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Quaderni Amerini n°11
Quaderni Amerini n°11
Quaderni Amerini n°11
E-book269 pagine3 ore

Quaderni Amerini n°11

Di AAVV

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Info su questo ebook

Questa Antologia riunisce i dieci racconti finalisti dell’11esima edizione del Premio Amerino, concorso letterario per racconti brevi in lingua italiana organizzato dall’associazione culturale “Poggio del Lago” (Vasanello VT). Le edizioni del premio 2020-2021 - rispettivamente l’11esima e la 12esima - sono state annullate a causa della pandemia.
La cerimonia di premiazione e la presentazione dell’Antologia si sono tenute domenica 30 ottobre 2022 presso l’Università Agraria di Vasanello.
I primi tre racconti classificati sono risultati, nell’ordine: “L’inferno è l’assenza degli altri” di Mario Trapletti - Roma; “C’era la Luna?” di Saverio Maccagnani - Reggio Emilia; “L’ultima lettera” di Enzo Grossi - Anzio (RM). Quarto posto ex aequo con altri sette finalisti.
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2022
ISBN9788830671683
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    Anteprima del libro

    Quaderni Amerini n°11 - AAVV

    PREMIO AMERINO & QUADERNI AMERINI

    Venerdì 9 settembre 2022 si è riunita la Giuria della undicesima edizione del Premio Amerino, concorso letterario nazionale in lingua italiana dedicato al racconto breve, a tema libero, organizzato dall’Associazione Culturale Poggio del Lago (Vasanello VT). Il bando è stato ufficialmente diramato il 2 febbraio, le iscrizioni si sono chiuse il 22 agosto. In data odierna, domenica 30 ottobre, giorno della premiazione, viene presentata questa Antologia.

    Quaderni Amerini n° 11 raccoglie quelli che la Giuria ha ritenuto i migliori dieci racconti tra quelli pervenuti. Nell’Antologia è indicata la graduatoria dei primi tre classificati, con la motivazione della Giuria, ed è attribuito agli altri sette finalisti il quarto posto ex aequo.

    A partire da questa edizione, il Primo Premio sarà denominato Targa Ricci, un doveroso omaggio al compianto Sandro Ricci, prodigo mecenate, Presidente della Giuria dal 2011 al 2016.

    1° classificato TARGA RICCI

    L’INFERNO È L’ASSENZA DEGLI ALTRI

    Mario Trapletti, Roma

    2° classificato

    C’ERA LA LUNA?

    Saverio Maccagnani, Reggio Emilia

    3° classificato

    L’ULTIMA LETTERA

    Enzo Grossi, Anzio - RM

    Quarti classificati ex aequo, ordine alfabetico dei titoli:

    AMERIGO CHE PARLA ALLA LUNA

    Ennio Costantini, Spoleto - PG

    IL DIPINTO DI MONTMARTRE

    Mariangela Gigli, Terlizzi - BA

    LA GENTE VUOLE IL CIELO

    Luca Degasperi, Trento

    LA GRAZIA

    Silvano Bertaina, Govone - CN

    P. A. 4-BIS

    Elisa Moretti, Orte - VT

    VASILEOS

    Antonio Messina, Fano - PU

    VOCI A METÀ

    Davide Benedetto, Roma

    la giuria

    Paola Testa - Segretario, senza diritto di voto

    Antropologa

    Gabriele Campioni - Presidente della Giuria

    Letterato

    Ardelio Loppi - Presidente Associazione Poggio del Lago

    Giornalista

    Piera Cicuto

    Letterata

    Anna Fabiani

    Avvocata

    Giorgia Grasso

    Editrice

    Maria Giuseppina Libriani

    Letterata

    Michela Mechelli

    Letterata

    IN RICORDO DI SANDRO RICCI

    Ardelio Loppi, ideatore del Premio

    Un particolare ringraziamento e un forte abbraccio al caro amico Sandro Ricci, intellettuale e poeta di grande spessore, Presidente della Giuria dal 2011 al 2016.

    Chiudevo così la prefazione dell’Antologia 2019, l’ultima prima della pausa covid, quella del decennale in cui venivano ricordati i vincitori delle edizioni precedenti. Gli occhi di una persona dicono molto e l’ultima volta che ci eravamo visti, alla vigilia della cerimonia di premiazione, alla fine di quell’ottobre, in quelli di Sandro c’era soltanto infinita spossatezza. Meno di due mesi dopo, il 19 dicembre, ci ha lasciati.

    Ironia sopraffina, attore consumato, affabulatore ineguagliabile, quando era presente lui non ce n’era per nessuno: la ribalta era sua, se la prendeva, era nato per questo. Ma come tutte le grandi menti pian piano aveva finito per restare solo. L’intelligenza è decantata, bramata… ma soprattutto invidiata se non temuta in quanto mette chi soltanto la scimmiotta davanti alla propria pochezza (esercizio in cui purtroppo brillano soprattutto politici o pseudo tali). E allora Sandro Ricci, che ne aveva fin troppa, al tramonto della sua vita era diventato l’uomo più solo del mondo. La sua latente misantropia aveva fatto il resto, rendendogli sempre più difficile la frequentazione di chi finiva inevitabilmente per annoiarlo. I suoi teatrini, i suoi straordinari monologhi si fecero così sempre più radi e comunque confinati ad una cerchia rigorosamente selezionata di amici. Cos’altro faceva tra questi suoi sempre più rari simposi e il resto del tempo che riempie le giornate e poi le settimane e i mesi e gli anni? Un cazzo, letteralmente, e se gli facevi notare che quello stava facendo pure il giorno prima, lui rispondeva tranquillo: non ho finito.

    Per chi scrive egli è stato un caro amico e non è quindi facile evitarne l’apologia. Questo perché - lui ne avrebbe ridacchiato - non posso che immaginarmelo, comodamente seduto, a chiacchierare del più e del meno con i più grandi uomini di pensiero che hanno camminato su questa terra. Non credo di esagerare, ma visto che potrei risultare fazioso, diciamo piuttosto che di personalità del suo spessore culturale ne ho finora incontrate davvero poche.

    Consuetudine vuole che per accedere all’Olimpo della letteratura si debba vincere un Nobel, oppure, nel Bel Paese, portarsi a casa lo Strega o il Bancarella. No, il nome di Sandro Ricci non si trova in nessun prestigioso palmares letterario e soltanto digitando Segnali di festa, dal calderone del web uscirà a malapena fuori questa sua straordinaria opera omnia impregnata dei ricordi della sua infanzia in quel di Bassanello negli anni ’50-’60 - l’odierna Vasanello si è chiamata così fino al 1948 -, sulla quale ha lavorato per tutta la vita alla costante ricerca della perfezione della forma. Arrivandoci molto vicino fin dalla prima stesura, ritengo io, ma a lui arrivarci molto vicino non poteva bastare. Ecco spiegato il motivo di una bibliografia talmente stringata che pochi ne conoscono lo spessore.

    Il Sapere era la sua vita, con lui si finiva sempre per parlare di letteratura, arte, storia, cinema - amava particolarmente la Settima Arte, il Grande Cinema d’Autore - o comunque di qualcosa che gravitasse lì intorno. Per questo quando un bel giorno appresi, Sandro se n’era andato da pochi mesi, che aveva voluto ricordare l’organizzazione dell’Amerino nel suo testamento, dopo l’iniziale stupore finii col trovarlo persino scontato.

    Puoi star certo che non ti deluderemo caro amico: verae amicitiae sempiternae sunt, carissime noli oblivisci.

    Prefazione

    Gabriele Campioni, presidente della Giuria

    Una marcia in più

    Ci saranno nuovi aneddoti da citare tra altri dieci anni, in occasione dell’anniversario del Ventennale? Questa era una delle ultime battute del filmato che, nel 2019, raccontava le prime dieci edizioni del Premio Amerino.

    Ebbene, mai espressione fu più profetica: è successo di tutto da quella domanda in poi, per il Premio e per il mondo intero. Tutto si è fermato, anche il nostro concorso. Ma dopo un lungo periodo di incertezza, di inquietudine, eccoci qua di nuovo; si riparte a spron battuto e con diverse novità: una giuria parzialmente rinnovata, una nuova location per la premiazione, una nuova grafica per i Quaderni Amerini e, soprattutto, uno spirito nuovo. Fra i tanti fardelli che questa lunga chiusura ci ha lasciato, perlomeno qualcosa di buono forse ci è rimasto: una nuova scala dei valori. Abbiamo capito l’importanza della normalità, delle cose che credevamo scontate e che invece non lo erano per niente, e lo abbiamo capito a nostre spese. Anche la ripresa del nostro Premio, la ciclicità dei suoi appuntamenti, soprattutto per noi addetti ai lavori, ci appaiono ora con aspetto nuovo, come cose fragili e preziose.

    Per chi ama scrivere, la chiusura probabilmente è risultata più lieve: la creatività gli ha permesso di evadere, di andare oltre i confini del proprio mondo, tanto ristretto in quei lunghi e bui giorni. È stata una buona medicina, senza effetti collaterali e in grado di curare disturbi a volte molto più insidiosi e a lungo termine di quelli minacciati dalla nuova e temuta influenza. Ad un certo punto c’è stato pure chi ha insinuato che il ruolo dei creativi in senso lato fosse da considerarsi inutile nella società, nel delirio di un momento in cui sembrava che solo le professioni sanitarie (per carità, nobili anche a mio avviso, soprattutto se condotte come Epicuro insegna) avessero un senso. In un momento in cui ci si affannava a curare i malesseri del fisico, ci si dimenticava di quelli della psiche, che spesso la cultura e l’arte possono lenire efficacemente. Ecco quindi che la tanto denigrata attività creativa è stata una eccellente scialuppa di salvataggio nell’ostile mare delle chiusure e delle restrizioni, permettendo un potente ristoro non solo per gli autori, ma anche per i suoi destinatari. Le canzoni cantate a squarciagola dai balconi delle case, così come la gran mole di film che ognuno di noi ha visto in quei giorni, sono nati da un atto creativo scrittorio, proprio ad opera di coloro di cui tanto si denunciava l’inutilità. Comunque, al di là della particolarità del momento, il pensiero creativo ha sempre apportato dei benefici: aumento dell’autostima, diminuzione dell’ansia, miglioramento dell’umore… e non lo dico io, che tuttavia l’ho sempre sospettato, ma non poche ricerche universitarie. La scrittura è un ambiente, dove confrontarsi con se stessi, dove allenarsi a rispondere allo stress, dove rigenerarsi e dove rigenerare gli altri.

    Non vi nego che anche io, leggendo nei giorni passati, in una full immersion, i racconti del concorso, vivevo e vedevo la mia quotidianità in modo diverso: quante volte mi sono soffermato a osservare e a notare le caratteristiche di ciò che mi circondava (e che ben conoscevo) in modo nuovo, proprio così come avrebbe fatto uno scrittore; anche io, da semplice lettore, ho tratto benefici da questi lavori. La lettura di essi mi ha ribadito l’importanza del saper osservare, del sapere ascoltare e, in una sola parola, del sapere apprezzare il nostro mondo. Ecco quale è stata l’eredità positiva di questi drammatici momenti: amare ciò che ritenevamo semplice e scontato. E i nostri medici siete stati anche voi autori, in questo caso: medici di voi stessi e degli altri. Insomma, è proprio il caso di dire che chi scrive possiede una marcia in più!

    L’inferno è l’assenza degli altri

    1° classificato Targa Ricci

    Mario Trapletti – Roma

    Sarnico (BG) 7 febbraio 1956 - Pensionato, è un ex GIP (Grigio Impiegato Pubblico). Sposato sempre con la stessa moglie; senza prole. Consuma le suole delle scarpe nell’Urbe, dopo aver guadato non poche nebbie in terra orobica. Ventidue concorsi vinti in prosa e due in rima; dieci secondi posti, più svariati piazzamenti. Nel 2019 e nel 2022 vince il Premio Il Litorale (Comune di Massa), che prevede la pubblicazione di una raccolta di racconti: Vacanze, che passione (’19) e Angeli con le ali di Luna, Ed. Helicon, 2022. Sempre nel ’22 è uscito il romanzo di fantascienza demenziale La vera storia della Parmy Jane, per le edizioni Progetto Cultura. Troppo poco per il Nobel, ma anche per definirsi scrittore. Scarabocchiatore, se proprio.

    Motivazione della Giuria

    Per la rara capacità di dirla tutta su tematiche quali la depressione, la solitudine e il suicidio. Di norma il desiderio di spegnere l’interruttore è associato a malattie degenerative o a devastanti traumi fisico-deambulanti, ma in questo spiazzante racconto il cortocircuito interessa la psiche ed ha un nome ben preciso: male oscuro, la paura di vivere quando non si ritiene di averne la forza. La gran parte di noi è geneticamente fornita di questa forza, nota come istinto di sopravvivenza, quindi tale timore non può appartenerci, ma attraverso la lucida prefazione al proprio suicidio del protagonista possiamo forse capire - e magari aiutare meglio se ci capiterà - chi purtroppo non ne è dotato.

    Hai gettato tutti nello sconcerto, li hai lasciati a bocca aperta. Chi se lo sarebbe mai aspettato da te… Bello scherzo che hai fatto…

    Tu fossi, che so, un acclamato scrittore; un celebre uomo di spettacolo o anche solo un politico in carriera, già si scatenerebbe la pletora dei retroscenisti da rotocalco. Cacciatori di turbe; scandagliatori di contorte biografie; annusatori di tracce di freudismo noir: tutti alla spasmodica ricerca del Vero Perché, dell’Autentica Chiave di Volta.

    Tu, però, la Vita ha voluto fossi un componente del Club degli Anonimi Qualunque, quelli cui, quando gli va bene, tocca in sorte un ruolo da comparsa per dieci minuti in quella che qualcuno già definì "Una favola raccontata da un idiota". Sei soltanto, volendo a tutti i costi gratificarti di un paragone letterario, un sedicente uomo dal fiore in bocca. Ma nessun Pirandello affonderebbe le fauci nelle tue vicende personali, nella tua storia, per nutrirsene, metabolizzarla e restituirla al mondo sotto le spoglie di un’opera teatrale.

    Questa la scena che si troverebbero davanti agli occhi gli arditi spettatori qualora a un Pirandello anche solo de noantri fosse venuto l’estro di cimentarsi con un soggetto così poco affascinante.

    L’interno di un appartamento come tanti, di quelli dove vive la moltitudine che spesso ama inebriarsi con i racconti delle vite di illustri uomini e donne.

    In primo piano, un tavolo dalla linea semplice, ma non banale (tu aborri la banalità, tanto da passare per eccentrico); color grigio chiaro, come grigia è la sedia, severa, essenziale nella sua anima metallica. Grigio è il castigato ma non comune lampadario.

    Il fondale nel quale parrebbe volersi mimetizzare e fondersi l’arredamento è di un raffinato grigio perla, la cui ricerca ti è costata non poca fatica, come del resto ognuno degli altri componenti. Nulla, a costo di faticose ma appassionate ricerche, è stato lasciato al caso: tu non ami le accozzaglie, le scelte superficiali, il disordine cromatico.

    Nero, invece, è l’abbigliamento: calzoni, camicia, t-shirt, giacca, scarpe. Anche le calze, ci mancherebbe. Si è fatta spesso, da parte di amici e parenti, dell’ironia sulla mono-tonia del tuo vestire, così come ne è stata fatta su quella dell’arredamento, per quei quattro gatti che l’hanno visto. Dicessero pure quello che volevano: non ti sei mai fatto condizionare nelle tue scelte, fatte sempre da solo, senza mai consultare nessuno, e senza alcun timore dei pareri altrui.

    La luce è tenue, fredda, tipica delle lampade a risparmio energetico. Tra le altre cose illumina, sul piano del tavolo, un piccolo parallelepipedo di cartoncino bianco, sul quale spicca la scritta BNZDZP. Anche il tuo sguardo lo sfiora per un attimo, carico di incerto odio, come si può odiare la siringa di una benefica endovenosa. Quasi subito lo distogli per rivolgerlo al vuoto. Spento.

    Le orbite degli occhi sono cerchiate di scuro, occhiaie simili a buchi neri dove tutto si perde. Si annulla.

    Il cranio rasato a zero riflette il gelo della luce che lo sovrasta, e conferisce una tonalità inquietante al pallore della faccia. Guance bolse, quasi fossero braccia lasciate cadere per la stanchezza, la disperazione. Rughe serpeggiano sulla fronte e intorno alla bocca, graffiti che non mentono.

    Quanti anni hai: sessanta? forse qualcosa meno? portati o sopportati? Domande oziose, commenteresti se potessi udirle. L’età, quella che hai o quella che dimostri poco importa, non è mai una buona compagna di strada, anche se spesso è l’unica che ti resta. Ironia della sorte: più gli anni si accumulano, più ti ritrovi solo. Per un motivo o per l’altro, chi prima ti stava intorno da un certo momento in avanti comincia ad avere altri impegni, altri interessi; sempre più motivi per non esserci. E sempre validi, ci mancherebbe. Quando si parla di solitudine, dopo degli che ci si mette? Infanti…? adulti…? Chissà perché, viene spontaneo abbinarci anziani.

    Tu, vecchio non sei, anche se ormai fai parte della cosiddetta terza età. Eppure, hai sempre avuto per compagno di viaggio un acuto senso di isolamento, di esclusione. In certo qual modo, una forma di forzoso romitaggio, che non tu hai scelto, ma nel quale ti sei ritrovato a sfogliare i giorni della tua esistenza.

    Le mani, ben curate, e le braccia giacciono, spossate e indifferenti, sul piano del tavolo; le palme rivolte verso il basso, come cercassero un solido appoggio. A tratti scosse da tremori, al pari delle labbra.

    Il silenzio ti avvolge assoluto, complici la notte e l’affaccio tutto interno del tuo piccolo appartamento. Sino a poco fa si sarebbe potuto udire anche il tumultuare del tuo cuore, che adesso però si è placato; batte regolare, noioso e rassicurante come il toc toc di una pendola.

    L’assenza totale di rumore crea l’illusione di poter ascoltare i tuoi pensieri, percepire le tue emozioni; le tue angosce.

    Non sai più distinguere se sei tu che li elabori oppure sono i pensieri che ti aggrediscono provenienti da chissà dove. Dentro o fuori che siano, vorresti non esistessero per niente, che ti lasciassero in pace.

    Silenzio esterno. Vuoto interno. Quiete assoluta.

    Così gradiresti tu, ma così non è, non con il senso di vacuità che si è impossessato di te. Greve come un macigno che ti opprime; ti comprime il diaframma; rende affannoso il respiro.

    La testa… sì, la testa vorresti che si potesse sgravare con un tiro di catenella, come i vecchi sciacquoni del water. Uno scroscio, e via, giù nelle fogne dell’oblio. Potessi farlo.

    Silenzio.

    Solitudine.

    Vuoto.

    Ti monta dentro la voglia di gridare, mettere le ali a quell’urlo che ti preme dentro, fino a farti scricchiolare la cassa toracica. Arranca su su fino alla trachea, smania per venire alla luce, riversarsi nella stanza, magari in un apparecchio telefonico. Ma va a cozzare contro le labbra ermeticamente serrate, e comunque il cellulare l’hai spento da un pezzo. In questo momento non vuoi disturbatori, chiacchiere forse futili, ma che invece potrebbero farti vacillare, minare la tua ferma decisione. Ferma finché nessuno la scuote.

    Giunti a questo punto, non vuoi importuni spettatori o ascoltatori: chi è stato assente fino a oggi, poco importano le motivazioni, continui a esserlo; senza ipocrisia. Adesso, qui nella tua stanza tu sei solo. Una solitudine che dilaga all’interno.

    Solo con te stesso: l’ultima persona con la quale in questo momento vorresti trovarti in compagnia. L’unico non in grado di darti una mano, ma anche l’unico presente.

    Gli altri, invece… Già, dove sono gli altri? Distratti e travolti dalle loro vite. Ognuno dalla propria. Ognuno assorbito dalle proprie gioie, dai propri dolori. Con i propri tappi nelle orecchie e fette di salame sugli occhi.

    Anche tu, certo; anche tu come tutti travolto dalla tua vita: un fiume in piena, impazzito. Stravolto dal senso di vuoto che ti divora e ti impedisce di vedere qualsiasi altra cosa che non sia lui.

    Non sai più reggerti in piedi. Non da solo.

    Ma sei solo.

    Avresti bisogno di stampelle per reggerti; le persone a te più care hanno cercato di fornirtele; come potevano, ovviamente; come sapevano. Ti hanno procurato un nome, un numero di telefono. E che pretendevi, che loro si facessero carico di quella croce che tu per primo ti rifiuti di portare? Volevano solo aiutarti. Aiutarti a comprendere, e accettare che sei tu che a tutti i costi vuoi considerare una croce quella che è solo una momentanea difficoltà, una fase della vita.

    Depressione, ha sentenziato lo psichiatra dall’alto della sua scienza medica. Sei convinto che a quelli che ti avevano indirizzato a lui ha aggiunto grave, ma a te no, si è ben guardato dal farlo. Può essere controproducente dirlo in faccia a un paziente.

    Depressione… al momento di congedarti, con un sorriso che voleva essere rassicurante e una stretta di mano virile ma non troppo, ti ha consegnato due foglietti: la parcella e la prescrizione del rimedio miracoloso. Arricchito dai migliori consigli, peraltro gratuitamente elargiti:

    Sia costante nel prendere la medicina: è di vitale importanza che lei non rifiuti

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