Giro di prova
Di L. A. Witt
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Info su questo ebook
Sean Waters sta attraversando un brutto periodo a causa della crisi economica, così si ritrova a lavorare nell'autoconcessionaria gestita dal suo dispotico padre. Non è il massimo come impiego, ma almeno frutta uno stipendio. L'unico problema? La sua tremenda cotta per Jackson Rayburn, il direttore generale.
Quando Jackson gli consiglia di provare un'auto sportiva nuova di zecca, Sean non ha la minima idea che Jackson in realtà non vuole portare solo l'auto a fare un giro.
Entrambi hanno bisogno di quel lavoro, ma il capo non transige riguardo alle relazioni tra i suoi impiegati. D'altronde, non si tratta che di una piccola cotta, quindi possono andare avanti e fingere che non sia successo nulla.Ma è davvero così?
L. A. Witt
L.A. Witt is the author of Back Piece. She is a M/M romance writer who has finally been released from the purgatorial corn maze of Omaha, Nebraska, and now spends her time on the southwestern coast of Spain. In between wondering how she didn’t lose her mind in Omaha, she explores the country with her husband, several clairvoyant hamsters, and an ever-growing herd of rabid plot bunnies.
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Anteprima del libro
Giro di prova - L. A. Witt
Capitolo 1
Grazie all’intensa luce proiettata dai fari, la concessionaria di papà era probabilmente visibile persino dallo spazio. Erano le dieci e un quarto di sera, ma sembrava di essere in pieno giorno sotto lo sventolio delle bandiere e degli striscioni che fluttuavano nella brezza di fine estate. I dettagli meticolosamente rifiniti brillavano, e i parabrezza e i fanali risplendevano così come le cromature lucide.
A quell’ora della sera, specialmente a metà settimana, non mi preoccupavo dell’eventuale arrivo di qualche cliente. Dalle nove in poi, tecnicamente eravamo chiusi, anche se a volte capitava che un ritardatario arrivasse proprio quando io e i responsabili dell’autosalone eravamo pronti ad andarcene. Con un po’ di fortuna quella sera non sarebbe successo. Non appena le lancette avessero segnato le dieci e mezzo, mi sarei precipitato fuori da lì. C’erano una birra ghiacciata e un videoregistratore pieno di sciocche sitcom ad attendermi nel mio appartamento, così ogni volta che un’automobile passava lungo l’autostrada a quattro corsie di fronte al parcheggio, pregavo mentalmente che non rallentasse e che svoltasse la curva.
Ti prego, ti prego, non costringermi a stare di nuovo qui fino a mezzanotte.
E ti prego, ti prego, non costringermi a stare qui fino ai quarant’anni.
Mi avventurai tra la fila delle auto nuove, il morale sotto i tacchi nel leggere i prezzi attaccati ai parabrezza. Due anni prima, non avrei battuto ciglio nell’acquistare un’auto da ventimila dollari. Ora sarei stato fortunato se fossi riuscito a guadagnare ventimila dollari in un anno.
Anche dopo tre mesi, lavorare lì era ancora strano. La mia famiglia possedeva quell’attività da prima che nascessi, ma avevo giurato a me stesso che non sarei stato io a ereditarla una volta che papà fosse andato in pensione. Da adolescente ci avevo lavorato saltuariamente, anche vendendo macchine per qualche tempo dopo il liceo, ma non mi era mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello di poterlo fare a lungo termine.
Così, ero andato all’università, avevo preso una laurea e trovato un lavoro. Pagati tutti i debiti di studio, avevo lavorato per dieci anni occupando un posto promettente all’interno di una società solida.
Be’, un lavoro promettente e una società solida fino a un anno prima, quando l’economia era andata a puttane e io ero stato licenziato. La ricerca di un nuovo impiego non aveva dato frutti. Persino un master in amministrazione aziendale non era bastato a procurarmi uno straccio di lavoro in quella città. Dopo nove mesi mi ero arreso, tornando alla concessionaria strisciando e ora eccomi lì, a lavorare per mio padre per pagare l’affitto di un monolocale situato in una zona non proprio ideale della città. E ancora single a trentaquattro anni. L’anno appena trascorso era stato davvero favoloso per il mio ego.
Scossi il capo e ripresi a camminare. Alla fine di una delle corsie, erano parcheggiate tre macchine sportive nuove di zecca, esposte in modo da saltare subito all’occhio dei passanti. Le auto erano arrivate quel pomeriggio. Una rossa, una argentata e una gialla, tutte decappottabili. I tettucci erano chiusi – papà ce li faceva sempre chiudere la sera, in caso piovesse – ma le auto restavano comunque sexy da morire.
«È una bellezza, non è vero?»
La voce del direttore generale mi spaventò. Mi voltai, fingendo che il cuore non mi fosse appena balzato in gola.
Non ero preoccupato che mi avesse sorpreso a battere la fiacca né che potesse licenziarmi. Lui e papà sapevano bene che mi facevo il mazzo lì, e poi a quell’ora della sera tutti se la prendevano un po’ comoda. Non c’era altro da fare se non aspettare l’orario di chiusura.
No, il motivo per cui Jackson Rayburn aveva mandato a puttane la mia pressione arteriosa era che provavo qualcosa per lui da molto prima che iniziassi a lavorare lì. Da ancora prima che il tempo ingrigisse i suoi capelli scuri all’altezza delle tempie, spruzzando gli altri di un po’ di bianco. Jackson lavorava per mio padre da quando ero uno studente al secondo anno di liceo; a quei tempi lui era solo un giovane e attraente venditore che sapeva poco o niente ma che, come diceva sempre mia madre, sarebbe riuscito a vendere la luce del sole anche ai vampiri. Adesso era il direttore generale e il tempo aveva mitigato il suo aspetto – e ammorbidito la sua personalità – al punto da renderlo assolutamente irresistibile.
E ora eccolo lì, che sbucava da una fila di auto scintillanti con la sua giacca grigia sbottonata e le mani nelle tasche dei pantaloni, mentre io non potevo scappare. Non c’era modo di potermela svignare accampando la scusa di un lavoro da finire o dell’arrivo