Lo specchio dell'uomo: Frammenti greci sul vino
Di AAVV, Stella Sacchini e Adrian Bravi
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Lo specchio dell'uomo - AAVV
AA.VV.
Lo specchio dell'uomo. Frammenti greci sul vino
titolo: Lo specchio dell’uomo. Frammenti greci sul vino
a cura di: Stella Sacchini
© 2016 Armillaria
I edizione Armillaria - luglio 2016
Progetto grafico: Armillaria
isbn 978-88-99554-10-1
armillaria.org
armillariaedizioni@gmail.com
Armillaria è un progetto di
Mara Bevilacqua & Manlio Della Serra
ISBN: 9788899554101
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)
un prodotto di Simplicissimus Book Farm
Indice
Il dio che fa dimenticare gli affanni
Nota all'introduzione
Nota della curatrice
Lo specchio dell'uomo
Un altro bere
Le disavventure e i rattristamenti di Nino Paletta
Biografie degli autori
Ringraziamenti
V
Lo specchio dell'uomo
Frammenti greci sul vino
a cura di
Stella Sacchini
Prefazione di
Paolo Mazzocchini
Postfzione di
Yann Grappe
Con un racconto inedito di
Adrián N. Bravi
Il dio che fa dimenticare gli affanni
Il vino nel simposio greco
Il figlio di Semele […] trovò il liquido
tratto dall’uva e lo insegnò agli uomini,
bevanda che agli infelici mortali dona
requie dai mali, mentre li inonda il flutto
della vite e dona il sonno come
oblio di ogni pena del giorno:
unica medicina agli affanni.
Euripide, Baccanti
1. Proporre oggi, in una nuova traduzione, una silloge dei testi più rappresentativi della poesia simpotica greca è una iniziativa editoriale di indubbio significato culturale e storico-letterario. Nella letteratura greca – più che in ogni altra – il vino occupa infatti una posizione di indiscutibile rilievo. Nella grande fioritura lirica dell’età arcaica (fra il VII e il V secolo a.C.) e poi in quella – altrettanto vasta – dell’epigramma ellenistico, il tema del vino è molto frequente, talora centrale: nella poesia di Alceo e di Anacreonte, prima, in quella di Asclepiade, Posidippo, Meleagro e diversi altri, poi.
Il vino è al centro di questa poesia per il semplice motivo che era al centro dell’occasione prima e principale per la quale essa veniva composta e durante la quale era eseguita: il simposio. E il simposio era a sua volta il cuore della vita sociale e culturale dell’età delle pòleis. Nel simposio, secondo l’etimo stesso del termine, si beveva insieme dando seguito a una riunione conviviale tra invitati: rimosse le vivande della cena, si lasciava spazio agli stuzzichini dolci o salati che dovevano favorire l’assunzione del vino, abbondante ma non smodata, sottoposta alle regole stabilite da un personaggio (il simposiarca) eletto o sorteggiato ad hoc proprio per governare ordinatamente la festa, per evitarne le potenziali degenerazioni.
Al centro fisico e simbolico del simposio, attorniato dai triclini dei convitati (tutti disposti in maniera che ciascuno potesse rivolgersi agevolmente a ciascun altro), era il vino, contenuto in un grande recipiente, il cratere, decorato e dalla larga imboccatura cui si attingeva. Il vino contenuto nel cratere però non era puro ma – come indica il significato stesso del contenitore – era mescolato, tagliato più o meno generosamente con acqua. Questo perché il vino degli antichi greci era molto alcolico: una modica quantità sarebbe bastata per ubriacare subito una persona. E l’ubriacatura estrema era un eccesso barbarico che si voleva, quanto più possibile, contenere o almeno ritardare. Il simposio infatti voleva essere un momento rituale, festoso e culturalmente qualificato della socialità greca: che talvolta potesse (come testimoniano varie fonti) finire in una sbronza collettiva o addirittura in una rissa era possibile, ma non certo auspicabile, e dipendeva spesso dal carattere e dalla levatura sociale e culturale dei partecipanti. Sì, perché il simposio era diffuso tra varie categorie e classi sociali, ma non era di norma un’occasione di incontro ‘interclassista’: gli invitati, esclusivamente maschi, erano amici appartenenti allo stesso ambiente e allo stesso rango. In questo senso il simposio non promuoveva certo nuove conoscenze, ma per lo più serviva a controllare e a consolidare i legami interni a un gruppo o ad una cerchia. I simposi descritti da Alceo, per esempio, sono ultra-esclusivi: non solo perché erano rigorosamente riservati agli aristocratici, ma perché quegli aristocratici appartenevano tutti alla stessa eteria, alla stessa consorteria politica in lotta contro altre della stessa città.
Il simposio, aristocratico o plebeo che fosse, era punteggiato di consuetudini e di gesti convenzionali e ritualizzati: dall’offerta preliminare del vino a Zeus e ad altre divinità accompagnata dal canto corale del peana, al brindisi augurale con la stessa coppa passata di mano in mano verso destra a ciascun convitato, fino ai canti poetici, alle discussioni, alle danze, ai vari giochi di società che vi si svolgevano, tra cui quello molto praticato del còttabo. Il còttabo era una gara di abilità: i simposiasti, sdraiati sul triclinio, afferravano per una ansa la propria coppa semivuota e ne scagliavano il