Una single all'asta (eLit): eLit
Di Kate Little
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Kate Little
Autrice e redattrice di romanzi rosa, sostiene che una buona storia d'amore fa vivere al lettore la tensione e il brivido di quando si è perdutamente innamorati.
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Una single all'asta (eLit) - Kate Little
successivo.
1
La giornata era proprio cominciata male, rifletté Meredith. Aveva perso l'autobus e mentre si incamminava verso l'ufficio era stata sorpresa da un vero e proprio diluvio, ovviamente senza ombrello. Per non parlare poi della smagliatura nei collant che ormai era ampia come il Mississippi in piena.
Si precipitò fuori dall'ascensore e si diresse in ufficio, alla Colette Inc., la compagnia ideatrice e produttrice di gioielli conosciuta in tutto il paese. Normalmente qualche goccia di pioggia e una smagliatura nei collant non l'avrebbero mandata nel panico. Ma quel mattino doveva fare una presentazione ai dirigenti della compagnia, e il solo pensiero di farsi vedere in quelle condizioni l'agitava oltre misura.
Meredith odiava parlare in pubblico e faceva sempre di tutto per evitare situazioni che la ponessero al centro dell'attenzione. I capelli e gli abiti fradici di pioggia la rendevano ancora più nervosa.
Chiuse dietro di sé la porta dell'ufficio e cercò di rimediare all'aspetto da pulcino bagnato. I capelli rosso rame erano arricciati secondo criteri che sfidavano le leggi della fisica. Li spazzolò vigorosamente all'indietro e li costrinse nell'usuale acconciatura a coda di cavallo, forse un po' severa, ma senz'altro pratica. La pelle era chiara, con qualche lentiggine sul naso che non si era mai preoccupata di nascondere con il fondotinta. Per la verità non aveva l'abitudine di truccarsi. Il che presentava dei vantaggi, pensò, perché altrimenti quella mattina avrebbe avuto degli occhi da pugile a causa del mascara sciolto.
Gli immensi occhi azzurri le restituirono lo sguardo dallo specchio, dietro un paio di occhiali con la montatura in tartaruga. Li tolse e li asciugò con un fazzoletto. Le sarebbe piaciuto portare le lenti a contatto, e in effetti ne aveva diverse paia, ma per il lavoro di precisione richiesto dalla professione di orafa aveva bisogno degli occhiali. D'altra parte non aveva proprio nessuno su cui fare colpo.
La lunga gonna nascondeva buona parte delle curve, ma il golfino scollato a V, normalmente ampio e senza forma, ora le era incollato addosso come una seconda pelle. Sua madre le aveva sempre detto che le curve di cui era dotata erano una benedizione, ma Meredith non aveva mai condiviso quell'opinione. Anzi, era imbarazzata per l'attenzione che il suo corpo procace risvegliava soprattutto negli uomini. Quindi, al contrario della maggior parte delle donne che conosceva, faceva di tutto per nascondere le proprie forme.
Tolse la spilla appuntata al golf e si soffermò a studiarla, tenendola con cura nel palmo della mano. Era un pezzo decisamente unico. Essendo un'esperta nel settore poteva apprezzarla al meglio. Era quel tipo di gioiello che poteva essere acquistato esclusivamente da un artigiano orafo o da un antiquario. La sua padrona di casa, Rose Carson, gliel'aveva data in prestito la sera precedente, quando era scesa a casa sua a bere un caffè. Rose indossava la spilla e Meredith l'aveva ammirata. Senza dire una parola l'amica l'aveva tolta e aveva insistito per lasciargliela per qualche tempo.
«Rose, è stupenda. Ma deve essere un ricordo per te... E se la perdessi?» Meredith era stata titubante.
«Non essere sciocca. Non la perderai di certo» aveva insistito Rose. «Ecco. Mettila.» Rose l'aveva aiutata ad agganciarla alla maglia. «Vediamo come ti sta!»
Meredith aveva dovuto ammettere che era perfetta sulla sua maglia, ma si era sentita a disagio per il valore dell'oggetto. Rose, comunque, non aveva voluto sentir ragioni.
La spilla era a forma di cuore e aveva un supporto in oro ornato di ambra. Aveva indubbiamente un certo fascino, un potere quasi ipnotico se ci si soffermava a fissare il bagliore particolare dell'ambra.
Si era resa conto che ogni volta che guardava quella spilla veniva pervasa da una sensazione di allegria e non riusciva a capirne il motivo.
Rimandando a più tardi l'esame della questione mise il gioiello al sicuro nella tasca della gonna. Rose aveva sostenuto che quella spilla le aveva portato fortuna, e Meredith sperò che il suo potere magico funzionasse anche quel giorno alla presentazione, sebbene fosse nascosta nella tasca.
Indossò il grembiule grigio che usava di solito in laboratorio per proteggersi durante la lavorazione dei metalli preziosi. Le proteggeva gli abiti ma soprattutto le nascondeva il corpo. Anche quel giorno sarebbe stato il suo scudo di protezione.
Sapeva benissimo di non avere un fascino particolare. Tutti si riferivano a lei come alla dolce Meredith, uomini compresi. Era sempre stato così e non sarebbe cambiato di certo adesso. Il fascino femminile è una qualità innata: o lo possiedi o non c'è niente da fare. Non gliel'aveva ripetuto fino alla nausea la sua splendida madre? Se quel giorno alla riunione fosse apparsa particolarmente dimessa nessuno ci avrebbe fatto caso.
Si sedette alla scrivania e si dedicò a problemi ben più importanti. Prese un foglio con diversi schizzi per una nuova serie di fedi nuziali. Era la linea che avrebbe dovuto presentare alle undici e voleva apportare gli ultimi ritocchi. I suoi colleghi la definivano una perfezionista, ma Meredith restava dell'idea che i dettagli fossero fondamentali. Dal momento che le riusciva così difficile parlare in pubblico doveva esibire dei disegni perfetti nei minimi particolari per illustrare la propria creazione. Altrimenti la timidezza avrebbe avuto la meglio.
Riesaminando gli schizzi si sentì soddisfatta. Era decisamente orgogliosa della sua collezione Per Sempre e ansiosa di conoscere l'opinione degli altri. L'idea di quella collezione era stata esclusivamente sua e il disegno portava il suo carattere distintivo. Eppure le sembrava così strano che proprio lei avesse studiato quei meravigliosi anelli nuziali quando era del tutto improbabile che l'uomo che amava, per ora un volto senza nome, un giorno le avrebbe fatto scivolare al dito un anello giurandole eterna fedeltà. L'unica storia che aveva avuto, all'ultimo anno di college, era stata un disastro. Qualcosa a cui Meredith aveva temuto di non sopravvivere. Se questo era il prezzo da pagare per un po' d'amore, era certa di non volere più rischiare.
Disegnare fedi o ciondoli a forma di cuore e qualsiasi altro gioiello che gli innamorati usano scambiarsi la lasciava sempre con l'amaro in bocca. Ma lei faceva di tutto per estraniarsi dalla propria vicenda personale, ripetendosi che si trattava esclusivamente del suo lavoro e che non doveva lasciarsi sopraffare dalle emozioni. Poi, quando tornava a casa, si rifugiava nel proprio studio. Sola nello spazio immenso proiettava tutte le frustrazioni nella propria arte creando particolari sculture astratte in metallo.
Alcune volte le sembrava impossibile credere che lavorasse alla Colette da quattro anni. Il tempo era trascorso così velocemente! Era stato il suo primo lavoro appena terminato il college e non aveva previsto di fermarsi così a lungo. Ma dopo due promozioni aveva accantonato l'idea di cambiare posto, anche se alcune compagnie concorrenti continuavano a farle pressioni perché si decidesse a lavorare per loro.
A lei però piaceva l'atmosfera della Colette, il modo in cui si svolgeva un lavoro di gruppo senza rivalità. Nel corso degli anni aveva stretto amicizia con alcune colleghe, Jayne, Lila e Sylvie, che tra l'altro abitavano nel suo stesso stabile ad Amber Court.
Ma per quanto ancora avrebbe potuto lavorare alla Colette? La voce di un cambio di gestione era iniziata come un sussurro, ma a poco a poco si era trasformata in una certezza che lo stesso consiglio di amministrazione non nascondeva più. Un finanziere, tale Marcus Grey, stava entrando in possesso di tutte le quote che riusciva a reperire sul mercato. Il misterioso investitore era in agguato, come un lupo famelico pronto a colpire. La Colette aveva poche risorse per difendersi da quell'attacco. Era ormai un gioco di attesa e il morale dei dipendenti era a terra.
Ma al pari di altri colleghi, Meredith era determinata a valutare la situazione con un atteggiamento ottimista. E proprio per questo, invece di applicarsi svogliatamente al lavoro come se non avesse più importanza, aveva dato il meglio di sé e aveva studiato dei disegni che avrebbero ricordato ai colleghi che la compagnia poteva avere un futuro. E che alla fine tutto sarebbe andato per il meglio.
Controllò ancora una volta gli schizzi e si apprestò ad aggiungere un tratto di matita. Il telefono squillò esattamente in quel momento.
«Meredith Blair» rispose con tono professionale.
«Sono Jayne» le disse l'amica in tono affrettato. «Sei attesa nella sala esposizioni per un parere.»
«Nella sala esposizioni? Ma devo proprio?» Meredith si rese conto di comportarsi come una bambina, ma non poteva farne a meno. D'altra parte Jayne era un'amica e non ci avrebbe fatto caso.
«Direi proprio di sì» ribadì Jayne.
«Oh, Dio!»
Meredith odiava andare nella sala esposizioni. Si sarebbe sottoposta a qualsiasi tortura piuttosto che accettare un lavoro nel settore delle vendite e delle pubbliche relazioni che la costringesse a stare a contatto con la clientela. Eppure talvolta i disegnatori erano richiesti per delucidazioni proprio da parte dei clienti.
Quando un disegnatore veniva chiamato nella sala esposizioni significava che qualche vecchia e ricca cliente piena di pretese non riusciva a trovare l'anello o la collana dei suoi sogni e aveva intenzione di tormentare qualcuno nel tentativo di far comprendere le proprie esigenze. Per esperienza Meredith sapeva che nove volte su dieci il tentativo risultava infruttuoso. Molto meglio restare appartata nel proprio ufficio che essere proiettata sotto le luci della ribalta.
Inoltre, se fosse scesa in quel momento, non avrebbe avuto il tempo di sistemare gli schizzi per la presentazione. «Senti, Jayne. Non puoi chiamare qualcun altro? Sono molto impegnata, sto perfezionando i disegni per la presentazione. Se potessi evitare... Non puoi rivolgerti ad Anita o cercare Peter?»
«Mi dispiace, Meredith. Ho chiamato Frank prima» ammise Jayne. «Quando ho spiegato al tuo capo chi era il cliente mi ha detto di rivolgermi direttamente a te.»
«E chi è il cliente?»
«Adam Richards» replicò Jayne in un bisbiglio. Meredith immaginò che il signor Richards, chiunque fosse, dovesse trovarsi poco distante dall'amica.
«E dovrei conoscerlo?» chiese ridendo a dispetto della preoccupazione.
«Non personalmente, Meredith... Ma, senza offesa, su che pianeta vivi?» la prese in giro Jayne. «Se ti dico Adam Richards non ti viene in mente per caso la Richards Home Furnishings? Uno dei nostri migliori clienti?»
«Oh, quell'Adam Richards!» esclamò allegramente Meredith.
«Sì, esattamente lui.»
«Ma cosa ci fa qui?»
«In questo preciso momento passeggia avanti e indietro nella sala esposizioni. E sembra piuttosto nervoso. È venuto personalmente a scegliere dei pezzi e vuole parlare con un disegnatore per averne una serie su misura. Ora cerco di intrattenerlo offrendogli il caffè. Ma faresti meglio a scendere immediatamente. Credo che conosca Frank di persona e non vorrei che ti mettesse nei guai» aggiunse.
Meredith aveva sempre avuto un ottimo rapporto con il proprio capo, Frank Reynolds. Lui le aveva insegnato molto e aveva sempre incoraggiato la sua creatività. Ma in cambio pretendeva sempre il massimo rendimento ed era molto severo se non riusciva a ottenerlo. Così, se le ordinava di incontrare questo Adam Richards, lei doveva adeguarsi. Punto.
«D'accordo» acconsentì Meredith con un sospiro. «Informa il tuo impaziente milionario che sono in arrivo.»
Riagganciò il telefono, quindi prese il blocco e il caffè che aveva preparato. Mentre si avviava alla porta decise di controllare il proprio aspetto. Forse era il caso di