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Storie monodose: 17 racconti
Storie monodose: 17 racconti
Storie monodose: 17 racconti
E-book114 pagine1 ora

Storie monodose: 17 racconti

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Info su questo ebook

È possibile somministrare le storie a piccole dosi, quasi che fossero una terapia da assumere
giornalmente? L'autrice pensa di sì, riconoscendo al potere dell'immedesimazione un valore catartico.
17 racconti dove osservazione e immaginazione sono impastati per mostrarci qualcosa di noi stessi,
origliando nelle vicende degli altri.
E così ci si può purificare dalle nevrosi, attraverso gli inciampi di Dante; o dall'incontinenza alimentare con Giacomino; dalla noia di una coppia che viaggia sull'ottovolante della routine matrimoniale, ma anche dalla tentazione del razzismo, pagata cara da Renato, o dall'ombra incombente di una catastrofe ambientale, col mondo che tenta di riemergere a dispetto dell'ottusità del genere umano.
LinguaItaliano
Data di uscita24 mar 2023
ISBN9788869634413
Storie monodose: 17 racconti

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    Storie monodose - Barbara Orlacchio

    Barbara Orlacchio

    STORIE MONODOSE

    17 Racconti

    Elison Publishing

    © 2023 Elison Publishing

    Tutti i diritti sono riservati

    www.elisonpublishing.com

    ISBN 9788869634413

    Indice

    Ideali col pane

    Il cappotto rosa shocking

    L'inchino di S. Rocco

    Fa' come se fossi a casa tua...

    L'agenda di Dante

    La mosca nel bicchiere

    La vamp

    Il mondo risanato

    La tormalina nera

    Il ciabattino

    L'andamento della criptovaluta

    La patata interrata

    L'ingordo

    L'uomo nero

    Ottovolante

    Tommy

    Il pappagallo incenerito

    IDEALI COL PANE

    Tito guarda l’orologio dal cinturino smozzicato di similpelle blu: sono quasi le diciannove, ora convenuta per il ‘caffè politico’ coi suoi compagni del collettivo giovanile, al baretto appena cinquecento metri sotto Monte Sant’Angelo. Raccatta il suo zaino di microfibra azzurra, e anche due o tre penne Bic che qualche collega sciatto ha abbandonato sotto i sedili dell’aula informatica, nel plesso universitario di Economia. Qualcuno si è dimenticato pure di un ombrello pieghevole: lo raccoglie, col proposito di restituirlo qualora venga reclamato.

    Si dirige a lunghi passi verso l’uscita, misura il pavimento chiaro con gli scarponi scamosciati grossi come quelli di un contadino, scorre con gli occhi come in una pellicola imbizzarrita le decine di avvisi che giacciono impolverati sui mattoncini cretosi delle pareti ovoidali che giravoltano intorno al corridoio. Viene investito dal buio sopravveniente e dalle note tenute dei clacson; affretta il passo e intravede a distanza, in dispregio della miopia pronunciata, la combriccola dei coetanei che indugiano dinanzi al bar, infagottati nei loro piumini primaverili dai colori pastello.

          «Oh! C’è Titone, la nostra ‘mente'!» lo motteggia Bepy.     «Abbiamo letto l’articolo» chiosa Beatrice.

    A Tito scintillano le pupille sotto la montatura rettangolare: i suoi tre lettori partigiani rinfocolano ogni volta la sua ambizione a diventare giornalista, oltreché parlamentare. Per ora si satolla pubblicando gli editoriali del giornalino online Orizzonti europei, di cui è co-fondatore e co-direttore. 

    «Titò… domani c’è il convegno dei ‘senior’…» fa eco Marcello.

    «Le elezioni si avvicinano… il fratello di Bepy che sta nel listino offre il panuozzo a tutti… Naturalmente… fate propaganda in famiglia!»

    Tito adorava quelle occasioni conviviali, ove il suo talento politico riluceva sovrastando la modesta cultura raffazzonata dei ‘sentito dire' dei militanti giovanili. Scriveva e disquisiva come un oratore navigato: di respiro sovra-nazionale, di aborto, di dialettica politica-religione: ne era certo, se a qualcosa poteva porsi rimedio per raddrizzare una stortura, sarebbe stato anche per mano sua.

    L’indomani tiene banco al gazebo elettorale dei centristi acerbi: il candore dello scudo crociato che squarcia l’azzurro fluttua impazzito al vento alle sue spalle, mentre egli sembra voler ancorare al suolo col proprio corpo l’impalcatura della postazione degli ideali fulgidi. Elargisce volantini e sorrisi a trentadue denti. Esibisce le gengive pure a suo padre, che si trova a passare di là.

    Bettino lo vorrebbe caudatario di qualche politico di spicco: che se ne fa di ‘sti panuozzi? Se vuole 'perdere tempo’ con la politica, almeno si incanalasse appresso a ‘uno buono’! Il genitore è calcificato nel sopore che la sua sussistenza mediocre da seicento euro mensili del pensionamento anticipato per causa di servizio ha indotto nella pelata col riporto. Lo apostrofa sardonico: «Mo ci penso io!» e lo trascina abbrancato per il gomito, mentre Tito lascia ondeggiare via una scia di volantini come una risacca di foglie morte, scippata dal vento contrario dalle sue mani rapite.

    Bettino romba nelle orecchie del figliolo i suoi propositi clientelari: conosce il cugino del cognato dell’Onorevole, a cui ha venduto tempo fa una Fiat 500 giallo ocra, macinino inservibile destinato allo sfascio definitivo dalla guida del padre ultraottantenne dell’illustre congiunto.

    «E che gli vuoi mettere in mano?» aveva riso l’acquirente. E in quel riso ora Bettino ravvisava uno spiraglio di complicità, una promessa di apertura ai destini di suo figlio.

    Tito soffia aria dal naso, impermalito dal disonore ideologico a cui il papà lo vuole esporre. Ma Bettino è lanciato: rolla le sue congetture. Ammansirà le emozioni fatue dell’erede, accroccandolo dietro a uno che conta.

    «Ma papà, quello è di estrema destra! A me il fascismo mi fa schifo!» scuote la faccia livida per il disappunto.

    Il padre tira una schicchera alla sua alloccaggine: «Che ti ho fatto studiare a fare? Per fare il mangia-panuozzi?» batte il pugno sul tavolo di legno d’abete, piallato da lui medesimo.

    «Appunto perché mi hai fatto studiare! E poi… la Croce ogni volta che ti siedi a tavola che te la fai a fare, se poi dobbiamo leccare ‘sti fasci redivivi?»

    Bettino rotea le dita inarcate vicino alla tempia: «Fai funzionare ‘sto cervelletto morbido! Che se 'la Buonanima’ fosse ancora vivo… chissà!» dà la biada alla sua ucronia. Già se lo figura ritto e tosto nella nuova postura littoria.

    A Tito passa nel naso di soppiatto il profumo del caffè politico, soppiantato da un odore di bruciato che gli secca le narici. Eppure una volta suo padre non era così: se lo ricorda inneggiare alla Libertas, quando se lo portava sulle spalle a vedere i cortei della DC.

    Bettino combina il rendez-vous col cugino del cognato. Si trovano in un parcheggio dietro una fila di catorci, testimoni muti di quell’accrocco di idee e di parole. Il cugino incede tronfio verso di loro: la conoscenza tangenziale gli rimpinza l’ego. Bettino gli presenta il figlio: un poco lo schernisce quale caso umano: «Gli hanno inzeppato la testa di imbecillità!»; un poco lo raccomanda: «Sapete… ‘o guaglione non fatica: facimmole fa’ ‘nu poco di politica seria!»

    Il parcheggiatore abusivo che origlia la solita menata annuisce con la testa.

    Tito ascolta come se i due parlassero di qualcun altro: vorrebbe ritirare il collo dentro alle spalle come una tartaruga spaurita.

    Il cugino dà una pacca sguaiata sulla scapola di Bettino: «Maestro, non vi preoccupate! Io qua che ci sto a fare?» si gonfia e fa la ruota.

    Tito comincia a frequentare l’entourage dell’Onorevole. Arriva persino ad agguantare l’onore di portargli il caffè, nello studiolo col mobilio tarlato di radica di noce. Nella stanza olezza un profumo forte ai sentori d’inciucio.

    «Eh, figlio mio… ci aspettiamo grandi cose dalle nuove leve!» gli liscia la gota pallida con le dita grassocce deformate dall’artrite.

    Il suo cellulare squilla ogni tre minuti: posa gli occhi strabici sullo schermo, concentra le meningi sulla convenienza di schiacciare il tasto verde o quello rosso. Un cicisbeo tuttofare («A questo me lo sono cresciuto!») gli porta regalie di adulatori munifici: pure una busta di aragoste che puzzano di mare.

    «Sì, sì… metti là. Dopo vediamo.» Lo liquida scuotendo la manica annoiata di lino color tortora.

    «Vedi che m’è caduta l’agenda… iamm bell*!»

    Il lacchè la raccoglie, palpando inorgoglito la pelle fredda della copertina: gliela porge e ringrazia.

    Tito è stranito: è forse questa, la ‘politica vera’?

    «Ho letto qualche cosa che scrivi… il talento c’è, dobbiamo lavorare sui contenuti! Ti voglio presentare mia figlia Carmela: fammi ‘sto piacere, vedi di farla interessare un poco alla politica pure a lei, che sta sempre a rincretinirsi coi reality-show!»

    Gli combinano l’appuntamento.

    Tito si mette in tiro: la mamma gli ravvia la giacca scozzese dai fili Terra di Siena bruciata e verde oliva.

    Bettino rischia l’incontinenza urinaria per la commozione.

    «‘Sto figlio mio! Il mio orgoglio!» agita il pugno in aria e stringe le labbra.

    Lo devono accompagnare gli amici: in famiglia non posseggono un’automobile e, se va a piedi, a parte la figura magra il sudore sotto le fibre lanose è

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