Ombre che oscurano il futuro
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Anteprima del libro
Ombre che oscurano il futuro - Marco Coletti
Il viaggio
Paolo Di Giacomo, come ogni mattina, va verso la fermata della metropolitana che lo porterà al lavoro, come fa da anni in modo quasi automatico. Le lamiere che stridono indicano l’arrivo del mezzo, accompagnato dalla voce metallica e atona che ne indica la destinazione. Una volta all’interno, il rumore copre ogni altro pensiero che affiora nella mattinata di un inverno grigio e freddo. Stretti l’uno all’altro, gli assonnati passeggeri sembrano fantasmi lontani ed evanescenti; a rendere la scena ancora più surreale solo le loro protesi collegate ai cellulari e i loro sguardi vacui, persi in un mondo virtuale che come un buco nero divora la realtà. Come esseri invisibili, uomini e donne, ormai non più tali bensì scarti d’umanità, si aggirano lungo i vagoni chiedendo senza esito alla folla noncurante un contributo alla sopravvivenza giornaliera.
Paolo osserva come al solito le fermate, sempre uguali e monotone, cercando un qualche accenno di cambiamento, mentre si concentra su come posizionarsi per riuscire a scendere senza essere ostacolato o travolto fra improperi e bestemmie.
Da tempo ha rinunciato a usare l’automobile, perché nella grande metropoli le lunghe code e l’affollamento delle strade gli provocavano continui attacchi di panico, e così, fra le due torture dell’epoca moderna, ha scelto quella che più si adatta alla sua personalità e lo deresponsabilizza nel percorso dal prendere anche la più banale delle decisioni, in fondo è il macchinista che lo conduce alla meta. Ogni giorno pensa che questo percorso nella sua malata monotonia appare identico e immutabile, eppure segna il trascorrere implacabile del tempo; ogni giorno è in viaggio e ha una meta, ma non per questo ha perso il desiderio di chiedersi quale sia il senso finale di tutto questo e in quale risultato possa sperare. A lenire il malessere c’è il suo compagno di viaggio, lo Xanax, che per Di Giacomo è come una pozione magica che uno sciamano illuminato ha inventato, anche se deve moderarne l’uso per mantenere il livello di lucidità di cui ha bisogno ogni giorno per non capitolare.
Il viaggio sta per volgere al termine e la sua solita routine sta per iniziare. L’ultimo pensiero è per i gruppi rumorosi e allegri di turisti per i quali la metropolitana rappresenta un momento di gioia e di svago, infatti felici osservano le cartine delle fermate come se fossero opere d’arte.
La percezione delle cose per noi esseri umani cambia col mutare delle situazioni, Paolo è sicuro che dentro le metropolitane delle loro città il grado d’infelicità che sentono le persone è pari al suo.
L’età dell’illusione
Mentre percorre a piedi il tratto che lo separa dalla stazione della metro al suo ufficio, Di Giacomo ricorda il periodo lontano della gioventù. C’è stato un momento della vita in cui il passato era una nebulosa poco esplorata, il presente un tempo sospeso senza fine, e il futuro un pozzo senza fondo d’infinite possibilità. In questo non-tempo l’amore era eterno e istantaneo, il bene e il male due entità chiaramente distinte, e il mondo poteva cambiare con poco, bastava avere la giusta ideologia.
Gli insegnamenti erano precisi: il dovere, la difesa dei più deboli, la costruzione di una società più giusta per tutti che ci accoglierà fra le sue braccia. In questo contesto ognuno avrebbe potuto contribuire all’inarrestabile progresso del mondo.
Non sembrava importante da quale classe sociale si provenisse, tutti avrebbero potuto con un po’ di buona volontà accedere alle loro vocazioni e alle tante opportunità che come i fiori in un campo bastava cogliere, sforzandosi soltanto un po’.
Certo qualche pecca si riscontrava guardando o ascoltando i mezzi d’informazione − guerre, carestie, regolamenti di conti fra etnie −, ma tutto appariva lontano da questo lucente mondo occidentale dichiarato centro della cultura e della civiltà e culla di ogni diritto.
I piccoli intoppi di vita erano dati dall’abbandono amaro che generano gli amori precoci, dal senso della morte che la scomparsa prematura di qualche compagno fa affiorare, dai divieti dei genitori su questioni ritenute banali come andare a ballare un sabato sera. Ma tutti questi e altri eventi non bastavano a scalfire la fiducia nel futuro, un futuro luccicante.
L’ufficio
Con una lenta andatura, Di Giacomo si avvia verso il luogo dove lavora da quasi vent’anni. Il solito palazzo austero dell’Ottocento, un po’ carente come manutenzione, i soliti riti ripetuti all’infinito, imperturbabili a ogni cambiamento, lo attendono. Qualsiasi modifica avvenuta nel tempo, tecnologica, gerarchica o politica, non scalfisce le abitudini degli abitanti del palazzo: come camaleonti sono addestrati a mimetizzarsi e a riemergere, annullando ogni tentativo di rivisitare il sistema.
Oggi per Paolo dovrebbe essere un giorno particolare, oppure no. Incontra per l’ennesima volta un nuovo amministratore delegato, eppure non può fare a meno di sentirsi invadere da quell’ansia sottile che gli crea un senso di disagio, e come uno studente nel primo giorno di scuola si chiede quali domande gli porrà, se gli farà una buona impressione, se sarà all’altezza dei compiti che gli chiederà. Eppure sono anni che fa quel mestiere, e nelle precedenti occasioni ha scoperto che qualcuno dei suoi predecessori ne sapeva anche meno di lui.
Con queste meste considerazioni entra in ascensore e non può fare a meno di guardare la sua immagine riflessa nello specchio. Quello che osserva è un uomo di mezza età, pallido e in sovrappeso.
L’uomo in questione è chiuso in un abito ordinario, il nodo della cravatta non proprio come quello previsto dai canoni. Lo si potrebbe definire un comune travet. D’altro canto non ha mai prestato troppa attenzione all’immagine, anche se molti suoi capi e colleghi glielo hanno accennato, testardamente ha sempre sostenuto che quello che conta nelle persone è la sostanza, ma nella nuova era nella quale il mondo sta entrando è stato assalito dal dubbio che la sua ferrea convinzione stia perdendo terreno ogni giorno di più.
«Buongiorno dottor Di Giacomo» lo accoglie con la sua solita voce stridula la sua segretaria.
«Buongiorno Diana, tutto bene?»
«Diciamo di sì, ho un po’ di mal di testa.»
«Mi spiace…»
«A proposito, dottore, come sa, le ricordo che ha un appuntamento con il nuovo amministratore dottor Buonconsiglio fra quindici minuti. »
«Sì, sì, me lo ricordo.»
«Sa, sono veramente curiosa di capire che tipo sia. Con l’ultimo amministratore che abbiamo avuto non ci siamo poi trovati così male. Speriamo che il futuro non ci riservi sorprese.»
«Lo spero anch’io, comunque come sempre dobbiamo utilizzare il nostro spirito di adattamento in tutte le situazioni.»
Poco dopo Di Giacomo si reca all’appuntamento, accompagnato da un senso di disagio crescente che lo attanaglia. Forse avrebbe dovuto seguire i consigli di chi gli suggeriva di praticare corsi per aumentare l’autostima, anche se in verità a questo tipo di pratiche non ci ha mai creduto.
La stanza dell’amministratore è all’ultimo piano del palazzo e naturalmente si distingue per l’ambiente ovattato e lussuoso che la caratterizza.
Paolo entra timidamente in segreteria.
«Buongiorno, sono Di Giacomo, ho un appuntamento con…»
La giovane segretaria, che per i misteri della psicoanalisi si è immedesimata nel suo capo, senza guardarlo risponde seccata: «Sì, prego, si accomodi.»
Non può biasimarla, nella sua esperienza tutte le segretarie degli amministratori hanno modi spicci e toni autoritari, evidentemente il processo di autoidentificazione con l’autorità serve a creare le difese per preservare quella che credono sia la diversità del loro ruolo rispetto ai comuni dipendenti.
«Venga, dottore!» esclama Maurizio Buonconsiglio.
L’uomo di fronte a lui è alto, curato nell’aspetto, ha un abbigliamento di pregio. Il classico uomo di successo che non ha incontrato molti ostacoli nella vita, profondamente disinteressato al prossimo ma profondamente impegnato a utilizzare modi suadenti per far credere all’interlocutore di turno di essere al centro del suo interesse. Tutto questo fin quando non è necessario cambiare atteggiamento nel momento in cui la persona per qualsiasi motivo deve essere messa ai margini del sistema.
«Innanzitutto, dottor Di Giacomo, posso chiederle se gradisce un caffè?»
«No, la ringrazio molto, in genere ne prendo solo uno al mattino.»
«Bene! Un salutista. Dunque, dottor Di Giacomo, dai miei appunti − sa, sono appena arrivato e sto incontrando tutti gli uomini che fanno parte della mia prima linea − mi risulta che lei abbia un’anzianità di circa vent’anni e che abbia percorso tutta la sua carriera all’interno. Oggi è il nostro direttore finanziario. Una carriera interessante, anche se fra le note non proprio positive spicca una scarsa inclinazione ai cambiamenti.»
«Vede, dottor Buonconsiglio, non è che non mi siano capitate delle occasioni all’esterno della società in questi anni, ma ho preferito privilegiare la continuità e puntare ad avere come punto di forza la conoscenza pluriennale di quest’organizzazione.»
«Bravo! Ineccepibile come risposta, mio caro Di Giacomo, ma mi permetta di teorizzare che si potrebbe anche intuire l’esatto contrario, e cioè che quest’organizzazione le è servita come rifugio dalle sfide esterne, diciamo una specie di ancora di salvezza.»
«Mi scusi, dottor Buonconsiglio, non vorrei apparirle rude, ma preferirei spostare la discussione sui risultati che ho ottenuto in questi ultimi cinque anni, cioè da quando sono stato promosso nella mia attuale posizione di direttore finanziario.»
«Quanta fretta, mio caro dottor Di Giacomo, sembra quasi che lei abbia la necessità immediata di avere conferme positive sul suo operato a prescindere dai tratti della sua personalità, che sono poi l’oggetto principale di questo colloquio.»
«No. Vede, io… non volevo proprio dire quello che ho detto… Insomma, avrà avuto modo di esaminare i documenti che ho prodotto in questi anni: report, bilanci, l’andamento finanziario dell’azienda, le svariate relazioni nei momenti critici per i suoi colleghi che l’hanno preceduta…»
«Ma certo che li ho visti ed esaminati! Per chi mi ha preso? Non credo sia necessario ricordarle che nella mia carriera la prima cosa che ho fatto, ogni volta che sono entrato in una nuova realtà, è crearmi un quadro chiaro e definito dell’operato delle risorse ritenute chiave
nell’ambito aziendale. Questa, in particolare, è un’azienda strategica per il nostro paese e ognuno di noi è chiamato a fornire un apporto considerevole per mantenerla sana ed efficiente e per garantire il suo costante sviluppo nel tempo.»
«Ma dottor Buonconsiglio, dall’analisi di tutti gli indicatori lo stato della nostra impresa risulta più che soddisfacente e per quanto riguarda lo sforzo che compiamo ogni giorno per il paese…»
«Sì, capisco ma non è con la solita retorica che possiamo giungere al focus della questione. Lei dovrebbe sapere, come persona ben informata quale ritengo lei sia, che il mondo attraversa profondi cambiamenti sociali, tecnologici e così via, e questo non può non ripercuotersi sulla nostra attività. Riprodurre i nostri modelli comportamentali rischia di soffocare la dose di innovazione necessaria a questa azienda per affrontare i suoi concorrenti. Dunque dobbiamo aprire le nostre menti ed essere pronti a nuove sfide e a costanti cambiamenti.»
«Se è questa la sua visione, dottor Buonconsiglio, mi consideri pronto a recepire qualsiasi nuova direttiva, avrà la mia più ampia disponibilità in tal senso.»
«Ecco, Di Giacomo, ha toccato il punto cruciale. Nella sua posizione non può esserci una persona che recepisce ed esegue direttive, ma vi è la necessità di una figura che elabori autonomamente nuove vie da percorrere e le proponga, convincendo tutti della bontà delle sue intuizioni.»
«In sostanza sta dicendomi che sono inadeguato…»
«Inadeguato! Che parolone! Non immaginavo fosse anche permaloso. Non drammatizzi la situazione. Le sue competenze al momento non comprendono gli strumenti sofisticati con i quali ci confrontiamo. Pensi all’intelligenza artificiale, ai robot advisor, agli algoritmi contenuti nei nuovi data base. In fondo lei ha superato abbondantemente i quarant'anni, comunque io penso che ancora possa dare degli importanti contributi a questa organizzazione, naturalmente cambiando l’attuale posizione.»
«Una nuova posizione? E quale? Sono