Pil, spread, debito pubblico. E altre pillole di economia
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Anteprima del libro
Pil, spread, debito pubblico. E altre pillole di economia - Luigi Pecchioli
introduzione
Perché questo libro?
La domanda sorge spontanea: perché scrivere un saggio di divulgazione economica? Siamo ormai costantemente bombardati da esperti e politici che a ogni ora del giorno ci ricordano tutti i nostri guai economici, che ci spiegano quanto il nostro debito pubblico sia un fardello che ci impedisce di agganciare la ripresa, quanto la nostra corruzione soffochi la crescita, quanto l’arretratezza del nostro sistema produttivo ci impedisca di competere a livello internazionale, quanto siamo stati cicale
, ipotecando il futuro dei nostri figli, e quanto ora dobbiamo fare sacrifici per diventare virtuose formiche
. Quindi, volenti o nolenti, siamo ormai perfettamente consapevoli dei problemi, delle soluzioni da adottare e della strada che ci aspetta. Sappiamo anche che non possiamo credere alle sirene che ci incantano parlando di uscita dall’euro, dalla Ue, di spesa pubblica che ci farebbe uscire dalla crisi e di moneta sovrana: ci hanno spiegato fior di giornalisti economici e professori che ciò sarebbe una sciagura, che i nostri risparmi si volatilizzerebbero, che i nostri mutui diverrebbero insostenibili, che precipiteremmo in un’inflazione stile Argentina e quindi nella povertà, umiliati e derisi dal resto del mondo occidentale. Sappiamo tutto.
Quindi perché scriverci un ennesimo libro?
Perché quello che sappiamo è totalmente falso.
La ragione di questo libro è esattamente questa: siamo costantemente bombardati da una propaganda, da una narrazione che distorce la realtà, che falsifica il passato per costruire un consenso sul presente, che manipola i dati del presente per farci accettare il futuro che hanno costruito per noi. Questa narrazione si sostituisce alla realtà e quindi non ha bisogno di conferme da essa: qualcuno ironicamente ha detto che, per alcuni economisti, se la realtà contrasta con la teoria (perché dietro a questa manipolazione c’è una teoria e vedremo quale), allora ad aver torto è la realtà. Siamo insomma inseriti in una specie di Matrix, ricalcante il mondo virtuale dell’omonimo film dei fratelli Larry e Andy Wachowski, fatto da articoli di giornale, interviste, dichiarazioni che hanno il preciso scopo di terrorizzarci e tenerci dentro questa costruzione? Il libro vuole rispondere a questa domanda, con l’intenzione di essere l’equivalente della pillola rossa
che Morpheus offre a Neo per fargli vedere la realtà del mondo in cui vive.
Un’ultima premessa: questo non è un libro tecnico per addetti ai lavori
o esperti. Lo scopo che spero riuscirà a raggiungere è quello di spiegare con parole semplici e concetti intuitivi questioni come l’inflazione, la svalutazione, il debito pubblico, ma anche sfatare qualche mito consolidato come l’inefficienza dello Stato, la nostra elevata corruzione, l’arretratezza del nostro settore produttivo.
Affronteremo anche i pericoli che ci vengono paventati nel caso in cui volessimo uscire dall’euro per capire se e quanto siano reali: insomma cercherò di darvi quelle nozioni che vi permetteranno di ragionare con cognizione di causa su questioni che in generale si pensa siano complesse e riservate agli addetti ai lavori. Vi sorprenderà quanto sarà facile capirle: in fondo l’economia è la spiegazione di quello che ci accade ogni giorno quando interagiamo per produrre e scambiarci beni e servizi. La macroeconomia in particolare guarda alle dinamiche dei grandi aggregati economici, ovvero le famiglie, le imprese, lo Stato e il resto del mondo per capire come interagiscono fra loro. Per fare questo abbiamo bisogno di chiarire alcuni concetti, come il funzionamento della moneta, quello dello Stato, che cosa è il tasso di interesse e così via. Niente di complesso, ma necessario per capire di cosa parliamo e anche per cominciare a sfatare alcuni miti che ci portiamo dietro, prima di tutto, come detto, il fardello del debito pubblico che ci grava sulle spalle. Sarà spero un viaggio interessante e istruttivo, magari a volte anche sorprendente…
1. Il debito pubblico
Che cos’è il debito pubblico e a cosa serve
Cominciamo con il definire il debito pubblico: noi tutti lo chiamiamo così e questo ci fa pensare che sia un debito dei cittadini, ovvero nostro, e i giornali ci confermano questa impressione raccontandoci quanto debito pubblico abbia in carico ciascuno di noi, addirittura dalla nascita. Ma siamo sicuri che questa sia la definizione corretta?
Il termine corretto e meno fuorviante sarebbe debito delle amministrazioni pubbliche
, e già questo fa capire che non è un nostro debito, ma un debito della pubblica amministrazione (Pa). Perché la Pa fa debito, e che cosa comporta ciò? Le amministrazioni fanno deficit, ovvero spendono più di quello che viene incassato globalmente dallo Stato, per fornire servizi e beni senza farci pagare il reale costo. Se lo Stato tramite i suoi enti spendesse quanto incassa, praticamente spenderebbe i nostri soldi, ovvero saremmo noi a pagare un ospedale, un tribunale, lo stipendio di un dipendente pubblico o la macchina fotocopiatrice dell’ufficio. Facendo deficit, lo Stato ci permette di risparmiare il nostro denaro e ci offre beni e servizi, ad esempio una Tac, senza che noi tiriamo fuori un euro, se non eventualmente un contributo. Questi deficit cumulati formano il debito pubblico, ovvero il debito delle amministrazioni. Il risparmio che noi privati cittadini effettuiamo, non dovendo spendere per il costo reale dei servizi pubblici, ci permette di accantonare delle somme e quindi di investirle: come famiglie, in beni stabili come la casa; come imprese, in mezzi di produzione come dei macchinari, oppure semplicemente di avere da parte una liquidità a disposizione per future esigenze: tutto ciò forma quello che viene definito lo stock di ricchezza di ciascuno di noi, ovvero la somma cumulata dei vari risparmi, calcolata sul valore dei beni in cui essi sono investiti (compreso obbligazioni e azioni detenute). Se volete vedere il parallelo fra debito pubblico e ricchezza privata ecco un’immagine significativa.
Come si vede, il deficit pubblico, indicato come saldo negativo in percentuale al Pil (linea continua in basso) è esattamente speculare al surplus del settore privato (linea tratteggiata in alto): quando lo Stato si indebita di più (la linea continua scende) il settore privato aumenta la ricchezza (la linea tratteggiata sale) e viceversa.
E se non avessimo debito pubblico?
Ci sono tanti Paesi al mondo che hanno un debito pubblico molto basso, ma molti di questi sono Paesi arretrati dell’Africa o dell’Asia, mentre quasi tutti i Paesi cosiddetti avanzati hanno cospicui debiti pubblici, spesso oltre il 100% del proprio reddito nazionale: perché? La risposta è semplice: molti servizi che noi associamo al benessere e alla giustizia sociale sono servizi antieconomici che solo lo Stato può fornire e per fornirli deve quindi andare in perdita, in altre parole fare deficit. Fornire assistenza e trasporto ai disabili, un mantenimento economico a chi è invalido o un trasporto pubblico in zone isolate ha un costo e spesso non ha un ritorno (se non un mero contributo). Dare una sanità pubblica a un prezzo accessibile, perché tutti possano curarsi, o un’istruzione pressoché gratuita per elevare il livello formativo e culturale dei cittadini è un preciso compito che la nostra Costituzione affida allo Stato (art. 32 e art. 34 Cost.), ma comporta che lo Stato non guadagni su questi servizi. Tutto il sistema del welfare, comprese pensioni e assistenza, è basato su spesa statale e questa spesa non può che essere a deficit. Senza il debito pubblico lo Stato semplicemente non potrebbe erogare i servizi che noi consideriamo basilari per una società civile e che sono, riguardo al welfare, una grande conquista degli anni Settanta e Ottanta. Senza debito saremmo lasciati a noi stessi e alle nostre risorse, non esisterebbe la cassa integrazione e ognuno potrebbe contare solo sulle proprie ricchezze accumulate. È evidente che in un sistema siffatto solo i ricchi e i benestanti potrebbero cavarsela, potendo permettersi i costi necessari per curarsi, studiare e mantenersi da vecchi. Torneremmo a una società ottocentesca dove le aspettativa di vita dei signori erano di molto superiori a quella delle classi meno abbienti,¹ cosa che peraltro sta già succedendo.²
È un debito che deve essere ripagato? Evidentemente no, in quanto è ricchezza netta del settore privato (noi) che abbiamo risparmiato, grazie alla spesa pubblica. È un debito contabile che uno Stato sovrano può decidere di gestire in tre modi: si fa prestare denaro dalla propria Banca centrale (Bc), in cambio di titoli di Stato che essa evidentemente rigira alla scadenza al Tesoro, ma che servono per contabilizzare correttamente l’uscita di denaro. Questo si chiama volgarmente creazione di moneta
. Oppure può emettere dei titoli di Stato e collocarli nel mercato per remunerare il risparmio. Questo permette a noi cittadini di avere una rendita sicura e di non doversi affidare alla finanza privata, molto più rischiosa. Oppure può decidere di incassare delle tasse da noi cittadini, per quel dovere di cooperazione e distribuzione del peso della spesa pubblica che la nostra costituzione prevede all’art. 53. Queste sono le fonti di finanziamento di uno Stato sovrano.
Ma se questo debito non deve essere restituito, ma solo finanziato, che cosa si deve fare allora? Semplicemente renderlo sostenibile, ovvero fare in modo che il debito rimanga stabile, non in valore assoluto (che non ha senso), ma relativamente al Pil – il prodotto interno lordo, ovvero la somma delle produzioni effettuate in Italia che esamineremo come concetto più avanti – ossia che il rapporto D/Pil rimanga tendenzialmente uguale, e per fare questo occorre che il Pil cresca almeno quanto il deficit ogni anno. Quello che deve essere ripagato è solo il conto degli interessi che i titoli di Stato offrono al risparmiatore, poiché i titoli in scadenza vengono semplicemente rinnovati attraverso nuove emissioni. Uno Stato sovrano evidentemente non può mai trovarsi in difficoltà nel pagare i titoli in scadenza e gli interessi, poiché li paga con propria moneta e questa moneta può essere fornita sempre e comunque dalla Bc, quindi il default di uno Stato sovrano in condizioni normali non può avvenire.
Se si comprende questo, allora si capisce che il debito di uno Stato sovrano non è mai un problema, finché la sua economia funziona e il denaro che circola equivale grossomodo al valore dei beni e dei servizi che vengono prodotti nel Paese, ma lo diventa se l’economia si ferma, ovvero se il Pil non cresce e addirittura cala, oppure se lo Stato non gestisce la propria moneta, e quindi non può finanziarsi e pagare gli interessi in maniera libera, ma è costretto sempre e comunque a rivolgersi ai mercati finanziari o alla tassazione.
Con l’euro, infatti, l’Italia non gestisce la moneta che utilizza, e il debito pubblico può diventare – se non lo è già diventato – un problema. Ma anche in questo caso, non è tagliando la spesa pubblica che esso si risolve, perché questo costringerebbe noi cittadini a spendere di più del nostro reddito e risparmiare di meno (o spendere di meno per altre cose), bensì facendo crescere il Pil, ovvero la ricchezza prodotta, almeno fino a quando la bilancia dei pagamenti ce lo permette³. Anche nell’euro quindi, dove il debito pubblico può essere un problema, la soluzione proposta attualmente dal pensiero dominante e propagandata dai mezzi di informazione è semplicemente errata.
Come si è formato il debito pubblico: una breve storia
Adesso che sappiamo che cos’è e a cosa serve il debito pubblico, vediamo come si è formato e perché. Anche qui la nostra premurosa