Ognuno ha il suo giorno
Di Nello Rapini
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Anteprima del libro
Ognuno ha il suo giorno - Nello Rapini
Albatros
Nuove Voci
Ebook
© 2017 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma
www.gruppoalbatrosilfilo.it
ISBN 978-88-567-8271-4
I edizione elettronica aprile 2017
A ciascuno è dato il suo giorno,
il tempo della vita è breve e irreparabile per tutti.
Stat sua cuique dies - (Eneide X, 467)
A Rina e Angelo e al loro grande amore
E quelle notti terribili
sotto l’immensa cupola
e quelle ore rosse
rosse e piene di amarezza
e il tempo che scorre
trasportando nei paesi che dormono
e che sconquassa quest’altro
contro il muro di un palazzo
in questo tempo che se ne va
non importa dove, non importa quando
che mi trascina allo stesso tempo
laggiù, lontano laggiù
fuori dalla mia terra natia
battendo la mia carne come un tam – tam
divenuta più secca e più fragile
o tristezza che batti le ali contro l’anima mia!
in quale porto degno della mia condizione d’uomo
getterai tu l’ancora?
Esilio, Mavoungou Badinga
I
La lunga, eterna tensione di una tempesta produce questo effetto:
l’attesa interminabile della catastrofe culminante.
Joseph Conrad
Il mare ribolliva, come la pentola nella quale nonna Selam cucinava le verdure al mattino, anche il colore era più o meno lo stesso, quel grigio scuro che rifletteva le nubi cariche di pioggia.
Selam nella nostra lingua significa pace e in pace nonna Selam è morta, la settimana prima della festa del Meskel, l’anno prima che il nostro villaggio venisse completamente bruciato e tutti gli abitanti trucidati.
Si è seduta sotto il grande baobab appena fuori dal villaggio e ha aspettato con tranquillità che il sole tramontasse.
Pensavamo che dormisse, come sempre, con gli occhi socchiusi e un leggero sorriso che le illuminava il volto.
È morta così nonna Selam, semplicemente, come era vissuta, nel quinto giorno del mese di Ghembòt, nella sua terra, nel villaggio di Badme.
Di colpo tutto sembrò fermarsi, le onde, il vento, anche il tempo rallentò, fu un attimo, poi si scatenò la tempesta.
Il barcone sul quale eravamo stipati dalla notte prima gemeva a ogni ondata, con un lamento simile a quello che i cuccioli di sciacallo emettono nella notte per richiamare la madre.
Il legno marcio era già gonfio d’acqua quando salpammo nell’oscurità, da una spiaggia sabbiosa a est di Bengasi, in Libia dopo aver lasciato tutto nelle mani dei libici che ci avevano trasportato attraverso il deserto per più di dieci notti.
Nel deserto camminavamo solo con il buio, durante il giorno era troppo caldo, ci fermavamo all’alba, di solito al riparo di qualche costone di roccia.
Non so in quanti partimmo, ma so che all’arrivo a Bengasi eravamo meno della metà di quelli partiti, ma questo importava poco a chi ci guidava, avevamo tutti pagato, in anticipo, 4.000 dollari a testa, donne e bambini compresi.
Il capitano del barcone si chiamava Muhammad, un nome sicuramente falso, noi tutti lo chiamavamo il Porco, era un libico grasso e violento che in soli due giorni era riuscito a molestare tutte le donne che c’erano a bordo.
Assieme al Porco c’era un altro che chiamavamo l’Egiziano, non parlava mai, ti fissava con due occhi scuri, come il lago Kulul di notte, fumava in continuazione delle sigarette puzzolenti, aveva sempre la stessa espressione, per lui eravamo meno importanti degli animali del mercato di Keren.
Il Porco era attaccato al timone con tutte e due le mani, urlava con quanto fiato aveva in gola, quasi nessuno lo capiva, la maggior parte di noi parlava solo il tigrino, lo guardavamo in silenzio, paralizzati dalla paura.
Molti di noi avevano visto il mare per la prima volta solo il giorno in cui partimmo al tramonto, da quella spiaggia sabbiosa e isolata.
Le onde si infrangevano contro le murate del barcone e la schiuma bianca sferzava ogni cosa sul ponte, le urla del Porco ormai non si udivano più, erano coperte dal rimbombo del mare, un rumore sordo e profondo, come il ruggito del leone nella notte sull’altipiano.
Il barcone cominciava a riempirsi d’acqua, l’Egiziano aveva ordinato a tutti gli uomini di darsi da fare, usavamo di tutto per gettare l’acqua fuori bordo, ogni cosa che potesse contenerne, e chi non aveva nulla lo faceva a mani nude.
Ma era inutile, come cercare di fermare il fiume Anseba nella stagione delle piogge, tutto sulla barca era fradicio e ormai avevamo l’acqua alle ginocchia.
Il fasciame che gemeva, il frastuono dei tuoni e i lampi che illuminavano a giorno l’orizzonte, il Porco con gli occhi stralunati, l’Egiziano che spingeva chiunque gli capitasse a tiro, tutto mi sembrava si muovesse più lentamente, come se anche il tempo avesse bisogno di capire cosa stesse accadendo.
La stiva era completamente allagata, spingendo e urlando ci riversammo tutti all’aperto, sul ponte la confusione era assoluta, le donne stringevano al petto i bambini, gli uomini continuavano a gettare l’acqua al di là delle murate.
Il motore si spense con un ultimo sussulto e immediatamente, senza la spinta dell’elica, il barcone cominciò a ruotare su se stesso in balia delle onde, mentre il Porco urlava sempre più forte.
Stavamo per morire tutti, nessuno avrebbe più rivisto la luce accecante del sole all’alba, sulla linea dell’orizzonte a est verso il Mar Rosso.
«Maledetti animali!». Urlò il Porco a Tesfai, un rashaida che conosceva l’arabo. «Dì a quelle bestie di spostarsi tutti a poppa!».
Tesfai era un ragazzo alto e smagrito, con due occhi grandi e scuri che fissavano inebetiti le onde sempre più alte.
«Sbrigati» ripeté il Porco «Sbrigati!».
«Non ce la faremo mai senza motore» sibilò l’Egiziano, poi si rivolse al Porco aggiungendo «Tu sai quello che dobbiamo fare, vero?».
Il mare sembrava che quasi volesse toccare il cielo, le onde sempre più impetuose avevano una schiuma che sembrava fatta di tef, il cereale con il quale prepariamo il pane nei giorni di festa.
C’era un gruppo di uomini in disparte, sulla murata di sinistra, che aveva cominciato a pregare, erano copti e la loro preghiera creava un sottofondo irreale con il frastuono del vento e del mare.
L’Egiziano insistette «Fai quello che devi fare, idiota, o moriremo tutti!».
Il Porco fu come scosso da quelle parole, si staccò dal timone, tanto ormai era inutile cercare di governare la barca, e si diresse barcollando verso il gruppo delle donne che si era radunato all’estremità posteriore del barcone.
Cominciò a spingerle da un lato e a dividerle dai bambini, mentre si aggrappavano disperate ai propri figli che, a loro volta, piangevano come gli agnellini al mercato di Asmara.
«Da questa parte, da questa parte, maledette puttane!». Urlò il Porco. Una giovane della Dancalia si divincolò e corse dal suo bambino, riuscì ad afferrarlo, ma l’Egiziano la raggiunse alle spalle, la prese per i capelli e la tirò indietro così che cadde sbattendo violentemente il viso.
Rimase a terra, una chiazza di sangue scuro le si allargò rapidamente sotto il volto, il bambino corse piangendo verso di lei, ma subito l’Egiziano gli sferrò un calcio che lo colpì allo stomaco.
Il piccolo, avrà avuto al massimo quattro anni, rimase ancora un attimo in piedi, poi cadde anche lui sul corpo della mamma.
Yemane si avventò come un leone verso l’Egiziano, era un giovane eritreo forte e coraggioso, aveva combattuto per anni in Etiopia e tutti dicevano che non aveva paura di niente, ma l’Egiziano si spostò rapidamente da un lato, facendolo ruzzolare a terra, poi mise una mano in tasca, estrasse una pistola e gli sparò dritto al centro degli occhi.
Yemane cadde all’indietro come una scimmia colpita da un bastone, la sua testa si aprì in due parti e il cervello si mischiò con il sangue della giovane, imbrattando il volto del piccolo che era rimasto a terra.
Di colpo scese un silenzio assoluto, spettrale, tutti smisero di urlare e rimasero a fissare la mano dell’Egiziano che teneva ancora in pugno la pistola fumante, anche il Porco tacque, per un attimo sembrò che persino il mare e le onde si calmassero, quasi stupiti e inorriditi da quella tragedia.
L’Egiziano si rivolse di nuovo al Porco «Buttale in acqua… presto, stiamo affondando, cosa aspetti?».
Il Porco afferrò la prima donna che aveva accanto, la sollevò sopra il parapetto e la gettò fuori dal barcone.
Ci lanciammo tutti istintivamente verso il bordo, feci appena in tempo a vedere il volto della donna che guardava in su, fu sommersa da un onda, poi riemerse e aprì la bocca, forse per urlare, un’altra onda la riportò giù, riuscì di nuovo a emergere, per un’ultima volta, poi scomparve, senza un urlo, in un attimo era tutto finito.
Ci voltammo, appena in tempo per vedere che il Porco aveva preso un’altra donna per gettarla in acqua.
Due uomini si scagliarono contro di lui e lo buttarono a terra, subito si avvinghiarono come serpenti sul fondo di una buca.
L’Egiziano sparò ancora, un uomo fu colpito allo stomaco e cominciò a urlare, l’altro fu ferito a un braccio, l’osso si spezzò e uscì fuori, lacerando le carni, l’Egiziano ricaricò e li finì tutti e due con un colpo alla testa.
«Dobbiamo gettare tutte le donne in acqua» urlò a noi uomini. «O volete fare la fine di questi due maiali?». Aggiunse indicando i corpi già inzuppati di sangue e acqua che sballottavano sulla tolda.
«Prendete le donne e gettatele fuori dalla barca!» ordinò brandendo la pistola davanti a noi. «O giuro su Allah che vi ammazzo tutti come cani.».
Ormai ai nostri piedi l’acqua era completamente rossa del sangue delle vittime dell’Egiziano, vicino a me, un giovane che si chiamava Haimanot, era di un villaggio vicino al mio, cominciò a vomitare, cadde sulle ginocchia e mentre vomitava, giunse le mani e cominciò a pregare in tigrino.
Era una scena incredibile e subito, stretti attorno ad Haimanot, tutti ci inginocchiammo piangendo tra sangue, brandelli di carne, ossa spezzate, vomito e acqua, guardando il cielo, e con gli occhi semichiusi e gonfi di lacrime intonammo quasi