Strade parallele
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Matilde, madre ambiziosa e dispotica, non ha dubbi. Ostacolare un amore giovanile dalle prospettive incerte rappresenta quasi un’ossessione.
Alessandro, ragazzo di umili origini, ha solo un sentimento sincero e i suoi progetti da condividere con Sara. Quello non è il futuro che Matilde ha immaginato per lei. Userà sotterfugi, bugie e ricatti, per infrangere i sogni della figlia.
Ma la vita presenta il conto, a tempo debito. A volte il prezzo da pagare è insostenibile.
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Anteprima del libro
Strade parallele - Daniela Cardo
Ottobre
Un’amicizia oltre i pregiudizi
1990
Al primo accenno di primavera il giardino era tornato ad animarsi, con uno zefiro leggero s’era scrollato di dosso gli ultimi brividi della stagione. Sul fischiettare dei merli spiccavano, stridule, le voci dei bambini.
Se non scendi dall’albero lo dico alla mamma
gridò Sara con il faccino teso verso un ramo fiorito del mandorlo.
Perché non sali anche tu?
la sfidò Alessandro.
Non se lo fece dire due volte. Le labbra strette tra i denti per non lasciarsi sfuggire neppure un gemito che potesse tradire la paura, posò il piede sul primo puntello della scala dimenticata contro il tronco. Le dita strette sugli staggi, arrancò fin quasi a raggiungere l’amico.
Lui le porse la mano per aiutarla a staccarsi dall’appiglio e arrivare fino al ramo. Il gesto, gentile nelle intenzioni, si rivelò inadeguato. La presa non riuscì a reggere il peso della bambina e Sara rovinò fino a terra. Fortunatamente i pioli rallentarono la caduta, ma la rabbia per quell’insuccesso la fece infuriare. Con gli occhi pieni di lacrime accusò il compagno di giochi.
È colpa tua, l’hai fatto apposta!
Lui era sceso in fretta presagendo uno di quei rimproveri che il padre gli infliggeva ogni volta che la sua vivacità oltrepassava i limiti della prudenza. Con il fazzoletto asciugò una goccia di sangue che stillava dal ginocchio della piccola.
Le si leggeva in faccia una smorfia che non riusciva a nascondere un accenno di sorriso.
---
Erano nati lo stesso giorno, cinque anni prima; le loro case si affacciavano l’una sull’altra, ma appartenevano a due mondi diversi, con qualche punto in comune. Una distanza incolmabile, difficile da comprendere alla loro età.
Fulvio De Medici, notaio per discendenza, viveva nella storica villa di famiglia. Costruita agli inizi del secolo appena fuori Milano, era stata fagocitata dalla metropoli in espansione. Lì aveva sposato Matilde. Sara era nata dopo un decennio speso a curare malattie inesistenti, origini di una sterilità che il tempo guarì quando ormai si cominciava ad accettare l’ipotesi che non ci sarebbero stati eredi cui tramandare la stimata professione.
Il padre di Alessandro era al servizio dei De Medici fin da ragazzo; a Giovanni Giordana, il giovane tuttofare, erano affidate la cura del parco e le piccole manutenzioni della villa. Anche occuparsi delle auto d’epoca rientrava nei sui compiti, la collezione del notaio vantava alcuni esemplari preziosi, veri e propri gioielli da trattare con molto riguardo, assegnargli poi il ruolo di autista fu inevitabile.
Gli fu concesso di abitare nella dependance quando, dopo un prevedibile fidanzamento, si decise a sposare Lucia, cameriera a servizio di Matilde, un anno prima della nascita di Alessandro.
Per una coincidenza sconcertante le due future madri avevano sincronizzato i loro orologi biologici; le gravidanze giunsero a termine contemporaneamente. Succede.
Era il 5 agosto, un caldo soffocante. Nel reparto maternità dell’Ospedale Maggiore, Alessandro strillò il suo primo vagito. Qualche ora più tardi, Matilde diede alla luce Sara in una clinica privata per pazienti facoltosi. Giovanni stava asciugandosi la fronte, il notaio De Medici una lacrima.
Assieme, come avevano scelto di nascere, non potevano fare a meno di giocare, litigare e consolarsi a vicenda. Ma le regole imponevano dei limiti, Alessandro era pur sempre il figlio di una domestica. Gli era stato generosamente concesso di scorrazzare nel parco della villa ogni volta che Sara avesse espresso il desiderio di giocare con lui. L’occhio vigile di una governante sorvegliava e reprimeva ogni intemperanza; raramente le capitava di distrarsi, o di addormentarsi sul dondolo all’ombra degli olmi; da quasi mezzo secolo Adriana era la bambinaia della famiglia De Medici, si era presa cura di Fulvio e dei suoi fratelli, a uno a uno li aveva visti partire per percorrere strade diverse. Lei era rimasta a occuparsi del notaio e della moglie, aspettando quell’erede che sapeva sarebbe arrivato, prima o poi, a riempire di allegria una casa troppo silenziosa.
---
Adriana si era concessa qualche minuto per riposare le sue giunture inceppate dall’artrosi. Le grida dei bambini poco più in là, fuori della sua visuale, la fecero trasalire, affrettò il passo.
Che è successo, Alessandro?
Era sempre a lui che chiedeva di rendere conto quando c’era da dubitare che qualcosa non fosse andato per il verso giusto.
Voleva salire, ma non ce la fa
provò a prosciogliersi il piccolo.
Sara stava ancora ripulendo il ginocchio con il fazzoletto.
E questo di chi è?
chiese la donna togliendolo di mano alla bambina con due dita, come fosse stato contaminato da chissà quali batteri. Va a casa! Con te farà i conti tuo padre!
intimò senza alcuna indulgenza al piccolo.
A testa bassa, lui si allontanò.
"Quante volte te lo devo dire! Non puoi giocare con Sara come faresti con qualsiasi altro ragazzino. Lei è la figlia dei Signori,"
Lo sgridava Lucia, ogni volta che Adriana glielo rispediva in malo modo; che la colpa fosse sempre e comunque di Alessandro non era in discussione. Pensa a te invece di metterti nei guai. Questa sera lo senti papà!
Il padre rincarava la sequela di rimproveri, di solito un sonoro scapaccione enfatizzava la strigliata. Lucia asciugava le lacrime del figlio in cambio di promesse che già sapeva non avrebbe mantenuto. Semmai avesse voluto tener fede ai suoi impegni, Sara non glielo avrebbe concesso. Era lei a cercare il piccolo amico, a volerlo al suo fianco per confrontarsi con lui in coraggio e fantasia, comparazione in cui spesso il ragazzino aveva la meglio per il suo sprezzo del pericolo, salvo riconoscere che all’amica spettasse il primato in fatto di creatività. Lei aveva allestito nella serra, usata per lo più per il ricovero delle piante di limone, il loro nascondiglio segreto, una piccola casa dove i ruoli erano inequivocabili. Un bambolotto era il loro primogenito, Alessandro si lasciava servire pietanze immaginarie dalla piccola moglie, per lo più foglie e fiori, qualche sasso, e insetti disgustosi, pazientemente composti nei piattini colorati.
---
Le feste di compleanno erano momenti da condividere, uno dei capricci di Sara che il padre assecondava volentieri. Persino i doni dovevano essere identici, almeno all’apparenza.
Matilde pur non apprezzando quelle dimostrazioni di democraticità, ci si era rassegnata.
Un compromesso generalmente risolveva le vertenze: i regali potevano avere caratteristiche simili, ma valori commerciali molto distanti, dettaglio che ai giovani festeggiati sarebbe probabilmente sfuggito, non di certo ai genitori di Alessandro.
All’ultima festa condivisa ebbero in dono biciclette, ma la sorpresa più gradita fu un cucciolo con un musetto simpatico, gli occhi grandi e una coda arricciata su se stessa. Le biciclette furono abbandonate in fretta per coccolare il nuovo amico. Scelsero un nome appropriato per quel buffo animale paffuto, un carlino con tanto di pedigree blasonato. Bibi sembrava più attratto da Alessandro che dalla legittima destinataria. Lei impartì alla madre una splendida lezione di indulgenza:
È anche il suo compleanno, oggi ci può giocare pure lui, vero mamma?
I tentativi di Matilde di eclissare la presenza del figlio della plebe, in quelle occasioni, non avevano effetto alcuno sul diretto interessato, e tanto meno sugli ospiti che, opportunamente imbeccati da Fulvio, si presentavano sempre con un giocattolo anche per il festeggiato di rango inferiore.
---
Alla fine di un’estate spensierata arrivò il momento di separare i due giovani amici, almeno per buona parte della giornata: ciascuno sul proprio banco di scuola.
La signorina aveva protestato con determinazione alla notizia di quella divisione.
Matilde aveva argomentato l’inevitabile distinzione.
I suoi genitori non possono permettersi di pagare quella scuola, lui andrà a una comunale.
Lei aveva controbattuto con passione.
Allora ci voglio andare anch’io!
A nulla valsero le proteste della piccola, per la prima volta i suoi capricci non sarebbero stati assecondati, un affronto difficile da perdonare.
La separazione era destinata a consolidare la loro amicizia.
Per magnanima concessione del notaio, Sara ottenne che anche Alessandro potesse giovarsi del servizio dell’autista. Avrebbero beneficiato di quel breve viaggio assieme, seduti sul sedile posteriore della Jaguar a scambiarsi pizzicate, sorrisini e merendine, a confrontarsi sui risultati scolastici e a programmare il pomeriggio.
Strategie concordate
1992
Il secondo anno scolastico evidenziò certe disparità insospettabili.
Alessandro esibì con orgoglio il suo quaderno di matematica, quel -Bravissimo- scritto con la matita blu a caratteri cubitali gli valse il broncio di Sara.
A lei non andava di mostrare le valutazioni meno apprezzabili che la sua insegnante apponeva con prudente generosità. Non erano mai andate oltre un -Benino- seguito da qualche incoraggiamento, giusto per non deprimere l’impegno che si intravedeva appena nelle pagine disordinate dei quaderni della piccola.
L’imprevedibile maggior capacità di apprendimento di Alessandro non era passata inosservata, ma ci vollero un paio di anni perché Matilde si arrendesse all’evidenza.
La figlia era meno incline a qualsiasi disciplina scolastica, di quanto non lo fosse il suo compagno di giochi.
Adriana affiancava pazientemente la ragazzina negli indolenti pomeriggi sprecati a svolgere esercizi di aritmetica e a imbastire frasi striminzite su cui troppe correzioni denunciavano distrazione e noncuranza. Si era arenata un pomeriggio, su un quesito matematico che esulava dalle sue competenze, proponendo di chiedere aiuto ad Alessandro.
Per la prima volta gli fu concesso di entrare nella stanza di Sara.
E vedi di comportarti bene
raccomandò l’anziana governante, tenendolo per mano mentre attraversavano il salone con il pavimento di granito nero.
Lui non rispose, intimidito dal rumore dei passi che echeggiava sui soffitti decorati di stucchi e dagli sguardi severi dei ritratti, alle pareti, che lo scrutavano con sospetto.
Non ci capisco niente in questo esercizio!
lo accolse lei lanciando il quaderno sul lato opposto del tavolo su cui aveva sparpagliato libri, matite colorate, bambole e caramelle.
Bibi gli saltò sulle ginocchia con maggior entusiasmo.
Fai i compiti con questo casino?
chiese Alessandro guardando il disordine su cui Sara aveva posato i gomiti aspettando che il cagnolino si stancasse di guaire e di leccare l’ospite.
Che parole sono queste?
lo riprese Adriana. Vedi se riesci a spiegarle il problema, piuttosto.
Lui scartò una pralina alla nocciola e masticandola rumorosamente lesse il compito che l’amica non era riuscita a risolvere, sorrise con sufficienza. Scostò le matite colorate, accatastò i libri e affiancò una sedia a quella di Sara.
Con le caramelle sparpagliate sul tavolo rappresentò lo svolgimento del quesito, lei si lasciò attrarre dalla trasposizione del concetto astratto alle gelatine di frutta. La piccola svogliata riuscì a calcolare la prima incognita del problema, le bastò un attimo per giungere alla soluzione, dopo che i numeri erano diventati concreti, tangibili e commestibili.
Le scarse perizie di Adriana costrinsero a chiedere l’intervento di Alessandro più di quanto non avrebbe voluto Matilde, ma occuparsi dell’istruzione della figlia non rientrava nei suoi doveri di madre, o forse non poteva vantare una preparazione adeguata, ragion per cui dovette arrendersi a quel andirivieni nella stanza di Sara. Pomeriggi da trascorrere tra cioccolatini a scopo didattico e infinite diatribe lessico-grammaticali, sotto l’occhio vigile di Adriana, a tratti appesantito dalla stanchezza.
Quei momenti di sonnolenza concedevano ai ragazzini innocenti divagazioni:
Quest’anno voglio una festa di compleanno speciale
aveva bisbigliato lei per non disturbare il riposo della governante.
Perché le altre com’erano?
obiettò Alessandro che non avrebbe saputo immaginare niente di meglio di quelle che Sara continuava a pretendere di condividere con lui, nonostante le rimostranze della madre.
Ci voglio la musica, i fuochi d’artificio, e per regalo un pony. Ne vuoi uno anche tu?
La proposta gli sembrò eccessiva, rise senza rispondere, tenendo una mano sulla bocca. Se avesse svegliato la loro sorvegliante avrebbe dovuto vedersela con la sua compagna di studi.
Era lei che dettava le regole, lei che proponeva e cancellava i progetti, lui il cavalier servente, apprendista precettore e fedele custode dei suoi segreti.
Era stato educato a rispettare la figlia dei Signori, ma l’affetto che provava per lei andava oltre le raccomandazioni che aveva metabolizzato. Raccoglieva le prime margherite che spuntavano nel prato per porgerle alla piccola, cercava minuscoli sassi colorati per offrirglieli in dono, e lei ricambiava invitandolo nel loro nascondiglio segreto per servirgli un maggiolino con contorno di ranuncoli.
Sara non lo compensava con le stesse attenzioni, su di lui scaricava le