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Via dell'Abbondanza
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E-book238 pagine3 ore

Via dell'Abbondanza

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Info su questo ebook

Sullo sfondo di un paesino nella Sicilia degli anni '50, s'intreccia-no passioni terrene con il sentimento mistico dei fedeli verso il loro pro-tettore San Paolino. La serenità della vita parrocchiale è spezzata da una serie di fatti delittuosi a carico del parroco e del suo sagrestano. Le vicende appaiono subito difficili da dipanare. Né la magistratura né gli "esperti" del bar, cassa di risonanza di tutti i fatti del paese, riescono a capire se sono collegate, oppure se si tratta di bizzarre coincidenze. Nel tentativo di identificare i colpevoli, parte una competizione tra due iniziative. Una è quella perseguita dal popolo dei devoti, basata sull'intercessione del loro protettore. L'altra è un'iniziativa laica di un personaggio del bar con talento investigativo, e si basa sugli strumenti della logica e della psicologia comportamentale. Il vero protagonista del romanzo è il sentimento di devozione po-polare verso il santo protettore. I fatti delittuosi sono pretesti per portare il lettore dentro i costumi e le tradizioni di una Sicilia antica, narrati con sottile ironia.
LinguaItaliano
Data di uscita13 set 2022
ISBN9791221431711
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    Via dell'Abbondanza - Luigi Saccà

    Indice

    I. Il fattaccio del 29 Giugno

    II. Nei mesi precedenti

    III. La processione del 22 Giugno

    IV. Le Domus di via dell'Abbondanza

    V. Un successo clamoroso

    VI. Il fattaccio del 29 Giugno

    VII. Una strana malattia

    VIII. La recidiva

    IX. Veleno o medicina?

    X. La soffiata confidenziale

    XI. Fu davvero sacrilegio?

    XII. I primi tormenti

    XIII. I sospetti si rafforzano

    XIV. Le tresche vengono a galla

    XV. Il paese investiga

    XVI. Una giustizia arcaica

    XVII. L'assalto psicologico

    XVIII. Il Miracolo

    XIX. L'intuizione

    XX. Giovedì 8 Dicembre

    XXI. Quale perdono?

    Luigi Saccà

    VIA DELL’ABBONDANZA

    Noir Mediterraneo

    Questo romanzo è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a vicende o persone del mondo reale deve intendersi come una coincidenza casuale.

    Titolo | Via dell’abbondanza

    Autore | Luigi Saccà

    ISBN | 9791221431711

    © 2021 - Tutti i diritti riservati all’Autore

    Questa opera è pubblicata direttamente dall'Autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'Autore.

    Youcanprint

    Via Marco Biagi 6 - 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    La giustizia di Dio è il suo perdono

    Papa Francesco, Piazza San Pietro, 3.2.2016

    I. Il fattaccio del 29 Giugno

    Erano da poco passate le sette del mattino e nel paese di Militello non si era ancora sentito il suono delle campane che chiamava i fedeli alla Santa Messa. Padre Sabino era sicuro che Tanino, il sagrestano, si fosse addormentato nel campanile, dopo aver vagato nella notte, vittima d'insonnia cronica. Indossò in fretta l'abito talare e scese come una furia dal primo piano della canonica.

    Al piano terra vi era la sagrestia, un unico grande ambiente in cui erano adagiati alle pareti gli armadi dei paramenti e un paio di vetrine contenenti oggetti sacri. Al centro era disposto un bel tavolo fratino, circondato da sedie di legno con schienale alto. Austere e scomode solo a vedersi. Una porta laterale conduceva direttamente in chiesa e un'altra, in fondo, portava alla base del campanile. Da qui una stretta scala a chiocciola s'inerpicava in cima fino alle campane.

    Dall'alto del campanile si poteva cogliere l'aspetto singolare del paesino: due lunghissimi filari di case ai lati dell'unica strada che lo percorreva. Dal lato monte si vedevano le ultime propaggini dei Peloritani. Il lato opposto offriva la superba vista del mare dello Stretto, bloccato di fronte dall'imponente massiccio dell'Aspromonte.

    Era questo lo spettacolo che Tanino amava più di ogni altra cosa e di cui conosceva tutti i cangianti dettagli imposti dalle stagioni. D'inverno, la neve ricopriva per diversi mesi la parte alta della montagna e qualche volta si era spinta in basso fino a lambire la spiaggia. D'estate, era riconoscibile anche di notte per i frequenti incendi che devastavano i boschi. E quando gli capitava di addormentarsi nel campanile, era svegliato come da un orologio biologico nel momento in cui, nella semioscurità, si affacciava la sfera rossastra dal bordo della montagna. Come un bambino, seguiva attimo per attimo il suo rigonfiarsi, fino a quando si staccava dalla madre terra. Poi rimaneva lì ad ammirare il colore del mare che virava lentamente dall'argento-rosa dell'alba fino al celeste o azzurro intenso.

    Quella mattina, la sveglia biologica non era scattata nella testa del sagrestano in debito cronico di sonno.

    Sceso al piano terra, padre Sabino entrò in sagrestia. Fece alcuni passi e si bloccò come dinanzi alle sbarre di un passaggio a livello. Il percorso verso il campanile gli apparve sbarrato: dalle finestre irrompevano nella penombra dell'ambiente due spessi fasci di luce. Il fitto pulviscolo che si agitava al loro interno trasmetteva una sensazione di inquietudine. Di colpo riprese tutta la grinta e attraversò il resto della grande stanza, pronto a fare una partaccia al sagrestano inadempiente verso i suoi doveri elementari. Era sicuro che dormisse accanto alle campane.

    Trovò socchiusa la porta di accesso al campanile. Ebbe un attimo di esitazione, come se si sforzasse di interpretare qualche strano segnale. Poi entrò di scatto e volse d'istinto lo sguardo in alto, verso le campane, l'unico punto da cui entrava un piccolo spiraglio di luce, troppo poco perché procedesse sicuro. Girò l'interruttore e si avviò verso la rampa delle scale, ora ben illuminate dalle lampade laterali. Fece un solo passo e si bloccò. Al centro del pavimento giaceva un corpo inanimato con una larga macchia di sangue rappreso attorno al capo. Accanto al corpo penzolavano le lunghe corde delle campane come due sentinelle. Disarmate. Smarrite. Rimase pietrificato. Un tentativo d'urlo si smorzò in gola. Quando prese coscienza della gravità della situazione, tornò indietro, uscì dalla canonica, si fermò in mezzo alla strada. E non smise più di gridare.

    Erano le sette e venti minuti di mercoledì 29 giugno, una settimana dopo la festa di San Paolino Vescovo di Nola, protettore della parrocchia di Militello.

    II. Nei mesi precedenti

    Ogni sabato pomeriggio, padre Sabino si recava al bar per giocare la schedina del Totocalcio e non gli dispiaceva intrattenersi per scambiare qualche chiacchiera di circostanza, come fanno le persone alla mano. Dentro le mura della parrocchia, pretendeva dai fedeli il rispetto delle regole con l'intransigenza di un uomo di legge. Impartiva ordini con la voce piena di un baritono e quando si arrabbiava, le guance diventavano rubizze come due arance sanguinelle.

    Era famoso per aver sospeso a tempo indeterminato la processione di San Paolino. I fedeli non si rassegnavano a quell'imposizione che cancellava una tradizione di genuina devozione. Aggiungevano che anche San Paolino avrebbe gradito una ripresa della sana abitudine di uscire almeno una volta l’anno dalla prigionia dell'altare, per andare Lui stesso incontro ai suoi amati fedeli. E anche per sgranchirsi le gambe che rischiavano di anchilosarsi, costretto com'era in un'angusta nicchia. Su questo punto si permettevano di fare dell'ironia quelli che si ritenevano legati al santo da antichi vincoli e pertanto potevano entrare in intima confidenza, come fanno a Napoli i parenti di San Gennaro, che arrivano addirittura a prenderlo a male parole, quando tarda a fare il miracolo.

    Dopo le inutili richieste verbali, i fedeli passarono alle proteste scritte, che infilavano al posto delle monete di carta nella cassetta degli oboli, e su cui dimenticavano sempre di mettere la firma. Fallite anche queste, imboccarono una strada impietosa per riportare il parroco alla ragione: il gettito delle offerte e delle donazioni speciali nelle circostanze natalizie e pasquali nel corso del tempo divenne sempre più anemico.

    All'inizio il parroco aveva interpretato il nuovo corso come una conseguenza dell'infelice situazione economica. Poi cominciarono a spuntare le antenne delle televisioni dai tetti delle case e le radioline a transistor in mano alla gente per la strada. All’atto di servire l’ostia consacrata, rimaneva impressionato dalla varietà di trucchi e profumi delle sue fedeli. Fu allora evidente che l'economia stava intraprendendo un nuovo ciclo. Tuttavia, nel momento della raccolta durante la Santa Messa, sempre di meno si allungavano le mani verso il canestrino. Eppure, quelle stesse mani non esitavano quando si trattava di infilare una moneta da cento lire nel juke box del bar Fiasconaro per selezionare tre dischi di Elvis Presley.

    Padre Sabino intravide in lontananza lo spettro di quella fame che la tonaca non gli aveva risparmiato nel periodo della guerra. Preso dall’avvilimento, iniziò a esaminare criticamente la sua decisione, basata su due trasgressioni dei fedeli: una spirituale e l’altra materiale. La prima si era consumata nell’ultima processione di San Paolino, avvenuta cinque anni prima. Nel momento del rientro in chiesa della vara, i portatori si erano permessi di fare ballare il santo sul sagrato della chiesa al ritmo di una canzonetta allora sulla bocca di tutti. Per padre Sabino fu un gesto di grave irriverenza verso San Paolino, oltre che di profanazione della parrocchia che lo aveva eletto a santo patrono. Tanino, il sagrestano, tentò invano di convincere il prete che i parrocchiani avevano agito solo per devozione e per desiderio di vicinanza fisica al loro santo. Ma Padre Sabino non ci sentiva da quell'orecchio. Anzi gli ingiunse di non tornare più sull'argomento, se ci teneva al posto di lavoro.

    Il capo d’accusa di natura materiale era altrettanto grave. Al termine della processione, padre Sabino si riunì in sagrestia insieme alla commissione per la raccolta delle donazioni. Quello era davvero un momento cruciale, perché si sarebbe chiarito quanto rimaneva nelle tasche della parrocchia, al netto delle spese per il festeggiamento. Quando finirono i conteggi e si rese conto della magrezza del bottino, fu morso dalla tarantola.

    «Questa processione ve la dovete solo scordare, avete scambiato la devozione verso il nostro santo per una festa da ballo all’aperto, e per giunta a buon mercato. Non potevate trovare un modo più osceno per festeggiare il centenario della sua nascita. L’argomento è chiuso!»

    La ferale notizia invase tutto il paese. In ogni famiglia, in ogni bottega diventò l’argomento a cui nessuno risparmiò un riferimento più o meno sensato. Ma la sede naturale per sviscerare un tema di tale importanza era il bar Fiasconaro. Lì, fra le mura della terza stanza, si condensavano gli inciuci del paese, si vivisezionavano gli accadimenti, si condannava, si assolveva se era il caso, e si organizzavano piani punitivi e rappresaglie. Di solito, i commenti viaggiavano da tavolo a tavolo, in mezzo alle partitine di briscola e tressette. Quando si dovevano affrontare questioni più delicate, s'interrompevano i giochi a carte, si accostavano i tavolini al centro della stanza, e gli amici discutevano con calma e concentrazione, disposti a giro come i saggi di una tribù di pellerossa.

    La sospensione della processione rimase a lungo un argomento caldissimo. I punti di vista furono molteplici, ma alla fine si riassunsero in due scuole di pensiero, capeggiate dai personaggi principali del gruppo: il ragioniere Arturo Manganaro e Vincenzino Sergi.

    Il ragioniere era il capo dell’ufficio del dazio, dove si tassavano le merci di consumo in transito o acquisite dalle botteghe. Quindi era ben allenato a scandagliare i fatti con lo scrupolo di un segugio. Di bell'aspetto, indossava giacca e cravatta anche quando non era in servizio. Gli amici del bar lo avevano ufficialmente consacrato loro guida indiscussa. Lo chiamavano Ràis, come il capopesca delle tonnare, ma lui non gradiva l’appellativo.

    Nonostante facesse l'imbianchino, tutti ascoltavano Vincenzino con piacere, soprattutto quando la fantasia spingeva ai limiti del verosimile le sue iperboli, che riusciva a insaporire con deliziose pennellate. Di fisico era mingherlino e quando parlava, accompagnava gli snodi del discorso con continui movimenti del corpo, ora morbidi, ora bruschi, a volte felini, a seconda della drammaticità del passaggio.

    Ancora una volta il ragioniere Manganaro, fra una mano e l'altra di tresette, diede sfogo alla solita autocritica.

    «Certo l’abbiamo fatta grossa con il ballo del santo. Potevamo limitarci a un accenno al balletto, invece di portarlo avanti e indietro per ben tre volte lungo tutto il sagrato. E poi, dovevamo evitare quel motivo da strada sulla bocca di tutti».

    Vincenzino Sergi cominciò ad andare avanti indietro nella stanza mentre esprimeva un'opposta opinione.

    «E come dovevamo far ballare il santo, con un requiem? La colpa è stata di quel cazzone del maestro. Volendo, poteva scegliere un motivo meno compromettente del Mambo Charleston».

    Il ragioniere non intendeva concedere sconti.

    «La banda ha fatto solo quello che gli abbiamo chiesto di fare. Non ci nascondiamo dopo aver tirato il sasso».

    «Esimio ragioniere, lo sappiamo come sono andati i fatti, ma non esageriamo con queste colpe. In fondo che abbiamo fatto di male? Un poco di allegria ci voleva. Non era certo la processione del Venerdì Santo».

    «Dopo tanti anni non sono ancora riuscito a farvi scandagliare i fatti fino in fondo».

    «Ragionare abbiate pietà, fateci vedere quel fondo che ci sfugge!»

    Vincenzino sapeva qual era il suo scioglilingua preferito. Fece un cenno al signor Fiasconaro, che si fiondò su una bottiglia di marsala e la posizionò il mezzo al tavolo del ragioniere. Il secondo bicchierino fece aprire le paratie della diga e il capo inondò i suoi seguaci con le verità che aspettavano.

    «Sono anni che discutete del ballo del santo e della canzonetta, quando il motivo più serio che ha fatto, diciamo così, innervosire padre Sabino risiede altrove. E poiché con voi bisogna essere chiari, chiamiamolo col loro nome questo motivo: i piccioli!»

    «Siete sempre il nostro faro, organizzate un gruppetto e andiamo a farlo ragionare!»

    Soddisfatto del rinnovato riconoscimento, bevve un altro bicchierino di marsala e sentenziò:

    «Il gruppo deve essere fatto da tre persone e Vincenzino sarà il capodelegazione».

    Il ragioniere era il cervello del gruppo, ma dopo aver progettato, amava seguire le vicende da dietro le quinte, anziché esporsi in prima persona. Inoltre, nutriva una vera passione per la storia antica. Per due pomeriggi consecutivi invitò a casa sua Vincenzino Sergi, con il preciso scopo di acculturarlo a dovere sugli aspetti storici della vicenda di San Paolino. La guerra che avevano dichiarato al parroco doveva essere condotta su tutti i fronti e non potevano rischiare di sfigurare su quello culturale.

    Alla messa della domenica successiva, gli uomini della terza stanza si presentarono in chiesa al gran completo. Sedettero in gruppo nei pressi dell'altare di San Paolino. Nell'ora centrale del giorno di festa, rimasero soli nel bar, il signor Fiasconaro e il suo vecchio bancone di legno ricoperto da un piano in marmo, una volta bianco Carrara, ora sfregiato dal tempo, dall'usura e dalle macchie di caffè e granite.

    L'insolita affluenza di fedeli fu subito notata dal parroco, il quale avvertì aria di novità quando, a metà messa, una grandinata di monetine si riversò nel canestrino che l'incredulo Tanino faceva girare fra i banchi della chiesa. Ogni tanto dava una scrollatina al canestrino per accertarsi che non stesse sognando e anche per fare arrivare l’allegro tintinnio alle orecchie del sacerdote. Quel messaggio sonoro significava una sola cosa: la musica, volendo, poteva cambiare in qualsiasi momento.

    Finita la cerimonia religiosa, la delegazione si recò in sagrestia. Mentre il prete si toglieva i paramenti sacri, porgendoli con delicatezza a Tanino, aprì il discorso Vincenzino Sergi.

    «Benedite padre Sabino! Scusate se v'importuniamo, ma c'è un'urgenza di cui dobbiamo parlarvi. Sapete come siamo fatti noi, le cose le sappiamo spiegare solo con parole semplici».

    «Veramente ho l'impressione che vi sapete spiegare anche senza parole» disse il prete. La musica delle monetine risuonava ancora nelle sue orecchie.

    Vincenzino partì in quarta, il discorso lo teneva tutto chiaro in mente e quasi a memoria.

    «Dall'ultima guerra in poi, non c'era stato in paese un momento di sofferenza maggiore di questo che stiamo attraversando. Sono persuaso che mi capite al volo».

    Il prete finì di svestirsi dei paramenti e fece un mezzo accenno che capiva bene l'allusione. Sedettero attorno al tavolo fratino. Vincenzino continuò con voce sempre più sicura.

    «La nostra sofferenza e la vostra, con tutto il rispetto, sono poca cosa rispetto a quella del nostro venerato. E se le cose stanno così, non possiamo più continuare a far finta di niente».

    «Scusate Vincenzino, ma cosa ne sapete voi delle questioni personali che riguardano San Paolino?»

    «Padre Sabino, perdonateci, ma una precisazione è necessaria subito per poterci intendere. Sta forse scritto da qualche parte che noi non possiamo conoscere come o forse meglio di chiunque altro, cosa passa per la mente del nostro santo? Siamo qui per far sapere anche a voi quello che ha avuto l'urgenza di comunicarmi».

    Il prete ascoltava in silenzio. Anche Tanino seguiva il colloquio, acquattato in un angolo della stanza.

    «Volete sapere dove mi ha parlato? Oppure, giustamente, volete sapere quando? Semplice, padre Sabino, in sogno. Era furente nel vedere i suoi protetti arrabbiati e scontenti, chi per un motivo e chi per un altro. Questa guerra punica in corso da alcuni anni è diventata un pettegolezzo anche dalle sue parti. Ha ordinato una tregua immediata».

    Padre Sabino decise di non intervenire ancora, intuiva che c'era un altro piatto più sostanzioso che gli avrebbe messo davanti. Difatti, ripreso fiato, Vincenzino attaccò con coraggio.

    «Ci dispiace molto che una ricorrenza così importante debba passare senza un festeggiamento adeguato».

    «Scusate, ma di quale ricorrenza state parlando? Abbiamo già festeggiato il centenario».

    «Padre Sabino, ci volete ricordare, per gentilezza, in quale anno del Signore ci troviamo?»

    «Certo, nel 1960».

    «Giustissimo! E cosa avvenne nell'anno del Signore 355, esattamente 1600 anni più un lustro addietro?»

    Prima di avere una qualche risposta, disse:

    «Nasceva a Burdigala, l'odierna Bordeaux, Ponzio Meropio Anicio Paolino, quello che sarebbe diventato San Paolino Vescovo, il nostro veneratissimo protettore. Quindi, ai 1600 anni dalla nascita, che abbiamo doverosamente celebrato, adesso dobbiamo aggiungere la bellezza di un lustro. Certo, non devo spiegare a voi il significato latino di lustrum: sono passati cinque anni, è arrivato il momento della purificazione. Vi sono state colpe da entrambe le parti. Adesso però tutti ci dobbiamo lustrare la coscienza».

    Padre Sabino rimase senza parole. Anche Vincenzino tacque e lasciò che il grave silenzio facesse risaltare il senso di umiliazione che percorreva l'animo del prete. Come

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