Circospetti ci muoviamo: Genova 2001: avere vent'anni
Di Ivan Carozzi, Paola Ronco, Matteo Porru e
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Anteprima del libro
Circospetti ci muoviamo - Ivan Carozzi
Indice
TANTO PER RICOMINCIARE. INTRODUZIONE DI MICHELE VACCARI
PAOLA RONCO - LA PARTE DEL TORTO
IVAN CAROZZI - PIATTI PULITI
GIUSEPPE FABRO - L’APPUNTAMENTO
MATTEO PORRU - SE VIENE IL TEMPORALE
VALENTINA MAINI - UN’IDEA COME UN’ALTRA
DANIELE VICARI - NON
NDACK MBAYE - PER CHI RESTA
ORSO TOSCO - GADDA GADDA BOY
ROBERTA COVELLI - L’ECCEZIONE E LA REGOLA
VERONICA GALLETTA - ESONDAZIONE
NICOLETTA VALLORANI - IL CHIODO NEL TEMPO
UN MODO DIVERSO DI DIRE RIVOLUZIONE. POSTFAZIONE DI FEDERICO ZAPPINI
Circospetti ci muoviamo • ebook
isbn
9791280263247
Prima edizione digitale: luglio 2021
© 2021 effequ Sas
piazza Savonarola 11, Firenze
www.effequ.it
Facebook: effequ | Twitter: @effequ | Instagram: @effequ_ed
Questo libro:
Un’idea di
Silvia Costantino, Francesco Quatraro, Michele Vaccari, Federico Zappini
Casting & Editing
Michele Vaccari, Francesco Quatraro
Redazione, conversione digitale
Silvia Costantino, Francesco Quatraro
Comunicazione
Silvia Costantino
Immagine di copertina
Chiara De Marco
Artwork di copertina
Simone Ferrini
Ufficio stampa
Andrea Cafarella
Valentina maini è rappresentata da Oblique studio
Attenzione: la riproduzione di parti di questo testo con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma senza l’autorizzazione scritta dell’editore è vietata, fatta eccezione per brevi citazioni in articoli o saggi.
E ancora: i personaggi, i nomi e i soprannomi di questo libro sono immaginari, pertanto ogni riferimento a persone realmente esistenti o esistite è puramente casuale. I fatti storici e gli eventi narrati, nonché i marchi e le aziende citati hanno il solo scopo di conferire veridicità alla narrazione.
Questo è un libro indipendente, perché sgomita tra i colossi e prova a dire che c’è.
Vogliategli bene.
Circospetti
ci muoviamo
Genova 2001: avere vent’anni
a cura di Michele Vaccari
Autori e autrici:
Ivan Carozzi
Roberta Covelli
Giuseppe Fabro
Veronica Galletta
Valentina Maini
Ndack Mbaye
Matteo Porru
Paola Ronco
Orso Tosco
Nicoletta Vallorani
Daniele Vicari
Postfazione di Federico Zappini
What are the roots that clutch, what branches grow
Out of this stony rubbish? Son of man,
You cannot say, or guess, for you know only
A heap of broken images, where the sun beats,
And the dead tree gives no shelter
T. S. Eliot, The Waste Land
TANTO PER RICOMINCIARE
INTRODUZIONE DI MICHELE VACCARI
Michele Vaccari (1980) si occupa di editoria e comunicazione dal 1999. Ha ideato e diretto il Progetto Altrove per Chiarelettere ed è stato copywriter per Paramount Channel Italia. Nel 2019 è stato supervisore per la scrittura del progetto Making of Love, in uscita nel 2021 per Sky. Come autore ha pubblicato Italian Fiction (ISBN, 2007), Giovani nazisti e disoccupati (Castelvecchi, 2010), Delia Murena (Ad est dell’equatore, 2010), L’onnipotente (Laurana, 2011), Il tuo nemico (Frassinelli, 2017), Un marito (Rizzoli, 2018), Urla sempre, primavera (NNE, 2021).
Tràuma s. m. [dal gr. τραῦμα (-ατος) «ferita»] (pl. -i). – 1. In medicina, lesione prodotta nell’organismo da un qualsiasi agente capace di azione improvvisa, rapida e violenta: t. cranico; malattia da t.; subire, riportare un trauma. In ostetricia, t. da parto, quello sofferto dal neonato durante l’espulsione attraverso il canale del parto. 2. a. In psicologia e in psicanalisi, t. psichico, turbamento dello stato psichico prodotto da un avvenimento dotato di notevole carica emotiva. b. estens. e fig. Grave alterazione del normale stato psichico di un individuo, conseguente a esperienze e fatti tristi, dolorosi, negativi, che turbano e disorientano.
Lesione: quella prodotta nel mio organismo di ragazzo da un agente (molti agenti) che si è reso capace di un’azione improvvisa, rapida ma soprattutto violenta: terminologia nella sua accezione più negativa, lesione compiuta consapevolmente a fini di controllo, a servizio di un potere costituito; ma anche: il t. cranico che ha creato un suo habitat nella mia mente a tal punto da farmi sentire privo degli strumenti adatti per portare il t. al suo stato successivo, l’elaborazione. E di conseguenza: il t. psichico, prodotto da un avvenimento dotato di una così notevole carica emotiva da farmi reagire con grave alterazione ogni volta che mi venga di ragionare degli esiti, soprattutto giudiziari, di quei fatti tristi, dolorosi e negativi, che ancora oggi turbano, disorientano, producono una sensazione di costante fuori luogo, fuori dal mio luogo, uno spaesamento strettamente correlato all’ultima definizione, quella ostetrica: la sofferenza di chi si è sentito fin dall’inizio della sua giovinezza espulso, come rigurgitato, dal corpo sociale della madre Italia. In ogni definizione che ci restituisce Treccani di ‘trauma’, c’è dentro il G8. Manca t. collettivo, che è il sinonimo forse migliore, più esaustivo almeno, per raccontare davvero ciò che sembra essere restato in noi a distanza di vent’anni. Una lesione soprattutto narrativa che mi accomuna a molti miei coetanei fratelli di sorte. Ogni passaggio sintattico di quelle varie modalità di uso della parola ‘trauma’ può essere associato all’esperienza che ci ha fondato e a quell’omertà in cui lo Stato auspicava di confinarci, la reazione naturale agli orrori, agli errori commessi: più che trauma collettivo, una solitudine collettiva che ci ha atomizzato fino a renderci infinitesimali nel discorso pubblico, nella costruzione di un nuovo immaginario, nella creazione di una casa intellettuale condivisa cui richiamarci per non smettere di gridare il nostro dissenso rispetto a quanto successo. Il G8 ce l’ha fatta, ci ha spezzato, ci ha violentato, siamo diventati le vittime che volevano, e come vittime dei peggiori t. abbiamo affrontato la nostra esistenza, a bocca chiusa, soli, al cospetto di un avvenire cui abbiamo dovuto adeguarci, per la gioia di chi quel fato aveva concepito per noi fin dagli anni Ottanta, il bel destino di plastica e pensiero unico con cui ci hanno resi fragili al conflitto, ingenui all’antagonismo. Finalmente, con la globalizzazione, i governi, messaggeri delle multinazionali e dei mercati, riuscirono in quel tempo mai passato dove tutti noi fallimmo.
Lo sprone di tuffarsi ancora in quei giorni, per smettere di continuare a farlo e tirare fuori la testa dall’acqua per sempre, emerge forse da questa consapevolezza: sono venuto al mondo come tutti, battezzato dal terrore, sono diventato uomo come tutti, battezzato dal terrore. Pur rischiando l’ennesimo, solito disastro emotivo, questa antologia era un’opportunità decisiva per uscire dalla dinamica della zona rossa perennemente invalicabile su cui ho inventato la mia età di oggi, una zona rossa che anche di recente è tornata in auge, a ribadire la natura sempreverde di certe dinamiche di pensiero del paternalismo statale. Dall’evenienza, in quanto curatore della silloge, iconicamente, egoisticamente, potevo trarre un beneficio massimo, imprescindibile: tornare a vedere la mia città dall’alto. Genova, ormai, per chi come me non aveva potuto scapparne essendo di qui per costituzione, era diventata una questione di sguardo all’ingiù, con la vergogna di chi, essendone figlio e cittadino, si sente anche responsabile e colpevole di qualsiasi cosa accada nel suo perimetro d’interesse. Un perimetro d’interesse che non ho mai del tutto sentito mio, a dire il vero, perché dopo quei tre giorni Genova non è stata più la mia città, ma la città di una generazione che qui ha trovato il suo prematuro capolinea.
Ogni volta che sono tornato con la memoria a quella stagione ho avvertito il bisogno di espiare questo peccato che, esattamente come quello originale, non ha logica e quindi possibilità reale di emendazione. Nel mio mestiere, però, scelto anche per questo proprio sul finale di quella zona d’ombra che poi sarebbe diventata il territorio d’elezione della mia esistenza, l’unica cosa che potevo fare era dare senso a ciò che fin dalle origini è il racconto, cioè testimonianza – non per forza verosimile, non per forza mimetica, per forza intima. Perché il costrutto narrativo, quando animato dall’onestà del dolore, è principio di un’accettazione che, in taluni casi fortuiti e da osannare, riesce a trattenere ai margini la paura, a svelare la forza inconscia di cui spesso perde consapevolezza la comunità; ma questo costrutto è impresso nel suo DNA, come una voce, un potere d’identità corale che ci appartiene, ed è la sola strada percorribile, perché l’unica in cui si può essere fianco a fianco con qualcuno che sappia tenerci stretta la mano una volta che le curve che presumibilmente si incontreranno rischino di condurci all’orrido.
Per riuscire ad aggiungere qualcosa nel presente, per andare oltre, dovevo, quindi, scappare dalle fredde parole anamnestiche, dai limiti di ciò che è razionale, perché erano tutti tentativi di evitare l’ostacolo, di spostare gli occhi da dove non volevano più guardare da una vita, dalle immagini, le istantanee del rogo quando non prevedeva superstiti. Dovevo tornare alle persone, alle fotografie degli sconosciuti che avevano loro malgrado prestato il corpo devastato al compito cui la Storia sembrava chiamarli, diventare strumento di verità: chi erano quei ragazzi? Che esseri umani sono diventati?
Circospetti ci muoviamo è diventato così un modo per rispondere a questa domanda, un tentativo di esempio, un modo per dire a chi leggerà: ognuno di noi è fondamento di comunità, andiamo a recuperarci, anche a costo di farlo uno a uno. È la comunità che può salvarti, quando non ce la fai col tuo piccolo e solitario cuore a sopportare ciò che hai subìto.
Quella in cui state per immergervi non è, quindi, una silloge con scopi taumaturgici o che si pone l’obiettivo di rimarginare le ferite. Se c’è una ragione in queste storie è da ricercare nella loro capacità di farci rendere conto. Per questo, forse, la maggior parte dei racconti che troverete in quest’antologia gravita intorno alla Piazza e guarda in faccia senza sconti a ciò che siamo diventati. Questa raccolta è una cruda serie eterogenea di novelle intorno al fuoco, al fuoco di quella Piazza e delle decine altre spesso dimenticate, storie piene di fantasmi, quelli imprigionati laggiù, quelli che ancora camminano ogni giorno intorno a noi, quelli che ci siamo illusi a credere vivi. Le molteplici narrazioni di questa raccolta hanno per scudiero l’angoscia, ma sanno andare fieramente contro i mulini a vento. Sono l’abisso di chi ha tatuate nelle pupille le immagini indelebili di allora, una marea di fotogrammi che vorremmo eliminabili, che ci ha reso tutti riproduzioni moderne di Orfeo, incapaci di voltarci per paura di essere trascinati di nuovo nell’oltretomba, con l’angoscia di chi è sopravvissuto a un eccidio e si è convinto che per certe cose non esistono seconde possibilità. Genova inferno Genova in eterno Genova sterminio Genova abominio Genova dominio Genova scongiuro Genova il suo stupro Genova dirupo Genova porta del millennio Genova Miss Italia 2001 Genova a perdere Genova cadavere Genova carcere Genova Marassi Genova di sassi Genova dei quartieri Genova sembra ieri Genova perché non mi ascolti siamo tutti scoppiati siamo tutti sconvolti Genova Litania Genova ti prego andiamo via Genova chi la dura Genova abiura Genova capitale europea della tortura Genova in ginocchio Genova malocchio Genova violenza di gruppo Genova sottosviluppo Genova cavalletta Genova in camalletta Genova filibustiera Genova per bene Genova manin Genova piccon dagghe cianin Genova facciamo la conta Genova piazza immonda Genova che affonda Genova corona d’alloro Genova medaglia d’oro della Resistenza Genova corona di Lauro Genova medaglia d’oro dell’indecenza Genova patrimonio dell’Unesco Genova mercimonio dell’arresto Genova pretesto Genova menzogna Genova Via Caffa Genova sommossa Genova zona rossa Genova zona arrossata Genova zona vergogna Genova zona gogna Genova zona fogna Genova la mia fotta Genova la nostra lotta Genova la sua canotta Genova il silenzio l’istante che si fa evento Genova la morte del Novecento Genova lo sgomento Genova Piazza Campetto Genova piazza il cassonetto Genova Piazza Caricamento Genova sfondamento Genova Campo di concentramento Genova labirinto Genova favola di molotov Genova favola di mele marce Genova di abbagli Genova di bersagli Genova di attacchi Genova di retromarce Genova di cori Genova corri o muori Genova mille colori Genova di Matteo di Beppe di Veronica Genova che scompare la domenica Genova etica Genova fortezza Genova tristezza Genova la storia fa il suo corso Genova di Nicoletta di Valentina di Orso Genova non c’è verso non c’è racconto Genova geografia Genova malinconia Genova Patatrac Genova di Roberta di Federico di Ndack Genova di fiele Genova di Ivan di Paola di Daniele Genova mai più di Michele Genova decàde Genova ade Genova ospedale Genova ventennale, Genova, per smettere di ritornare, Genova, tanto per ricominciare.
PAOLA RONCO LA PARTE DEL TORTO
Paola Ronco è nata a Torino nel 1976 e vive a Genova. Oltre a diversi racconti per antologie e riviste, ha pubblicato i romanzi Corpi estranei (PerdisaPop, 2009), La luce che illumina il mondo (Indiana, 2013), e insieme ad Antonio Paolacci è autrice della serie dedicata al personaggio di Paolo Nigra (Nuvole barocche, Piemme, 2019, vincitore del premio Nebbiagialla e in uscita in Francia per Rivages Noir, e Il punto di vista di Dio, Piemme, 2020).
Guarda le fotografie. Mettile in fila, posale sul tavolo, una accanto all’altra. Sono tre.
Vecchie di vent’anni, non abbastanza