Le profezie di Dora
Di Fulvio Fusco
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Anteprima del libro
Le profezie di Dora - Fulvio Fusco
Prefazione:
In una tranquilla comunità di zingari montenegrini, alla ricerca di una sistemazione definitiva in Italia, accadono strane e spiacevoli disavventure.
I componenti delle varie famiglie dovranno lottare contro le ingiustizie e le avversità nei loro confronti, e fare valere i propri diritti.
La bella e sensitiva Dora aveva previsto tutto: il coraggio di Ivan, la storia d’amore di Katia, e la generosità del giovane Valeri.
NB: La storia e i personaggi descritti nel racconto, sono pura fantasia dell’autore.
Capitolo 1
Aprile 2006, nella Croazia del nord-occidentale, una carovana di zingari si era appena accampata alla periferia di Karlovac [vedi nota 1].
Ivan Pedrovic di 38 anni, sua moglie Dora di 35, e i suoi quattro figli, Elmo di 5, Rosas di 7, Elena di 9, e Gos di 14 anni, erano partiti dal Montenegro circa un mese prima, avevano, assieme ad altre famiglie, fatto diverse tappe prima di raggiungere Karlovac, e si erano sistemati vicino ad altre colonie di zingari; la loro meta finale, per stabilirvisi, doveva essere l’Italia.
Le varie famiglie erano tutte munite di auto di grossa cilindrata e relative roulotte, anche se all’apparenza potevano sembrare povera gente, riuscivano a vivere abbastanza bene; la loro principale attività era artigianale, erano specialisti nella lavorazione, riparazione e stagnatura di qualsiasi oggetto di rame, casseruole, pentolame, ecc…!
Riuscivano a ricavare denaro con l’elemosina, chiesta da qualche donna e la maggior parte dei bambini, mentre gli uomini si preoccupavano degli altri lavori.
Anche la vendita di vari oggetti, come amuleti portafortuna, rendeva denaro; e alcune delle donne, si proclamavano veggenti, facendo previsione spesso azzeccate, alle persone della zona in cui si accampavano.
Dora era una bellissima donna, con capelli lunghi e neri ed occhi scuri, ma anche nel gruppo, le altre donne emanavano tutte un certo fascino slavo.
Aveva conosciuto Ivan fin dalla giovane età, si erano frequentati e poi sposati in gran fretta; anche dopo 15 anni di convivenza, il loro legame era molto forte. Entrambi erano cresciuti nel circo Efren, molto famoso in Montenegro, avevano girato esibendosi come acrobati, in diversi paesi d’Europa, e molte volte anche in Italia.
Avevano imparato la nostra lingua, e speravano un giorno di poterci vivere per far crescere i loro figli; l’Italia era ai loro occhi una nazione libera, forse la più adatta per rifarsi una vita passata a girovagare in continuazione.
Le altre quattro famiglie che avevano la stessa idea di destinazione, erano un po’ meno numerose.
Marko Colovic di 46 anni, era il più anziano del gruppo, sua moglie Rita di 44, coi loro figli, Lucas di 12 e Katia di 25, una ragazza bionda di straordinaria bellezza.
Borel Satarev di 41 anni, sua moglie Marie di 40, e i loro tre figli, Ernest di 21, Goran di 19, e Rebecca di 15.
Gemal Parev di 37 anni, sua moglie Cossa di 36, e i figli Tomas di 13, e Lidia di 11 anni.
Infine la famiglia di Rosti Momovic, 27 anni, il più giovane del gruppo delle persone sposate, sua moglie Karen di 26, coi loro due figlioletti, Ruben di 8, e Serge di 6 anni.
Tra di loro c’era molto affiatamento, ed anche se non provenivano tutti dalla stessa città, si erano conosciuti ed aggregati, già in un campo nomade montenegrino.
L’dea di partire, accettata da tutti, era stata di Ivan, e tacitamente veniva considerato il capo del gruppo; la sua ragionevolezza, intelligenza e iniziativa, l’avevano reso molto influente su tutti i componenti delle famiglie.
Le donne sensitive del gruppo erano: Dora, Katia, Marie, e la piccola Lidia.
Solitamente vicino alle roulotte, montavano delle piccole tende, e lì offrivano alle persone che facevano loro visita, le premonizioni dei loro destini futuri. Spesso, pur non avendo una tariffa fissa, lasciavano che i clienti facessero loro delle offerte, e queste erano quasi sempre generose.
La più dotata tra di loro era senz’altro Dora, un dono o capacità, avuto fin da bambina; guardando le mani e gli occhi di una persona, riusciva a vedere in esse, problemi inconsci e sicure previsioni future.
[nota 1] (In italiano Carlostadio, una città di circa 60.000 abitanti, gemellata anche con Alessandria in Piemonte.
Avevano scelto quella zona poiché era la più tollerante verso i nomadi. Karlovac era di costruzione abbastanza recente, essendo stata edificata nel XVI secolo alla confluenza di 4 fiumi (Kupa, Korana, Mrežnica e Dobra), ed era situata sulla strada che collega Zagabria (a circa 56 Km) e a Fiume (distante circa 130 km).
Karlovac, era stata danneggiata seriamente durante l'ultimo conflitto che imperversò nei Balcani negli anni 1990 e molti dei suoi monumenti vennero semidistrutti a causa dei separatisti serbi, che attaccarono la città, sede della caserma militare della JNA.
Nel 1991 dopo la dichiarazione di indipendenza da parte della Croazia l'esercito federale Jugoslavo iniziò un'azione di antiterrorismo per sgominare gli insorti, armati illegalmente.
L'industria più importante era quella relativa alla fabbricazione della birra (industria Karlovačka Pivovara) e, di complemento, una delle sue attrazioni turistiche era rappresentata dall'annuale festa della birra che si teneva nel mese di agosto).
Capitolo 2
In quei giorni di primavera a Karlovac, c’era molto fermento tra la popolazione; erano in corso le campagne elettorali per eleggere un nuovo sindaco. I candidati principali, e che riuscivano, secondo i sondaggi, ad avere più preferenze, erano due: Gesti Bravo e Romas Krize.
Gesti era un pacifista nato, si era battuto affinché terminassero tutti i conflitti che si erano creati nella ex Yugoslavia, ed ora che la Croazia era uno stato indipendente, sognava che anche il Montenegro (che sarebbe poi divenuto indipendente verso la fine del 2006) assieme al Kosovo, divenissero liberi e dei veri stati.
Romas invece era l’opposto, lui pur essendo croato da generazioni, amava il popolo serbo, era molto dispiaciuto della disfatta slava, e spesso nei suoi comizi ricordava che i popoli sotto la dittatura di Tito [vedi nota 2], pur non essendo ricchi, avevano tutto il necessario per vivere, mentre ora le industrie faticavano con le loro iniziative a progredire, e le famiglie erano costrette a sobbarcarsi più di un lavoro per tirare avanti.
La polizia locale, faceva fatica a tenere calmi i manifestanti delle due fazioni, e spesso doveva ricorrere alle maniere forti arrestando qualche esagitato. Entrambi i candidati sindaci promettevano benessere immediato, se pur con divergenze di idee riguardo lo sviluppo della città.
La ricostruzione delle case e delle industrie dopo i conflitti, erano andate a rilento, molte famiglie erano ancora alloggiate in baracche di legno e piccoli prefabbricati; queste costruzioni erano state collocate in periferia, e quindi confinanti coi campi nomadi.
Non tutti naturalmente vedevano di buon occhio gli zingari, con la loro presenza spesso erano aumentati i furti nelle case, e anche se il gruppo di Ivan non commetteva queste malefatte, per qualcuno erano considerati tutti uguali, quindi da scacciare dalla loro zona.
Spesso gruppi di ragazzini, condizionati dalle idee dei loro familiari, andavano a disturbare con lancio di pietre i campi nomadi; ne nascevano così delle risse tra ragazzi, che la maggior parte delle volte causava dei feriti, e il pronto intervento della polizia.
Durante questi tumulti, Goran il figlio di Borel, era stato ferito alla testa da una pietra scagliata a breve distanza; era caduto a terra sanguinante con la disperazione di tutta la sua famiglia e i loro vicini.
Ivan prontamente l’aveva trasportato all’ospedale, ed era rimasto assieme alla madre Marie, in trepida attesa finché i medici non li rassicurarono che la ferita era leggera; il padre Borel in quel momento era in città a fare spese, quindi non era ancora a conoscenza dell’accaduto.
Quando Borel tornò al campo, Goran, su consiglio medico, era sdraiato nella roulotte, ma aveva solo bisogno di riposo, e nel giro di un paio di giorni, poteva tornare a giocare coi suoi amici.
Tutti questi fatti non facevano altro che invogliare Ivan e gli altri, di proseguire al più presto il loro viaggio verso l’Italia, ma per quel trasferimento occorrevano molti soldi, e l’Euro al loro cambio era una moneta troppo cara per le loro attuali risorse; l’unica soluzione era quella di continuare a lavorare sodo e magari di farsi venire in mente qualche altra idea.
Il rifacimento del pentolame di rame,