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La felicità del disordine
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La felicità del disordine
E-book175 pagine2 ore

La felicità del disordine

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Info su questo ebook

“... Non c’è vita nell’ordine.
È vero che il disordine disorienta al primo impatto, ma subito dopo fa nascere la curiosità, l’accresce, spinge alla ricerca, mette davanti a un processo sottile di situazioni ingombranti che fanno decidere di buttare via qualcosa dell’accumulo che ci sta intorno.
La mente si attiva, le emozioni galoppano, l’incertezza fa vacillare per poi trovare il saldo non appena si ha tra le mani ciò che si cercava...”.

 
LinguaItaliano
Data di uscita3 ott 2019
ISBN9788868228361
La felicità del disordine

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    La felicità del disordine - Dante Maffia

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    DANTE MAFFIA

    la felicità

    del disordine

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Stampato in Italia nel mese di ottobre 2019 per conto di Pellegrini Editore

    Via Camposano, 41 (ex via De Rada) - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.it - www.pellegrinieditore.com

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    "Si tratta di giungere all’ignoto mediante il disordine di tutti i sensi".

    Arthur Rimbaud

    Il disordine è il progetto, comunque la inconsapevole preparazione alle sorprese che la vita darà per non restare nel pantano.

    Meditazione

    Questo libro non esisterebbe, se non avessi letto Il magico potere del riordino. Il metodo giapponese che trasforma i vostri spazi e la vostra vita. (Vallardi Editore). Mi sono sentito annientato, messo da parte, inizialmente tentato a credere che si trattasse di un gioco per intrattenere il lettore e metterlo davanti alla frenesia della quotidianità diventata ormai irrefrenabile, ma via via che m’inoltravo nella lettura mi rendevo conto che invece gli intenti, magari inconsapevoli, erano altri: sociologici, perfino politici. Rimasi un po’ male per la mia dabbenaggine, per non avere saputo immediatamente cogliere l’essenza di un percorso che probabilmente non partiva con finalità aberranti, che magari era stato pensato in buona fede, ma che, secondo il mio modo di essere e di pensare, poteva portare dei danni, ingenerare una sorta di moda forsennata visto che tutti, ormai, abbiamo le case affastellate di quadri, di ninnoli, di oggetti portati dai viaggi o ereditati dai genitori, dai nonni e dai bisnonni. In fondo riempiamo i muri delle case di mensole per colloquiare con i ninnoli a cui abbiamo legato un ricordo, un’avventura, un accadimento piacevole.

    Dopo lo smarrimento, direi la paura di vedere migliaia di casalinghe in fila alle discariche per buttare statuine preziose, piatti dipinti, biancheria ricamata e vasi di porcellana o di cristallo di Boemia, ho messo la mano alla fronte e mi sono detto: "No, non è possibile che accadano cose simili, bisogna opporsi, almeno prospettare altra situazione, dimostrare che non è proprio così come è detto nel libro della Kondo, che ci sono risvolti diversi, che i ‘consigli’ dati con perentorietà sono perniciosi e pericolosi e perciò necessita che appaia l’altra faccia della medaglia.

    No, no, nulla in contrario al libro in sé (ognuno fa il suo gioco), e nulla contro l’autrice, alla quale devo il riaccendersi di una meditazione che per lungo tempo era rimasta dentro di me riguardante il tema affrontato. Ma non posso fare a meno di cominciare a pensare al motivo per cui libri simili riescono ad avere un successo spropositato.

    Alcuni sostengono che vengono scritti dopo accurate indagini sulle aspettative dei lettori. Si tratta di manuali insinuanti, insomma di vendere, in qualche modo, un’idea che però deve tramutarsi subito in sistema di vita; altri dicono che qualsiasi offerta alle casalinghe che faccia balenare di renderle più libere, che le alleggerisca di pesi millenari, trova l’adesione più totale. In fondo, sostiene mio nonno, è come prepararsi all’uscita di scena, rendersi leggeri per entrare agevolmente nella bara senza l’assillo di avere lasciato ingombranti cose e inutili.

    Già, i lettori di libri simili sono in genere persone legatissime agli oggetti e proprio per questo prendono come un dono il consiglio di liberarsene: facendolo ottengono la felicità. Vi rendete conto? La felicità soltanto perché due tre quattro o cinque dozzine di cianfrusaglie, di panni, di valigie rotte e di pentole fuori moda fanno un po’ di spazio negli armadi, nelle mensole, nella cantina o nel garage.

    Comunque una cosa adesso mi appariva chiara: se si adopera il tono tribunalizio, la fermezza senza tentennamenti, se si afferma senza dare spazio a osservazioni o a rifiuti, in genere si ottengono dei risultati direi magici. La gente ha bisogno di despoti per ritrovare il se steso perduto o accantonato.

    Spazio

    Il mio amico Francisco Hernandez, grande pittore andaluso allievo di Picasso, direbbe che il successo si ottiene con la furbizia degli zingari che durante le fiere nei paesi di provincia propongono miracoli per le guarigioni da brutte malattie o propongono filtri d’amore infallibili per piegare le donne recalcitranti al matrimonio.

    Alle tante domande che mi sono fatto e rifatto subito si sono aggiunti altri quesiti: perché mai dovrei liberarmi, secondo il consiglio che sembrerebbe più un comando, di vecchie foto, di libri mai letti, delle statuine acquistate da mio nonno in Africa alla fine dell’Ottocento o dei manifesti del Teatro San Carlo di Napoli che mio padre ha collezionato con scrupolo e zelo perché affascinato dalle immagini e soggiogato dai grandi nomi della lirica? Qual è il motivo per cui dovrei fare spazio nella mia vita liberandomi delle pipe di zio Francesco alcune delle quali realizzate da lui stesso e la maggior parte acquistate durante i suoi lunghi viaggi per l’Africa e per l’Asia?

    Lo spazio?

    Lo spazio si è sempre trovato quando le cose si amano e riescono a trasmettere emozioni. E poi, a cosa esattamente dovrei lasciare posto? Cosa accadrebbe se i milioni di lettori di questo libro allo stesso momento decidessero di mettere in pratica i consigli dell’Autrice? Il mondo diventerebbe una cloaca massima, una discarica colossale e senza una ragione plausibile, una qualche giustificazione che possa spiegare il senso di una sorta di moda (altro non sarebbe) che vuole, come sempre vogliono le mode, assecondare un capriccio. Insomma, il trionfo del come e non del perché, il trionfo della logica del gregge, come quella per esempio che oggi infesta e sciupa i corpi di belle ragazze e di bei ragazzi con tatuaggi volgari e invasivi, direi invadenti, di cui nessuno, assolutamente nessuno, sa dare un minimo di ragione. L’ho chiesto a tantissimi, anche anziani, non solo agnellini al pascolo, e al massimo ho ottenuto le spallucce e un impacciato sorriso. Nessuno ha avuto il coraggio di fare ricorso all’estetica, di affermare che i tatuaggi rendono più bella la persona

    Come e non perché (successo immeritato)

    Mentre riflettevo su queste cose, mi sono concentrato sul titolo e la mia attenzione, ovviamente, è stata subito rapita da magico, potere e metodo.

    A tutta prima ho pensato che l’ardito accostamento tra magia e scienza (la prima antenata mai estinta dalla seconda) fosse una geniale trovata di marketing e che gran parte del successo fosse attribuibile, come spesso avviene, allo stratagemma del titolo.

    Fin qui, tutto normale. Ho smesso quasi subito di pensarci, dedicandomi alla lettura di testi di poesia che ho sempre sentito come disordine capace di compendiare i travagli interiori e di renderli duttili e malleabili, capaci di cancellare il disordine dell’angoscia portandolo a una sublimazione che diventa possibilità di esistere oltre l’attimo, di trovare accoglienza e comprensione umana. La poesia come travaglio che suggerisce l’infinito, che fa sentire vivi e fuori dalla morsa del compiuto, dell’ordine stabilito anche nel sentire, nei sentimenti, nelle emozioni.

    Per molto tempo, poi, non ho più pensato al libro della Kondo, anche se mi era rimasto un soffio di strascico d’irritazione nei suoi confronti per certe proposte che, chissà perché, mi davano il sentore di una educazione ricavata da esperienze di caserma o comunque da convinzioni dogmatiche.

    A farmelo venire in mente è stata la rilettura di un classico della letteratura mondiale: 1984 di George Orwell. I miei occhi si sono letteralmente inchiodati su una frase: Capisco COME non capisco PERCHÉ.

    Winston, il protagonista del libro, sa di vivere in un mondo in cui il potere può decidere di riscrivere il passato, di influire sulla memoria affinché questa dimentichi e possa essere formattata nuovamente per altri contenuti. Winston capiva, lavorando lui stesso per il Potere alla riscrittura di vecchi articoli da giornale, come questo fosse possibile. Ma non a quale fine, non perché qualcuno, che è già al potere, si dovesse prendere la briga di cancellare il passato per riscrivere la storia.

    Capire come, ma non perché. Questa è la domanda che ha portato Winston a schierarsi involontariamente contro il Potere e a subirne le atroci ritorsioni, con tanto di torture psicofisiche, lavaggio del cervello e minacce fino alla riabilitazione e alla completa accettazione dello status quo.

    Come, non perché.

    Ecco, allora, che sono tornato a ragionare sui motivi del successo del manuale della Kondo che, di nuovo come tutti i manuali, spiega come (metodo) magicamente (senza sforzo, senza domande) riordinare la propria vita, liberandosi di tutto quanto reputato inutile (ma da chi?).

    Ancora una volta: come, non perché.

    Nessun bambino (nessun bambino e nessuno di noi in realtà) di fronte al trucco di un mago si chiede perché lo faccia. La sola domanda che ci viene è: come ha fatto?

    Ecco che allora ho davvero capito cosa mi avesse colpito la prima volta che lessi il metodo: viviamo sotto un incantesimo per il quale qualunque attività, avvenimento, pensiero finisce con l’essere classificato sotto l’etichetta del come. Come faccio a diventare più sano, più bello, più ricco, più giovane?

    Dalla pubblicità e dal marketing noi sappiamo sempre esattamente come fare qualunque cosa desideriamo. Quello che non facciamo mai è chiederci perché.

    Sarà un caso che Winston sia rimasto vittima di questa sola domanda? Perché.

    Il Potere (o meglio i poteri: economico, finanziario, politico, religioso) non ha in realtà bisogno di esplicitare i perché (ciò vorrebbe dire mettere in discussione l’esistenza stessa del Potere) del suo essere. Ciò di cui ha bisogno è distrarre, fare in modo che siano i sudditi a voler fare una determinata cosa, senza che loro apparentemente usino forza o violenza. I social network ne sono l’esempio migliore.

    La magia funesta (del potere)

    Il Potere sa come vi chiamate, dove abitate, cosa pensate, cosa vi piace, cosa no, dove siete sempre, dove passate le vostre vacanze. Il Potere è il mago che vi fa sempre chiedere come, mai perché.

    Il Potere progetta e asseconda le mode se gli fanno comodo, le più cretine, quelle di cui nessuno (neppure il Potere stesso, saprebbe dare una spiegazione, dire un motivo, appunto un perché). Prendiamo quella che adesso ha sfregiato migliaia, centinaia di migliaia, milioni di volti bellissimi, di fondo schiene deliziose, di cosce meravigliose: i tatuaggi!

    Possibile che tutti tesi a diventare belli, arricchendo palestre e cliniche della bellezza, professori di estetica e case farmaceutiche, a un certo punto abbiano accettato di far diventare il proprio corpo spezzoni di muri di periferia che una volta servivano per realizzare i murales? Con la differenza che almeno i murales, di origine politica o di altra origine, erano clorati, in qualche modo davano allegria a guardarli.

    Oggi sono sempre più visibili i segni di un’insoddisfazione di massa che porta (populisti o no) a chiedere più efficienza, più ordine. Lo Stato non può garantirlo e delega il singolo o, in alternativa, lo porta a

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