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I figli del re - Una storia fantastica
I figli del re - Una storia fantastica
I figli del re - Una storia fantastica
E-book280 pagine3 ore

I figli del re - Una storia fantastica

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Info su questo ebook

Quando il padre viene ucciso dal capo vichingo Hærulv, i tre fratelli, Signy, Regin e Buri sono costretti a fuggire per mettersi in salvo. In una lontana regione dell'est, oltre alte montagne, sorge una terra straniera in cui sperano di trovare aiuto per vendicare il padre e riconquistare il loro regno. Nel corso del viaggio, attraverseranno un mondo popolato da streghe, spettri, elfi, giganti ed esseri umani trasformati in bestie. I tre figli del re dovranno fare ricorso a tutto il loro coraggio e alla loro risolutezza per sopravvivere – e restare uniti."Exciting and well-told Viking story with many threads about creatures of Norse mythology. Along the way, both the children and the evil chieftain narrate, and the shifts help to keep the pace up and make the story engaging. Highly recommended!" - DBC-
LinguaItaliano
Data di uscita4 nov 2022
ISBN9788728112823
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    Anteprima del libro

    I figli del re - Una storia fantastica - Peter Gotthardt

    Peter Gotthardt

    I figli del re

    Una storia fantastica

    Traduzione di Andrea Berardini

    SAGA Egmont

    I figli del re - Una storia fantastica

    Translated by Andrea Berardini

    Original title: Kongebørn 1 - I jordens dyb

    Original language: Danish

    Copyright © 2022 Peter Gotthardt and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728112823

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    1. Nel profondo della terra

    Il lupo è sempre più vicino. Increspa le labbra scoprendo le lunghe zanne. Fa un ringhio sordo e fissa il bambino con occhi crudeli. Lui vorrebbe affrontarlo, ma le sue braccia non hanno più forza. Vorrebbe scappare, ma le sue gambe sembrano fatte d’acqua. «Non c’è niente che possa fare» pensa in preda al panico. E ora il lupo inizia a correre…

    Buri si svegliò urlando. Aprì gli occhi e l’incubo svanì. Era buio nella piccola stanza in cui dormiva con il fratello Regin.

    Suo fratello si sollevò a sedere sul letto e brontolò: «Ecco, mi hai svegliato di nuovo! Comincio a stufarmi».

    «Non posso farci niente» protestò Buri fiaccamente. «Ho fatto di nuovo quell’incubo… quello col lupo. È la terza notte di fila che lo vedo e ogni volta è sempre più vicino. Ho paura che stia per succedere qualcosa di brutto».

    «Bah! Tu e i tuoi cattivi presentimenti» disse Regin. «Nessun lupo oserebbe mai intrufolarsi nella fattoria del re. Hanno troppa paura per avvicinarsi a un posto così pieno di gente».

    «Già, forse hai ragione» mormorò Buri, anche se non era del tutto convinto. Lo spavento non era ancora passato.

    Regin fece scivolare i piedi a terra e si alzò.

    «Tutte queste sciocchezze mi hanno fatto passare il sonno» disse. «E mi hanno fatto venire una fame! Potremmo andare in cucina a sgraffignare un paio di dolcetti al miele. Li hanno sfornati ieri. Vieni con me?»

    «E se ci scoprono?» domandò Buri.

    «Ma figurati» disse Regin. «È notte fonda, dormono tutti. Avanti».

    Buri e Regin erano i figli del re. Regin aveva un anno più di Buri. Tutti e due stavano crescendo in fretta, avevano le braccia lunghe e le gambe ancora di più. Buri portava i capelli a spazzola ed erano così biondi che sembravano quasi bianchi. Quelli di Regin erano altrettanto biondi, ma gli cadevano lunghi e lucidi sulla fronte e la nuca. Come se l’avesse leccato una mucca diceva la gente, ma solo quando lui non poteva sentire.

    I bambini si misero i pantaloni e la tunica, infilarono i piedi nelle scarpe e uscirono dalla camera.

    «Chiediamo a Signy se viene anche lei?» domandò Buri.

    Regin scosse la testa.

    «No, ci direbbe solo di lasciar perdere».

    Signy era la loro sorella maggiore. Aveva un paio di anni in più dei fratelli. Avevano perso la madre molti anni prima mentre il padre, Alrik, era il re del Nordmark, una terra di coste rocciose e brulle, di valli verdeggianti, di foreste ombrose e alte vette coperte di neve per tutto l’anno.

    Regin e Buri uscirono dalla casa in cui dormivano e sgattaiolarono attraverso il cortile e tra i vari edifici della fattoria. Tra le case si intravedeva la nebbia biancastra che velava il fiordo ai piedi della fattoria del re.

    All’improvviso, il silenzio della notte fu interrotto da un possente squillo di corno. Poi dalla spiaggia arrivarono forti grida e un fragore di acciaio.

    «È un segnale di battaglia!» esclamò Regin. «Ma cosa succede?»

    I due bambini si fermarono per osservare il fiordo.

    In quell’istante arrivò un uomo con una fiaccola in mano. Era Skakke, uno degli uomini più fidati del re.

    «Bene, eccovi qui!» disse con sollievo. «Per fortuna vi ho trovati. Venite con me».

    «Dove? Perché? Cosa sta succedendo laggiù?» chiese Regin.

    «Siamo sotto attacco» disse Skakke. «Non sappiamo chi siano i nemici. Le loro navi sono sbucate all’improvviso dalla nebbia. Il re li sta affrontando, alla guida dei suoi guerrieri. Mi ha ordinato di portare voi bambini al sicuro. Adesso seguitemi».

    «Al sicuro? Dove?» chiese Regin.

    «Basta chiacchiere» disse Skakke afferrandolo per il braccio. «Muovetevi».

    Trascinò Regin con sé. Buri fu quasi costretto a correre per tenere il loro passo.

    «E Signy?» chiese.

    «Vi sta già aspettando» rispose Skakki. «Era nella sua stanza, al contrario di voi due. Non sono stato costretto a cercarla in lungo e in largo, lei».

    Skakke li condusse fino a un piccolo pontile, dove era già pronta una barca a remi. A bordo c’erano Signy e un altro degli uomini di fiducia del re.

    «Oh, siete arrivati!» esclamò Signy con sollievo quando i fratelli saltarono a bordo. Era avvolta in un ampio scialle per proteggersi dal freddo della notte. Le copriva i lunghi capelli biondi e quasi tutta la veste.

    Da qualche parte nel buio risuonavano ancora urla rabbiose e colpi di spade. I tre fratelli provarono a capire come andasse la battaglia, ma nessuno di loro disse una parola. Signy si morse le labbra per trattenere il pianto. Regin strinse i pugni in preda a una rabbia impotente. Buri si guardava intorno, preoccupato, in cerca dei nemici.

    «Diamoci una mossa» disse Skakke, sedendosi a uno dei remi. L’altro uomo del re afferrò il secondo remo e la barca si allontanò dalla riva del fiordo.

    «Dove stiamo andando?» chiese Buri.

    «All’isola» rispose Skakki. «E d’ora in poi non voglio sentire nemmeno una parola. Non siamo soli sull’acqua».

    Più all’interno del fiordo, c’era un’isola coperta di alberi. Era lì che erano diretti.

    Skakke e il suo compagno remavano di buona lena. I remi producevano un leggero sciabordio ogni volta che affondavano in acqua. Per il resto, il silenzio era totale.

    L’acqua del fiordo era nera e immobile. Leggeri banchi di foschia aleggiavano sulla superficie. Buri non riusciva a distogliere lo sguardo. Sembravano pallide figure che vagavano nella notte.

    Un istante dopo, furono lì lì per urlare di terrore: un’enorme testa di drago emerse dalla nebbia.

    Anche Skakke e il suo compagno la videro. Sollevarono i remi dall’acqua e la barca scivolò in avanti senza far rumore.

    Dietro la testa del drago spuntò la prua di una nave da guerra.

    «Hai sentito anche tu un tonfo?» chiese una voce a bordo della nave.

    «Sarà stato un uccello che si è posato sull’acqua» rispose un’altra voce. «Capita spesso. Quel che non mi va giù è che dobbiamo starcene qui con le mani in mano mentre gli altri mietono onori e ricchezze».

    «Puoi dirlo forte» ribatté la prima sentinella. «La fortuna non è mai dalla nostra parte».

    I bambini si mordevano le labbra. Quasi non osavano respirare. La barca continuava ad avanzare silenziosamente, trascinata dalla corrente. A poco a poco, la nave con la testa di drago sparì nella nebbia alle loro spalle.

    Skakke e il suo compagno tirarono un sospiro di sollievo e afferrarono di nuovo i remi. La barca riprese velocità.

    Finalmente l’isola emerse dalle tenebre. La barca scivolò in una piccola baia circondata da alti alberi. Un uomo li aspettava sulla riva.

    Skakke aiutò i bambini a sbarcare e disse: «Questo è Grutte Barbagrigia. Si prenderà cura di voi».

    «Ho sentito uno squillo di corno» disse Grutte. «Hanno attaccato la fattoria del re?»

    «Sì, e la battaglia infuria ancora» rispose Skakke. «Dobbiamo subito tornare indietro e combattere per il nostro re».

    «Vengo anch’io» disse Regin. «Io…»

    «Non se ne parla» lo interruppe Skakke. «Questo non è un gioco. Quando gli uomini vanno in battaglia, la morte li accompagna».

    Risalì a bordo della barca che si allontanò rapidamente dall’isola.

    I ragazzi scrutarono Grutte con curiosità. Aveva la barba striata di grigio e la pelle rugosa come una mela secca. Ma gli occhi erano di un azzurro limpido e teneva la schiena ben dritta.

    «Perché ci hanno portati quaggiù?» chiese Signy. «E tu chi sei?»

    «Sono un vecchio amico di vostro padre» rispose Grutte. «Ero già un uomo fatto e finito quando lui non era più grande di voi due, ragazzini. Gli ho insegnato a usare la spada e l’ho accompagnato in molte avventure. Quando sono diventato troppo vecchio per le guerre e le battaglie, mi sono stabilito su quest’isola. Ci abito da solo. Ma ho promesso a vostro padre che potevate rifugiarvi qui, in caso di bisogno. Come adesso… Avanti, venite nella mia capanna».

    Grutte Barbagrigia abitava su un pendio affacciato sull’acqua del fiordo. Davanti alla capanna, una rete da pesca era stesa ad asciugare e una barchetta era ormeggiata a un palo nella baia.

    I ragazzi seguirono Grutte nella capanna. Lui stese a terra un paio di pellicce e disse: «Capisco che siate preoccupati per vostro padre. Ma provate lo stesso a dormire un po’».

    Loro ubbidirono e si stesero e, malgrado lo spavento di quella notte terribile sprofondarono ben presto in un sonno agitato.

    Furono svegliati da un odore penetrante di pesce bollito. La luce dell’alba si riversava nel buco per il fumo sul soffitto della capanna.

    «Ecco qualcosa da mangiare» disse Grutte posando un vassoio sul tavolo. «Di sicuro non è quello cui siete abituati a casa del re. Ma non ho altro da offrirvi».

    I bambini sedettero a tavola e Grutte aprì la porta, così da poter vedere il fiordo. La nebbia si era diradata e le onde scintillavano al sole. Uno stormo di cormorani neri volava basso sull’acqua.

    Tutti e tre i figli del re aguzzarono la vista per vedere la fattoria del padre. Speravano di scorgere un segno di come fosse finita la battaglia. Ma un promontorio coperto d’alberi la nascondeva al loro sguardo.

    «Se solo sapessimo cos’è successo» sospirò Signy.

    «I guerrieri di nostro padre sono i migliori al mondo» disse Regin. «Questa notte hanno sconfitto i nemici».

    «Vedo una nave!» esclamò in quell’istante Buri. «Sta doppiando il promontorio. Magari è papà che viene a prenderci».

    Grutte si alzò di scatto. Raggiunse la porta e si schermì gli occhi con la mano.

    «Non è una nave di re Alrik» disse. «È un drago assetato del vostro sangue. Non c’è un secondo da perdere. Vuotate piatti e coppe nella botte con gli scarti e venite con me».

    I ragazzi si affrettarono a sgomberare il tavolo. Nel frattempo Grutte fece sparire le pelli su cui avevano dormito. Quindi li condusse nel bosco.

    Sui rami erano comparse le prime foglie gialle. Il sole filtrava attraverso le fronde degli alberi, ma all’ombra era ancora freddo e umido.

    I ragazzi dovettero affrettare il passo per stare dietro a Grutte.

    «È possibile che papà… Secondo te cosa gli è successo?» chiese Signy. «E agli altri?»

    «Non lo so» disse Grutte. «Ora come ora, l’importante è trovarvi un nascondiglio. L’isola non è molto grande, un gruppetto di uomini può perquisirla facilmente. Ma conosco un posto che fa al caso nostro».

    Poco dopo, Grutte si fermò davanti a un’imponente quercia abbattuta da una tempesta molti inverni prima. L’enorme tronco era steso sul fondo del bosco, con le radici che si allungavano in tutte le direzioni. Nel corso degli anni, dalla terra erano spuntate piccole betulle e cespugli di rovi e il vento aveva sparso uno strato di foglie secche nella fossa lasciata dall’albero.

    «Sotto le radici c’è una specie di tana» disse Grutte. «Lì sarete ben nascosti. Se uno non la conosce, non è facile scoprirla. C’è un orso che va a passarci l’inverno».

    «Dovremmo nasconderci con un orso?!» strepitò Buri.

    Grutte fece una risatina.

    «Aspetta il primo gelo per andare in letargo» disse.

    Scostarono le foglie appassite e i bambini si infilarono tra i cespugli. Là dietro trovarono davvero una tana, grande abbastanza perché potessero rannicchiarcisi dentro.

    Grutte rimise a posto le foglie secche e ci incrociò sopra un paio di rami di rovo.

    «Ecco fatto» disse. «Restate qui finché non torno a prendervi. E ricordate: non fiatate!»

    Poi si affrettò a tornare indietro. Raggiunse la sua capanna proprio quando la nave con la testa di drago attraccò nella baia. Un gruppo di uomini balzò oltre il parapetto e guadò l’acqua fino a riva. Erano armati con lance e asce. Quello che avanzava per primo portava alla cintura una splendida spada e un cerchio d’argento al braccio destro.

    Andrò dritto verso Grutte e disse: «Siamo gli uomini di Hærulv. Io mi chiamo Bødvar e sono il suo guerriero migliore».

    Grutte strinse i denti per nascondere la rabbia. Aveva sentito molto parlare di Hærulv e nulla di ciò che era venuto a sapere gli era piaciuto. Hærulv non possedeva terra, il suo potere si basava su una grande flotta di navi rapidissime. Lui e i suoi guerrieri navigavano di costa in costa, sbarcavano e facevano strage di chiunque incontrassero e razziavano tutto quello su cui riuscivano a mettere le mani. Tutti li detestavano e gli uomini di re Alrik avevano spesso combattuto contro di loro.

    «Ora è Hærulv che comanda» continuò Bødvar. «Ci ha mandati qui a cercare tre bambini: una ragazzina già grandicella e due piccoletti. Li hai visti? A chi saprà dirci dove sono andrà un borsello di monete d’argento».

    «Bambini?» rispose Grutte, sgranando gli occhi. «Qui non ci sono bambini».

    «Staremo a vedere» disse Bødvar. Si voltò verso i suoi uomini e urlò: «Datevi da fare!»

    Due uomini avevano già controllato la capanna. Tornarono dagli altri, poi tutti si divisero in gruppetti e si infilarono tra gli alberi.

    «Hai detto che ora è Hærulv che comanda» disse Grutte a Bødvar. «Cosa intendi?»

    «È molto semplice» rispose l’altro con un ghigno. «Questa notte abbiamo attaccato la fattoria del re e Alrik è caduto. Però devo dire che ha combattuto valorosamente».

    Grutte non batté ciglio Era già preparato al peggio.

    «Quando Alrik è morto, molti dei suoi uomini si sono arresi e hanno giurato fedeltà a Hærulv» continuò Bødvar. «Il resto ha trovato la via per il regno dei morti… con il nostro aiuto. Quindi ora il re del Nordmark è Hærulv. Ma Alrik ha tre figli, solo che non li abbiamo trovati alla fattoria. Una schiava ci ha detto di aver visto due uomini allontanarsi in barca con tre bambini e che tu sei uno degli uomini più fedeli di re Alrik».

    «Non sono amico di Alrik» disse Grutte, sputando un grumo di saliva a terra. «Sono stato a lungo a suo servizio, è vero. Ma quando sono diventato vecchio e debole, lui mi ha cacciato. Non voglio sprecare cibo per un cane sdentato ha detto. Non ho mai dimenticato quelle parole. I suoi figli non sono qui. Ma se lo fossero, sarei il primo ad acciuffarli».

    Bødvar scoppiò in una risatina.

    «Ci sai fare con le parole» disse. «Ma non mi fido di te, vecchia volpe. Resta solo da vedere con che genere di bottino faranno ritorno i miei uomini».

    Buri respirava a fatica. L’odore di terra umidiccia nella fossa lo soffocava. Sentiva appena il respiro di Signy e Regin, per il resto tutto taceva. Lo spesso strato di foglie secche bloccava completamente la luce del sole.

    Qua sotto è buio e freddo come in una tomba, pensò mentre la paura cresceva in lui. Quando ci avranno trovati e uccisi, potranno lasciarci qui, tanto siamo già nel regno dei morti.

    Riusciva quasi a vederli, nella terra scura: tantissimi volti pallidi, che avevano detto addio alla luce del giorno ed erano finiti laggiù, impietriti in un’eterna immobilità. Ma i loro occhi erano ancora in grado di vedere e lo sguardo di tutti era puntato sui tre bambini terrorizzati nella tana.

    «I morti…» bisbigliò Buri. «Ci stanno guardando».

    Signy gli mise la mano sulle labbra e lo costrinse a chiudere la bocca.

    «Zitto!» gli sibilò all’orecchio.

    Buri ubbidì. Signy tese l’orecchio verso i deboli rumori fuori dal nascondiglio.

    Le foglie secche più in alto frusciavano leggermente al vento. Un paio di cince cinguettavano sottovoce. D’improvviso una ghiandaia gracchiò vicinissimo a loro.

    Signy si irrigidì e d’istinto mise le braccia sulle spalle di Buri e Regin.

    Un istante dopo sentirono delle voci.

    «Per quanto ancora dobbiamo gironzolare su quest’isola?» disse un uomo. «È solo uno spreco di tempo».

    «Hai ragione» rispose un altro. «Ma vallo a dire a Bødvar».

    «Guardate tutte quelle foglie secche laggiù. Magari ci si è nascosto qualcuno».

    «Sì, topi o scarafaggi. Avanti, gli altri ci avranno già seminati».

    «Voglio provare comunque».

    Signy trattenne il respiro per il terrore e strinse a sé i fratelli. Una lancia affondò tra le foglie, muovendosi avanti e indietro.

    La punta le sfiorò la scarpa, poi scattò all’indietro.

    «Allora, vieni?»

    «Sì, sì, arrivo».

    Le due voci si stavano allontanando. Signy espirò lentamente, mentre Buri e Regin si raddrizzarono. A poco a poco, il panico svanì.

    Ormai era da parecchio che si nascondevano in quella minuscola tana, dove non potevano né stendersi né tirarsi su a sedere. Regin aveva i crampi a una gamba e non facevano che peggiorare. Provò a stenderla, ma era incastrata contro la parete di terra.

    «Se ne sono andati» mormorò. «Che dite, usciamo?»

    Signy gli strizzò il braccio.

    «Cos’è che ti è stato ordinato?» disse. «Di restare qui».

    Regin fece un profondo sospiro di irritazione, ma non si mosse.

    Finalmente sentirono Grutte che li chiamava. Scostarono le foglie e strabuzzarono gli occhi all’accecante luce del sole.

    «Gli uomini sono salpati» disse Grutte. «Il pericolo è passato. Per ora. È stato Hærulv ad attaccare l’accampamento reale. Avete…»

    «Hærulv!» esclamò Buri. «Il suo nome significa lupo degli eserciti. È lui il lupo che ho visto! Lo sapevo

    «Di cosa parli?» gli chiese Grutte confuso.

    «Oh… è solo una cosa che ho sognato» disse Buri.

    «Avete senz’altro sentito parlare di lui» riprese Grutte. «Lui e i suoi uomini sono la peggiore banda di furfanti e ladroni sulla faccia della terra. Io stesso ho combattuto contro di loro, prima che diventassi troppo vecchio per…»

    «Grutte» lo interruppe Signy. «Non ci hai ancora detto niente di papà. Cosa…?»

    Lui la guardò con aria desolata.

    «È… è morto, vero?» bisbigliò Signy.

    Grutte annuì.

    «È caduto alla guida dei suoi uomini» disse. «Ed è morto senza perdere l’onore… anche se non vi sarà di grande consolazione».

    Signy piangeva silenziosamente e le lacrime le rigavano le guance.

    Buri le mise goffamente un braccio sulle spalle.

    Regin era completamente bianco in volto.

    «Vendetta!» sibilò stringendo i pugni. «Hærulv deve morire! Lo ridurrò in tanti pezzettini… prima le mani, poi i piedi e alla fine la sua inutile testa!»

    Grutte lo afferrò saldamente per le spalle.

    «A tempo debito» disse. «Ora ti aspetta un lungo viaggio. Dovrai imparare a controllare la collera, o ti sarà fatale. E dovrai imparare a usare le armi. Questo vale per tutti e tre. In tanti vogliono vedervi morti».

    «Io ho già imparato a usare la spada» rispose Regin.

    «Non ne dubito» disse Grutte. «Ma non ti servirà a nulla contro un guerriero esperto. Ci vuole tanto allenamento. E qui potrete fare pratica. Anche se ormai sono grigio come un tasso, non ho dimenticato come si combatte».

    Il sole era basso all’orizzonte quando Grutte e i ragazzi fecero ritorno alla capanna. Cenarono in silenzio.

    Più volte Buri e Regin lanciarono un’occhiata verso il fiordo, come se sperassero di vedere il padre a bordo di una nave. Ancora non riuscivano ad accettare il fatto che non l’avrebbero rivisto mai più.

    Una volta finita la cena, Grutte recuperò le sue armi.

    «Ho continuato a lucidarle per non farle arrugginire» disse. «Ci sarebbe mancato altro. Quando ero un guerriero di re Alrik mi hanno servito fedelmente. E ora faranno lo stesso per i suoi figli. Voi siete gli ultimi della sua stirpe. Se morirete, non resterà nessuno a vendicarlo. Dunque, dovrete imparare a

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