Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Giri di vita
Giri di vita
Giri di vita
E-book512 pagine4 ore

Giri di vita

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

“Poi chiude le tende del salotto, lasciando acceso solo il faretto che illumina il Corcos; lo guarda ancora qualche momento. Poi, nel pensiero, rivede “Coco”, quella giovane se stessa arrampicata sullo sgabello di un bistrò di Parigi. Non si riconosce in nessuna delle due donne. Eppure sa di essere stata entrambe. Di essere ancora entrambe. E anche la donna che verrà fuori domani. La vita ha dato un altro giro, perché la vita è energia e non può stare ferma. è giusto così, ma, per proseguire, c’è sempre qualcosa che si lascia indietro, e un po’ fa male.”

Olimpia Liberati è un’imprenditrice di successo, una madre fortunata e, non ultimo, una donna attraente. Intorno a lei si muovono con leggerezza e ironia diversi personaggi, tra i quali un padre brillante, un fratello  irresistibile, una madre svagata, un marito in via di separazione. Cos’abbia in comune Olimpia col celebre pittore Azel Brok lo scopriremo leggendo questa storia.

Aurora Gollo è nata nel secolo scorso, ma non troppo lontano nel tempo (o forse sì?).
Ha viaggiato e anche vissuto in luoghi diversi, senza lasciarli mai del tutto, perché ogni volta se ne è portato via un poco. Dopo una dozzina di traslochi, è arrivata in una bella città del nord Italia e lì si è fermata. Una costante nella sua vita è la passione per la letteratura. Dicono che tutti i lettori più appassionati finiscano per scrivere. Lei lo ha fatto, ricominciando i suoi viaggi, un po’ nella memoria, un po’ nella fantasia, tramite la scrittura. Giri di vita non è il primo romanzo, ma i suoi personaggi  hanno insistito per presentarsi per primi.
LinguaItaliano
Data di uscita11 set 2022
ISBN9791220133364
Giri di vita

Correlato a Giri di vita

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Giri di vita

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Giri di vita - Aurora Gollo

    OGGI, LUNEDÌ 12 OTTOBRE 2015

    – 1 –

    Ore sette di sera

    – Ha fatto il suo lavoro, dirai. Può darsi.

    Ma non è quel che pensa. Olimpia Liberati sta prendendo un aperitivo col fratello a casa sua e ha appena finito di raccontare che ieri, in treno, un ragazzo straniero era stato invitato in malo modo da un controllore solerte a scendere alla prima stazione. Quel ragazzo un biglietto l’aveva, solo che non era per la Frecciabianca e certo non per la prima classe. Però quel che mancava era un tratto brevissimo e, insomma, si poteva anche chiudere un occhio, no? O almeno spiegargli cosa doveva fare quando fosse sceso dal treno. Macché. Lui l’aveva guardata con due occhioni supplichevoli, velati di lacrime.

    – Allora, che biglietto devo comprare? Mi spieghi per favore? – Si era rivolto a lei, nel suo italiano stentato, perché lei era l’unica persona che non aveva distolto lo sguardo.

    – Ma no, il biglietto ce l’hai, non devi comprarne un altro, devi solo salire sul prossimo treno normale che va a Venezia e ferma a Mestre.

    – Scusa, scusa, come faccio a sapere che ferma a Mestre? Io devo raggiungere subito Mestre perché c’è la corriera che parte per il mio paese, la Macedonia. Mia moglie è molto malata. Devo raggiungerla. Io lavoro qui in Italia e non la vedo da sei mesi. – E intanto le lacrime che prima velavano gli occhi uscivano ormai senza freni. Olimpia gli aveva spiegato dove andare, ma era evidente che il ragazzo capiva poco. Poi aveva detto se mi puoi aiutare… e qui era scattata l’atavica diffidenza. Olimpia si era irrigidita: questo vuole soldi. E io sono la solita allocca. Bella interpretazione comunque.

    Invece no. Poi l’aveva capito, che non voleva soldi. Quello che voleva era essere aiutato a prendere il treno giusto, magari essere accompagnato al binario. Era tanto giovane, tanto triste, tanto preoccupato, non sapeva la lingua, aveva paura di sbagliare, di arrivare tardi. Olimpia doveva scendere anche lei, ma aveva la valigia, il beauty, era stanca. I tre giorni della convention erano stati massacranti. Voleva andare a casa, insomma. Aveva spiegato, di nuovo, vai di qua, guarda là. Ma non era andata con lui, non lo aveva accompagnato. Poi ci aveva ripensato, era andata ai tabelloni a vedere se il ragazzo c’era, ma no, non c’era. Quelle spiegazioni non le aveva capite. Chissà dov’era finito.

    Marcello si è sorbito il racconto accorato fino alla fine, senza intervenire, perché sa bene che, se Olimpia racconta, prima di tutto vuole essere ascoltata.

    Marcello e Olimpia sono fratelli gemelli e sono legati da tutta la vita – cinquantadue anni ad oggi – da un rapporto di amore e fiducia esclusivo e inaffondabile. Rappresentano uno per l’altra la certezza di non essere mai soli, di avere sempre qualcuno dalla loro parte, qualunque cosa possa accadere o non accadere.

    Fisicamente, non potrebbero essere più diversi. Olimpia è una donna minuta, di un biondo pallido, carnagione chiara, occhi azzurro chiaro tendente al grigio, sorriso dolce. Attraente, per chi ama le taglie piccole e l’aria fragile. Ancora attraente, pur senza dimostrare meno della sua età. Sposata in via di separazione. Due figli, gemelli. Morgana e Amadis. È una imprenditrice di successo, nel campo dei tessuti di arredamento.

    Marcello invece è alto e robusto, di pelle bruna e occhi castani. Anche i capelli erano scuri, una volta, oggi invece sono tutti grigi, ma, si sa, fortuna sfacciata degli uomini, il grigio a loro sta bene. È un uomo affascinante, anche troppo, e nemmeno quelle poche rughe profonde in volto (che si tiene allegramente, benché per mestiere le tolga agli altri, visto che è uno dei due chirurghi estetici più richiesti della città) lo fanno apparire più vecchio o almeno coetaneo di sua sorella. Chiunque non li conosca lo prende per il fratello più piccolo. Quanto alla voce donne, ha amato tutte e nessuna, secondo la migliore tradizione del single permanente, per razza e per convinzione. Di tutte le ex, quando appunto diventano ex, resta amico, perché quello, cioè l’amico, lo sa fare bene. E poi è troppo simpatico per portargli rancore. Per dirla tutta, una più importante delle altre c’è stata e c’è ancora, ma, per un curioso meccanismo difficile da spiegare, è oggi l’unica a non essergli amica.

    Adesso che, a quanto pare, Olimpia ha finito il racconto, Marcello si permette di commentare: – Il mondo è quel che è. E nemmeno in passato è stato migliore, come probabilmente non lo sarà in futuro. Il mondo è un malato cronico, sorellina. I focolai di malattia variano e più o meno oggi noi viviamo in un angolino privilegiato. Ma non possiamo ignorare i disastri che ci circondano. Ed è normale averne paura. Però il pianeta ha smaltito due guerre mondiali e ha superato una Santa Inquisizione. Non saranno i Torquemada col turbante a farlo fuori. Sopravvivrà anche a loro.

    – Quello che volevo dire, Marcello mio, non è cosa è diventato il mondo, è: cosa siamo diventati noi? Noi siamo ben poca cosa se ci facciamo condizionare dalla cronaca e dalla paura al punto di diventare anche noi degli esseri senza cervello per ragionare e senza anima per provare compassione. Se un povero ragazzo disperato che vuole solo andare da sua moglie che sta male diventa il nemico. O, nella migliore delle ipotesi, un questuante importuno. Se noi diventiamo questo, vuol dire che vincono loro.

    – Ragazza mia! – risponde, con quella sua consueta ironia affettuosa – Sempre a mettere sotto accusa te stessa. Profughi o terroristi, denutrizione in Africa o tsunami in Giappone. Tutto in qualche modo è riconducibile a qualche mancanza del genere umano, con particolare riferimento alla signora Olimpia Liberati.

    Detto questo, si abbassa un po’ dal suo metro e quasi novanta per pizzicarle la guancia e stringerle un attimo le spalle, in un moto che al momento Olimpia trova insopportabilmente paternalistico. Perciò se lo scrolla via infastidita.

    – Piantala, Marcello. Non ho più diciotto anni e non pretendo di salvare il mondo, ma mi piacerebbe vedere un po’ di decenza. E, da parte mia, lo so che se vedo qualcuno con un problema che io posso aiutare a risolvere, è inutile che faccia finta di niente, perché poi mi sento malissimo. Quanto a te, il mondo non ha mai smesso di girarti intorno. Frega assai a te di un ragazzo macedone e del suo treno.

    Non è vero. Marcello è una buona persona, che, tra l’altro, dedica parecchio del suo tempo prezioso ad operare pro bono persone che hanno problemi estetici gravi ma che non si potrebbero permettere le sue parcelle. Per pulirti la coscienza lo canzona la sorella, ma sa che non è vero. E anche lui, come lei, vorrebbe che il mondo fosse un po’ meno ingiusto, i poveri un po’ meno poveri e la gente un po’ meno infelice. E soprattutto vorrebbe che la follia omicida che lo ammorba – e non certo da oggi soltanto – si potesse curare con un antibiotico poderoso che purtroppo nessuno ha ancora inventato.

    E adesso fa un sorriso ed evita di rispondere, il che indispettisce Olimpia, che conclude: – E, già che ci siamo, piantala di chiamarmi ragazza mia.

    – Sono il fratello maggiore, che ti piaccia o no. – Ridacchia Marcello – Sono uscito per secondo dai lombi della nostra nobile genitrice, quindi sono il maggiore. Con le responsabilità che comporta. E, a proposito di responsabilità, anch’io avevo un motivo per vederti. Ieri Cesare…

    – 2 –

    Ieri Cesare

    – E bravo! Quindi sei un ambasciatore del tuo socio. E io credevo che fossi accorso al mio richiamo perché ti mancavo e perché sono tornata nella mia casa vuota, senza i miei amati virgulti!

    Gli amati virgulti sono in Inghilterra per un anno di studio, a migliorare l’inglese e spassarsela, non necessariamente in quest’ordine.

    – A proposito, come stanno le piume delle tue piume? Belli e spavaldi come sempre?

    – Stanno bene, loro. Quanto al ramoscello di ulivo, se di quello si tratta, risparmia il fiato. Della colomba non hai né il fisico né il divino mandato.

    E così, per dovere di difesa, Marcello si trova a perorare la causa dell’amico, causa della quale non è nemmeno troppo convinto.

    – Ma tu, che sei sempre pronta a metterti in discussione, a scusare tutti, a vedere il lato migliore negli altri, a compatire… Per quel pover’uomo nulla? In fondo siete stati sposati per vent’anni, ti ricordi? Varranno qualcosa, vent’anni, almeno un po’ più di una trombatina fuori dal nido? Almeno parlaci, no?

    Cesare Del Monaco, che è, effettivamente, da vent’anni marito di Olimpia, sei mesi fa se ne è andato di casa con una ragazza più giovane. Secondo copione. E, secondo copione ancor più rifritto, da due sta miagolando in giro per farsi riaprire la porta. Olimpia non risponde. Pensa. Ma i pensieri non sono troppo benevoli. Le parole non sono da meno: – E se quei vent’anni io li avessi sprecati? Che faccio, ne spreco altri venti e mi ritrovo vecchia e infelice? Mi aveva promesso il cielo e la terra. Mi ero da tempo accontentata della terra. Poi mi ha sottratto anche quella, nel modo più abietto e spudorato. Ricordi? No, mio caro, adesso devo riflettere. E, nel frattempo, che si metta il cuore in pace e resti fuori dai coglioni. Poi gli farò sapere.

    Marcello è sbigottito: – Cosa ti è successo per diventare di colpo così dura, sorellina? E da quando parli come un carrettiere?

    – 3 –

    Se fosse onesta fino in fondo

    Be’, se fosse onesta fino in fondo, Olimpia dovrebbe ammettere che sì, qualcosa è successo. Qualcosa che col marito e il suo tradimento non ha molto a che fare.

    Ma tra lei e Marcello non è necessario essere sinceri fino in fondo, perché tanto si capiscono lo stesso. Così è Marcello che chiarisce: – A fine anno c’è l’esposizione di Azel e lui viene per il vernissage. Quanti anni sono che non lo vedi? Fammi pensare. Venti? Di più?

    SI RIPARTE DA: ANNO 1983

    – 1 –

    Inizio primavera

    – E cosa farebbe per vivere questo fenomeno?

    Eloisa Sofia Belgioioso (madame Eloisa, come la chiamano i suoi figli con affettuosa ironia) arriccia un po’ il naso, come fa sempre quando sospetta qualcosa che potrebbe non essere troppo di suo gusto.

    – Cosa deve fare a ventitré anni, mamma? – Marcello risponde in difesa della sorella. – Studia, no? Come noi.

    – Se intendi dire: chi paga per lui? – interviene già piccata Olimpia – ti rispondo subito che è povero, così ti risparmio le tue inchieste indirette. È povero. Una famiglia deve averla, non so bene. Ma gli studi se li paga da solo lavorando. Fa quello che capita. Se capita, dà lezioni di arte e disegno. O suona per qualche festa. O taglia l’erba. Va bene?

    Madame Eloisa tace. È ovvio che non va bene per niente. Già ha accusato il primo colpo a sentire il nome del ragazzo: Azel Brok, nome che evidenzia la probabile origine ebraica. Lei non è razzista, naturalmente. Tanto meno antisemita. Nessuno nella sua aristocratica famiglia di tradizione cattolica e monarchica lo è. Ci mancherebbe. Anche se all’epoca – lei era solo una bambina – hanno votato in massa per tenersi la monarchia che aveva firmato le leggi razziali. Che in fondo non erano poi così dure, nevvero? C’è sempre un po’ di esagerazione nel modo di raccontare le cose.

    Certo che se l’origine ebraica si accompagnasse a un nome ebraico importante, da far sperare in una parentela anche lontana, sarebbe meglio. Tanto questa gente è un po’ tutta imparentata tra sé, nevvero? Ma questi Brok chi sono? Santo cielo. Madame Eloisa rabbrividisce al pensiero di sua figlia che si prepara alla Pasqua ebraica, spazzolando personalmente ogni residuo di cibo lievitato da ogni angolo nascosto della casa che condivide in amorosa povertà. Basta. Anche l’immaginazione nefasta ha un limite.

    – Papà l’ha conosciuto e gli piace, sai, mamma? – la distrae Marcello.

    La replica è una ulteriore smorfia di distacco. La tolleranza e la buona disposizione d’animo del marito sono un motivo di perenne cruccio per madame, che le ritiene vicine a sconfinare nella mancanza di classe.

    – Quindi l’invito a cena non è facoltativo. Hai già l’approvazione di tuo padre.

    – Grazie, mamma! – Olimpia si alza e dà un bacio, non proprio spontaneo, in fronte a sua madre. È contenta. Il primo scoglio è superato. Alla fine anche madame lo adorerà, Azel. Non si può non adorarlo.

    – E guarda, – ridacchia Marcello rassicurante – l’approvazione di papà è per un invito a cena. Non gli ha promesso la mano di Olli.

    – E non chiamare tua sorella Olli, per favore. Non è una sartina di Brooklyn.

    – Perché, le sartine di Brooklyn si chiamano tutte Olli? – salta su Olimpia – Comunque, a me Olli piace.

    La seduta è tolta, finalmente. Marcello tira un sospiro di sollievo. La boria della madre a volte è davvero asfissiante. Ma anche Olimpia a volte è troppo pronta a rimbeccarla. Oggi deve essersi esercitata a portare pazienza. Dei due è Marcello il figlio buono. Quel che madame Eloisa non capisce è che Marcello non ha di lei un’opinione migliore di quella della sorella. Solo che riesce a temperarla meglio con la compassione. Compassione per una persona poco intelligente e piena di pregiudizi, che non tenta nemmeno di capire le ragioni altrui e di rendersi gradevole o almeno tollerabile. Marcello vuol bene a sua madre, a prescindere. Olimpia, purtroppo, non tanto. Non se ne è ancora resa conto, passerà ancora molta vita perché se ne avveda. Ma la verità è questa. Olimpia non può amare nessuno che non ritenga meriti la sua stima. Sua madre non fa eccezione.

    – 2 –

    Era di maggio

    Dopo quella prima cena a casa Liberati – o meglio: a palazzo Belgioioso, perché, benché completamente rifatta e risanata e quindi mantenuta in vita e salute a totale carico di papà Alvaro, la dimora avita si chiama sempre palazzo Belgioioso – Azel è riconosciuto, con gradazione sfumata di gradimento dei componenti la famiglia, come fidanzato ufficioso di Olimpia. A palazzo Belgioioso passa ormai tutto il tempo che di giorno gli rimane dai suoi diversi lavori e in camera di Olimpia sono collocati tutti i suoi libri e anche i volumi di ricerca e il materiale su Picasso e Braque, in preparazione della tesi di laurea in storia dell’arte. La famiglia Liberati, per abitudine, cena presto tutta insieme, poi ognuno passa la serata come gli garba, da solo o in una compagnia di suo gusto. Azel, tacitamente ormai sempre invitato, si ferma spesso, per stare ancora un po’ con la sua Olimpia. La sera e la notte invece le passa a dipingere, nel monolocale mansardato invaso di tele e colori, dove ogni angolo, letto e cucina inclusi, odorano di trementina, fino a crollare esausto. Pochissime ore di sonno e poi continua a dipingere, fino al mattino.

    – 3 –

    Sono solo un po’ stanco

    – Hai gli occhi pesti, Azel. Non stai bene?

    È Eloisa che parla e, se non la conoscesse bene, Olimpia penserebbe a un moto di sincera attenzione per il giovane. Non è questo. Da un po’ di tempo la madre si è messa in testa che, come tradizione afferma, genio uguale sregolatezza e gli artisti sono tutti un po’ fuori di testa, quindi Azel, pur senza essere né genio, né artista, per carità, deve aver cominciato dalla sregolatezza. Insomma pensa che, invece di studiare per laurearsi e cominciare a lavorare come dovrebbe, passi il tempo a strafogarsi di canne. O peggio.

    Per fortuna, Azel non conosce ancora abbastanza bene madame e quindi accetta l’interessamento con un sorriso grato: – Sono solo un po’ stanco, grazie, signora. Dormo poco. Sa, la tesi.

    Uscita madame dalla stanza, Olimpia sbuffa e chiude la porta.

    – Invece? Hai finito Vita è sogno? – chiede Marcello, che è un sincero sostenitore della pittura di Azel. Forse il più sincero. – Si può vedere terminato, finalmente?

    – 4 –

    Vita è sogno

    Devono ancora passare molti anni prima che il grande Azel Brok diventi appunto il grande Azel Brok. Anni di ricerca e di passione. Anni di delusioni e di batoste. Anni di amore, di amicizia. Di fiducia smisurata in sé, di tenacia indomabile. Anni di sacrifici. Del sacrificio più difficile che all’altare dell’arte si possa immolare. Ma, per andare con ordine, restiamo fermi a questa sera di maggio, a palazzo Belgioioso. A quest’epoca, come dicevamo, è Marcello, futuro medico e da sempre appassionato di pittura, che nell’arte di Azel nutre una fede assoluta, quasi pari alla sua. Il caso di Olimpia è diverso. Lei di pittura non capisce molto, o meglio: non si interessa di pittura al di fuori di quella di Azel. Olimpia studia economia, in verità senza troppo interesse, solo perché nella vita è necessario lavorare, o prepararsi a farlo. Però, almeno prima che Azel occupasse quasi tutto il suo tempo e la sua anima, le sue passioni erano altre. Principalmente la passione politica, con particolare riferimento alla condizione delle donne. Sono passati da poco gli anni Settanta e c’è ancora un lunghissimo cammino in salita da compiere perché la condizione delle donne possa considerarsi tollerabilmente più civile. Per esempio, se la vergogna del delitto d’onore è stata abrogata due anni or sono, lo stupro è, e tale resterà per molti anni ancora, un reato contro la morale e non contro la persona. Sono le situazioni scandalose come questa che accendevano la passione di Olimpia. Però bisogna aggiungere che, anche nei dibattiti più accesi, Olimpia era una femminista che non aveva perduto la grazia. Forse anche in considerazione del fatto che non disprezza gli uomini, che adora il fratello e il padre, mentre con la madre, cioè la donna più vicina, ha da sempre un rapporto conflittuale. I problemi cui abbiano accennato, che infervoravano e scandalizzavano la giovane mente di Olimpia sono lontani dall’essere risolti, ma oggi l’amore l’ha catturata e lascia poco spazio alle altre passioni. Tutto quello che Azel è, fa e dice è il centro del suo pensiero e della sua vita. Di Azel ama tutto: la sua bellezza trasandata, i suoi occhi neri e febbrili, i suoi capelli scuri e ribelli, il suo fisico lungo e troppo magro, la sua voce profonda, le sue mani che sanno dipingere e suonare la chitarra e sanno carezzare con uguale dolcezza. E ama la sua pittura, che della sua anima è l’espressione più manifesta e completa.

    Per queste ragioni l’opinione critica di Olimpia non vale molto. L’opinione di Marcello invece, completamente sincera, pensata ed esigente, è preziosa. L’opinione ragionata di un vero amico.

    Vita è sogno, dunque: ispirato all’opera di Calderón, è un quadro di grandi dimensioni, che prefigura già la personalità inconfondibile di Azel Brok, quella che tutti conoscono. Una pittura energica, a tratti quasi aggressiva, che affronta senza addolcirli i temi drammatici, ma anche, e con la stessa passione, quelli più quotidiani, esaltandone la semplice poesia o rivelandone ansie e paure irrisolte. Qualcuno la definirà pittura simbolista, a volte anche postcubista. La critica d’arte, si sa, difficilmente rinuncia a incasellare opere e autori. Come tutti i grandi maestri, però Azel Brok non si lascerà mai delimitare facilmente entro confini netti. Lui dipinge e dipingerà sempre la vita, come tragedia o come commedia, e potrà farlo prendendo a soggetto un solo volto, o una folla. Oppure una storia. Anche un episodio di una storia leggendaria. Per questo si beccherà anche la definizione di neoromantico.

    Vita è sogno è un quadro idealmente articolato in tre parti, sulla base dell’elemento unificante di un cielo di nuvole barocche, inizialmente di colore grigio scuro e gonfie di tempesta, che vanno via via schiarendo e diradandosi. Nella prima parte Sigismondo percorre a cavallo un sentiero che porta a una valle tetra e fumosa, dove è in corso una violenta battaglia. Nella seconda Sigismondo risparmia la vita ad Astolfo inginocchiato tra uomini e cavalli morenti e armi spezzate e nell’ultima si inginocchia a sua volta su un prato verde davanti all’amata Rosaura.

    – No. Non funziona ancora. Ho pensato di scomporre la sequenza: deve esserci contemporaneità. Un’immagine complessiva, non un racconto.

    – E cos’hai contro i racconti, visto che li dipingi? – scherza Marcello.

    – No – risponde Azel, impermeabile all’ironia, se tocca la sua pittura. – Non mi interessa raccontare una storia, ma ciò che quella storia significa.

    – E cosa significa? La necessità del perdono? – si insinua timidamente Olimpia.

    – No: l’inutilità della sofferenza e della vendetta. Nella vendetta, nel dare morte e dolore non c’è ragione né redenzione. Perché il potere dell’uomo è nulla e la sua vita non è che sogno. Be’, – conclude poi – forse so cosa fare. Stanotte potrei finire, e domani vi faccio salire da me.

    – 5 –

    Il mattino dopo

    Azel non è riuscito ad aspettare e alle sette ha chiamato Marcello e Olimpia, che sono arrivati con i cornetti caldi mentre lui ha fatto il caffè. Il quadro è coperto da un telo bianco e le occhiaie di Azel hanno assunto una sfumatura viola che forse non basteranno dieci ore di sonno continuato a far scomparire. Quando scopre il quadro aspetta con esitazione la reazione di Olimpia e Marcello.

    Olimpia lo guarda con l’ammirazione debordante di sempre. Marcello tace e osserva.

    In apparente disordine, sono stati incollati sul dipinto: le riproduzioni in miniatura di un particolare della battaglia di Anghiari e di un cavallo morente di Paolo Uccello. Un piccolo ritaglio ingiallito di un giornale inglese che dà notizia della bomba di Hiroshima. Marianne Faithfull al raduno dell’isola di White, con i capelli sciolti coronati da un diadema di fiori.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1