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Conquista d'amore: Harmony Collezione
Conquista d'amore: Harmony Collezione
Conquista d'amore: Harmony Collezione
E-book158 pagine2 ore

Conquista d'amore: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Jeff Fisher è stato catturato da quell'angelo che gli è appena passato a fianco. L'ospedale in cui lei lavora non è grande, sarà un gioco da ragazzi ritrovarla. Il suo obiettivo? Conoscerla, renderla pazza di lui, averla... Peccato che Phoebe Frame non la pensi allo stesso modo. Il fallimento del suo matrimonio le è stato sufficiente. Il marito l'ha lasciata senza tanti preamboli dopo dodici anni di vita insieme per una ragazza molto più giovane di lei, che lo renderà anche padre. Phoebe però non sa che Jeff non si arrenderà tanto facilmente.

LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2014
ISBN9788858918487
Conquista d'amore: Harmony Collezione
Autore

Cindi Myers

Vive sulle Montagne Rocciose, in Colorado. Ha conosciuto suo marito a un appuntamento al buio; sei settimane dopo hanno fissato la data delle nozze!

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    Anteprima del libro

    Conquista d'amore - Cindi Myers

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    What Phoebe Wants

    Harlequin Flipside

    © 2004 Cynthia Myers

    Traduzione di Claudia Cavallaro

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5891-848-7

    www.eHarmony.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    Mia nonna mi diceva sempre: La fortuna te la crei da sola. Come se la fortuna fosse qualcosa da poter mettere in forno come una torta o cucire come una camicia. Certo, le mie torte potrebbero essere usate come prima base giù al campo di baseball e le mie ex compagne di classe mi avevano votata: La ragazza più predisposta a fare fisicamente male con una macchina per cucire. Questo potrebbe spiegare perché di recente non ho avuto molta fortuna, in nessun campo.

    Secondo voi che cosa è peggio, essere lasciati dal marito per una cosiddetta cameriera di ventiquattro anni che ha uno stomaco così teso da far rimbalzare le monetine o stare seduti in un box che sa di sigaro e sudore ad ascoltare un venditore d’auto dalla faccia lucida che cerca di concludere un affare?

    Essendo sopravvissuta a tutt’e due le cose, direi che conviene tirare a sorte. Tutta la faccenda del divorzio si è trascinata per molto tempo, ma nel suo genere anche la trattativa con il venditore d’auto è stata altrettanto pesante.

    «So bene che una donna come lei si preoccupa di trovare qualcosa di affidabile.» Il venditore annuì con fare convinto e mi sorrise. «Cioè, che senso ha spendere poco se poi la macchina ti lascia nei guai?»

    Mi lascia nei guai. È proprio questo che ha fatto Steve andandosene. Ha preparato con calma le valigie e ha detto: «So che se non sono felice, tu non vuoi che io rimanga». Come se avesse deciso di andarsene perché era preoccupato per me e non per la sua patetica crisi di mezza età.

    «Capisce che cosa le sto dicendo, signora Frame? Io voglio soltanto che oggi lei esca di qui felice.»

    Di nuovo quella parola... felice. In quella fase della mia vita, cominciavo a pensare che la ricerca della felicità venisse decisamente sopravvalutata. «Mi serve soltanto qualcosa che mi porti dove devo andare e non mi costi più di seimila dollari» replicai giocherellando con le cinghie della borsa.

    Il venditore fece la smorfia di chi aveva appena succhiato un limone. «Seimila. Non credo che riusciremo a trovare molto per quella cifra.» Si sporse verso di me, i denti giallastri sempre più grandi nel mio campo visivo. «Ha una permuta?»

    Sbattei le palpebre. «Una permuta?»

    «Un’altra macchina da dare in cambio.»

    «Sì. È... parcheggiata in fondo alla strada.» La Ford marrone era morta all’angolo fra Anderson e Alameda dopo un’allarmante sequenza di strani rumori provenienti dal motore prima di esalare l’ultimo respiro. Ero rimasta con la testa sul volante per un lungo momento, troppo disgustata per sprecare lacrime, poi avevo preso la borsa e le chiavi e mi ero incamminata.

    A Houston, a fine agosto, camminare è un termine relativo. Era piuttosto come nuotare nella pesante aria umida. Il calore saliva dal marciapiede attraverso le suole dei sandali e avevo i capelli incollati alla fronte. Camminando, avevo cercato di pensare a nuovi epiteti per Steve che se n’era andato con una nuovissima Lexus nera lasciandomi la Ford vecchia di dodici anni.

    Avevo cominciato in ordine alfabetico quando avevo scorto l’insegna Easy Motors. Certo, mi sarei comperata un’auto nuova. O almeno una più nuova della Ford.

    Il venditore, secondo la targa sulla scrivania si chiamava Hector, a quel punto afferrò un formulario e cominciò a scrivere. «Che cosa ci dà in cambio?»

    «Una Ford Escort del 1990. Marrone.»

    «Marrone. Quanti chilometri ha fatto?»

    «Duecentocinquantamila.»

    Lui aggrottò la fronte. «Un’auto così vecchia con tutti quei chilometri posso valutargliela al massimo cinquecento dollari.»

    Sbattei le palpebre. Non mi chiedeva nemmeno se funzionava? Mi morsi il labbro, lottando contro uno scomodo attacco di coscienza.

    Hector prese il mio silenzio per riluttanza. «Seicento. Di più non posso. Prendere o lasciare.»

    Deglutii a fatica. «Dove devo firmare?»

    Non avevo mai comperato un’auto prima di allora. La prima me l’aveva presa mio padre e la Ford me l’aveva regalata Steve un anno a Natale. Avrei voluto una Mustang azzurra, ma lui mi aveva colto di sorpresa con la Ford Escort e protestare sarebbe stato da ingrata, anche se ogni volta che la guardavo non potevo non pensare a una protesi dentaria.

    «Allora, d’accordo.» Hector scostò la sedia e si alzò. «Le mostrerò che cosa abbiamo per la cifra che vuole spendere.»

    Nell’ora successiva, Hector mi fece vedere delle Volkswagen rosse, alcune Chevrolet gialle e una macchina verdognola di origine incerta.

    «Ecco, questa è pressoché perfetta per lei» disse dando una pacca al cofano del modello verdognolo. «Molto sportiva.»

    «Non potrei mai guidare un’auto di questo colore.»

    Hector estrasse un enorme fazzoletto e si asciugò la fronte. «Be’, cara, temo che non possa permettersi di essere schizzinosa. Inoltre...» diede un’altra pacca al cofano, «... è dimostrato che le auto di questo colore hanno meno incidenti. Perché pensa che oggi facciano di questo colore le macchine dei pompieri?»

    Un lampo di azzurro attirò la mia attenzione. Fu allora che la vidi, l’auto dei miei sogni. «E quella?» Indicai la Mustang in un angolo del parcheggio.

    «Quella?» Hector si strofinò il mento. «Sì, me l’ero dimenticata.» Si raddrizzò. «Certo, potrei farle un prezzo speciale.»

    Ci avvicinammo alla Mustang. Aveva una portiera ammaccata e il rivestimento interno un po’ consunto. Mi sedetti al volante e girai la chiavetta. Il motore tossì, poi si avviò.

    «Cara, credo che sia proprio la macchina per lei.»

    Un’ora dopo mi allontanavo sulla Mustang. Non mi importava che fosse un modello un po’ vecchiotto, ciò che contava era il colore, azzurro, quello che avevo sempre sognato per la mia macchina. L’avevo preso come un segno.

    Ci sono volte in cui penso che essere nati senza valanghe di soldi sia una grossa ingiustizia. Invece, non solo sono nata senza soldi, ma dove lavoravo, la Central Care Network Clinic, dopo le aiuto infermiere e gli inservienti, chi trascrive da nastri registrati, come me, occupa l’ultimo posto nella gerarchia ospedaliera.

    Ma ero giovane e single e adesso avevo una macchina nuova, perché mai avrei dovuto lamentarmi? Come no, pensai il giorno dopo mentre salivo in ascensore per raggiungere il mio stanzino nella sezione: Pratiche familiari dell’ospedale. Mi stampai in faccia un sorriso stereotipato. Mia madre mi diceva sempre di sorridere anche quando non ne avevo voglia perché mi avrebbe aiutato a sviluppare l’abitudine alla felicità. Secondo me, un sorriso permanente induceva gli altri a dubitare della tua sanità mentale, così ti lasciavano in pace.

    Il mio reparto si trovava all’undicesimo piano del grattacielo in cristallo e acciaio che faceva parte del complesso del Texas Medical Center. A ogni piano, le porte dell’ascensore si aprivano e molti entravano ma pochi uscivano, così mi ritrovai spinta sempre più verso il fondo della cabina. Mi innervosivo sempre quando l’ascensore era così pieno. E se i cavi non avessero retto il peso? Proprio la settimana prima, Mary Joe Wisnewski di Pediatria era rimasta bloccata più di un’ora fra un piano e l’altro. Non riuscivo nemmeno a muovere le braccia.

    Perciò, naturalmente, provai il bisogno di grattarmi il fondoschiena. Spostai il peso del corpo da un piede all’altro cercando di ignorare il prurito sulla natica destra, mentre l’ascensore si fermava ad accogliere altri passeggeri. Di colpo, mi resi conto della ragione del prurito. Un tipo mi aveva messo una mano addosso! Stava rovistando e pungolando la mia natica come un fornaio che controllava l’impasto. O forse era un chirurgo plastico che mi considerava una probabile candidata a un lifting del sedere.

    Mi spostai nel tentativo di allontanarmi, ma mi fu impossibile in quell’ascensore gremito. L’invisibile pomicione cominciò a palpare l’altra natica.

    «Adesso, basta!» urlai.

    I presenti mi guardarono, incuriositi, e tutti si scostarono da me. Furiosa, spostai il peso sulla gamba sinistra e scalciai all’indietro con il piede destro, colpendo esattamente la rotula di quel buontempone. Se ci fosse stato più spazio, avrei mirato più in alto. Il tipo emise un grugnito e lasciò perdere. Le porte si aprirono e io mi feci strada a gomitate verso la libertà.

    «Phoebe, sei molto in ritardo» mi accolse la direttrice, Joan Lee, mettendomi in mano una pila di cartel line. «Stamattina, il dottor Patterson è eccezionalmente in forma.»

    «Buongiorno, signora Lee.»

    «Vuole queste pratiche sulla sua scrivania entro mezzogiorno» continuò Joan. «Perciò, datti da fare.»

    «Nessun problema.» Mi ficcai le cartelle sotto il braccio sinistro e mi diressi alla macchina del caffè per una tazza fortificante. «Le dividerò con Barb e saranno pronte per le undici.»

    «Mi dispiace, ma Barb non può aiutarti. Stamattina, ho dovuto metterla al banco della reception.»

    Mi girai, la tazza vuota in mano. «Perché? Dov’è Kathleen?»

    Joan scosse la testa e sparì dietro l’angolo. Michelle, l’infermiera del dottor Patterson, mi raggiunse alla macchina. «Kathleen è stata licenziata» sussurrò versandosi della crema nel caffè.

    Aggrottai le sopracciglia. «Lo ha di nuovo respinto?» Era da settimane che il dottor Patterson tormentava la receptionist perché uscisse con lui... sebbene fossero entrambi sposati.

    Michelle alzò le spalle. «Probabile. O forse ha deciso di rivolgersi a pascoli più verdi e non voleva averla intorno.»

    «Michelle, il dottore ha bisogno di te» disse Joan spingendo un carrello

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