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Nudo di Fantasma
Nudo di Fantasma
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E-book182 pagine2 ore

Nudo di Fantasma

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Info su questo ebook

Nei pressi di Catania sorge una torre antica, piuttosto fatiscente, inserita in una corte che in passato era appartenuta ai conti Manitelli. Il luogo è sinistro ma Clara Bonanza, possidente siciliana, in accordo con i suoi fratelli, decide di acquistare quel territorio affascinata dalle vibrazioni che avverte nell’aria.
In seguito, Clara, tramite Rosalia, la sua domestica, viene a conoscenza di una storia drammatica che aveva riguardato in passato i conti Manitelli: in quel feudo c’era ancora un tesoro piuttosto ingente che mai nessuno aveva rinvenuto.
Rosalia, donna di dubbia moralità, si accompagna a Salvatore, pastore-filosofo e insieme, attraverso un gioco di sedute spiritiche, evocano i trapassati, cercando di scovare la truvatura che tanto preme ai Bonanza. Ma ad un certo punto la situazione rivela un aspetto inedito.
La malia di Clara soggioga Salvo, ma impedimenti sociali e culturali non permettono loro di andare avanti.
Passa del tempo e la vicenda si sposta a Catania, dove Clara avrà modo di dare ampio spazio alle sue pulsioni. Nudo di fantasma di Anna Maria Albani è un romanzo nel quale si mescolano note romantiche e irreali. I riferimenti continui al mondo parallelo e all’apporto che spesso, nell’antica Grecia, gli dèi davano ai comuni mortali rende chiaro quanto le due dimensioni siano strettamente collegate.

Anna Maria Albani è nata in provincia di Ragusa. È sposata e vive a Gela dove ha sempre insegnato. 
Ha due figlie e due nipoti. Scrivere è la sua passione e trae ispirazione da storie vere.
L’ultima sua pubblicazione è Nudo di fantasma con Europa Edizioni, 2022.
Ha pubblicato già quattro romanzi e un racconto: 
Lettere da Chicago con Editing Treviso; Il microfonino d’argento con editing Treviso; Frutta Marturana con Albatros; Il soldato di Chicago con Aletti Editore; il racconto Se non ti uccide, ti cambia la vita inserito nell’antologia Donna sopra le righe 2011 ed. Biblos.
LinguaItaliano
Data di uscita27 ago 2022
ISBN9791220132862
Nudo di Fantasma

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    Anteprima del libro

    Nudo di Fantasma - Maria Anna Albani

    Copertina-LQ.jpg

    Anna Maria Albani

    Nudo di Fantasma

    © 2022 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-2690-8

    I edizione settembre 2022

    Finito di stampare nel mese di luglio 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Nudo di Fantasma

    Ai miei due angeli

    Lorena e Nanni

    Capitolo 1

    Era già la quarta volta che Clara Bonanza si faceva accompagnare dal marito Giorgio Calì per guardare quel feudo abbandonato lungo la strada semi sterrata che immetteva sulla provinciale, percorrendo la quale si arrivava nella città di Catania. Il feudo, poco distante da Bambaluri, era recintato da una fatiscente muraglia a secco, dalla quale s’intravedeva il rudere di una grande villa. La villa era invasa da un manto di edera e dalle pareti non ancora crollate, si notavano finestre sconnesse e mattoni sgretolati, mentre sull’unica torre rimasta in piedi, che era occupata alla sommità da miriadi di volatili e dal loro continuo svolazzare, s’intuiva che vi avevano nidificato. Clara si era innamorata di quella villa che i compaesani chiamavano con sussiego castello e fantasticava di possederla, di restaurarla, coltivarla e magari qualcosa di altro. Quel giorno constatò che il suo sogno non era impossibile; infatti, sul lato destro del cancello, vi era un cartello in bella vista con la scritta Vendesi e sotto l’indirizzo di un notaio al quale bisognava rivolgersi. Clara esultò e rivolgendosi a Giorgio gli disse: «Sarà nostra!».

    Era il 1956 e la Sicilia, come il resto dell’Italia, aveva ripreso alla grande la voglia di vivere, lasciandosi alle spalle gli stenti, il malessere e gli orrori dell’ultimo conflitto mondiale. La voglia di creare, di costruire quel miracolo che, in seguito, verrà definito boom economico, serpeggiava nell’aria. Ma, mentre nel nord Italia venivano fondate centinaia di aziende, prime fra tutte quelle delle fonti energetiche, quelle automobilistiche, siderurgiche, la costruzione di elettrodomestici, in Sicilia la voglia di benessere era rappresentata dall’agricoltura perché il denaro poteva venire solo da lì. Ma manifestazioni di progresso ce n’erano. In molte case c’era la radio-grammofono, in alcune il frigorifero e anche la famosa automobile 600 che la

    Fiat

    sfornò proprio quell’anno e, nei bar, già il televisore, dove la gente si riuniva la sera dopo cena. Ma i siciliani fremevano e guardavano con invidia le città del nord Italia, dove il benessere si toccava con mano e la gente trovava lavoro nelle fabbriche e qualcuno, infatti, cominciava ad emigrare dal sud.

    A Bambaluri, piccolo paesino della Sicilia sud orientale, disteso su una collinetta, prospiciente i monti Iblei, lussureggiante di vigneti, agrumeti, uliveti, mandorleti e frutteti vari, distante una ventina di chilometri dal mare, quella voglia si esprimeva con l’allegria della tranquillità ritrovata ma, soprattutto, sfruttando le risorse del territorio: coltivando i campi trascurati e, se possibile, acquistandone altri e comunque riprendendo le abitudini accantonate. Si organizzavano balli e qualcuno s’improvvisava cantastorie ma si sognava molto, soprattutto prosperità e agiatezze: a tal fine si compilavano schedine del totocalcio, si comprava il giornale anche per leggere il proprio oroscopo. Per le strade i ragazzini che suonavano l’organetto tenevano anche una gabbietta con l’uccellino e, quando si avvicinavano le persone beccava il foglietto della fortuna che poi il ragazzo porgeva a chi l’aveva comprato. Importante era procurarsi benessere e anche sognarlo. Proliferavano anche i maghi, i sensitivi, i cultori del paranormale. Alcuni perché convinti sostenitori del mondo occulto, altri soltanto truffatori, il cui unico scopo era alleggerire quelli che possedevano qualche quattrino in più.

    In quel piccolo paese di pseudo sensitivi ce n’erano e i possidenti erano ovviamente i proprietari terrieri, considerato il ceto più abbiente, alle dipendenze dei quali c’erano parecchi contadini che coltivavano la loro terra. Poiché i mezzi agricoli erano ancora quasi tutti manuali, sicuramente il lavoro c’era, ma pesante e sottopagato.

    Clara Bonanza e i suoi due fratelli erano considerati i più abbienti. Lei dei tre era la minore. Ma si somigliavano un po’ tutti: alti e molto signorili, dalla pelle ambrata, sicuramente di progenie sicula non contaminata da geni invasori. Erano sposati, domiciliati ognuno nella propria dimora, ma nello stesso stabile e uniti in tutto quello che riguardava gli affari e le terre che gestivano in comune con la passione che avevano ereditato dal genitore defunto che li aveva fatti studiare abbastanza ma nessuno dei tre aveva conseguito una professione o competenze specifiche, nemmeno Giorgio, il marito di Clara, un gran bel signore che aveva anche frequentato l’università; forse perché sapevano di avere il futuro assicurato con le rendite delle proprie terre. Mai, però, soddisfatti di quante ne possedevano, ne acquistavano altre non appena se ne presentava l’occasione, anche perché a Bambaluri di quello si viveva e in quegli anni i prodotti agricoli rendevano: la manodopera costava poco, non c’era concorrenza e non c’era la fatica di dover portare i prodotti nei mercati ortofrutticoli. Infatti si presentavano i commercianti interessati a ciascun prodotto e lo acquistavano in blocco sugli alberi o nei frantoi se si trattava di olio o di vino: per cui acquistare nuova roba e magari a buon prezzo rappresentava un affare. Nella primavera del 1956 l’affare, per i Bonanza, si presentò sotto forma di quel feudo semi abbandonato, poco distante dal centro abitato, del quale Clara era da tempo affascinata e finalmente aveva visto il cartello che indicava la decisione da parte dei proprietari di volerlo vendere. Questi erano dei nobili catanesi che, si diceva, l’avessero abbandonato sia perché pensavano che sarebbe stato espropriato con la legge della riforma agraria che prevedeva la confisca e il frazionamento del latifondo e anche per superstizione a causa di quell’antico tesoro custodito da un fantasma e che ogni volta che tentavano di cercarlo, succedeva loro una disgrazia. La costruzione, durante la guerra, era stata requisita da un commando di soldati tedeschi, che vi avevano abitato fino all’arrivo degli anglo-americani i quali li avevano cacciati a suon di bombe, dando, però il colpo di grazia al vecchio maniero e accelerandone la decadenza. A causa di ciò i fratelli Bonanza lo acquistarono a un prezzo di loro convenienza. Ma le malelingue paesane, che invidiandoli per le loro possibilità, li tenevano d’occhio, insinuarono che il loro intento principale non fosse quello di coltivare la terra. Un modo come un altro per parlarne male dimenticando che, durante la guerra, i loro genitori avevano sfamato l’intero paese con i prodotti delle loro tenute, dove avevano anche nascosto alcune persone. Dicevano che, sicuramente, l’intento era l’avidità di cercare quel fiabesco tesoro sempre presente nelle leggende del paese. Possedendo quella tenuta, perché non tentare o almeno verificare se ci poteva essere la possibilità di averlo? Questo dovette pensare per l’appunto, la piccola dei Bonanza a furia di sentire le chiacchiere di tutti quelli che a vario titolo le stavano intorno.

    Clara era una bellissima donna, quasi trentenne, con un marito sempre pronto ad appoggiare i suoi capricci e con due bellissime figlie di otto e dieci anni, e in quei tiepidi e olezzanti giorni di primavera fremette dalla voglia di indagare su questa possibilità e tal fine presentò il progetto ai due fratelli maggiori, il minore, Armando, senza prole e il grande, Giovanni, con un figlio adolescente. Insieme al progetto presentò loro due individui che vantavano competenze nel campo del paranormale, soprattutto nella ricerca dei tesori; qualcosa avevano effettivamente trovato in quanto c’era stata la guerra e le guerre portano morte, distruzione, e chi possiede preziosi li nasconde con la speranza di recuperarli rimanendo in vita. I due individui erano: un sensitivo che si faceva affiancare da una medium molto sensibile, come diceva lui, e come dicevano i compaesani anche bagascia, perché la vedevano in giro insieme a lui, suo collega, e poi perché andava a prendere il caffè al bar e soprattutto si fermava a parlare con tutti gli uomini che conosceva, cosa che alle donne perbene all’epoca non era consentito; nessuno poteva mettere comunque la mano sul fuoco, che andasse a letto con qualcuno, compreso il sensitivo soprannominato mago.

    I due, nel loro aspetto, non avevano nulla di inquietante che avesse potuto in qualche modo far pensare alla magia. Il mago trentaduenne, Salvatore Martello, che di mestiere ufficiale faceva il pastore, non ne aveva neanche l’aspetto: in lui tutti gli invasori nordici si erano concentrati: alto, magro, biondo, di carnagione chiara con occhi cerulei grandi, indagatori e il sorriso aperto. Si presentava anche con un abbigliamento curato e pulito. La medium, Rosalia Vella, trentatreenne, di media statura, robusta con una gran massa di capelli color del rame che le incorniciavano il viso rubicondo, aveva un’origine misteriosa, ma a dispetto delle malelingue del paese, sembrava una affidabilissima domestica e infatti ufficialmente anche quello era, faceva le pulizie nelle case di alcune signore, compresa quella di Clara. Infatti, fu per suo tramite, che Clara, conobbe il mago Salvatore.

    Dal momento che nel paese si era sparsa la voce dell’acquisto del feudo da parte dei Bonanza, i due pseudo maghi avevano già pregustato il piacere di aiutare i tre fratelli nella ricerca del tesoro, non tanto perché ci credessero, ma perché quelle erano delle persone facoltose, vista la quantità di terre possedute e, anche se non ci fosse stato il tesoro, con qualche messinscena si sarebbe potuto spillare loro dei quattrini senza ombra di rimorsi, come era qualche volta successo.

    Rosalia partì all’attacco quasi in maniera distratta, mentre spolverava un mobile, e si rivolse così a Clara: «Signo’, tanti auguri per l’acquisto del feudo Manitelli, ma lo sapete che ci sono i fantasmi, non avete paura? Lo sapete che c’è la truvatura¹ di un conte, seppellita tanti secoli fa?».

    Clara fece la gnorri e chiese: «Una volta ho sentito parlare di questa storiella, ma non ci ho fatto molta attenzione e non mi ricordo i particolari. Tu la sai? Vuoi raccontarmela? Mi piacciono le storie antiche, poi questa riguarda la mia nuova tenuta…».

    «Certamente, signò. Il castello, in quel feudo, fu costruito da un conte catanese molto ricco. Il conte Manitelli veniva ad abitarci in primavera e si fermava tutta l’estate, anzi fino all’autunno; praticamente era la sua dimora ufficiale in quanto stava a Catania solo tre mesi o a volte quattro, in pieno inverno. Aveva una bella moglie e una unica figlia. D’estate il castello era sempre illuminato da migliaia di candele e vi arrivavano nobili da tutta la Sicilia per partecipare ai balli che venivano organizzati o ai banchetti allestiti sotto le fronde fresche degli alberi. Quando la figlia fu in età da marito, si presentarono diversi pretendenti e il conte, come si usava a quei tempi, scelse lui chi avrebbe dovuto sposare la figlia: il più nobile e naturalmente il più facoltoso, non il più giovane e il più bello, come ogni ragazza sogna. E infatti la ragazza era invaghita del meno nobile, del meno facoltoso ma, giovane e bello: il figlio di un girovago mercante di stoffe, aiutante del padre che la ragazza aveva conosciuto a Catania in occasione di un rifornimento per rimodernare le tappezzerie delle due abitazioni nobiliari. Il conte, che a suo dire, aveva trovato il partito ideale per la figlia, fece anche affrescare la villa, allestire un gran corredo comprendendo oro e argento in gran quantità. Ma avvicinandosi la data delle nozze, la contessina, eludendo il controllo della propria madre e del padre, un bel giorno fuggì con l’amato soltanto con gli abiti che aveva addosso.

    La collera del conte fu incontenibile, annerì il cielo con le bestemmie, poi cominciò a bastonare i cani e i servi che fuggirono atterriti; infine, prese una spada e uccise la moglie. Non contento si mise a scavare e sotterrò il corredo e i preziosi che avrebbe dato alla figlia e tutti gli averi rimasti. Dopo tutto questo scempio si tolse la vita con la stessa spada con cui aveva ucciso la moglie, ma prima di suicidarsi preparò un rogo dove aveva scavato e seppellito i tesori, vi adagiò il cadavere della moglie e su di essa attese la morte. I parenti che ereditarono il feudo tentarono di dimorarvi saltuariamente, ma appena si accingevano a cercare il tesoro seppellito dal loro congiunto prima e dal loro avo poi, sistematicamente, uno di loro o moriva o succedeva loro qualche disgrazia. Così il castello, insieme al feudo, è stato quasi abbandonato, fino a quando non l’ebbero requisito i tedeschi, che sembravano i padroni; vi imprigionavano e uccidevano quelli che ritenevano nemici, ma hanno fatto una brutta fine pure loro, pare che gli americani li abbiano massacrati tutti».

    «Mamma mia, che storie tristi che racchiude quel posto! E dire che a guardarlo è uno spettacolo, anche se i segni dell’abbandono sono visibili, chissà se abbiamo fatto bene a comprarlo!?».

    «Non vi preoccupate, signo’, la tenuta è bella e se il tesoro v’interessa, sappiate che io lavoro con una persona… Insieme facciamo dei sondaggi, o come diciamo noi delle sedute per verificare se esiste il tesoro, da quale spirito è posseduto e se questo spirito è disposto a darlo. Tramite queste sedute, lo spirito, che in questo caso è quello del conte, ci potrà dire se si può cercare il tesoro o se conviene solo coltivare la terra, qui è lo spirito del conte che comanda, partiremo sul sicuro. Solo una persona esperta di occultismo può affrontare lo spirito e sapere le sue intenzioni; fidatevi di me, io lavoro con lui, sono la medium, quella che mette in contatto l’officiante, che sa pregare, con lo spirito, stia tranquilla, sapremo…».

    Clara finse di essersi lasciata convincere quando, invece, non chiedeva altro. Poi incuriosita le chiese : «Ma tu da quanto tempo fai la medium?».

    «Da sempre si può dire: ero molto giovane, appena finita la guerra lasciai il convento delle suore che si erano prese cura di me fino a quel momento, e andai a vivere da sola. Curavo la gente con le erbe e mi beccai l’appellativo di guaritrice. Poi conobbi Salvo, lui mi disse che intuiva in me capacità medianiche e che dovevo seguirlo per imparare a metterlo in contatto con gli

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