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Pronto, Sei Tu?
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E-book310 pagine3 ore

Pronto, Sei Tu?

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Info su questo ebook

Una danza tra luce ed ombra, tra sogno ed incubo, sul palcoscenico della realtà, sotto riflettori che si accendono e si spengono. C’è polvere nell’aria, quando la scenografia viene smontata e tutto torna ad un banale vuoto. Lo sfavillante mondo dello spet­tacolo, fatto di copertine lucide e di lustrini, o quello del calcio, dove la ricchezza e la pas­sione si confondono. E in tutto questo... l’ironica, assurda, grottesca, sadica fugacità del successo, il suo fascino irresistibile, quasi letale. Dietro le quinte, dove gli occhi della gente non arrivano, scorrono frenetiche vite in sordina, come ingranaggi di un mar­chingegno immenso che tutti sovrasta. E seguendo le orme dei protagonisti, una donna su tutti, entreremo in un’intimità fragile e magnifica.
LinguaItaliano
Data di uscita7 giu 2017
ISBN9788856783612
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    Anteprima del libro

    Pronto, Sei Tu? - Antonio Boccuccia

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2017 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-8361-2

    I edizione elettronica giugno 2017

    §

    I

    «Trascorrére la vita per fùggire da noi stessi è come vivère dentro la pelle di un altro» dice Ollio sbagliando, come d’abitudine, gli accenti, nel mentre si arrotola la cravatta e sorseggia con la cannuccia l’unico bicchiere di latte che sta dividendo con il suo amico Stanlio.

    «La mattina, mentre ci guardiamo allo specchio, dovremmo almeno vederci. Magari perdere cinque minuti per aprire meglio le palpèbre. Finiremmo per accettarci e amarci. Uhm!» risponde l’amico grattandosi i capelli con le dita della sinistra dopo essersi tolto la bombetta con la destra e muovendo il mento verso il petto per aggiungere maggiore veemenza e credibilità alle sue parole.

    «E’ vero! Amare noi stessi è come trasformare il grano in farina e la farina in pane» aggiunge il simpatico cicciottello.

    «Certamente! Con il pane si mangia e con la pancia piena siamo felici noi e rendiamo felici chi ci circonda. Uhm!» chiude lo smilzo.

    «E’ proprio così! Mi piace moltissimissimo questo tuo esempio gastronomìco»

    Un occhio di bue li illumina lasciando completamente al buio il teatro. I due sono seduti al centro di un palcoscenico intorno ad un tavolo rotondo. Il bicchiere di latte è ormai vuoto. Due cannucce svettano sul vetro.

    Il rosso sipario è completamente chiuso alle loro spalle.

    «Ricordo di aver sentito dire da qualcuno che un giorno senza sorriso è un giorno perso. Uhm!» interrompe quell’attimo di silenzio il mingherlino.

    «Oh!!! E’ assolutamente vero quello che dici. Non sei così stupìdo come sembri allora!»

    «Tu invece sei proprio stupìdo come sembri, uhm!»

    «Se fai così… non abbiamo proprio più niente da dirci… uhm!» chiude, come il suo solito, Ollio.

    All’improvviso, si avverte da lontano lo squillo di un telefono.

    «Ecco ci siamo!» dice il baffuto compagno.

    «Dobbiamo sbrigarci per liberare il palcoscenìco» aggiunge il maldestro amico.

    Si alzano e prendono ciascuno la propria sedia per poggiarla dietro le quinte ai due angoli opposti. Tornano poi al centro e, dopo aver tolto il bicchiere, prendono il tavolo rotondo e, insieme, lo spostano sino ad accostarlo vicino ad una delle due sedie, fuori dalla vista del pubblico.

    Nel mentre continuano a sentirsi, con intervalli regolari, gli squilli del telefono.

    «Driiiinnnn, driiin..., driiiin...»

    Dopo essersi involontariamente scontrati, fingendo di essersi fatti male, prendono ciascuno un lato della tenda per tirarla dalla propria parte.

    Il palcoscenico è adesso completamente aperto alla vista degli spettatori.

    Parte uno scrosciante applauso all’indirizzo dei due comici che salutano con un inchino e sorridendo alla platea. L’uno, con le ginocchia ad arco e leggermente piegate verso l’esterno, riduce la sua altezza per arrivare prima a grattarsi i capelli, e l’altro, con la pancia che esorbita dalla giacca, agita la nera cravattina.

    Dopo di che, un profondo silenzio cala sul palcoscenico.

    Gli squilli del telefono continuano ad udirsi da lontano.

    «Driiiinnnn, driiiiinnnn, driiiinn…»

    Sullo sfondo scende un grande schermo.

    Iniziano a scorrere le immagini.

    Dapprima in un confuso bianco e nero e poi con nitidi colori.

    Un nuovo squillo sembra provenire addirittura fuori dal teatro.

    Sullo schermo gigante appare una data: 19 giugno 2005.

    §

    II

    «Pronto sei tu? Ciao amore mio. Sì sono qui al Campidoglio alla Chiesa di Santa Maria Ara Coeli. Mamma mia dovresti vedere quanto sono belli tutti e due. Ilary tutta vestita di bianco con un velo lunghissimo. L’ho vista salire la scalinata sotto braccio ad un uomo, penso che sia il padre. Francesco è elegantissimo in tight. Ci sono moltissimi personaggi famosi e c’è tanta ma proprio tanta gente. Scusa ma ora ti saluto che voglio cercare di vedere da vicino gli invitati»

    Gli sposi erano appena entrati in chiesa seguiti dagli invitati alla cerimonia.

    Il sindaco Veltroni non poteva certamente mancare ad un appuntamento così importante.

    Caspita! Il matrimonio del nuovo Re di Roma!

    Il calciatore e la velina.

    Ilary Blasi e Francesco Totti.

    Tutto somigliava ad una fiaba.

    Mancavano soltanto le zucche trasformate in carrozze.

    E certamente, in qualche angolo nascosto, la Fata Smemorina stava controllando che il tutto andasse per il meglio e che nessuna scarpina sfuggisse al giusto piedino.

    Isabella prese il guinzaglio di Bebo, il suo cane, e si volse in direzione della massa enorme degli ammiratori della famosissima coppia di sposi.

    Inaspettatamente, arrestò i suoi passi.

    Era appena poco lontana dalla massa indistinta che sorrideva e sorrideva, senza neanche sapere il perché.

    Non si avvicinò.

    Li guardò tutti, uno ad uno, mentre un sentimento di odio saliva pian piano dal profondo del suo cuore.

    Si morse leggermente le labbra, per scacciare un amaro sorriso.

    Bebo emise un languido piagnucolio, quasi a voler dimostrare di essere in sintonia con l’animo della donna.

    Isabella lo accarezzò sotto il mento.

    Per consolarlo e consolarsi.

    Volse le spalle allo spettacolo e scese di corsa le scale per dirigersi verso piazza Venezia.

    Il cupo velo che le era calato sugli occhi le ostacolava la visione del Vittoriano.

    Le impediva così di guardare il monumento al Milite Ignoto e di pensare a tutta quella sterminata quantità di giovani morti di tutte le guerre i cui corpi non sono mai stati riconosciuti né mai trovati.

    Morti migliaia di volte, si potrebbe dire.

    A quei petti sconosciuti è riservata una Medaglia d’oro al valor militare.

    Onorificenza incapace di riscaldare il cuore delle loro madri e il corpo alle loro vedove, ma efficace per accomodare la coscienza a chi è rimasto vivo.

    Uomini con un nome, ma senza più un corpo.

    Cadaveri con un corpo, ma privi di nome.

    Eroi senza tifosi né semplici sostenitori.

    La ragazza continuava, intanto, il suo percorso, con gli occhi fissi sull’asfalto. Non riuscì ad apprezzare, in questo modo, neanche il Foro Romano per fantasticare su come si svolgesse la vita a Roma tanti e tanti secoli fa e magari porsi la domanda se ci fossero anche allora Cenerentole e Principi Azzurri, la cui fortuna fosse in grado di far sognare le anonime masse.

    Gente comune, incapace di partecipare alla lotteria ma che pagava ugualmente il biglietto per far vincere gli altri.

    Non si rese conto, proseguendo il suo cammino, che stava costeggiando il Colosseo.

    Non lo vide, perché se lo avesse notato, immediatamente le sarebbe venuto in mente di associare i gladiatori ai calciatori. Anche i più bravi lottatori, infatti, erano il tormento e spasimo delle spettatrici come ricorda il poeta romano Marziale.

    Certamente, tirare calci ad un pallone è parecchio diverso dall’affrontare i leoni e le avventure delle veline con i calciatori sono favole moderne. Da sempre, però, donne e uomini si illudono di rubare ai più fortunati un pizzico della loro felicità. Piccoli uomini e piccole donne che nei sogni realizzati dagli altri cercano conforto alla loro incapacità di realizzare i propri. E’ come un passaggio di consegne. E’ come dire Sogna tu che io non ne sarò mai capace!

    Ma tutti questi pensieri erano lontani mille miglia dalla testa di Isabella.

    L’avversione profonda che nutriva nei confronti di tutta l’umanità le rabbuiava la mente.

    Stanca della passeggiata, fu felice di essere finalmente arrivata alla macchina che era parcheggiata poco distante dal Colosseo.

    Fece entrare Bebo dal portellone posteriore e poi si mise al volante.

    Incrociò i suoi occhi nello specchietto retrovisore ma immediatamente girò la testa per non vedersi.

    Anche il suo volto le dava fastidio.

    Mise in moto per dirigersi verso casa.

    §

    III

    A proposito di sogni.

    Partecipare e vincere il concorso di Miss Italia non è forse un desiderio di tutte le giovani donne?

    Isabella aveva iniziato a fantasticare di partecipare al famoso concorso nazionale all’età di dieci anni. Era, infatti, il 2 settembre dell’anno 1995 quando la bellissima Anna Valle fu incoronata Miss Italia dal quel buontempone di Fabrizio Frizzi. Aveva provato un’immediata simpatia per quella ragazza dal sorriso semplice ed accattivante.

    «Certamente che potrai partecipare, hai un visino così bello. Quando però sarai più grande, eh!» rispose la mamma alle sue insistenti richieste.

    Aveva iniziato a frequentare i corsi di danza perché non poteva non essere anche un’abilissima ballerina.

    Dal 1995 Isabella non perse mai un’edizione del concorso. Comperava tutte le riviste dove venivano pubblicate le foto delle partecipanti e sceglieva quella che pensava potesse divenire la vincitrice. Mai era stata così brava da indovinare il nome della più bella. Però, tutte le volte che al termine della serata finale vedeva apporre la corona sulla testa della ragazza arrivata prima le si formava un grosso nodo in gola.

    Il 18 settembre dell’anno 2005 Isabella aveva compiuto 20 anni.

    L’annuale concorso di bellezza occupava le prime pagine delle riviste di moda e dei quotidiani nazionali in quei giorni. Dalle prime serate erano già emersi i nomi delle favorite. Ma non si potevano escludere le sorprese.

    Non festeggiava, naturalmente, il suo compleanno con nessuno. Anzi, per meglio dire, non lo festeggiava proprio. E cosa c’era da festeggiare? Odiava la sua vita ed il mondo intero! Non amava se stessa e si sentiva profondamente infelice. Che senso avrebbe avuto festeggiare l’inizio di tanto dolore!

    Seduta sul letto, con il cellulare in mano, aveva lo sguardo teso come fosse focalizzato su di un pensiero fisso.

    «Pronto sei tu? Amore mio, finalmente ti risento. Grazie per gli auguri ma, come sai, del mio compleanno non me ne importa un fico secco. Come stai? Lo sai che senza sentirti non posso stare! Sì, capisco che sei lontanissimo, l’Australia non è dietro l’angolo, ma io ho voglia di parlare un po’ con te. Sì, sì lo so che lì non puoi parlare liberamente perché i tuoi colleghi sono tutti impiccioni e che sono pronti a fare subito la spia a tua moglie. Ma tu non parlare. Ascoltami soltanto, che io ho sempre tantissime cose da raccontarti. Allora, volevo dirti innanzitutto che ho deciso di farmi bionda. Basta con i capelli neri, sì lo so che il colore più scuro mette ancora più in risalto i miei occhi verdi. Però ho la pelle bianca e delicatissima, me lo dicono tutti. Sono chiara naturale. Ma tu lo sai che l’altro ieri ero in ufficio dietro la mia scrivania che scrivevo al computer i dati contabili di un cliente, quando d’improvviso sono passati due colleghi che andavano a prendersi il caffè, loro pensavano che non li sentissi ma hanno mormorato a bassa voce: Quanto è bella, mamma mia quanto è bella, se non avesse i capelli scuri, somiglierebbe proprio ad una Barbie»

    Si osservava innanzi allo specchio posto all’interno delle ante dell’armadio della sua camera da letto.

    Continuava a passarsi la mano tra i capelli mentre si inumidiva le labbra con un movimento garbato della lingua.

    Tornò a concentrarsi sul telefono.

    «Vabbè dai non fare il gelosone. Lo sai che io adoro solo te. Poverini, a volte mi sembra di essere scortese con loro. Però voi uomini siete tutti così. Se una donna è attraente, allora le state dietro e non la mollate, la riempite di gentilezze, inviti a feste, a cene, sorrisi, sorrisetti, occhi dolci e via di questo passo. Ma tu pensa una donna brutta che esistenza penosa che ha. Tu pensa che tristezza passare per strada senza che nessuno ti guardi, senza che nessun uomo giri almeno una volta lo sguardo verso di te, senza vedere mai due amici che già quando ti scorgono da lontano cominciano a sorridere ed a guardarsi, a darsi gomitate per catturare la tua attenzione verso di loro. Pensa come ci si può sentire quando si è invisibili. Non solo, ma voi uomini, sì ci metto pure a te amore mio, siete proprio cattivi con le donne brutte. Siete cinici, non solo non ve le filate ma non perdete neanche mai l’occasione per offenderle, con battutine che vogliono sembrare spiritose ma che spiritose non sono. E poi c’è sempre l’imbecille che prima ti dice Non lo dico per offenderti e poi ti tira giù una battuta pesante che per rialzarti hai bisogno delle gru dei cantieri.»

    Di nuovo il suo sguardo si proiettava sullo specchio.

    Socchiudeva le palpebre e si mordeva leggermente le labbra, quasi a voler fuggire da un intimo e cattivo pensiero.

    Poi d’improvviso riaprì gli occhi e tornò a dialogare.

    «Dai! se io non fossi quella che sono tu col cavolo che mi ameresti, dì la verità. Lo so che dico banalità, però quanto conta la bellezza o perlomeno una certa gradevolezza te ne rendi conto soltanto guardando lo sforzo che fanno le donne per cercare di piacere. A volte le vedi super truccate, vestite sexy che più sexy non si può, tanto da apparire ridicole, pur di poter catturare uno sguardo, un minimo di attenzione. E magari dentro quei corpi maledetti si nasconde un animo bellissimo che però è destinato ad essere offeso ed umiliato dall’ultimo imbecille che non è capace neanche a mettere due parole di fila per costruire un discorso che abbia un senso compiuto, ma che quanto a battutine spiritose è imbattibile. Magari mi sbaglio ma io penso che per una donna essere bella è la prima cosa. Se sei bella anche se sei un’oca vai sempre avanti. Se sei brutta, puoi essere pure una scienziata, sei sempre una mezza persona. Che c’entra, hai ragione pure tu, anche l’intelligenza conta; però, una donna se non è bella resterà sempre insoddisfatta… Scusami solo un secondo che Bebo sta abbaiando e non capisco cosa vuole... Torno subito da te»

    Si recò nel salotto ed accarezzò il cane che si lamentava semplicemente perché aveva fame. Lo consolò per un attimo stringendolo dolcemente a sé con un tenero abbraccio. Poi tornò a stendersi sul letto.

    «Scusami amore ma Bebo ha fame. Dunque, mi hai detto che tornerai a Natale. Non vedo l’ora di abbracciarti amore mio. Mancano ancora quattro mesi. E quando mi passeranno? E poi dovrò sempre dividerti con tua moglie… Vabbè, vabbè, non arrabbiarti ora, a me basta anche soltanto un’ora con te, che mi riempie di gioia per tutto l’anno. Tu sei il mio uomo. Solo tu potevi diventare il mio amore. Solo tu. A proposito, ma lo sai che ho deciso che il prossimo anno partecipo a Miss Italia? Proprio in questi giorni stanno dando le finali sulla RAI. C’è Carlo Conti che è simpatico pure lui però a me mi piaceva di più Fabrizio Frizzi, ha la faccia buona, da brava persona. Poi fa quelle risatone che, secondo me, le fa per mestiere. Tu guardalo, a volte gli ospiti hanno appena cominciato a parlare e lui già si prepara a far esplodere la sua risata. Quasi neanche ascolta quelli che parlano. Lui sa già che appena stanno zitti deve mettere in moto la risata. Tu vedrai che qualche volta gli capiterà che un ospite per fargli uno scherzo gli dice una cosa tristissima, e lui partirà con la risata senza rendersene conto!»

    Nuovamente lo specchio restituiva la sua immagine.

    Si guardò. Alzò in alto i capelli, morbidi e lunghi. Se li lasciò poi cadere di colpo sul viso. Con gli occhi così coperti fece fatica a vedersi. Mosse con un colpo secco il collo per mandarli indietro ed illuminarsi di nuovo.

    «Ma tu che ne dici della mia idea? Io il prossimo anno ci provo. Scusami, ma ho visto le concorrenti di quest’anno; tranne qualcuna, la maggioranza non vale una cicca. Io il prossimo anno ho deciso di partecipare. Me lo dicono tutti che ho il viso da Miss Italia! Vabbè amore, ora ti saluto che devo andare a preparare la cena e a gustarmi la trasmissione. Mi raccomando chiamami. Tanto se non lo fai, ti chiamo io. A presto amore mio.»

    La ragazza viveva a Roma in un appartamentino nel quartiere EUR, nei pressi del laghetto.

    La casa era piccola ma graziosa.

    Dalla porta d’ingresso, a sinistra, si accedeva direttamente in un unico ambiente che racchiudeva in sé gli elementi di un salotto, di una camera da pranzo e di una cucina. Poggiato a ridosso di un muro alto poco più di un metro, che delimitava il corridoio, vi era un divano color panna con davanti un piccolo tavolo in vetro scuro; di fronte, un’ampia finestra dava possibilità al sole di dimostrare che brillava anche per quella casa.

    Gli infissi erano nuovi ed impreziositi da due deliziose tende con disegnate mammole viola ai lati. Sulla sinistra del

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