riesco più ad afferrarla. Scorgo in lei questo filo ingarbugliato, di cui non trovo il capo. Adesso, non sono più i nostri corpi aggrovigliati. Solo i nostri pensieri.

    In quel momento, il cellulare vibra. È un messaggio di Evgeni, il mio amico bulgaro esperto in serramenti. Beh. Diciamo così. Non fa bello ammettere di essere amici con uno scassinatore professionista. Ci siamo conosciuti qualche anno fa. Mi era sembrato un bravo ragazzo, ed avevo deciso di aiutarlo. E avevo ragione. Perché Evge è tutto tranne che un delinquente. Poi, la vita ha fatto sì che io avessi bisogno di lui. Ed Evgeni mi ha ripagato con gli interessi, salvandomi la vita.

    Ciao amico. Ho bisogno di vederti il prima possibile. Puoi stasera?.

    Penso al generale ai fornelli. Non mi sembra la serata giusta per dire ehi ciao amore sì lo so che dobbiamo parlare ma esco a bermi una birretta con Evge. Tanto varrebbe firmare direttamente la separazione. Gli rispondo.

    Non posso stasera. Non possiamo fare domani?.

    No. Ti prego. Anche solo pochi minuti ma ti devo parlare.

    Sbuffo. Non posso proprio dirgli di no.

    Sotto al mio portone per le undici. Ma dieci minuti.

    Ok.

    Metto il pigiama a Margareth, e ceniamo. Assieme a lei riusciamo a ridere e scherzare senza alcuna difficoltà. Per un attimo, penso addirittura che sia già finita la crisi, perché Barbara sorride come sempre ed ha gli occhi pieni di allegria ed amore.

    Ma quando Margie si addormenta nel suo lettino, è come se Babe schiacciasse un interruttore, e la sua faccia si trasforma di nuovo in una maschera di vuoto ed angoscia. Si mette sul divano, sfoglia con distrazione una rivista di viaggi: ha l’espressione di una che non si ricorda manco la parola che ha letto subito prima.

    Le vado vicino, mi prendo i suoi piedi in grembo ed inizio a massaggiarli. Adoro i suoi piedi. Sono qualcosa vicino alla perfezione. Lisci e morbidi, caviglia sottile, dita lunghe come quelle delle sue mani. Le sfioro prima la gamba e poi salgo. Barbara posa la rivista. Mi guarda male.

    Allora non ci siamo capiti.

    Ritraggo la mano con la velocità di un cobra che scappa da una bastonata.

    Scusa. Ho solo voglia di fare l’amore con te.

    Barbara scaglia la rivista contro il muro.

    Matte. Cazzo. Sempre tutto al contrario devi fare.

    Si alza di scatto, e si rifugia sul terrazzo a fumare. La seguo.

    Abbiamo sempre risolto tutto facendo l’amore, le dico.

    Non questa volta. Mi spiace.

    Resto immobile ed in silenzio per qualche secondo. La domanda è inevitabile.

    "Hai

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