Paradigma per una pedagogia fenomenologica interrelazionale
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Info su questo ebook
Dopo oltre vent’anni della mia vita spesi a fare il pedagogista, ho sentito il bisogno di mettere per iscritto la mia visione della pedagogia. Inizialmente pensavo di scrivere poche righe, ma poi mi sono ritrovato tra le mani un testo completo, una mia proposta organica di un nuovo paradigma pedagogico. Per una pedagogia fenomenologica interrelazionale.
Questo libercolo è il mio modo del tutto soggettivo di intendere la pedagogia, e come tale è sicuramente sbagliato. Ma il mio intento non è quello di convincere il lettore della bontà delle mie tesi, quanto piuttosto provare ad innescare un dialogo critico. Per tale motivo ogni capitolo è accompagnato dall’analisi di alcuni colleghi provenienti dal mondo universitario, cooperativistico, libero professionale, verso cui nutro una profonda stima professionale.
La realtà sociale e professionale ha condotto la pedagogia italiana di fronte a un bivio: o rinnovarsi ripensando profondamente le proprie radici fondanti, nell’intento di svolgere ancora un ruolo sociale per il futuro, o il ripiegarsi su se stessa fino a diventare l’inutile copia di altre discipline.
E questo momento, secondo me, è giunto. Se non ora, quando?
Pier Paolo Cavagna, pedagogista libero professionista, consulente pedagogico, formatore, supervisore, saggista, content creator e divulgatore. Già fondatore e presidente di una cooperativa sociale e Giudice Onorario per la Corte di Appello del Tribunale di Cagliari.
Ha maturato una esperienza ventennale come educatore di comunità, educatore di strada, educatore per i SET, pedagogista coordinatore e responsabile di laboratorio, formatore per enti pubblici e privati, oltre a diciannove anni di esperienza quotidiana come educatore domiciliare.
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Anteprima del libro
Paradigma per una pedagogia fenomenologica interrelazionale - Pier Paolo Cavagna
PIER PAOLO CAVAGNA
PARADIGMA
per una pedagogia fenomenologica interrelazionale
Prefazione di Stefano Coquinati
Contributi critici a cura di •Alberto Di Monaco •Alessandro Curti •Anna Brigandì •Fabio Ruta •Fabio Sestu •Federica Mozzali •Giorgia Atzei •Igor Salomone •Laura Corrias •Martina Giovanardi •Sharon Tiana
E.S.C. - Edizioni Scientifiche Cavagna
© 2022, ESC - Edizioni Scientifiche Cavagna
Via Tripoli, 10 – 09074 Ghilarza (OR)
www.pierpaolocavagna.it
cavagnapierpaolo@gmail.com
In copertina: foto di Serhii Bobyk da freepik.com
Editing e impaginazione: Pier Paolo Cavagna
CARATTERISTICHE
Questo libro è composto in Abadi MT regular by Agfa Monotype Corporation, corpo 12; è stampato su carta da 80 gr/m²; le segnature sono piegate a ottavi – formato rifilato 14,8x21 cm – con legatura in brossura; la copertina è stampata su cartoncino da 300 gr/m² patinata con finitura opaca
Occorre sbarazzarsi del cattivo gusto di voler andare d'accordo con tutti. Le cose grandi ai grandi, gli abissi ai profondi, le finezze ai sottili e le rarità ai rari.
Friedrich Wilhelm Nietzsche
Sommario
Prefazione
di Stefano Coquinati
Incipit
Ma cosa è la pedagogia?
Commento di Martina Giovanardi
Le scienze dell’educazione
Commento di Federica Mozzali
Ghenos
Commento di Anna Brigandì
Ridatemi un corpo
Commento Di Alberto Di Monaco
Oltre l’empatia
Commento di Fabio Sestu
Per una pedagogia fenomenologica
Commento di Laura Corrias
Persona ed ecosistema: la relazione
Commento di Alessandro Curti
Appunti per un modello evolutivo
Commento di Giorgia Atzei
Pedagogia, apprendimento e derive didattiche
Commento di Sharon Tiana
Pedagogia e altre discipline: un rapporto spesso travagliato
Commento di Fabio Ruta
Pedagogia, autonomia, integrazione e patologia
Commento di Igor Salomone
Una pedagogia per la nea-polis: ritorno dal bi-sogno al sogno
Commento di Fabio Ruta
Tempo, livelli, metodologie, tecniche
Ti saluto
Prefazione
di Stefano Coquinati
E quindi? E quindi semplicemente la pedagogia in Italia non esiste. Esistono i pedagogisti.
Un’espressione particolarmente forte quella di Pier Paolo Cavagna, collega che stimo e che evidentemente mi stima visto che mi onora chiedendomi un commento su questo lavoro. Leggere il suo libro è stato interessante perché ha riproposto tutta una serie di questioni che per forza di cose chi si imbarca in questa professione è costretto ad affrontare quasi quotidianamente a partire proprio dal definire la propria professione più per gli altri in realtà che per sé stesso in quanto nella quotidiana relazione professionale l’azione è tutta nella relazione. Ho provato anch’io più e più volte a definire cos’è la pedagogia tanto da farne una sorta di cappello introduttivo in ogni incontro, in ogni relazione, in ogni opuscolo, nel tentativo di dare forma esplicita a un atto che invece si consolida solo agendo. Il percorso proposto nel libro è di critica e di riflessione, coinvolge la scuola, la società, la professione e i professionisti, ma ciò che forse interessa l’autore è la possibilità di porre delle questioni alle persone che se ne occupano e che pensano che il ruolo del pedagogista sia davvero quello di co-costruire un progetto educativo che si sappia intrecciare con la società e i suoi bisogni
.
Tutto il testo propone un punto di vista strettamente personale, si tratta di un'attività riflessiva che forse nasce da un diario di viaggio o da una raccolta di domande a cui l'autore si impegna a dare una risposta. Tutte le domande convergono in un'unica grande questione quale significato vogliamo dare al lavoro pedagogico
e proprio attraverso il significato del lavoro pedagogico si trova anche la risposta a quale atteggiamento debba avere il pedagogista. Affrontando tale questione Cavagna va a toccare i grandi temi che oggi riguardano il lavoro del pedagogista, temi tutt’altro che scontati e che oggi non hanno trovato ancora uno spazio adeguato all’interno della letteratura scientifica. Nel farlo, però, l’autore esce dai canoni di un saggio scientifico, sembra piuttosto rispondere a un’istanza, quella di dare forma ad una esperienza. Si sente tutto il peso
dell’esperienza, ma anche tutta la leggerezza
dell’autore nel voler scrivere di una realtà così come è stata vissuta. Ho parlato di peso e di leggerezza perché il libro mostra tutta la profondità dell’analisi del vissuto, ma anche la libertà della riflessione che ha le caratteristiche della leggerezza di calviniana memoria.
Mi sono chiesto durante questa lettura chi fossero i destinatari di questo saggio e la risposta che mi sono dato è la seguente: tutte le persone che vivono la pedagogia come esperienza
. Forse questo testo potrebbe non trovare piena comprensione da parte degli studenti che stanno per affacciarsi alla professione, ma sicuramente sarà apprezzato dai tanti pedagogisti che operano sul campo, dai tanti artigiani
che si trovano a operare ogni giorno in situazioni diverse e nuove facendo affidamento solo sulla propria sensibilità e sulle proprie competenze. Per questi artigiani è fondamentale praticare la riflessività perché è attraverso la riflessività che la quotidianità professionale non diventa scontata trasformandosi in mestiere
. Insisto su questa metafora perché le caratteristiche del lavoro dell’artigiano è di rispondere ad una necessità. In questo aspetto l’artigiano si distingue dall’artista, perché risponde ad una utilità. L’utilità a cui risponde il pedagogista è di generare un cambiamento nella direzione di un maggiore benessere ed una maggiore autonomia della persona.
Infine credo sia doveroso dare una risposta alla domanda beffarda posta all’inizio di questo percorso. Io sono convito che la pedagogia in Italia esista, esiste perché nel leggere questo libro sento un vissuto che mi è familiare, sento una sensibilità affine, sento un percorso professionale simile al mio. Ma io non ho mai lavorato con il collega Cavagna, non ho studiato con lui e viviamo a centinaia di chilometri di distanza. Sono stati veramente rari i momenti di confronto, eppure mi riconosco in quello che scrive. Allora direi che la pedagogia esiste, esiste una pratica professionale che si sta facendo strada tra l’approccio disimpegnato del stiamo insieme e vogliamoci bene
e l’approccio tecnico rassicurante che individua, etichetta e certifica ogni fenomeno umano e prescrive delle procedure per gestirlo. É una pedagogia sul campo che non è intercettata dai radar delle Università ma che proprio attraverso saggi come questo può essere fatta emergere. Viviamo una situazione paradossale: gli accademici scrivono sui temi della pedagogia, ma raramente riescono ad intercettare il lavoro degli artigiani.
Consiglio questo libro ai pedagogisti che vogliono riflettere sul significato del loro lavoro, ma consiglio anche di prendersi il tempo e l’impegno, come ha fatto l’autore, di attivare degli spazi di riflessione, scrivendo e partecipando alla vita delle associazioni professionali. Le associazioni professionali non sono dei sindacati novecenteschi ma sono delle reti in cui le competenze possono essere maturate e condivise.
L’autore chiede ai pedagogisti di allargare l’orizzonte, di porre come fine la biosfera e gli esseri viventi al suo interno per fare in modo che l’attenzione non sia posta sul soddisfacimento di una piccola porzione della popolazione ma che invece possa abbracciare la vita tutta, tanto da parlare di passaggio dall’antropocentrismo al biocentrismo e ritenere che il pedagogista possa avere un ruolo in questo passaggio epocale. Non ho ancora compreso fino in fondo se questo sia un augurio, un sogno, una speranza o veramente una via che possiamo già da ora percorrere, sicuramente l’autore ha in testa una strada, possiamo provare a percorrerla confrontandoci e ripensando insieme a queste possibili trasformazioni, per dare insieme voce alla pedagogia.
Stefano Coquinati. Nato nel 1972 vive e lavora in Veneto. Nel 2018 ha acquisito il Dottorato di Ricerca Scienze pedagogiche, dell’educazione e della formazione presso l’Università di Padova. Lavora come pedagogista nella libera professione in ambito del supporto alla genitorialità e del benessere scolastico. É stato presidente di UN.I.PED. e socio fondatore e primo presidente di FEDER.P.ED. Federazione delle Associazioni Professionali di Pedagogisti ed Educatori. Si occupa delle competenze professionali del pedagogista ed è docente presso IUSVE Istituto Universitario Salesiano di Venezia.
Incipit
Dove dirò lo scopo di questo libercolo, i motivi per i quali l’ho scritto e ti parlerò dei miei ipotetici lettori.
Dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior.
F. De Andrè, Via del campo
I
nizio a scrivere oggi, 30 dicembre 2021, questi ragionamenti personali sulla mia idea di pedagogia. Di cosa sia, a cosa serva, come si possa fare. I più attenti tra voi potrebbero ravvisare una citazione da Kubrick, o un festeggiamento un po’ ritardato dei saturnali.
In effetti io questo libercolo me lo sono dettato, nella testa, centinaia di volte. Sempre con lo stesso inizio, spesso con una trama ed una conclusione diversa. La sua prima stesura risale al 21 marzo 2002 quando la Sua Roboante Eccellenza, il rettore dell’Università di Sassari, ha firmato un foglio A4 con su scritto: noi professor vattelapesca rettore dell’Università degli studi di Sassari, veduti gli attestati degli studi compiuti da Cavagna Pier Paolo conferiamo con lode la laurea di dottore in scienze dell’educazione, indirizzo educatori professionali. Da quella rocambolesca discussione di tesi sono passati quasi vent’anni, durante i quali io la pedagogia l’ho sempre praticata. Domandandomi costantemente cosa stessi facendo e perché. A me non sono mai piaciute le risposte preconfezionate, il fare quello che fanno gli altri perché così capisco chi sono. In fondo -e mica tanto in fondo- sono sempre stato un rompicoglioni naturalmente portato a rintracciare la fregatura dietro la banalità, il suono falso sotto il cammino facile, la nota stridente in mezzo alla fanfara.
Beninteso, non che tutto ciò rappresenti una qualità o un punto di forza. Più semplicemente si tratta di una stortura attitudinale che mi ha reso spesso molto più pesante il percorso di quanto lo sarebbe potuto essere piegando la testa.
Ma l’approssimarsi dal traguardo dei vent’anni di carriera¹ non è il solo motivo che mi spinge a scrivere queste righe: ho iniziato a fare pedagogia che avevo 24 anni. Adesso di anni ne ho 44. Praticamente ho speso metà della mia vita a fare l’educatore di comunità, nei servizi educativi territoriali, negli studi professionali, con neuropsichiatri, assistenti sociali, psicologi, con minori e con adulti, con singoli e con gruppi, con persone normotipiche e atipiche -sempre che questo lemma abbia un senso- come lavoratore dipendente e come libero professionista.
È veramente tanto tempo, e me lo sento addosso tutto. Scrivo di getto quello che penso in questo momento, con la chiara certezza che quando di anni ne avrò 64 e avrò doppiato i vent’anni di carriera per due, vedrò le cose in maniera molto diversa. Spero si tratti di una evoluzione. Chissà dove sarò tra vent’anni? Cosa starò facendo e con chi sarò?
Voleranno anche i prossimi vent’anni come sono volati i venti precedenti. E mi piacerebbe che rimanesse qualcosa di ciò che sono stato e di ciò che ho fatto. Nel bene e nel male.
Nel frattempo, però, sono qui ed ora. E quindi mi rivolgo a te che stai leggendo queste righe, e per prima cosa ti dico a chi è indirizzato questo libercolo. Ho pensato che potrebbero leggere questo scartabello quattro ordini di persone. I primi, bontà loro, saranno i miei tirocinanti, vittime sacrificali del sistema universitario italiano. Carne da macello contesa tra il portafoglio dei baroni che stentano a mollare la presa dallo scanno e il sistema del mondo del lavoro che li stritolerà forse fino a spegnerli.
Spero di riuscire a trasmetter loro la mia visione ultima del lavoro educativo, la sua forza sociale, il tragico destino edipico di una professione e di un ruolo fuori tempo e fuori luogo. Eppure appagante ed economicamente valido. In secondo luogo penso ai colleghi già navigati con i quali provo sempre un gran piacere nel dialogare. D’altronde Giovanni apre l’incipit più famoso della storia con in principio era il verbo. Curioso, ma mica tanto, che non sia d’accordo nemmeno con questo, e più avanti nel corso della trattazione credo che dedicherò dello spazio anche a questo. Ma all’interno dell’economia attuale la citazione mi sembra suoni bene. Sarei curioso di vedere tutte le facce dei colleghi che, per volontà propria o perché hanno trovato queste quattro righe a fermare la gamba d’un tavolo traballante, penseranno Ma questo è scemo tutto, oppure Mmmh… questa roba qui è interessante e ancora Non vale la carta sulla quale è stampato. Mi auguro di poter fornire abbastanza errori da poter mettere altri sulla strada giusta. Dopo tutto è così che funziona l’evoluzione, no?
I miei terzi utopistici lettori gonfierebbero le fila dei senati accademici. Eccessivo? direte voi. Cosa mai potrei insegnare io a chi di professione è deputato a insegnare agli altri. Molto poco invero, anzi a onor del vero proprio nulla. Ma ad essere onesto non ho mai aspirato ad essere un insegnante, ma ho provato per vent’anni ad essere un educatore. Posso portare questa come dote dialogica. Sarebbe bello poter discutere di epistemologia nelle aule universitarie, mettendo a confronto le teorie con le pratiche, le ipotesi con la pragmatica, il mondo ovattato dei libri stampati con la pedagogia reale della pratica professionale quotidiana.
Gli ultimi lettori saranno quelli distratti, casuali, onnivori. Magari incuriositi dalla copertina. Forse saranno i miei lettori più importanti. A differenza di Nino sono fermamente convinto che non si possa andare avanti se non insieme. Quindi poco importa se cammino accanto ad un pedagogista fornito di laurea magistrale o ad un operaio metalmeccanico. L’importante è il percorso insieme.
A questo punto credo che sia abbastanza chiaro lo scopo finale di queste quattro righe. Vorrei provare a proporre il mio punto di vista sul mio modo di fare pedagogia. Un punto di vista che vuole essere forzatamente totalmente soggettivo, e come tale ovviamente limitato e relativo. Molto probabilmente sbagliato. Ma non solo sul fare, inteso spesso nel mondo educativo come un compiere un qualcosa, bensì sul motivo stesso che sta a monte della prassi. Non l’avessi capito, caro lettore, questo è un libro che parla di epistemologia declinata in chiave pratica. Parla di un paradigma, del mio paradigma, frutto dei miei vent’anni di carriera spesi a muovere le mani dentro l’educazione e del chiedermi costantemente il come e soprattutto il perché. E in questo mi sento molto affine ad Einstein quando diceva che nulla è più pratico di una buona teoria.
E quindi grazie per il tempo che vorrai dedicarmi nel leggere queste righe, che non so se saranno poche o tante perché non ho veramente idea di come si dipanerà il corso della narrazione. Spero, alla fine, di poter essere utile nello stimolare un dialogo, uno scambio di pareri, di punti di vista. Non mi interessa minimamente se saremo d’accordo. Anzi, penso sarebbe molto più utile se non lo fossimo. Basta solo che in qualche modo ce lo diciamo.
E quindi via: iniziamo.
Ps: ieri sera il mio collega e amico Giacomo mi ha chiesto se stessi scrivendo qualcosa. Sì, gli ho risposto, in effetti sto lavorando a tre libri. Giacomo mi guarda con un bel sorriso e mi dice: ho sempre pensato che chi non ha niente da dire scrive libri.
Forse non ha tutti torti, il mio amico.
Ma cosa è la pedagogia?
Dove ti dirò che la pedagogia non esiste. Dove porrò una domandaccia a cui risponderò dandoti la mia definizione di educazione professionale e di pedagogista, e dove farò arrabbiare più d’uno.
La notte fa benissimo a meno del tuo concerto
ti offenderesti se qualcuno ti chiamasse un tentativo
.
F. De Andrè, Oceano
P
rima di iniziare a parlare di pedagogia penso sarebbe utile provare a capire cosa sia questa chimera universitaria. Volete mettere in difficoltà un pedagogista? È molto semplice. Basta che gli chiediate: Ma tu che lavoro fai?
. Da qui in avanti al collega, povero Cristo, si dipanano davanti al naso tre strade. La prima: infilarsi in un pippone ediction e snocciolare tutto il repertorio del "Io lavoro per aiutare le persone ad esprimere al massimo le proprie potenzialità; l’educazione non è infilare dentro ma tirare fuori; io utilizzo un approccio olistico". E via con tutto questo pacchetto di luoghi, più o meno comuni, davanti ad una espressione sempre più interrogativa di chi gli si para dinnanzi.
La seconda strada getta il povero collega nel più totale sconforto derivante dal fatto che, nemmeno lui, ha un’idea precisa di che cosa sia la pedagogia e di conseguenza quale identità professionale ci stia dietro al suo titolo. Insomma una situazione veramente pessima, dove ti viene da chiederti come minimo perché nessuno te l’abbia mai -chiaramente- detto durante cinque anni di studi.
La terza, ed ultima strada credo si possa riferire all’articolo 64 del codice di procedura penale, il quale più o meno recita: il pedagogista sottoposto alle indagini, anche se in stato di custodia cautelare o se incalzato per altra causa, interviene libero all'interrogatorio. E ancora: prima che abbia inizio l'interrogatorio, il pedagogista deve essere avvertito che le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti e, soprattutto, ha facoltà di non rispondere ad