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Olympus Game
Olympus Game
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E-book233 pagine3 ore

Olympus Game

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Info su questo ebook

Valdo Salt è un professore di letteratura frustrato e disilluso. L’unica attività che ritiene adeguata per tentare il riscatto sociale riguarda il coronamento delle sue velleità letterarie. Quando il misterioso Mister Suez si fa avanti con la proposta di un prestigioso incarico editoriale, Salt non ci pensa due volte e firma all’istante il mastodontico contratto, senza leggerne le clausole. In seguito a un viaggio top-secret, scopre che il libro che dovrà scrivere sarà su Marilyn Monroe, ma quello che vedrà davanti ai suoi occhi, una volta arrivato, lo lascerà a bocca aperta. L’aereo atterra a Olympus, un’isola tropicale dove ad accoglierlo sarà proprio Marilyn Monroe in persona. Ma non è tutto: incontrerà James Dean, Jim Morrison, Elvis Presley, tutti vivi e vegeti. Non sono mai davvero morti, hanno soltanto inscenato la propria dipartita per sfuggire dalla loro frenetica vita da star, siglando un accordo con la società dello stesso Mister Suez. Questo paradiso terrestre, però, è molto diverso da quel che sembra…

Mauro Marsili, sceneggiatore di molte serie italiane, di cinema e autore teatrale, regista di cortometraggi e documentari. Nato in Casentino, vive a Roma dal 1985. Ha collaborato con quotidiani e riviste, tenuto corsi di scrittura creativa.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2022
ISBN9788830673434
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    Anteprima del libro

    Olympus Game - Mauro Marsili

    LQ.jpg

    Mauro Marsili

    Olympus Game

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 9788830665842

    I edizione ottobre 2022

    Finito di stampare nel mese di ottobre 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Published by arrangement with Delia Agenzia Letteraria

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    ad Annalisa e Lorenzo

    Un ringraziamento a Francesca Bartolucci per l’edizione.

    Deus ex machina

    Valdo Salt, come al solito, si svegliò presto. Nell’attesa che il caffè venisse su, si mise alla finestra e guardò Los Angeles che ancora non si era svegliata. Gli piaceva alzarsi presto, gli dava la sensazione di non essere in ritardo. Con i suoi trentasei anni, che a volte gli pesavano il doppio, sapersi pronto lo caricava. Poi c’erano la ginnastica, la doccia, la ricerca del vestito adatto. Un bel da fare, anche se a guastare tutto c’era sempre l’umidità delle vecchie condutture. Quella mattina, era novembre, davanti all’armadio, un tremito più forte gli fece ricordare che aveva scelto quell’appartamento scadente a Chinatown perché non gli era rimasto quasi niente.

    I vestiti, per comodità ed economia, erano di quand’era ragazzo, anche se ragazzo non lo era mai stato. Era diventato subito grande a Beaver Creek, nel Montana, al confine con il Canada. Suo padre, direttore di un ufficio postale, era morto che Valdo aveva undici anni, per questo era cresciuto in fretta. Un paio di anni dopo aveva già la fidanzata e tutti lo chiamavano con ironia signore, per quel fare precoce da bel tomo. A lui non dispiaceva, e neanche a sua madre, la quale lo spingeva in quella direzione.

    «Sei così intelligente» gli diceva.

    Quando poi anche lei morì tra gli stenti patiti dopo la morte del padre, Valdo avvertì la sensazione di non averle dato ciò che meritava. Da adolescente, Valdo aveva vinto un secondo premio a un concorso di poesia, poi aveva conseguito faticosamente una laurea in lettere, così pensò di mettersi alla prova. Salutò tutti armato di una piccola valigia e di un grande entusiasmo, e raggiunse Los Angeles. Per chi cercava qualcosa di diverso, la città ideale. Tentò di piazzare racconti nei giornali locali e nelle produzioni cinematografiche, senza fortuna. Non volendo tornare sconfitto al paese, gli tornò utile essersi laureato. Trovò un posto come insegnante alla Mount Saint Mary’s University. Un impiego che non rappresentava un vero e proprio successo, ma almeno era un traguardo.

    Ogni mattina cercava di abbinare con gusto gli abiti, malgrado i colletti delle camicie fossero ormai sfilacciati e i maglioni lisi. Un po’ di trascuratezza faceva artista, si diceva. Poi, dopo il caffè, messi libri e dispense nella borsa di pelle, si dava un’occhiata allo specchio dell’ingresso. La magrezza, gli occhi chiari sui capelli biondicci, la barbetta incolta che voleva dare a quel volto quasi fanciullesco un che da adulto, erano per lui ‘niente male’. Infine un’altra occhiata al porta-ombrelli che gli aveva regalato Vanessa Melvith, e via incontro al mondo.

    Vanessa Melvith era stata la sua fidanzata per diverso tempo. Di buona famiglia, si era innamorata di Valdo affascinata da quell’alone artistoide che immaginava avrebbe spiccato nell’ambiente mondano in cui viveva. Poi l’estro di Valdo era rimasto tale privandola dei frutti sperati, per cui Vanessa era tornata alle più solide sicurezze familiari. Da quel momento Valdo non aveva avuto nessun’altra. Un fallimento per il quale tenne ai suoi studenti una lezione su Atlante, il titano sottoposto a faticare vittima di una punizione, che però ebbe il privilegio di essere ricordato per la sua sventura.

    Anche quella mattina Valdo si recò con la vecchia Ford all’università dove teneva un corso di mitologia. Il suo interesse erano gli Dei, nella versione moderna dei divi, i quali incarnavano il destino dei comuni mortali. Voleva che gli studenti guardassero allo star-system hollywoodiano, all’industria delle ‘star’, come a uno Zeus che produceva vite a cui rifarsi, convinto che fortune e allori toccassero a chi si fosse sacrificato. Agli studenti che gli chiedevano come mai si ritrovasse a insegnare, rispondeva che era arrivato a un passo dal successo ma poi un incidente lo aveva messo fuori gioco. Di quale incidente si trattasse nessuno sapeva niente, ma reale o inventato che fosse non diminuiva il perenne sforzo di Valdo di raggiungere il traguardo.

    Quella mattina trovò pochissimi studenti ad ascoltarlo. La cosa lo fece riflettere sul fatto che i giovani, appiattiti da internet, non considerassero più certi punti di riferimento. Nessun impedimento a essere ciò che si voleva, nessun sudore versato, nessun sacrificio, tutto risolto con un click’. Perciò alla sparuta platea parlò di James Dean, di come il divo non avesse mai smesso di lottare anche quando, senza più speranza, aveva accarezzato l’idea del suicidio.

    Nel pomeriggio, tornato a casa, lo agitò il pensiero del buffet al Blister per il compleanno di Vanessa. Andarci senza essere invitato, sarebbe stato troppo un guarda caso. Ma ritenne che il fatto non dovesse bloccarlo. Non aveva granché da mettersi, niente che lei non conoscesse. Non voleva sfigurare presentandosi con le solite cose. Per fortuna scovò un vecchio paio di pantaloni rosso accesso, mai messo, e, in fondo a un mucchio, una camicia azzurrina, non stirata ma di marca, che abbinò a un gilè marrone. Nel complesso lo facevano un po’ arlecchino ma di un’informalità che avrebbe giustificato della sua casuale presenza al Blister.

    Arrivò un’ora prima dell’orario previsto (lo stesso negli anni, una tradizione), che gli permise di farsi trovare pronto. Sedette al bancone e ordinò una birra, attento a berla affinché non gli venisse il solito sorrisetto ebete. Nell’attesa tirò fuori il libro che portava sempre dietro. Le avventure di Oliver Twist. Quel Dickens che, per quanto irreale nella narrazione, risultava sorprendentemente vero, soprattutto a lui che faticava non poco a mostrare del proprio irreale ciò che di vero c’era sotto.

    Quel Dickens che gli aveva ispirato due saggi sulle star di Hollywood – Marilyn ed Elvis – di cui però nessuno si era accorto, a esclusione di un anziano critico che aveva definito tali opere pretenziose e superficiali.

    Sommerso dai ricordi di quelle dolorose esperienze letterarie, Valdo vide Vanessa e i suoi amici entrare nel locale. Il gruppo non lo notò e si diresse ai tavolini prenotati. Valdo cominciò a sbirciare da quella parte, cercando di farsi notare. Uno degli amici di Vanessa se ne accorse e lo indicò alla ragazza. Lei, dopo un sospiro paziente, lo raggiunse al bancone.

    «Ciao, scusa, ho cambiato il cellulare, ho perso il tuo numero, non sapevo come invitarti.»

    L’algida Vanessa dai capelli biondi e gli occhi azzurri, dette l’idea di scusarsi. Ma a Valdo suonò, come in effetti era, una bugia, e non riuscì a trattenersi.

    «Già, è il tuo compleanno, me ne ero scordato!»

    «Lo immaginavo. Questo dimostra quanto tu abbia fatto sul serio.»

    «Non me ne hai dato il tempo!»

    «Oh, per favore Valdo, l‘hai detto mille volte che eri lì lì, poi non è successo niente!»

    «Forse erano richieste esagerate!»

    «Vuoi dire che ho sbagliato a fidarmi di te?»

    Valdo si ritrovò spalle al muro. Non che si considerasse un incapace, ma con lei qualcosa era sempre andato storto, sconfitto definitivamente in quel sogno di riscatto per il quale aveva lasciato Beaver Creek.

    «Avanti Valdo, tira fuori quello che hai dentro, coraggio.

    Prima o poi dovrai farlo» lo irrise.

    Valdo, capace di sopportare le umiliazioni salvo non toccassero l’alta considerazione che aveva dei propri sforzi, a quella colpa dette fiato.

    «Vanessa, tu fai sentire la gente stupida perché così si senta indegna del tuo amore!»

    «Sentitelo, lui che spaccia ferraglia per oro!»

    Ai tavolini si accorsero del battibecco e Tom Mattison, un biondo tozzo con la faccia quadrata, che Valdo conosceva come ex di Vanessa, arrivò spedito al bancone. Suggerì qualcosa all’orecchio della ragazza, che poi invitò Valdo a sedersi con loro. Valdo la seguì soddisfatto. Tom doveva averla fatta ragionare sul fatto che comunque era andato lì per lei, e che questo meritasse una considerazione.

    La combriccola ai tavolini era costituita da giovani professionisti che sfoggiavano abiti griffati e orologi preziosi, cosa per cui Valdo si sentì rimpicciolito, non tanto perché disprezzasse del tutto quei chiari segni di prestigio, quanto perché Vanessa non vedeva altro.

    «Valdo era qui per caso» disse la ragazza mettendola come una cosa carina, «fategli posto, festeggia con noi.»

    Tom riprese il discorso sulle possibilità di raggiungere certi obbiettivi nel mondo degli affari. Le opinioni si accavallarono su medie statistiche, vendite allo scoperto, società scatole-vuote. Al termine del dibattito, durante il quale Valdo non aveva spiccicato parola, digiuno dell’argomento, Tom gli chiese, in un silenzio che di colpo si fece quasi irreale:

    «Tu, Valdo, cosa ne pensi delle scatole-vuote?»

    Ci fu una risata generale. Valdo capì che lo avevano invitato per prenderlo in giro, e tanta fu la rabbia che non gli uscì neanche una parola. Vanessa ne approfittò per un paio di sorrisini, come per dire vedi, sei così, che ci posso fare?’Allora Valdo sentì l’impellente necessità di aprire bocca, altrimenti sarebbe morto. Si aggrappò ai suoi studenti, disse che apprezzavano la sua passione, che certo poteva non essere quantificata in dollari ma che lo rendeva ricco lo stesso, e forse più di loro. Fu come dipingersi un bersaglio sul petto. La gara a sparargli fu quasi frenetica. Paonazzo di rabbia, Valdo fu lì lì per fare sfaceli, ma pensò al ridicolo che avrebbe suscitato, perciò se ne andò senza degnare Vanessa di uno sguardo, sicuro di lasciarle in quel modo un segno forte.

    Il bruciore non si spense. Rientrato in casa buttò giù mezza bottiglia di vodka nella speranza che gli desse sollievo. Si ritrovò con la testa ficcata nel water dove rovesciò tutto quello che non aveva digerito. Poi si sentì meglio, libero da un impedimento. Allora lo assalì il desiderio irrefrenabile di rimettere le cose a posto. In quello che gli parve un pregevole anelito, rifece persino i piatti e dette una passata con lo straccio nel soggiorno. Alla fine ne fu soddisfatto. Stanco morto considerò che in fondo quell’incidente gli era stato utile per ricominciare daccapo. Controllò l‘orologio e stabilì che si trattava di un’ora ancora decente, se si fosse messo subito a letto avrebbe dormito a sufficienza, così da poter essere pronto il mattino dopo per ricominciare la giornata in quel modo.

    Breaking News?

    Qualche giorno dopo, tornando a casa a piedi dall’università (anche l’auto si era rifiutata di seguirlo), Valdo fu assalito da un profondo, improvviso sconforto. Pensò di avere il mondo contro e che non ci potesse fare niente. Perciò accarezzò il pensiero di togliersi la vita. Rallentò il passo, pensò a come fare. Gas dei fornelli o bere candeggina? Ritenne che in ambedue i casi avrebbe sofferto troppo, che almeno quell’ultima incombenza gli sarebbe piaciuta meno faticosa. Decise per il tetto del palazzo in cui abitava. Un salto giù, una ventata mozzafiato e tutto finito. Rivitalizzato dall’idea, che per lui significava avere una cosa importante da fare, riprese svelto a camminare, deciso a portarla a termine.

    Ma notò qualcosa con la coda dell’occhio. Una limousine che gli procedeva accanto lentamente. Pensò al caso e rallentò. La limousine accelerò per fermarsi poco più avanti. Allora fu assalito da un lieve allarme, sulla strada non c’era nessuno, quelle manovre avevano a che fare con lui. Le luci dell’auto si spensero e un autista in divisa, un energumeno pelato simile a un bonzo, si affrettò ad aprire lo sportello posteriore. Dall’auto scese un signore sugli ottanta ma giovanile, elegantemente vestito e dall’aspetto raffinato, la bonomia di un babbo natale in borghese.

    «Valdo Salt? Professor Salt?»

    Certo di essere oggetto di un interesse, Valdo si allarmò ulteriormente. Un tipo così elegante e ricco si disse, come fa a conoscermi? D’istinto pensò alle bollette, al canone d’affitto, alle multe. Ma nessun creditore si sarebbe presentato in quel modo. Allora pensò al messo di un’università la quale, avendo sentito delle sue singolari lezioni, intendeva proporgli un sostanzioso contratto, ma pure questo gli parve improbabile dato che sarebbe bastata una telefonata.

    «Mi scusi…» Il distinto signore nel frattempo lo aveva raggiunto. «All’università mi hanno detto che era andato a casa a piedi per via della macchina rotta, così mi sono fatto indicare la strada, avevo premura di parlarle. Perdoni se l’ho affiancata, non ero sicuro che fosse lei. Oliver Suez, piacere. Ma tutti mi chiamano Mister Suez.»

    Gli dette la mano. Valdo, sul chi va là, gliela strinse, il tizio non aveva ancora detto niente di compromettente.

    «Mi dica, Mister Suez, cosa vuole?»

    «Senta, non sarebbe meglio un posto più comodo per parlare, invece che qui in mezzo alla strada? Magari nella mia macchina, se lo desidera.»

    Valdo si mostrò inflessibile.

    «No, va bene qui, non si preoccupi.»

    Allora l’uomo schiarì la voce per dare risalto alle parole.

    «In sostanza… desideriamo che lei scriva un libro per noi»

    Valdo balzò indietro, aggrottò la fronte.

    «Noi chi, mi scusi.»

    Mister Suez tirò fuori un biglietto da visita. Valdo lo lesse e quasi gli venne un colpo. Tornò a guardare l’uomo, più sorpreso e incredulo di prima.

    «World Communication?»

    «Esattamente. La conosce?»

    «Per forza! Editoria, cinema, tivù, vi occupate di tutto!»

    «E in tutto il mondo» precisò il distinto signore.

    Valdo allora tossicchiò pregustando un po’ la cosa. «Quindi cosa posso fare per voi… Mister Suez?»

    «Gliel’ho detto, scrivere un libro. Senta…» Insistette l’uomo. «Davvero non le va di continuare da un’altra parte?»

    Valdo entrò nella limousine, si sistemò sui sedili posteriori. Mister Suez gli offrì del cognac preso dal mobiletto-bar e sedette di fronte a lui. Valdo lo accettò riconoscendo in effetti che nella comodità e nel lusso non ci si stava male.

    «Perdoni la franchezza ma non voglio farle perdere tempo.» Attaccò Mister Suez. «Noi la conosciamo bene, ci siamo informati, e siamo arrivati alla conclusione che questo libro potrebbe rappresentare per lei un’ottima opportunità… vista la condizione in cui si trova.»

    «Quale condizione?» S’irrigidì Valdo.

    «Oh, non la consideri insolenza.»

    «Che ne sapete voi della mia condizione? Qualunque sia, potrebbe andarmi bene!»

    «Senta, perdoni, guadagna troppo poco con i suoi corsi, appena ci paga l’affitto. La casa in cui vive cade a pezzi e ha settanta dollari in banca. Sinceramente non credo che le possa andare bene.»

    «E… come sapete queste cose?»

    «Ci siamo informati, gliel’ho detto, è per una causa molto delicata.»

    «Scrivere un libro non lo è mai abbastanza!» Tuonò Valdo a ridarsi una dote.

    L’altro ne convenne con un sospiro. «Eh, lo so, purtroppo.»

    Poi Valdo non seppe cos’altro dire. E non perché non lo desiderasse, non trovò argomenti.

    «Sul serio non voglio sembrarle indelicato…» Riprese Mister Suez. «Ma non le sembra, lo dico con profondo rispetto, che la sua vita non sia finita come immaginava?»

    Valdo, toccato, ammise, non senza orgoglio:

    «Le cose in effetti al momento sembrano andare in un certo modo, ma sappia che io ho grandi progetti per il futuro.»

    «Sì, non ne dubito. Infatti sono qui per offrirgliene uno che ritengo all’altezza.»

    A quel punto Valdo si aprì con studiato disinteresse.

    «Un libro? Che genere di libro?»

    «Un libro sulle star di Hollywood.»

    «Le star di Hollywood? Oh!» Sghignazzò Valdo con amarezza. «Non interessano a nessuno, mi creda. Le star di oggi, tutte tatuaggi e lifting, non lasciano segni se non quelli che si fanno addosso. Scriverne sarebbe tempo sprecato, nessuno riesce a trovarci qualcosa da imitare se non in un qualche insolito ghirigoro. Discorso diverso sarebbero le star di una volta, oh, beh, quelle erano un’altra cosa, capaci di dare il sangue, di morirci se necessario. Ma chi se le

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