Sfida sul tappeto rosso: Harmony Destiny
Di Emilie Rose
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Info su questo ebook
Una famiglia privilegiata e potente nella quale intrighi e passioni non sono mai un fatto privato.
Luci, motore, azione!
Nel mondo patinato ma implacabile di Hollywood ci sono poche persone in grado di ottenere ciò che vogliono nei modi e nei tempi stabiliti. Il produttore Max Hudson è una di quelle. Con le scadenze impellenti del film della Hudson Pictures sulle sue spalle, non può permettere a nessuno di rallentarlo, di certo non a Dana Fallon, la sua insostituibile assistente. Le curve di Dana sono già una pericolosa distrazione per Max, ma la sua lettera di dimissioni è una vera catastrofe. Ora Max ha due strade da percorrere per convincerla a fare marcia indietro. La prima è una scommessa allettante. La seconda...
Emilie Rose
Confessa che il suo amore per i romanzi rosa risale a quando aveva dodici anni e sorprendeva sua madre a nasconderli ogni volta che lei entrava nella stanza.
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Anteprima del libro
Sfida sul tappeto rosso - Emilie Rose
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Bargained Into Her Boss’s Bed
Silhouette Desire
© 2009 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Rita Pierangeli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-571-7
1
«Che cos’è questo?»
Dana Fallon trasalì, colpita dal tono irritato e impaziente della voce di Max Hudson. Non poteva biasimarlo. Per le riprese del loro ultimo progetto la Hudson Pictures doveva rispettare una data di scadenza improrogabile, e che lei scegliesse proprio quel momento per andarsene non era la cosa più carina da farsi. Ma aveva i suoi motivi. Ottimi motivi.
Non cambiare idea. Attieniti al tuo piano. La tonante voce da coach del suo fratello maggiore le riecheggiò nella testa, anche se lui si trovava sulla sponda opposta dell’oceano Atlantico.
Ricuperò il coraggio che la stava abbandonando e scostò dagli occhi la frangia, che aveva bisogno di essere accorciata. Il suo sguardo si spostò dagli increduli occhi azzurri di Max e si concentrò invece sulla porzione di torace abbronzato e muscoloso che si intravedeva tra i lembi della camicia bianca sbottonata. Territorio minato.
«Sono le mie dimissioni. Mi licenzio, Max. Dovrai mettere un annuncio per trovare una sostituta appena saremo tornati negli Stati Uniti. Ho già preparato una bozza da sottoporre alla tua approvazione.»
«Non puoi licenziarti.» Max accartocciò il foglio e lo lanciò verso il cestino nell’angolo della suite d’albergo, che gli era servita da ufficio negli ultimi mesi. Lo mancò. Nei cinque anni che lavorava per lui, a Dana non risultava che fosse mai riuscito a centrare un cestino con una palla di carta. Max poteva anche essere un brillante e creativo produttore cinematografico ma, benché dotato di un corpo eccezionale, non aveva mai eccelso in attività che richiedevano doti atletiche.
Ciononostante, lei lo amava, e questo non faceva di lei un’idiota dal momento che il suo era un sentimento unilaterale, destinato a non essere mai ricambiato? Era tempo di riconoscere che Max non avrebbe mai smesso di amare la moglie defunta.
Lui tornò a sfogliare un mucchio di carte come se le sue parole avessero chiuso la questione, e Dana fu tentata di ritirarsi nella sua camera d’albergo con la coda tra le gambe, metaforicamente parlando. Ma non poteva. Non quella volta.
Quando l’offerta di lavoro ricevuta da un’amica aveva coinciso con l’anniversario dell’incidente di suo fratello, Dana si era resa conto che era lontana dal raggiungere i suoi obiettivi tanto quanto lo era nel momento in cui aveva accettato quel posto. Suo fratello non aveva mai rinunciato a inseguire i propri sogni, malgrado gli ostacoli e le circostanze sfavorevoli, e lei non poteva essere da meno.
Quella mattina aveva promesso a se stessa che, appena lasciata la Francia e tornata in California, avrebbe preso il controllo della propria vita per inseguire la carriera e la famiglia che voleva.
«Devo andare, Max. Voglio produrre i miei film, una cosa che tu non mi permetterai mai di fare qui alla Hudson. Come dico nella lettera, mi si presenta l’occasione con una casa cinematografica indipendente...»
«Mi hai frainteso. Tu non puoi licenziarti... non per andare a lavorare con un altro produttore cinematografico.» Il tono irremovibile l’ammoniva a non discutere.
Dana sapeva che non sarebbe stato facile. Era il motivo principale per cui aveva impiegato settimane – fino al giorno prima della sua partenza dalla Francia – per trovare il coraggio di affrontare quel colloquio. «Non sto chiedendo la tua opinione.»
«Perché sai già che cosa direi. È una decisione stupida e un passo indietro lasciare la Hudson per un effimero studio indipendente. A parte questo, leggi il tuo contratto. Ti è proibito lavorare per un’altra casa cinematografica per due anni dopo averci lasciato.»
Dana rimase di stucco per la sorpresa. Non ricordava di aver firmato una simile clausola, d’altronde, era stata così eccitata all’idea di lavorare per la Hudson Pictures, che non doveva aver letto il contratto con la dovuta attenzione. Il documento in questione si trovava nel suo schedario, a casa, perciò non poteva controllare o smentire le parole di Max. «Due anni?»
«Sì. È una clausola standard nei contratti della Hudson Pictures. Per impedire che qualcuno ci lasci portando con sé informazioni riservate.»
Max rovistò in un mucchio di carte sulla scrivania, come se stesse cercando qualcosa e fosse seccato perché non riusciva a trovarla. Lei respinse l’impulso di intervenire e trovare per lui l’oggetto in questione, come aveva sempre fatto in passato.
Aiutarlo e prendersi cura di lui non era soltanto un lavoro, era diventata una droga, una droga dalla quale doveva liberarsi.
«Hai scelto un pessimo momento per farti venire una crisi di nervi» aggiunse Max, senza alzare la testa.
Lei trasalì e cercò di dominare la collera. Parole avventate e crisi emotive non avevano mai risolto niente, e non era da Max mostrarsi villano. D’altronde, non capitava spesso che fosse sottoposto a una simile pressione. Il film doveva essere ultimato prima che sua nonna, Lillian Hudson, morisse distrutta dal cancro. Tutti quelli impegnati nella realizzazione della pellicola stavano lavorando giorno e notte, ed erano abbastanza nervosi da essere sul punto di esplodere.
Ciononostante, l’ira spazzò via ogni residua riserva che Dana poteva avere al pensiero di urtare i sentimenti di Max. Quando aveva accettato quel lavoro, cinque anni prima, era stato con l’intenzione di fare esperienza, per poi avanzare di grado in un anno o due. Era troppo qualificata per lavorare come assistente personale di un produttore cinematografico, anche per uno della fama di Max Hudson.
Aveva sempre sognato di produrre i propri film. Poi, Max si era rivelato un boss eccezionale, dal quale aveva imparato più di quanto le avessero insegnato gli anni di università o i successivi periodi di internato.
Il guaio era che, come una stupida, si era innamorata di lui, e non aveva più trovato il coraggio di andarsene. Fino a quel giorno.
Dopo averlo osservato in compagnia dell’ennesima bionda, si era resa conto che se neanche l’atmosfera romantica del castello di Montcalm aiutava Max a vederla come una donna e non come un accessorio dell’ufficio, allora la sua era una causa senza speranza.
Era da troppo tempo che aveva rinunciato a una sua vita privata per stargli vicino. Doveva darsi una mossa, e ciò significava porre fine a quello status quo, diventato insostenibile.
Lottò per riprendere il controllo sulle emozioni ed evitare di fare una scenata. Quando ritenne di esserci riuscita, trasse un respiro profondo. «La mia non è una crisi di nervi, Max. È in gioco la mia carriera.»
Lui alzò la testa dalla scrivania, e i suoi occhi erano di un azzurro glaciale. «Puoi dire addio a una carriera se tenterai di trovare lavoro altrove nell’industria cinematografica.»
Lo shock la colpì come una pugnalata alle costole. Shock, risentimento e la sensazione di essere tradita. Max godeva fama di essere spietato quando si trattava di imporre il suo parere per un film, ma non si era mai comportato così con lei. «Dopo tutto quello che ho fatto per te, saresti capace di boicottarmi?»
«Senza pensarci due volte. Se te ne andassi, finirebbero in fumo le probabilità di terminare prima...» Max non concluse la frase e indicò con un cenno del capo il tabellone appeso alla parete. Ma Dana non credeva che la sua attenzione fosse concentrata sulla raffigurazione grafica di ogni scena del film.
Un muscolo gli guizzava sulla mascella e le labbra erano strette in una linea sottile. Dana si sentì chiudere la gola da un groppo mentre lo osservava lottare con i propri sentimenti. Sapeva che adorava Lillian. Tutti adoravano la matriarca degli Hudson. E la consapevolezza che presto l’avrebbero persa era difficile da affrontare. Tuttavia, Dana sapeva che c’era un particolare su cui Max si sbagliava. Era in grado di terminare quel film senza di lei.
Lui compì uno sforzo visibile per ricomporsi e la guardò di nuovo negli occhi. Nei suoi c’era una luce dura, insensibile. Quella era l’espressione dell’uomo che lei aveva spesso visto ridurre tecnici o attori indisciplinati a più miti consigli con poche, concise battute. Strinse i denti per impedirsi di subire la stessa sorte.
«Dana, non intendo non rispettare la tabella di marcia per colpa tua. Mia nonna vuole vedere sullo schermo la storia del suo idillio con mio nonno. Non la deluderò. E farò tutto quello che occorre per impedirti di sabotare questo progetto.»
«Sabotare!» Dana non riusciva a credere alle proprie orecchie. Sapeva che lui non l’avrebbe presa bene, ma arrivare al punto di minacciarla? Quando aveva cominciato a lavorare per lui, cinque anni prima, Max era ancora sconvolto per la morte della moglie. Tranne che respirare al suo posto, aveva fatto di tutto, finché lui era riuscito a riemergere dalla palude del dolore. Da allora, non aveva mai smesso di fungergli da braccio destro.
Era così che veniva ringraziata?
Si sentiva ribollire per l’ira. Se fosse rimasta lì un solo minuto di più, avrebbe detto qualcosa di cui si sarebbe pentita.
«Torno nella mia stanza.» C’era voluta tutta la sua forza di volontà per affrontare quel colloquio, ed era andato tutto a rotoli perché lui si comportava come un idiota. Aveva bisogno di chiarirsi le idee, perché non poteva andare avanti così.
Girò sui tacchi dei suoi stivali e uscì dalla suite, seguita da una sfilza di imprecazioni da parte di Max. Quando lui la chiamò, non si fermò, e non tornò nemmeno nella sua camera. Non poteva. Si sentiva soffocare da un senso di claustrofobia. Superò l’ascensore, scese le scale di sicurezza e uscì da una porta laterale dell’albergo. Attraversò a lunghi passi il parcheggio diretta... da qualche parte. Non sapeva dove, a patto che fosse lontano da quel bastardo egoista ed esasperante.
«Dana.» La voce di Max la raggiunse alle spalle, ma lei lo ignorò e accelerò il passo. «Dana. Aspetta.»
Lo udì affrettarsi e un attimo dopo l’afferrò per il gomito, la costrinse a fermarsi e a voltarsi.
«Concedimi un paio di mesi. Aspetta che L’onore e la passione sia pronto per la distribuzione e poi parleremo.»
«Non c’è più niente di cui parlare, Max. Ti ho chiesto un incarico più importante e me l’hai rifiutato così tante volte che ho rinunciato a sprecare il fiato. Non ho investito tutti quegli anni e tutto quel denaro per diplomarmi in produzione cinematografica e finire a fare l’assistente personale in eterno.»
«Ti darò un aumento.»
Dana inclinò la testa all’indietro e lo guardò con aria minacciosa. A volte si dimostrava di un’ottusità tale da farle venir voglia di urlare. «Non si tratta del denaro e nemmeno del progetto. Credo in questo film con tutto il mio cuore, e voglio aiutarti a terminarlo. Ma l’occasione di produrre una pellicola indipendente non si ripeterà tanto presto. La società della mia amica ha bisogno di me adesso. L’unico motivo per cui mi si offre questa opportunità è che il loro ultimo produttore è morto all’improvviso. Aspettano già da tre settimane una mia decisione. Se cerco di tergiversare ancora, troveranno qualcun altro. Tu, più di altri, dovresti capire i vincoli imposti da budget e tempi. Non posso rimandare oltre.»
Dana riusciva quasi a vedere gli ingranaggi che