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Coincidence: Le regole del caso
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Coincidence: Le regole del caso
E-book247 pagine3 ore

Coincidence: Le regole del caso

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Info su questo ebook

Madison Davis ha sempre programmato tutto nella vita e ha sempre saputo in che direzione andare. Ora sta per sposarsi con l’affascinante neurochirurgo Dawson con cui è fidanzata dai tempi del college, ha un lavoro prestigioso in una delle più importanti case editrici di Orlando ed è in corsa per diventare caporedattrice. Ma la sua vita apparentemente perfetta viene sconvolta quando Dawson rompe il fidanzamento a un passo dalle nozze, lasciando Madison nello sconforto più totale. Mentre la sua vita sembra andare completamente alla deriva, ecco che entra in gioco il destino, prendendo le sembianze di William Cooper, un suo collega con il quale è in competizione per ottenere la promozione, ma del tutto opposto alla personalità ordinaria ed equilibrata di Madison. L’avvicinamento tra i due permetterà alla giovane donna di mettere in discussione non solo la sua vita professionale e sentimentale ma anche se stessa.
LinguaItaliano
EditoreBookRoad
Data di uscita15 mar 2023
ISBN9788833226576
Coincidence: Le regole del caso

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    Anteprima del libro

    Coincidence - Alessia Conte

    Prologo

    Vi siete mai fermati a riflettere su quanto la nostra vita sia dettata dalle coincidenze?

    Semplici scherzi del destino, inaspettati incidenti di percorso.

    Per puro caso incontriamo persone che si rivelano poi essere i nostri futuri migliori amici, o perfino coloro con cui passeremo il resto della vita.

    Una strada sbagliata, un incontro casuale, un’intuizione fortuita, un tempismo perfetto nella sua imperfezione che ci permette di trovarci nel posto giusto al momento giusto. Un minuto di ritardo del treno, una nuova assunzione, un viaggio inaspettato, un incontro di sguardi apparentemente insignificante.

    La verità è che, nonostante i nostri sforzi di programmare il futuro, la vita ci sorprenderà sempre, ci coglierà impreparati, facendo crollare la linearità delle nostre esistenze.

    Potremmo provare a programmare il nostro futuro, a disegnare la nostra esistenza, ma a quale scopo?

    Forse cerchiamo di avere tutto sotto controllo semplicemente per un senso di sicurezza, per evitare la sofferenza. Crediamo di poter sfidare la fatalità degli eventi, ma la verità è che nonostante la nostra furbizia, la nostra astuzia, la partita contro il caso avrà sempre uno e un solo vincitore.

    E, quando ti ritrovi a un bivio inevitabile, che cosa sceglierai? Ti atterrai assiduamente al tuo programma per evitare ogni sofferenza, oppure ti lancerai nell’ignoto senza sapere che cosa ti aspetta dall’altra parte?

    La nostra vita è condotta dal caso, in una scacchiera di imprevisti, di incontri e di scoperte, e Madison Davis stava per toccare con mano quanto il caso, quando vuole, è sorprendentemente imprevedibile.

    1

    Madison Davis non aveva mai lasciato nulla al caso.

    Fin da bambina le sue idee erano state limpide, cristalline, studiate in ogni minimo e insignificante particolare. Sapeva esattamente quale piega avrebbe dovuto prendere la sua vita e aveva fatto di tutto per far avverare i suoi pronostici.

    Ora, a ventisei anni, Madison aveva concretizzato ogni sua aspettativa, dal lavoro dei suoi sogni in una delle più prestigiose case editrici di Orlando, fino al matrimonio in arrivo con Dawson, il suo unico e primo amore, famoso neurochirurgo del North Carolina.

    Madison Davis si poteva definire cinica, calcolatrice, precisa in una maniera quasi maniacale, nulla sfuggiva al suo controllo e nulla oramai era in grado di sorprenderla.

    Qualsiasi cosa accadesse nella vita di Madison Davis era voluto, calcolato e studiato, come se la piccola Madison nei primi giorni della sua vita si fosse messa alla scrivania, disegnando con una matita tutto il suo futuro, in una sorta di architettura quasi diabolica per la sua precisione.

    Quell’anno inoltre era in lizza per il posto di caporedattrice, un posto tanto agognato quanto prestigioso.

    Madison aveva lasciato la casa dei suoi genitori a diciotto anni per studiare Letteratura a Stanford, dove si era laureata a pieni voti e dove aveva conosciuto Dawson. Avevano scelto di trasferirsi nella città natale di Madison, Orlando. Maddie la conosceva nei minimi particolari, sapeva ogni cosa di quella città e aveva subito ottenuto il lavoro alla Pemberly Editor Company come responsabile dei romanzi in pubblicazione.

    Insomma, la vita di Madison Davis era programmata nei minimi dettagli e sembrava che nulla potesse scalfire quella linearità e che Madison fosse immune ai trucchi del caso. La sua vita non sarebbe potuta procedere meglio.

    «Signorina Davis.»

    La segretaria di Madison, Sophie, entrò come una furia nello studio del suo capo, il viso paffutello paonazzo, il fiato corto e i capelli ricci e neri scompigliati.

    Sophie era diventata la segretaria di Madison dopo la sua promozione a responsabile delle pubblicazioni e da allora non se n’era mai andata.

    Madison sapeva che molte volte era troppo dura e autoritaria con lei, ma sapeva anche che per mantenere la sua posizione di prestigio non c’era posto per l’emotività e la pietà.

    Nessuno ne aveva mostrata per lei, agli esordi della sua carriera, e ciò l’aveva resa più forte, più ambiziosa. In fin dei conti stava solo facendo un favore a Sophie, che un giorno l’avrebbe ringraziata per la sua ostilità.

    «Non ti ho detto di bussare, Sophie?» Madison non sollevò nemmeno lo sguardo dal portatile mentre la segretaria si avvicinava alla sua scrivania.

    «Mi perdoni, signorina Davis, ma ho una notizia urgente.»

    Madison chiuse il portatile con un colpo, sbuffando infastidita verso la segretaria.

    Il suo ufficio era come una seconda casa per Madison. Le pareti a vetro le offrivano una splendida vista su tutta Orlando, favorita dal fatto che il suo ufficio si trovasse al decimo piano dell’enorme edificio di proprietà della Pemberly Editor Company.

    La scrivania in legno era perfettamente ordinata con qualche foto che Madison aveva avuto la premura di sistemare, tanto per donare una sorta di personalità a quel luogo, che ciononostante appariva comunque ordinato e freddo quanto una delle sale operatorie di Dawson.

    C’era una foto di sua madre e una foto con Dawson, scattata il giorno del loro fidanzamento. C’era anche una piccola piantina che le aveva regalato sua madre per Natale e, nonostante Madison odiasse quella festività, doveva ammettere che quel piccolo particolare donava un suggestivo tocco di colore alla stanza.

    «Cosa è successo?»

    «Il signor Cooper ha cambiato la sua introduzione all’articolo del signor Clarke prima della pubblicazione.»

    «Che cosa?!»

    Madison si alzò come una furia, ribaltando alcuni fogli sulla scrivania in perfetto ordine.

    «Il capo si è complimentato con lui stamattina, nonostante l’articolo fosse assegnato a lei.»

    «Cioè l’articolo è stato pubblicato con la sua introduzione?»

    «Ss… sì» balbettò Sophie. «Il capo ha pensato che vi foste accordati prima della stampa.»

    «Ora mi sente quell’imbecille.»

    Madison superò Sophie con passo pesante, sbattendosi la porta dello studio alle spalle, diretta verso lo studio di William Cooper, meglio conosciuto come la persona più irritante di tutta la Pemberly Editor Company.

    William era diventato responsabile della sezione sportiva nello stesso momento in cui Madison aveva ottenuto la sua promozione.

    Lei non ne aveva mai compreso il motivo in realtà, ai suoi occhi era sempre apparso come un fannullone, un idiota di prima categoria, talmente arrogante da non riuscire a vedere oltre la sua assidua convinzione di essere il migliore.

    Lui e Madison erano in competizione dal giorno in cui il capo aveva proposto la promozione a caporedattore. Erano incompatibili, diversi: la vita programmata e studiata di Madison contro alla completa sregolatezza di Will. Soprattutto, sapevano entrambi che il posto di caporedattore sarebbe stato di uno solo dei due ed entrambi non avevano la minima intenzione di cederlo all’altro.

    «Tu.»

    Madison entrò come una furia nello studio del suo rivale, lasciando che alcune ciocche bionde le sfuggissero dalla coda di cavallo.

    William era seduto sulla sedia, con i piedi sulla scrivania, talmente disordinata rispetto a quella ordinata in modo maniacale di Madison.

    Aveva le mani dietro alla nuca e gli occhi verdi socchiusi. Nonostante l’entrata plateale di Madison non si scompose minimamente, rivolgendole un sorrisetto prima di chiudere nuovamente gli occhi.

    «Buongiorno anche a te, Madison.»

    «Era un buongiorno prima che tu lo rovinassi, razza di idiota, credevi che non mi sarei accorta dell’articolo?»

    William sorrise ancora una volta prima di togliere i piedi dalla scrivania e incrociare finalmente gli occhi scuri e furiosi di Madison.

    «Ah, quindi è di questo che si tratta?» William sospirò divertito. «Dovresti ringraziarmi, Maddie, la tua introduzione era… Come potrei definirla?» Will si portò una mano al mento con fare teatrale. «Sì, oscena.»

    Madison lo guardò indignata.

    «Oscena?! Come diavolo ti permetti?»

    «Oh andiamo, sintassi scollegata, banalità, prevedibilità» Will sollevò le dita una alla volta mentre procedeva nella sua dettagliata descrizione. «Sai fare meglio di così, Davis, non credi?»

    Madison sbatté entrambe le mani sulla scrivania, facendola tremare sotto lo sguardo divertito del collega.

    «So che vuoi il posto di caporedattore, Cooper, ma puoi scordarti che io te lo ceda senza lottare. Vuoi giocare? Perfetto.»

    Madison prese la bozza del suo nuovo articolo e l’accartocciò davanti all’espressione carica di disprezzo di William. «Sappiamo entrambi che quel posto è mio, perciò vedi di farti da parte, Cooper.»

    «Wow» Will si portò una mano al petto. «Hai stracciato un pezzo di carta davanti ai miei occhi. Non credo riuscirò a riprendermi tanto facilmente da questo affronto.»

    Il sarcasmo di William non fece altro che aumentare il nervosismo di Madison.

    Erano poche le cose che non riusciva a controllare e la prima fra tutte era sicuramente il suo odio verso William Cooper.

    «Be’, forse potresti cercare conforto in una delle segretarie.» Madison indicò Sophie che aspettava imbarazzata fuori dalla porta a vetro dello studio. «Oh che sbadata, dimenticavo che sei andato a letto con ognuna di loro.»

    «Uh, colpo basso, Davis, non trovi?» William le sorrise lasciando che una ciocca di capelli castani gli solleticasse gli occhi. «Sarà che hai avuto un solo uomo per tutta la tua vita. Non oso immaginare la tua frustrazione.»

    «Dawson è un uomo dieci volte migliore di te, William.»

    «Così mi ferisci.»

    «Oh, mi dispiace molto.»

    «Ti farebbe davvero bene una scopata, sai Davis? Se vuoi posso consigliarti qualche posticino niente male.»

    Madison lo guardò indignata, il viso rosso di rabbia.

    «Posso chiederti di lasciare a terra il pezzo di carta che hai in mano? Sempre che il tuo lato ossessivo e maniaco del controllo lo permetta.»

    Madison sbuffò esasperata, stringendo i pugni lungo i fianchi. Dio, quanto avrebbe voluto tirargli un pugno su quel sorrisetto saccente.

    «Io non sono ossessiva, posso farlo benissimo.»

    «Prego.»

    Madison cercò di far cadere il pezzo di carta accartocciato nella sua mano, ma qualcosa nella sua mente le impediva di mollare la presa.

    Madison odiava il disordine e odiava il fatto che Cooper conoscesse la sua debolezza, ma non poteva perdere, non contro di lui.

    Lasciò cadere il pezzo di carta prima di rivolgere un sorriso soddisfatto a William.

    «Visto? Posso farlo benissimo.»

    William la osservò, sorridendo davanti alla resistenza assidua di Madison, nonostante l’istinto di lei le imponesse di raccogliere quello stupido pezzo di carta.

    «Hai altro da dirmi, Davis?»

    «Nulla che tu non sappia già, Cooper.»

    «È sempre un piacere per me.»

    Madison uscì dallo studio sbattendosi la porta alle spalle seguita dalla risata di William.

    «Voglio il rapporto su quei documenti tra cinque minuti, Sophie.»

    Madison tornò nel suo studio a passo svelto, seguita da Sophie, che a fatica cercava di starle dietro.

    «Ma, signorina Davis…»

    «Niente ma, Sophie. Tra cinque minuti voglio quei documenti sulla mia scrivania, altrimenti dirai addio al tuo posto qui dentro.»

    «Sì, signorina Davis.»

    Sophie sospirò pesantemente prima di sparire oltre il lungo corridoio che separava gli uffici della Pemberly.

    2

    William Cooper era la definizione di sregolatezza.

    Viveva la sua vita alla giornata, senza preoccuparsi del futuro. Prendeva ciò che la vita gli offriva e lo prendeva con il massimo dell’entusiasmo, senza preoccuparsi del domani.

    Era entrato alla Pemberly dopo che un suo caro amico gli aveva presentato il signor Chase, capo dell’ufficio sportivo. William aveva sempre amato la scrittura, così come lo sport, perciò in poco tempo si era ritrovato ad accettare l’offerta del signor Chase e, grazie alle sue abilità, si era subito fatto notare all’interno della compagnia.

    Suo padre gli aveva trasmesso la passione per lo sport, mentre sua madre quella per la scrittura. William amava definirsi il loro «stupendo connubio» e non perdeva mai l’occasione per ribadirlo, nonostante non vedesse i suoi genitori da parecchio tempo.

    Quando si era trasferito a Orlando dal Texas, i suoi genitori l’avevano appoggiato completamente, nonostante William sentisse che una parte di loro avrebbe voluto che rimanesse lì per gestire il ranch della famiglia Cooper.

    Ma William non era ciò che si definirebbe un perfetto uomo di campagna – forse non lo sarebbe mai stato – e Orlando sembrava poter essere la sua via di fuga da una realtà così opprimente.

    Ora si ritrovava in quella città caotica quasi come la sua anima, ogni notte con una donna diversa, vivendo la vita al massimo senza pensare alle conseguenze. Forse perché quelle conseguenze lo spaventavano più di quanto avrebbe voluto ammettere.

    William, infatti, non era sempre stato il cinico e sregolato capo della sezione sportiva della Pemberly.

    C’era stato un momento in cui aveva programmato la sua vita nei minimi dettagli, in cui aveva progettato un futuro, in cui era felice, ma quel futuro, purtroppo, non si era mai concretizzato. William aveva conosciuto Olivia a Dallas, durante una conferenza di suo padre, uno dei più famosi allevatori della città. Non appena aveva incrociato quegli occhi scuri, William aveva capito che quella donna sarebbe stata il suo futuro, ne era sicuro.

    La famiglia di Olivia era di origini messicane e nella figlia si riconoscevano dei tratti caratteristici di quella nazionalità. Olivia aveva lunghi capelli scuri e occhi altrettanto scuri e marcati, quasi in contrasto con l’espressione dolce della ragazza.

    Non appena finita la conferenza, William aveva subito cercato Olivia fra la folla e l’aveva trovata all’istante, lì, bellissima e fiera, stretta in un vestito giallo con un sorriso stampato sulle labbra.

    Si erano innamorati velocemente, Olivia e William.

    La loro relazione si sarebbe potuta definire un colpo di fulmine, o più semplicemente un destino che, irreparabilmente, li aveva uniti dal loro primo sguardo.

    Non era stato difficile innamorarsi di una ragazza come Olivia, tanto bella quanto dolce e intelligente, così tanto che Will parecchie volte si domandava come avesse fatto una ragazza del genere ad accorgersi proprio di lui, il piccolo Will che da bambino organizzava corse illegali tra i polli del ranch.

    William non aveva mai creduto nel destino o in cavolate del genere, ma sapeva che Olivia sarebbe stata il suo futuro.

    E anche ora, a distanza di anni, William ricordava il suo sorriso quando, sotto il cielo stellato di metà ottobre, le aveva proposto di diventare sua moglie. Olivia aveva annuito, un semplice accenno del capo, prima che delle lacrime calde scorressero sulle sue guance.

    Il matrimonio si era svolto con una cerimonia ristretta, pochi invitati e qualche decorazione qua e là, curata nei minimi dettagli dalla madre di William.

    E lui ricordava, ricordava l’emozione che lo aveva accompagnato mentre Olivia percorreva la navata, bellissima e commossa.

    Ricordava il sorriso timido di Olivia quando aveva pronunciato quel fatidico sì, stringendogli forte le mani tra le sue.

    Ricordava la felicità che aveva provato mentre percorreva la navata mano nella mano con sua moglie, l’amore della sua vita.

    E, forse, il ricordo era ciò che faceva più male.

    Sì, perché William non avrebbe mai potuto immaginare che il destino stesse per rovinare tutti i suoi programmi, lasciandolo solo, privo di emozioni e di speranza.

    Era la sera del loro primo anniversario, William aveva organizzato una cena in centro da un amico di suo padre e le aveva perfino comprato un regalo per festeggiare.

    Olivia sarebbe dovuta uscire dall’ospedale dove lavorava come infermiera e raggiungerlo al ristorante. William aveva insistito nel passarla a prendere, ma Olivia aveva rifiutato, accarezzandogli i ricci castani con un sorriso sulle labbra.

    William l’aveva aspettata, l’aveva aspettata solo al ristorante per più di un’ora, ma Olivia non era mai arrivata.

    La chiamata degli agenti era arrivata poco dopo.

    William non ricordava nemmeno le parole dell’uomo al telefono, ricordava solo di aver lasciato cadere il bicchiere a terra prima di correre verso la macchina.

    Un incidente, aveva detto il medico, un frontale contro un camion che guidava contromano. William non ricordava nemmeno che cosa gli avessero detto dopo quelle parole.

    Era distrutto, perché gli occhi di Olivia si erano chiusi per sempre e lui non aveva avuto nemmeno la possibilità di dirle addio.

    Chissà se sapeva quanto l’amava, chissà cosa sarebbe successo se lui avesse insistito un po’ di più nel convincerla a passarla a prendere.

    Ora era solo, lui insieme ai suoi sensi di colpa, insieme a quell’ultimo sorriso che ancora tormentava i suoi ricordi.

    Dopo l’incidente William si era trasferito a Orlando. Aveva detto a tutti, ai suoi genitori compresi, che l’aveva fatto semplicemente per lavoro, ma la verità era che non poteva restare a Dallas, non poteva percorrere le stesse strade che aveva percorso con lei, perché il solo ricordo della sua felicità l’avrebbe consumato, senza lasciargli via d’uscita.

    E William la voleva una via d’uscita, sapeva che si era trasformato in uno stronzo arrogante, una copia apatica e sregolata di sé, ma non poteva fare altro, perché altrimenti l’immagine di Olivia sarebbe tornata, così come le sue emozioni, nascoste così abilmente sotto alla sua apparente nuova vita.

    Aveva provato a rintracciare il conducente alla guida del camion, ma una volta che l’aveva trovato lì, su quel letto d’ospedale attaccato a delle macchine, non era riuscito a fare nulla. Non gli aveva urlato contro, non gli aveva fatto nulla, se n’era andato lasciandolo lì.

    Forse, se

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