cRimini
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Anteprima del libro
cRimini - Davide Bressanin
Davide Bressanin
cRimini
Prima Edizione Ebook 2021 © Damster Edizioni, Modena
ISBN: 9788868104658
Immagine di copertina su licenza
Adobestock.com
Damster Edizioni è un marchio editoriale
Edizioni del Loggione S.r.l.
Via Paolo Ferrari 51/c - 41121 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
img1.pngDavide Bressanin
cRimini
Romanzo
Indice
0.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
Ringraziamenti
L’AUTORE
CATALOGO I GIALLI DAMSTER
A Pimpi
"di fare le cose soltanto per fare fantasticare"
(Gazzelle - Polinesia)
"camminavano leggeri sull’erba,
quasi senza toccarla,
senza lasciare tracce del loro passaggio"
(John Williams - Stoner)
"la mia speranza è di vivere meglio
il presente ricordando il passato.
Devil"
(Matt Murdock/Daradevil – Devil: Giallo)
0.
Potete anche dimenticare il nome di Antonio Fila, non lo sentirete mai più nominare in nessuna delle prossime pagine.
Eppure, se non fosse stato per lui, probabilmente nessuna delle prossime pagine sarebbe mai esistita.
Credo che sia per quella storia della farfalla che sbatte le ali a New York e, nello stesso istante, a Pechino scoppia un uragano.
Non ci giurerei che le città siano New York e Pechino, però il senso è comunque quello, cioè che tutto si intreccia nello spazio e nel tempo e avvenimenti lontani hanno ripercussioni tra loro.
Va bene, spiegata così non si capisce un granché, lo ammetto, però il succo del discorso è che le nostre azioni hanno conseguenze che noi non riusciamo a immaginare.
Antonio quella sera aveva litigato pesantemente con la sua fidanzata.
Non era la prima volta, era già successo altre mille sere per i motivi più stupidi.
Poi lui tornava, lei lo accoglieva, facevano l’amore e tutto si sistemava.
Quella sera però era stato un po’ diverso.
Lei aveva urlato, con tutto l’odio che provava in quel momento, che poteva andare a quel paese e lui era uscito di casa per evitare di metterle le mani addosso.
Sapeva per certo che lui era il tipo d’uomo che avrebbe potuto farlo, ma non voleva assomigliare a suo padre, che quando lui era piccolo, praticamente ogni sabato sera dopo essersi ubriacato di vino scadente nella bettola sotto casa, riempiva di botte la moglie con un qualsiasi pretesto.
Spesso si svegliava ancora adesso, durante la notte, con in testa il rumore delle ossa di sua madre che si frantumavano al contatto con le nocche delle grandi mani di suo padre.
Però, è pur sempre vero che la violenza è come la lava di un vulcano, puoi reprimerla quanto vuoi, ma prima o poi il modo per eruttare fuori lo trova sempre.
Sapeva che tutta la violenza e la rabbia che si portava dentro da qualche parte doveva pur uscire e spesso lo faceva.
Per questo era uscito, per non far esplodere il vulcano dentro casa, addosso alla sua ragazza a cui comunque voleva bene.
Meglio litigare con uno sconosciuto.
Così, aveva indossato la maglietta gialla con lo scorpione disegnato sulle spalle ed era uscito, sbattendo la porta così forte che quasi si staccava dai cardini.
È una bella sera d’estate
, si disse, uno con cui fare a botte al CALIPSO lo trovo di sicuro.
Se non avesse litigato con la sua fidanzata e non si fosse ubriacato nel disco pub sulla spiaggia di Rivabella, dando vita a una rissa furibonda, che coinvolse più di trenta persone, niente di tutto quello che leggerete nelle prossime pagine sarebbe mai accaduto.
Lui non poteva sapere che, mentre scoccava il primo pugno al ragazzo di Firenze che lo aveva urtato per sbaglio, sulla spiaggia, una ragazza stava cercando di sfuggire a tre uomini intenzionati a ucciderla.
I tre l’avrebbero sotterrata in un parcheggio dismesso, dopo aver ottenuto da lei quello che ingenuamente la ragazza aveva rubato loro.
I tre uomini l’avevano presa. Uno di loro, un uomo dalla pancia enorme e cieco da un occhio che la ragazza conosceva fin troppo bene e che odiava con un intensità dolorosa, la stava colpendo con sadico gusto sulla testa.
Tutto stava avvenendo nella spiaggia su cui si affacciava il CALIPSO.
Fu in quel momento che la rissa, come una marea, distrusse gli argini del locale per debordare in spiaggia.
Fu quell’onda anomala di insensata violenza generata da Antonio a salvare la ragazza. Lui non poteva certo saperlo e non l’avrebbe mai saputo, proprio come la farfalla e l’uragano di Pechino o New York.
La rissa piombò addosso a loro insieme alla polizia che era accorsa sul posto, avvertita dal titolare del locale.
La ragazza iniziò a correre disperatamente, mentre i suoi aguzzini venivano trascinati in una scazzottata senza scopo.
Lei barcollava incerta sulla sabbia, i colpi alla testa erano stati troppo violenti per non lasciare strascichi.
Gettò via, il più lontano possibile, quello che aveva rubato per continuare ancora un po’ a piedi.
Alla fine, dovette accasciarsi per terra. Era troppo stanca. Chiuse gli occhi e si addormentò.
Un sonno lungo, senza sogni e dolore.
Quella era la mia prima notte di vacanza a Rivabella e non conoscevo nessuna della persone coinvolte in questa storia.
1.
Adoro l’estate.
Insomma, senza girarci tanto intorno adoro mare, sabbia, ombrelloni, sdraio e bikini. Amo la spiaggia con tutti i suoi dolci rumori e i lenti rituali che si ripetono ogni anno, ecco, tutto qui.
Ah già, dimenticavo, poi c’è anche il caldo. Amo pure quello.
Tutto il caldo, anche quando le temperature si alzano così tanto che i cardiologi ti consigliano di non uscire di casa, a me piace.
Mi piace il sole, quando resta fisso in cielo, come se l’avessero inchiodato a una parete tinteggiata d’azzurro per interminabili ore, quando, anche se le lancette dell’orologio segnano le nove e trenta, lui è ancora lì, al suo posto, a fare il suo dovere.
E vogliamo parlare della sabbia che ti resta appiccicata addosso e poi te la ritrovi in giro per la casa, come i coriandoli a Carnevale?
Solo che quelli, intendo i coriandoli, mettono tristezza e il più delle volte fanno solo incazzare, mentre la sabbia mette addosso allegria, buonumore.
Pure le canzonette, ma sì.
Più stupide sono e più mi piacciono, anche quelle mi mettono di buonumore, che poi è quello a cui dovrebbero servire, no?
Direi che dell’estate mi piace proprio tutto: la notte, le giornate, i ghiaccioli, le ragazze, l’alba e il tramonto.
Non riesco proprio a capire, veramente, per quanto mi sforzi, come alcune persone non amino questa stagione.
Come si fa ad amare il freddo?
La pelle che si spacca con le temperature basse.
Come fanno a dire che è meglio del caldo? Il berretto di lana che ti fa prudere la testa. Ma dai!
Il raffreddore? L’influenza? Vogliamo parlarne? Che cavolo ti può mai piacere sotto i venti gradi?
No, ma seriamente, stiamo scherzando? Come diavolo fai a desiderare la coperta di lana avvolta attorno al corpo mentre sdraiato sul divano fissi un televisore?
Per molti quella è la felicità.
Sono persone disturbate, non c’è dubbio, con cui preferisco non avere nulla a che fare. E neppure su questo c’è dubbio.
Le persone disturbate sono pericolose, questo l’ho imparato con il tempo, con l’esperienza.
Non essendo una persona disturbata, non riesco a essere felice quando la colonnina di mercurio segna meno uno e fuori dalla finestra è così buio da non vedere il palazzo di fronte già alle quattro di pomeriggio.
Mi mette tristezza solo ricordarle queste cose. E invece l’estate, cavolo che goduria!
Sdraiato a sonnecchiare sotto l’ombrellone con il brusio dei discorsi delle persone in sottofondo, di cui si riescono a percepire solo poche frasi e mai un discorso completo. Un brusio che lentamente sembra assumere una sua musicalità, che ti accompagna verso il sonno.
Gettarsi in acqua dopo essersi spalmati la crema protettiva su tutto il corpo e poi quel salino persistente, che resta aggrappato alla pelle così come i granelli di sabbia.
E, ovviamente, le ragazze in costume. Oh, Dio. Un plotone di donne che ti passano accanto disinvolte in mutande e reggiseno senza imbarazzo, anzi, spesso con una punta di malizia.
Ecco, a me tutto questo piace e mi rende allegro.
Sempre allegro, come i ritornelli stupidi delle canzonette estive di cui parlavo prima, quelli che ti si incollano alla mente e non se ne vanno più via.
Un’estate al mare, eehh, voglia di remare, eehh.
Nel continente nero, barabonzi bonzi bon, alle falde del Kilimangiaro, barabonzi bonzi bon.
Dimmi dove e quando e questa sera non arrivo in ritardo.
Sotto il sole, sotto il sole di Riccione di Riccione
Come si può essere tristi d’estate?
Già, come si può?
Forse, ma dico forse, se ti ha appena lasciato la fidanzata, se tua figlia è in viaggio con la tua ex moglie, destinazione una fottuta isoletta greca dal nome impronunciabile, e tu sei costretto a trascorrere la tua di vacanza con il tuo capo gay e il suo fidanzato olandese, be’ forse, sei giustificato, se ti sorprendi a essere leggermente malinconico.
Jody era comunque molto carino con me, con il suo stranissimo accento olandese continuava a ripetermi che la vita continua, che niente era perduto e che tutto si sarebbe sistemato. Per farmi distrarre, continuava a parlarmi della sua idea di farsi crescere dei baffetti biondi e sottili così, per darsi un tono.
A me, francamente, dei baffetti biondi e sottili, in quel momento, non me ne importava un granché, ma lo ascoltavo più per evitare di parlare di me che per altri motivi.
Ogni tanto, si sistemava il ciuffo biondo e gli occhiali da sole con lenti gialle, che sopra il suo viso effeminato stavano molto bene.
Tutte parole di buon senso le sue, ma che arrivavano alle mie orecchie irrimediabilmente vuote. Prive di quel vigore necessario a scuotermi dall’apatico torpore in cui il mio animo era sprofondato.
Avevo bisogno di altro. Il problema è che non sapevo esattamente di cosa.
La verità era che a me Eleonora piaceva proprio. Mi piaceva tanto. Ecco perché stavo così male. Una sensazione straziante che proveniva direttamente dall’adolescenza.
Da quel periodo della vita dove tutto è moltiplicato per mille e soprattutto dove tutto è eterno: l’amore, il dolore, la gioia e la tristezza.
Nessuno ti spezza il cuore come quando hai diciassette anni. Almeno, era quello che pensavo fino a luglio, ma come per la maggior parte delle cose di cui sono fermamente convinto, mi sono dovuto ricredere.
Il guaio era che Eleonora non mi piaceva solo esteticamente. Era un guaio serio perché, per quanto il suo viso fosse dolce e delicato, incastonato in capelli lisci sempre un po’ arruffati e disordinati, le sue labbra così invitanti e il suo corpo armonioso ed eccitante non erano i soli motivi per cui mi sentivo irrimediabilmente attratto da lei.
Mi piaceva il suo modo di parlare, di formulare pensieri attraverso un’architettura delle frasi elaborata e semplice in egual misura.
Mi piaceva il suo credere ancora nelle cose, almeno in alcune cose, che si opponeva al mio disincanto, al mio comodo cinismo di facciata.
E, soprattutto, mi piaceva il suo modo terribilmente semplice di rendere qualsiasi cosa straordinaria, di vivere l’attimo completamente senza perdere tempo a osservare il passato o immaginare il futuro.
Insomma ero innamorato.
Per questa serie di ragioni, sotto l’ombrellone, con appiccicata addosso una faccia che avrebbe tenuto lontano chiunque, anche il prete più motivato del mondo, mi crogiolavo nel mio ennesimo fallimento amoroso aggiungendo a questo una serie di riflessioni pessimistiche su tutta la mia esistenza.
Il bilancio era impietoso.
Se fossi stato un’azienda invece che un essere umano avrei dovuto immediatamente dichiarare bancarotta.
— Dai non è la fine del mondo — Jody era veramente molto apprensivo. — Chi se ne frega! Non ho intenzione di passare tutta la vacanza cercando di tirare su di morale questo cadavere. Eleonora avrà avuto le sue buone ragioni, no? Sai quante volte ho pensato pure io di dargli un bel calcio nel sedere e togliermelo di torno. Brava, lei che l’ha fatto ! Ragazza intelligente, si vedeva subito. Ora vado a fare un tuffo. — Guglielmo, invece, era molto meno diplomatico e decisamente meno protettivo.
Guglielmo Sabato, titolare dell’Agenzia investigativa Sabato in cui lavoravo da ormai parecchi anni, è per molti versi un uomo indecifrabile.
Espulso dall’Arma perché trovato ad amoreggiare in auto con il suo amante olandese, ovvero Jody, aveva fondato l’agenzia che ora portava il suo nome. Tre dipendenti in tutto. Oltre al sottoscritto c’era anche Lorenzo Candido, energumeno dalle maniere piuttosto spicce che attualmente si trovava in Trentino per seguire il ritiro precampionato del Genoa, e Cinzia Balletto, ex escort a cui venivano quasi sempre assegnati dei compiti, chiamiamoli, speciali. Anche Cinzia era in vacanza per i fatti suoi, anche se non avevo ben capito dove e con chi.
— Non starlo ad ascoltare. Lo conosci — sussurrò delicatamente Jody, che nonostante fosse quasi coetaneo di Guglielmo sembrava decisamente più giovane.
— Non vi preoccupate, magari vi raggiungo tra poco, resto qui a leggere ancora un poco.
Osservai Guglielmo e Jody avanzare verso la spiaggia nei loro buffi costumi. Guglielmo indossava un paio di boxer gialli con dei delfini stampati sopra, che facevano fatica a contenere la pancia, mentre Jody aveva azzardato uno slip nero proveniente direttamente dal 1986, che invece che imbarazzo mi fece precipitare nuovamente in uno stato di nostalgia, perché con la mente ripensai alle mie estati al mare da bambino a giocare con mio padre sul bagnasciuga con le biglie di plastica.
L’estate sta finendo…
Con i Righeira che giravano in loop dentro la mia testa la nostalgia per il passato raggiunse il suo apice.
Dovevo fare qualcosa per distrarmi prima di scoppiare a piangere davanti a tutti i bagnanti.
Ripresi in mano l’ennesimo fumetto. Mi ero portato poche magliette, pochi pantaloni e pochi costumi, ma un sacco di fumetti. Avevo già letto alcuni numeri di Dylan Dog, un albo di Julia, uno speciale di Batman e ora stavo leggendo Daredevil, che in Italia era meglio conosciuto come Devil.
Matt Murdock, avvocato cieco di giorno e giustiziere mascherato di notte, sempre cieco, aveva un suo fascino. Giunto a pagina 62, iniziai a sentire il corpo leggermente indolenzito, avevo bisogno di muovermi. Mi alzai lentamente dal lettino guardandomi intorno. L’ombrellone a destra era occupato da una famigliola composta da padre, madre sovrappeso e due fratellini maschi rispettivamente di 9 e 6 anni, intenti a scavare un tunnel nella sabbia, che a giudicare dalla profondità avrebbe potuto presto incontrare un giacimento petrolifero.
Più avanti, una coppia di fidanzati stava parlando teneramente mano nella mano. Mi depressi ancora un poco. Potevo esserci io insieme a Eleonora sotto quell’ombrellone, e invece mi ritrovavo insieme a una coppia di finocchi a cui sembrava del tutto normale andare a fare il bagno indossando uno slippino nero e un boxer giallo con delfini, e che mi trattava come un figlio tossico.
Avevo lo stesso sguardo assente di Mark Renton in Trainspotting nella scena in cui accompagna i genitori al Bingo dopo l’overdose. Non ero bello da vedere. Mi alzai di scatto dal lettino e con passi brevi, ma decisi, avanzai verso il mare. Mi fermai a pochi centimetri dall’acqua. Davanti a me, un gruppo di persone era disposto a ferro di cavallo e seguiva con entusiasmo le indicazioni di un ragazzo dal fisico prestante, che esortava la folla a dimenarsi al ritmo di una canzone latino americana dal testo infarcito di doppi sensi sessuali.
In particolare, mi soffermai a osservare una signora di mezza età che danzava con un’energia invidiabile.
A destra del ragazzo, un gruppetto di donne si dimenava con fare provocatorio. Una in particolare indossava un reggiseno bianco volutamente troppo stretto per contenere il suo seno che sembrava poter sbalzare fuori a ogni nuovo passo della danza. E comunque era veramente troppo bianco per poter nascondere qualcosa. L’amica in costume rosso fuoco rideva felice incitando Debby
a non preoccuparsi del suo costume. Nonostante la situazione imbarazzante, loro sembravano felici.
Ma la faccenda per me più spinosa riguardava i due ballerini alla destra della signora con il costume rosso: Jody e Guglielmo. Incrociai le dita nella speranza di non essere individuato, ma ovviamente non fu così.
Jody impiegò pochi istanti nel vedermi e quasi immediatamente cominciò a fare gesti per richiamare la mia attenzione. Non ero pronto a tutto questo. Mi voltai a destra e a sinistra in cerca di una via di fuga.
— I tuoi amici ti stanno chiamando.
Una ragazza con i capelli castani raccolti in una coda era apparsa alle mie spalle.
— Sì, lo vedo — risposi con un tono il più neutro possibile. — Allora cosa aspetti? — sorrise.
Osservai ancora meglio la ragazza abbronzata che mi aveva parlato. Era molto carina, con un bellissimo sorriso e due paia di gambe chilometriche ma, soprattutto, indossava una maglietta bianca con su scritto quello che a molti vacanzieri suona come una minaccia: ANIMATORE.
Era l’inizio dei miei e dei suoi guai, ma ancora non lo sapevo. Abbozzai un sorriso e risposi farfugliando qualche scusa, ma anche se fossi scappato via, oppure mi fossi gettato senza indugio nella mischia dei ballerini, non sarebbe cambiato nulla.
La storia era già iniziata da parecchio, ero io che vi ero finito in mezzo a metà della trama e, come quasi sempre accade nella vita, almeno nella mia, ci ero finito per caso senza accorgermene. — Andrea è molto bravo.
— Già lo vedo. È il ragazzo vero?
— Sì, è il mio collega. — Anche lui aveva una maglietta bianca con la scritta ANIMATORE.
— Tu e i tuoi amici siete arrivati oggi?
— Sì, stamattina.
— Dove siete alloggiati?
— All’Hotel REX.
— Bene, allora ci vedremo spesso. Io e Andrea alla sera siamo di turno proprio al REX, stasera è in programma il musichiere dopo la baby dance, a proposito ora devo andare a giocare con i piccoli ospiti della spiaggia. Io mi chiamo Silvia, ma tutti mi chiamano Sissi, piacere.
— Piacere mio. Io mi chiamo Alfredo, ma tutti mi chiamano Fred.
Lei sorrise nuovamente poi si incamminò verso la cima della spiaggia.
Jody, intanto, continuava a sbracciarci e io continuavo a ignorarlo.
2.
Rivabella è identica a tutte le altre piccole cittadine della riviera, sia nell’aspetto che nelle abitudini.
Già, perché anche le città hanno delle abitudini e quelle della riviera seguono una loro routine ben consolidata. Al mattino, dopo un’abbondante colazione al buffet dell’albergo, c’è la spiaggia con tutto il suo lento rituale di creme protettive spalmate sul corpo, passeggiate sulla sabbia e timide bracciate verso la boa. Un pigro rituale, che conduce i turisti verso l’ora di pranzo poi, nel primo pomeriggio, si ritorna nuovamente in spiaggia per un nuovo tuffo, qualche chiacchiera sotto l’ombrellone e per i più giovani i giochi di gruppo, poi di corsa, si fa per dire, verso la cena per concludere con la passeggiata tra i negozietti di cianfrusaglie del lungo mare. Infine, ma solo per i più giovani, c’è la notte con tutte le sue tentazioni e illusioni.
Fino a poco tempo fa era l’ultima parte di questo ciclo di vita estiva dei piccoli borghi rivieraschi a interessarmi. Il mondo notturno fatto di luci, musica alta e contorni sempre traballanti. L’illusione, appunto.
Diventando grandi, forse le disillusioni prendono il sopravvento, come il cinismo o, più semplicemente, il nostro corpo ha bisogno di più ore di riposo e preferisce il soffice letto rispetto ai fastidiosi decibel sparati nell’orecchio da qualche cassa gracchiante di discoteca.
È normale, penso.
I contorni sfocati delle notti non sono più così attraenti, sono solo faticosi. Soprattutto se si sta attraversando una crisi amorosa di dimensioni adolescenziali come quella che stavo vivendo in quel momento.
La hall dell’albergo era affollata. La maggior parte dei clienti si era riversata in massa al piano terra. Alcuni parlavano degli ultimi acquisti del calcio mercato, altri sorseggiavano il caffè al bancone del bar e altri ancora erano già seduti sui divanetti di eco pelle ad aspettare il gioco della sera. Anche tutto quel perenne brusio di sottofondo faceva parte della liturgia vacanziera della riviera.
La hall dell’hotel REX era simile a tutte le altre di Rivabella. Un quadrato quasi perfetto con il bancone del bar e della reception davanti all’entrata. Sulla parete ovest, c’era un grande specchio che dava l’illusione di raddoppiare lo spazio e, dalla parte opposta, c’era invece una parete dipinta di un rosa tenue con qualche vecchio quadro appeso. Un uomo con i capelli rasati, nel tentativo di camuffare la sua precoce calvizie, avanzava deciso verso il bancone vantandosi dei suoi strepitosi successi nel campo finanziario con due donne, che indossavano eleganti vestiti dai colori sgargianti. Una delle due cercava di trattenere uno sbadiglio, che stava per deflagrare sul suo volto decisamente troppo truccato. Osservai la scena divertito e fui rassicurato da tutto quell’allegro rumore, che riusciva a tenere lontano da me i pensieri più malinconici.
Nonostante, come sempre, mi sentissi fuori contesto, non provavo fastidio. L’allegria delle persone intorno a me sembrava proteggermi, come un parassita cercavo di attaccarmi ai sentimenti altrui per trovare riparo dai miei.
Guglielmo scese le scale approdando nella hall con la sua camicia azzurra in stile hawaiano e i pantaloni blu scuro troppo stretti per le sue gambe grassocce. Spiccava tra la folla dei villeggianti che accalcavano il bancone del bar. Jody lo raggiunse dopo pochi istanti. Indossava una polo aderente verde senza disegni o altre amenità appiccicate sopra. I pantaloni di cotone erano color panna. Tutto sommato, era un completo stranamente sobrio.
Le guance carnose di Guglielmo avevano già iniziato a prendere colore e notai che sul mento, di solito perfettamente rasato, stava affiorando un filo di barba, inequivocabile segno che la vacanza era cominciata. Ordinò tre caffè, facendomi un segno brusco con la mano, che significava che dovevo alzare il sedere per avvicinarmi al bancone del bar.
— Mi passi lo zucchero? — domandai.
Guglielmo grugnì qualcosa di incomprensibile dopo avermelo lanciato.
— Non c’è quello di canna?
— Fattelo andare bene.
— Voi due siete pesanti. — Il tono di Jody era tra l’esasperato e il divertito. Anche Jody aveva già un accenno di abbronzatura e i suoi capelli biondi sembravano risplendere più del solito pettinati perfettamente in stile anni Settanta.
Guglielmo si limitò ad alzare le spalle mentre girava il cucchiaino della tazzina.
— Una settimana così non sarà per niente rilassante. — Jody formulò il suo pensiero ad alta voce, poi sorrise e scrollò la testa in modo bonario, prima di sorseggiare il caffè. — Non è male — sentenziò dopo averci riflettuto un po’ su.
Mi rigirai la tazzina bianca tra le mani e guardandola mi chiesi cosa diavolo ci facessi in quel posto?
Perché avevo accettato di andare in vacanza con loro due?
Non sarei stato meglio a casa? Sospirai senza trovare una risposta.
— Allora stasera giocate anche voi al musichiere?
Andrea e Sissi apparvero alle mie spalle senza fare rumore. Non indossavano la maglietta bianca della mattina, ma una polo gialla con il logo dell’azienda per cui lavoravano. Un leone intento a salutare con la zampa destra. Il sorriso di entrambi, però era lo stesso della mattina.
— Siete pronti? — La domanda di Sissi era stata servita con un sorriso ancora più smagliante del precedente. Non mi sentivo di rispondere, ma nella vita le esitazioni sono spesso fatali, così la voce di Jody rispose al posto della mia.
— Certamente gioia. Io non sono molto bravo con le canzoni italiane, ma loro lo sono sicuramente.
Incrociai gli occhi di Guglielmo e, per una volta, eravamo d’accordo. Nessuno dei due però disse nulla.
— Ok allora segno — disse Andrea scarabocchiando i nostri nomi su un foglio bianco, poi i due alzarono i tacchi per dirigersi verso l’uomo rasato e le due donne con cui parlava dei suoi successi finanziari. La donna che tratteneva lo sbadiglio accolse i due animatori come un salvagente in mezzo all’oceano.
Ci accomodammo sopra un divanetto che emetteva dei rumori imbarazzanti, simili a quelli intestinali, tutte le volte che qualcuno aveva la necessità di muovere leggermente una gamba e cambiare posizione. Cercavamo tutti di stare immobili per evitare le occhiate inquisitorie degli altri partecipanti al gioco.
— Molto carina — bisbigliò Jody, muovendosi sul divano per avvicinarsi al mio orecchio e provocando così un rumore equivoco, che echeggiò nella hall, suscitando l’ilarità di un bambino di circa sette anni.
— Sì, è una bella ragazza. — Non dovevo sforzarmi di chiedere a chi si riferisse, era scontato che la bella ragazza in questione fosse Sissi l’animatrice.
— Magari dopo potresti invitarla a bere una cosa. — Questa volta mantenne la sua posizione per la delusione del bambino. Andrea e Sissi, intanto, avevano fatto partire le prime note di una canzone. Una delle donne, che durante il pomeriggio si dimenavano sul bagnasciuga seguendo i ritmi latino americani, si lanciò verso i due animatori gridando Azzurro.
— Dai Jody, lo sai che non funziona così — intanto era già partita la seconda canzone. A giudicare dalle prime note si trattava di Rimmel di De Gregori, me ne guardai bene dal correre verso di loro urlando il titolo.
— A no? E come funziona?
L’uomo quasi calvo si precipitò verso la coppia di animatori con l’indice alzato al cielo, gridando: — Pagine chiare e pagine scure.
— Il lutto va elaborato — risposi mentre si era creata una discussione piuttosto accesa sul fatto di accettare come giusta la risposta dell’uomo.
— Che stupidate. Il problema di voi eterosessuali è che quando le cose non vi vanno come volete iniziate a fare i capricci come i bambini piccoli. Forse perché non siete abituati a soffrire.
— Cosa vuoi dire?
— Anni di soprusi, di discriminazioni e di prese in giro ci hanno insegnato che è sempre il momento di divertirsi, soprattutto quando le cose vanno