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Temo i Greci anche quando portano doni
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Temo i Greci anche quando portano doni
E-book269 pagine3 ore

Temo i Greci anche quando portano doni

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Info su questo ebook

Dall’autore della saga bestseller MISTERI IN UN’ISOLA GRECA (100000 libri venduti)!
'Il James Patterson Greco' - Greek Media

Dopo la morte del suo bambino di due anni, Susan ha perso ogni attaccamento alla vita. Incapace di andare avanti, accetta la proposta di suo marito greco di passare un’estate in Grecia per il bene dei loro tre figli ancora in vita. La sua villa di famiglia lo li aspetta. Una dimora con un passato oscuro e un inquietante futuro.

Parti con loro per la Grecia ed esplora i misteri che pervadono quelle terre antiche. Unisciti a Susan varcando il confine fra la sanità e il sovrannaturale. Niente è come sembra. Temo i Greci anche quando portano doni!

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita18 giu 2021
ISBN9781667404462
Temo i Greci anche quando portano doni

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    Anteprima del libro

    Temo i Greci anche quando portano doni - Luke Christodoulou

    Temo

    i Greci

    anche quando

    portano doni

    di Luke Christodoulou

    Materiale soggetto a Copyright

    Dedicato a tutti i rifugiati del mondo,

    Che il vostro cuore possa trovare un posto da chiamare casa...

    Libri di Luke Christodoulou:

    Il Killer dell’Olimpo (Greek Island Mystery #1) - 2014

    I Delitti della Chiesa (Greek Island Mystery #2) - 2015

    24 Modernizzate Fiabe di Esopo - 2015

    Morte di una Sposa (Greek Island Mystery #3) - 2016

    Omicidio in Bella Mostra (Greek Island Mystery #4) - 2017

    Hotel Omicidi (Greek Island Mystery #5) - 2018

    Dodici Mesi di Delitti (Greek Island Mystery #6) - 2019

    Temo i Greci Anche Quando Portano Doni - 2020

    Lo Scrigno di Pandora - 2021

    Riconoscimenti per  Greek Island Mysteries (Saga Letteraria):

    'I Delitti della Chiesa sarebbe l’ideale per qualsiasi lettore appassionato di thriller, suspance o di avventura. Sono felice di raccomandare questo libro e spero che l’autore Christodoulou stia già lavorando sul prossimo romanzo di questa saga promettente. '

    - Chris Fischer per Readers' Favorite

    ‘Il James Patterson Greco colpisce ancora.’

    - Greek Media

    ‘... ha scritto magistralmente un perverso racconto di omicidio ambientato sotto al sole Greco.’

    - Ruth Rowley

    ‘La Grecia è fiera di avere un tale magnifico scrittore. Morte di una Sposa è sicuramente il suo capolavoro’

    - Athens Review of Books

    ‘Morte di una sposa è un thriller superbo. Un racconto degno di Agatha Christie ambientato nel XXI secolo’

    - National Society of the Greek Authors

    Capitolo 1

    Primavera, 1913 – Parga, Grecia

    Iphigenia stava in piedi accanto alla finestra aperta, la fresca brezza marina invadeva il piccolo cottage. Portava con sé il dolce profumo dei fiori grechi in fioritura, mista al forte odore salato del Mar Ionio. La sottostante strada lastricata di pietre accoglieva centinaia di greci mentre celebravano la riunificazione dello stato libero della Grecia. La Grecia era uscita vittoriosa dalla Guerra dei Balcani, e il dominio Ottomano era giunto a una conclusione dopo secoli di dura occupazione.

    A Iphigenia non importava.

    Sbatté le persiane di legno blu, chiuse le serrature arrugginite, e scivolò contro la parete vecchia e decadente. Rannicchiata sul pavimento freddo, si guardò intorno nella stanza buia. I due letti vuoti vicino a lei le trafiggevano l’anima. I suoi meravigliosi gemelli, entrambi morti in Guerra. Li aveva portati in grembo per nove mesi, e li aveva cresciuti fieramente per diciotto anni, e poi una lettera dal fronte aveva cambiato ogni cosa.  

    Non era più una madre.

    Iphigenia non credeva nelle lacrime. Maledisse Dio e si costrinse ad alzarsi dal pavimento di legno. Trascinò i piedi fuori dalla loro stanza e si fermò nel corridoio. Dalla porta socchiusa da cui si insinuava la brezza primaverile, riusciva a vedere suo marito singhiozzare sulla sua poltrona, una carcassa dell’uomo che un tempo aveva conosciuto. Erano passati due mesi da quando i ragazzi erano se ne erano andati, e suo marito non aveva mai lasciato la casa.

    ‘Devi andare a occuparti dei campi,’ lo aveva esortato lei.

    ‘Perché? A chi li lasceremo, Effie? A chi?’

    ‘Abbiamo bisogno di mangiare, e francamente, dobbiamo farci forza. La vita è per chi vive...’

    ‘Io sono già morto. Non ho alcuna ragione per restare in vita.’

    Iphigenia chiuse gli occhi e ispirò profondamente. Scosse la testa per scacciare via il ricordo delle sue parole. Si volse, afferrò la sua giacca fatta a maglia, e si precipitò fuori da casa. Avvolse i capelli nocciola in una sciarpa viola mentre camminava nel giardino abbandonato, e ad occhi bassi, si fece strada fra la folla festante che danzava nella sera. Più bassa dei più, si muoveva fra loro evitando il contatto visivo. Iphigenia si allontanò dal centro del villaggio; i suoi occhi erano fissi sul mare inquieto che aveva dinnanzi. Una fila di isole rocciose si ergeva orgogliosamente nelle fresche acque di Parga. La cappella di Santa Maria si ergeva solitaria sulla più grande delle isole che nidificavano la piccola baia.

    Le banchine del molo cigolarono mentre Iphigenia si faceva strada verso il peschereccio di suo zio. Cresciuta in una famiglia di pescatori, Iphigenia ebbe alcuna difficoltà a sciogliere i nodi nautici e liberare la barca dai suoi ormeggi. Entrambi furono presto liberi sulle onde della baia di Parga. Con le mani saldamente aggrappate alle pagaie, condusse la piccola imbarcazione fino alle rive dell’isola di proprietà della chiesa.

    Padre Gregory attendeva dietro la vetrata colorata della finestra della chiesa, ammirando la caparbietà della donna con la quale era cresciuto. I suoi denti percorsero le sue labbra sottili mentre si grattava il sopracciglio sinistro. ‘Bene, bene. Cosa avrà in serbo per me il Signore in questo giorno di gloria?

    Aprì la porta di legno percorse il viale terroso che portava agli scogli che formavano il molo dell’isola. Fece un cenno a Iphigenia mentre si immergeva nelle acque poco profonde per aiutarla ad avvicinare la barca alla riva. Le offrì la mano, e quella ghiacciata di Iphigenia si aggrappò alla sua presa, e come molte volte prima di allora, balzò a terra.

    ‘Buona sera, Padre.’

    ‘Sei andata a San Nicolas a cercarmi?’ rispose lui tossendo.

    Iphigenia si pulì le mani sul suo vestito nero; lo sporco delle sue dita lasciò dietro strisce di fango mescolandosi con gli schizzi dello Ionio. ‘Ti conosco troppo bene. Non sei troppo tipo da festeggiamenti. Inoltre, non ti saresti perso un tramonto primaverile sull’isola di Santa Maria. Uno sguardo al cielo terso e non ho neppure pensato di andare a cercarti in parrocchia.’

    La barba folta di Padre Gregory si sollevò in un sorriso sincero.

    ‘Vieni dentro,’ disse ritornando sul sentiero. ‘Cosa ti tormenta?’ domandò mentre attendeva accanto la porta, aspettando che lei entrasse nella chiesa dalle alte volte. Iphigenia ricacciò indietro le lacrime mentre si faceva il segno della croce e raggiungeva la prima fila di panche di legno. ‘Deve essere difficile per te trovar gioia nella nostra liberazione, ma devi ricordare che i tuoi figli  sono accanto al Padre Eterno. Gesù una volta ha disse ...’

    ‘Non è dei miei figli che mi preoccupo, Padre. È di Giorgo,’ lo interruppe lei.

    Padre Gregory si sedette accanto a lei. Pose la mano sulle sue dita tremanti. Iphigenia ispirò profondamente e singhiozzò. ‘Temo farà qualcosa di folle. Temo che abbia intenzione di togliersi la vita. Si rifiuta di ascoltarmi. Riesco a percepire i suoi demoni infestare la nostra casa, i suoi pensieri. Devi parlare con lui!’

    *****

    Il giorno successivo, il sole brillante del Mediterraneo trovò la Grecia quasi due volte più vasta. Sorrisi bianchi splendevano sui volti olivastri della gente. Gustavano e assaporavano quella libertà che un tempo era stata solo un sogno. Lacrime riempivano gli occhi verdi di Padre Gregory mentre ringraziava Gesù dinnanzi all’euforia degli abitanti della sua città. Si addentrò fra i casolari di pietra e augurò la migliore delle mattine a  tutti coloro che gli vennero incontro. Le risate dei bambini riempivano l’aria mentre questi lo rincorrevano sventolando bandierine greche. Presto, Padre Gregory giunse al cancello arrugginito della casa di Iphigenia. La udì gridare al marito.  ‘Giorgo, vado a trovare mia zia.’

    Iphigenia si sforzò di sorridere, facendogli un cenno del capo. ‘Non preoccuparti,’ riuscì a rispondere lui, prima che la donna si dileguasse per le strade. Padre Gregory si chiuse il cancello alle spalle e si fermò un istante ad ammirare due rondini canterine che stavano costruendo il loro nido proprio sopra alla porta d’ingresso. Non si era mai sposato. Non aveva mai compreso il perché. Ogni volta che i suoi genitori avevano provato a proporgli qualche brava ragazza cristiana, aveva trovato nuove scuse. Ora, a trentasette anni, con i suoi genitori morti e la Grecia finalmente libera, si sentiva più solo che mai.

    ‘Buona mattina, Giorgo,’ disse in tono allegro mentre si affacciava alla porta aperta dell’ingresso.

    ‘Cosa avrebbe di così buono?’

    Padre Gregory inghiottì il nodo che gli si era formato in gola ed entrò nel salotto buio. L’aria rappresa aveva l’odore delle sigarette di Giorgo, le imposte serrate a chiuder fuori i canti degli uccelli primaverili. Tirò fuori la sua Bibbia e si sedette vicino all’uomo. Aprì il Libro. Nehemia 8:10.

    Capitolo 2

    Iphigenia sentì il primo raggio di sole del giorno danzarle sul viso candido. Scansò via dalla fronte broccoli sfuggiti alla sua treccia e stiracchiò le braccia. Assonnata, aprì gli occhi e si alzò a sedere. Era sola nel suo letto. Giorgo non si svegliava mai prima di lei.

    ‘Giorgo?’

    Silenzio.

    ‘Giorgo?’ Alzò la voce mentre i suoi piedi si posavano sul legno del pavimento. Salotto, cucina, la camera dei gemelli. La casa era vuota. In punta di piedi, si affacciò dalla finestra della sua camera da letto chiamando ancora una volta suo marito.

    ‘Hai perso il tuo uomo, Effie?’ le domandò la vicina, la testa che sporgeva dalle lenzuola che aveva appena steso ad asciugare nel cortile.

    ‘Pare di sì, Helena.’ Un sorriso tirato comparve sul suo viso stanco. ‘Potrebbe essere?’

    Rientrò in fretta in camera a vestirsi. Mantenendo la stessa celerità, Iphigenia uscì di casa diretta ai loro campi. In alto, il sole dipingeva i profili delle nuvole serene che si radunavano nel cielo azzurro. Il lungo sentiero di terriccio le sembrava non finire mai, mentre si fermava un istante presso un ulivo caparbio cresciuto fra le rocce, e tentava di riprendere fiato.

    ‘Buona mattina, Iphigenia,’ la salutò Jacob, un gioviale bracciante ‘Vai ai viticoli?’ le chiese; una sfumatura di dispiacere tingeva le sue parole. Non si azzardò a menzionare gli alberi da frutto trascurati né le verdure morenti – o più probabilmente già morte. Erano passati mesi dall’ultima volta che aveva visto qualcuno nei loro campi.

    ‘Buongiorno a te, caro. Sì, sto andando incontro a Giorgo.’

    Un enorme sorriso sollevò gli ispidi baffi del contadino. ‘Giorgo è tornato? Magnifico. Mattiniero come al solito, huh? Non l’ho visto passare.’

    Iphigenia rispose con un breve sorriso e un veloce cenno del capo, e poi continuò lungo il viale, mentre la brezza mattutina la avvolgeva, innalzando nuvole di rena attorno ai suoi piedi. Iphigenia raggiunse il cancello aperto e si fece strada fra l’erba alta, le orchidee selvatiche e i tulipani profumosi.  Il vento divenne più forte mentre si insinuava fra le ombre delle fila di alberi da frutto. Una folata dissipò via il freddo sudore che le si era formato dietro la nuca. Iphigenia si paralizzò. Come l’antica statua di una Dea Greca rimase immobile, senza muovere un singolo muscolo. I suoi occhi erano fissi sull’uomo senza vita che pendeva da un alto carrubo in lontananza. I suoi piedi penzolavano a quasi un metro da terra, la testa giaceva sulla spalla destra. Fece qualche passo in avanti, inspirando profondamente. I suoi occhi seguivano la corda, dal collo di lui al ramo spesso. Avanzò ancora. Un vecchio sgabello di legno era abbandonato sul terriccio asciutto. Si mosse lateralmente, gli occhi che le si riempivano di lacrime. Il volto dell’uomo che aveva sposato alla tenera e di diciassette anni. Quegli occhi blu nei quali si era persa così tante volte, ora la spaventavano. Due orbite rosse, vuote, spalancate ornavano il volto di terrore. Saliva purpurea colava dagli angoli delle sue labbra violacee. Iphigenia sedette a terra, di fronte al corpo penzolante. Chiuse gli occhi e lasciò che i suoi sensi spaziassero per i campi. L’aroma floreale della primavera sarebbe presto stato rovinato dal maleodorante, putrido odore di un corpo morto. Il canto degli uccelli d’aprile sarebbe presto stato coperto dalle grida di sua suocera.

    Passarono minuti prima che riuscisse a poggiare le sue mani sul terreno e a risollevarsi nel corpo e nello spirito. Priva d’ogni emozione, barcollò via verso il viale, e si imbatté di nuovo in Jacob.

    ‘Hey di nuovo! Come sta Giorgo?’

    ‘E’ morto,’ disse lei, e si morse labbro inferiore. ‘Io... Io non...’ balbettò sedendosi a terra. ‘Per favore, vai ad avvertire suo fratello,’ riuscì a dire in un sospiro, prima di svenire dinnanzi al contadino allibito.

    Due giorni dopo, sarebbe svenuta ancora. Questa volta fra le braccia di Padre Gregory mentre lui la tratteneva a due passi di distanza dalla tomba di suo marito. Il cielo, nonostante la primavera, si era vestito per l’occasione. Nuvole grigio scuro incombevano sulla folla in lutto, mentre quattro uomini calavano la bara nella fossa. Iphigenia si inginocchiò sul terriccio morbido. Le sue dita si insinuarono fra la rena. Innalzò il braccio sopra alla fossa e rimase a guardar la bara che veniva calata giù. Il suo braccio destro tremava violentemente; le sue dita erano strette in un pugno, a far prigioniera la polvere. Scosse la testa. ‘Io non...’

    Padre Gregory fece un passo in avanti e si inginocchiò vicino a lei. ‘Effie, devi dirgli addio. È il momento di...’

    Un tuono coprì le sue ultime parole. Iphigenia aprì il pugno, e guardò i granelli di rena raggiungere Giorgo, e, proprio mentre la prima goccia pioveva giù dal cielo, svenne fra le braccia di Padre Gregory.

    Capitolo 3

    Primavera, 2010 - Londra, UK

    Susan fissava lo schermo del suo cellulare mentre sedeva da sul vecchio divano nero nell’attico del suo trilocale. I suoi occhi lacrimanti guardavano al piccolo corpo senza vita di una bambino di quattro anni, disteso faccia a in giù nella sabbia dorata, ora che il mare Egeo lo aveva adagiato sulla costa turca. La notizia era troppo personale perché lei riuscisse ad affrontarla.

    Erano passati cinque mesi dall’ultima volta che aveva guardato il cadavere di un bambino.

    Il suo piccolo Eugene avrebbe avuto due anni, se fosse sopravvissuto. Chiuse gli occhi mentre le lacrime formavano rivoli sulla sua pelle candida. Riviveva quel momento così spesso. Era in piedi dinnanzi alla culla del suo bambino, lo guardava nei suoi occhi assenti. Gridava freneticamente, in modo animalesco, mentre lo prendeva in braccio e cercava di scuoterlo. Era freddo, d’una tetra sfumatura di bianco. Il sangue non gli scorreva più nelle vene. Il suo piccolo cuore non emetteva più alcun battito.

    ‘Mamma? Mamma?’

    La voce di sua figlia adolescente la trascinò fuori da quell’incubo. Con mani tremanti si allungò ad accendere le luci, mettendo in fuga il buio e i suoi incubi. Si asciugò gli occhi e inghiottì il nodo che le si era formato in gola. ‘Sì, cara?’

    ‘Dov’è il mio giacchetto nero? Lo avevo lasciato in corridoio e ...’

    ‘È al suo posto, Sophia.’

    Silenzio.

    ‘Nel tuo armadio!’ continuò Susan.

    ‘Grazie, mamma. Sei la migliore. Ci vediamo dopo!’

    L’eco rumorosa di passi raggiunse Susan mentre immaginava Sophia correre giù per le scale, saltando i gradini due a due. ‘Perché seguo i notiziari? Sono sempre tragedie su tragedie,’ borbottò Susan abbandonando il cellulare sul divano, mentre si alzava massaggiandosi la schiena dolorante. ‘Sì, i dannati quaranta sono i nuovi venti. Fanculo!’

    I suoi piedi nudi scivolarono nei mocassini caldi mentre ruotava il collo e si sistemava non curante i capelli. ‘Sono già le sette,’ disse in un sospiro mentre si dirigeva nella sua cucina modernamente rustica. Susan aveva sempre avuto passione e occhio per la decorazione di interni. Prima di avere i suoi quattro figli, niente la divertiva più di fare shopping alla ricerca di un ripiano in legno o un cuscino che aveva immaginato per il salotto di un cliente. Aveva lasciato il lavoro due giorni prima del funerale di Eugene. Andrew l’aveva stretta nelle sue braccia forti e l’aveva guardata negli occhi azzurri accarezzandole i boccoli biondi. ‘Non puoi licenziarti. Ami il tuo lavoro. Gli psicologi dicono che fa bene tenere la mente occupata in momenti come questi ...’ Aveva cominciato a recitare qualche stronzata -come le definiva Susan- che aveva letto online.  ‘Il mondo è grigio e freddo e terribile e ostile. I miei occhi non riescono più a vedere i colori. Come dovrei decorare una casa? Sono un corpo vuoto.’ aveva replicato lei, ubriaca.

    Il soffriggere delle salsicce riportò la sua attenzione al pasto che stava preparando. Susan le punzecchiò con la forchetta che aveva in mano e le girò sull’altro verso. I suoi occhi fissavano l’olio bollire furiosamente nella padella nera. Ci avvicinò le dita; il calore le ferì la pelle. ‘Ho bisogno di provare qualcosa,’ sussurrò, e abbassò gradualmente la mano verso la padella in bollente.

    Il rumoroso squillo del campanello d’ingresso la fece trasalire. Indietreggiò goffamente e respirò a fondo. ‘Riprenditi, Susan!’

    La porta d'ingresso sbatté contro il fermo mentre i cardini reagivano alla forza usata da suo figlio, Christopher. Il ragazzo biondo calciò via le scarpe e lanciò il giacchetto in direzione dell’appendiabiti. Lo mancò. Sua sorella, Maya, entrò traballante dietro di lui, un sorriso gioioso le occupava costantemente il viso. Andrew li seguiva, scuotendo la testa alla vista del paio di scarpe e del giacchetto sportivo che rovinavano l’immagine-da-catalogo della casa perfettamente ordinata. Non ci voleva molto a risvegliare il suo OCD.

    ‘Perché suonate sempre il campanello quando avete le chiavi?’

    ‘Hey, mamma! Che c’è per cena?’ chiese Christopher, ignorando le sue lamentele.

    Susan si sforzò di far comparire un sorriso sul suo volto esausto. Accarezzò i capelli di suo figlio e gli baciò la fronte. ‘Sembri elettrizzato.’

    ‘Ho battuto il mio record personale oggi. Cinquantasei secondi!’

    Susan abbracciò il suo maschietto euforico. ‘È meraviglioso. Ben fatto, Christopher!’

    Christopher scostò una sedia di legno con rifiniture in alluminio e si gettò teatralmente a sedere. ‘Non hai risposto alla mia domanda però.’

    ‘Salsicce, cavoli e patatine fritte. Il tuo preferito!’

    Susan sentì due piccolo braccia aggrapparsi alla sua gamba destra ‘Patatine!’ ripeté sua figlia di tre anni.

    ‘Ciao, bambina mia. Come è andata la giornata?’

    Maya rispose con un balletto. Percorse in punta di piedi tutta la cucina, piroettando qua e là mentre il suoi capelli si scompigliavano, ricadendole sul viso.

    ‘Lo prenderò come un buon segno,’ commentò Susan, i suoi occhi seguivano suo marito che entrava tenendo in mano il giacchetto e le scarpe di Christopher. Li gettò sulle gambe di suo figlio. ‘Questo’ –sventolò le braccia a trecentosessanta gradi- ‘non è un porcile. Porta tutto nella tua stanza.’

    Christopher roteò gli occhi ma non rispose. Si alzò e trascinò i piedi superando i suoi genitori.

    ‘E lavati le mani,’ aggiunse sua madre, accettando un tenero bacio sulla guancia. ‘Dov’è Sophia?’ Chiese Andrew rimanendo vicino a lei, a massaggiarle la schiena. Susan rimase immobile. ‘E’ da Katie, in fondo alla strada. Cenerà lì e tornerà a casa più tardi.’

    ‘Bene. Ho una cosa da dirti. Intendo solo a te.’

    Venticinque minuti dopo, erano entrambi in piedi vicino alla lavastoviglie aperta. Susan aveva cercato di leggere l’enigmatica espressione del marito durante tutta la cena, e dopo che vari pensieri si erano manifestati nella sua testa, aveva lasciato perdere il suo personale gioco di ipotesi e aveva aspettato di apprendere da lui la notizia. L’acqua bollente le scorreva fra le dita mentre puliva i piatti, tenendola al caldo dall’aria fredda che

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