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A country affair
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E-book411 pagine5 ore

A country affair

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Info su questo ebook

Courtney, dottoranda con grinta da vendere, è in viaggio verso il Canada con i suoi migliori amici. In piena notte, durante il tragitto, il loro furgone sbanda e i tre vengono soccorsi da un affascinante sconosciuto, Bryce Duggan, che li conduce al suo ranch.
La convivenza forzata, in un mondo lontano dal suo, rivela a Courtney l'attrazione verso Bryce, ma i suoi modi un po’ rozzi la frenano. Insomma, un cowboy, pieno di sé, non è certo il suo ideale di uomo.
Bryce, dal canto suo, non ha mai avuto a che fare con i sentimenti, non desidera legami di alcun genere, passa da una donna all’altra, consapevole del suo fascino.
Courtney però, con il suo atteggiamento sicuro e impertinente, con quella chimica che sembra attirarlo come nessun’altra, manda all’aria tutte le sue convinzioni. Un rapporto tra loro tuttavia è impensabile.
Presto Courtney lascerà il ranch e Bryce non riesce a immaginare la sua vita altrove.
Quanto riusciranno a resistere prima di dover fare i conti con l'ineluttabilità del destino?
LinguaItaliano
Data di uscita5 gen 2023
ISBN9791220704847
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    Anteprima del libro

    A country affair - Harper McKenzie

    1

    COURTNEY

    If you want to view paradise

    Simply look around and view it

    Anything you want to, do it.

    Kathleen, Pure Immagination

    Il furgoncino rosso fuoco era parcheggiato lungo il bordo del marciapiede. In piedi, sul retro, a braccia incrociate, osservavo perplessa le condizioni precarie in cui si presentava. Liam stava controllando per l’ennesima volta gli pneumatici, li premeva dando dei colpetti con il piede, annuiva e passava al successivo, di sicuro ignaro degli sguardi incerti tra me e Seth. Le nostre valigie rimanevano ancora adagiate per terra.

    Diede con la mano un ultimo colpo al cofano. «Bene, adesso è tutto a posto.»

    Afferrai il manico del mio trolley rosa shocking. «Ne sei sicuro?»

    Liam si voltò e, a giudicare dalla sua espressione, aveva notato l’atteggiamento perplesso di Seth, subito dopo il mio.

    «Qual è il problema?» chiese aggrottando la fronte.

    Seth allargò le braccia. «Quando ci hai parlato del tuo mezzo di trasporto avevamo immaginato altro.»

    «Altro? È un furgone. Cosa pensavate, a un jet privato?»

    «Liam, sembra il furgone di Scooby Doo. Da quanto non va in strada?» mi inserii.

    «È sicuro.» Mi imitò, incrociando le braccia. «Mio padre lo ha sempre tenuto in ottime condizioni. Non fa un viaggio lungo da tempo e questa è l’occasione giusta. Non è il momento per ripensarci. O sì?»

    «Beh, se si dovesse guastare? Dove lo troviamo un meccanico in mezzo al nulla?»

    «Courtney, vi avevo già detto che avremmo viaggiato in un furgoncino quando ho proposto questa vacanza pre-dottorato.»

    Io, Liam e Seth eravamo stati accettati per il dottorato in Pubblicità e Marketing e Liam, una sera, davanti tre boccali di birra nella sala film del dormitorio del campus, aveva buttato lì la proposta di una vacanza on the road con il suo furgone di famiglia.

    Sia io che Seth avevamo colto la palla al balzo. Forse quella era l’unica occasione per concederci uno stacco tra la fine degli studi e l’inizio del dottorato. E ne avevamo approfittato.

    In quell’istante esatto il mio telefono squillò e rovistai tra le mille cose stipate nello zaino. Riuscii a tirarlo fuori solo quando smise di suonare.

    Seth ridacchiò. «Quando la cambi quella suoneria?»

    «Cos’hai contro Lily Allen e il suo Fuck You?» Inarcai le sopracciglia.

    Alzò le mani in segno di resa e mi affrettai a controllare le chiamate perse. Mia madre. Le feci subito uno squillo, prima di ritrovarmi invasa dai suoi messaggi. La tranquillizzai e le mentii dicendo che eravamo già partiti. Annuii, esasperata per le mille altre raccomandazioni, e pigiando sul tasto rosso ricacciai il telefono nello zaino.

    Afferrai la valigia e la inserii nel vano posteriore. «Seth, diamogli fiducia e cominciamo questa cazzo di vacanza.»

    Il mio amico, ancora in silenzio, mi imitò e incastrò la sua enorme sacca da militare accanto alla mia; di sicuro l’aveva presa in prestito dal padre. Salì sul furgone. Si accomodò di fianco a Liam mentre io mi sistemai dietro, vicino ai finestrini.

    All’accensione il mezzo vibrò e mi accorsi di trattenere il fiato, temendo che si spegnesse da un momento all’altro o, peggio ancora, che potesse esplodere.

    «Hai messo il navigatore?» chiese Seth.

    «Ho appena fatto duecento metri!» sbottò Liam infastidito. «Fammi almeno lasciare Portland. Oppure ti metti tu, o la signorina dietro, alla guida.»

    Sapeva bene che né Seth né io avevamo preso la patente e la sua frase equivaleva a un Tacete e basta. E così fu: Seth accese la radio cercando per lunghi minuti una stazione che non gracchiasse e io osservai la città che scorreva via dalla mia vista.

    Il nostro obiettivo era raggiungere la casa dei nonni di Seth a Edmonton e visitare quella parte di Canada mai vista a quasi zero costi.

    Una volta lasciata Portland, Seth si stufò di cercare stazioni radio. Liam lo mandò a quel paese e lo invitò a collegare il cellulare allo speaker nel vano portaoggetti.

    «Hai portato da mangiare?» chiese Liam mezz’ora dopo. «Ho fame.»

    «Io? Era compito di Courtney,» rispose Seth, indicando con il pollice dietro di sé.

    Sgranai gli occhi. «Mio? E quando me lo avresti detto?»

    «Volete dirmi che non abbiamo nulla da mangiare?» Liam sembrava allarmato.

    Seth si passò una mano sul viso. «Cazzo, Courtney!»

    «Ehi! Nessuno mi ha detto nulla!» esplosi infuriata. «E comunque lungo la statale è pieno di hamburgherie.»

    «Splendido!» Liam fece una risata sarcastica. «Se iniziamo adesso le soste arriveremo tra due giorni.»

    «Vedi altre soluzioni, genio? Cerco su internet se c’è un market sulla strada.» Presi il telefono dal piccolo tavolo a scomparsa sul quale lo avevo appoggiato, quando avevo valutato erroneamente di riuscire a farmi un sonnellino.

    Il furgone accostò su uno spiazzo antistante una pompa di benzina. Liam diede un’altra controllata alle gomme mentre io e Seth andavamo a recuperare da bere e da mangiare nel supermercato lì accanto.

    «Hai risolto con Cindy?» Infilai tre bottiglie di acqua nella sacca di tela che il tizio all’ingresso ci aveva fornito.

    «Cosa vuoi risolvere? La frequento da meno del tempo di una pisciata e mi pianta delle storie assurde su questo viaggio,» rispose Seth contrariato con le mani piene di sandwich preconfezionati.

    Aveva conosciuto la sua attuale ragazza alla festa di addio al celibato di un nostro compagno di corso, e sembrava davvero preso. Lei però si era dimostrata alquanto possessiva e non mancava di sottolineargli tutto quello che lui sbagliava.

    Conoscevo i miei due amici da quando eravamo matricole e la passione per i nostri studi ci aveva unito in un lavoro di gruppo. Da allora non ci eravamo più separati. Ovviamente per gli altri, all’esterno, io ero quella che andava a letto con tutti e due. Mi importava poco cosa ne pensasse la gente. A parte l’episodio di cinque anni prima in cui, ubriaco, Seth mi aveva baciato, non era più successo nulla. Eravamo scoppiati a ridere subito dopo. Mi era sembrato di baciare il bastone di una scopa.

    Eppure mi sarebbe così piaciuto avere una storia vera. Una relazione da togliermi il fiato, che mi facesse perdere la testa senza risultare una decapitazione. Invece avevo solo storielle di un paio di mesi che, o per la noia o per la scarsa affidabilità del mio partner, alla fine lasciavo scemare nel silenzio.

    Seth ora mi camminava accanto. «Guarda, ci sono i brownies. Li prendiamo?» lo stuzzicai, ricordandomi quanto andasse matto per quella roba così lontana dall’essere fatta in modo genuino.

    «Ovvio, che domande!» Afferrò la confezione dallo scaffale e la inserì nella borsa.

    Un pacchetto di chewing gum alla fragola dopo eravamo tutti e tre nell’abitacolo del furgone a mangiare e calcolare il percorso rimanente.

    Accartocciai la bottiglia di plastica. «Non sei stanco di guidare?»

    Liam alzò le spalle.

    «Riposati almeno un’ora prima di rimetterci in viaggio,» gli consigliò Seth.

    «Sono passate appena due ore. C’è tempo. Voglio fare più strada possibile.»

    Sia io che Seth sapevamo quanto Liam fosse suscettibile ai consigli e con sguardo complice ritenemmo di non aggiungere altro e lasciarlo fare.

    Ritornò al posto di guida e io mi sistemai accanto a lui, dove prima era seduto Seth.

    Ogni tanto gettavo un’occhiata alla sua faccia per scorgere se ci fossero segni di cedimento: palpebre calanti, sbadigli o spalle curve.

    Liam era davvero un bel ragazzo ma, così come Seth, non mi aveva mai suscitato certi pensieri. E se li avessi avuti, avrei dovuto tenerli per me. Dacché lo conoscevo stava con la stessa ragazza del liceo e ne era innamoratissimo. Soffriva per la distanza tra loro, perché Allyson aveva scelto di frequentare il college in Europa e da cinque anni viveva a Londra in attesa di finire i suoi studi e tornare a Portland.

    Un paio d’ore dopo Liam accostò nel parcheggio pubblico di un centro commerciale a Spokane. La luce del pomeriggio illuminava la variegata gamma di automobili in cui il nostro furgone spiccava come una fiamma in acqua.

    Liam sbadigliò. «Adesso voi due andate a fare un giro lì dentro e io mi faccio qualche minuto di sonno. Ho bisogno di allungare le gambe. Le rotule delle mie ginocchia stanno facendo crick.»

    Annuimmo comprensivi. Mi sentivo un po’ in colpa per non potergli essere d’aiuto. A ogni modo, ci avviammo verso le porte girevoli. L’autunno era vicino e il freddo era pungente.

    «Ho deciso! Al ritorno prendo la patente.» Presi il telefono per mandare un messaggio a mio padre e comunicargli di essere ancora sana e salva in mezzo allo Stato di Washington.

    «Ottima idea.» Seth sorrise; non aggiunse che forse era il caso lo facesse anche lui.

    Alzai un sopracciglio e scossi lenta la testa.

    «Hai mai pensato di farti la frangia?» continuò cambiando argomento. «Mi piacciono queste strisce chiare che hai fatto.»

    «Potevi inventarti qualcosa di più originale per evitare il discorso. Comunque queste non si chiamano strisce ma balayage.»

    «Bala… che?» Seth ridacchiò osservando meglio i miei capelli. «Sì, a ogni modo avrei potuto essere più originale. Ciò non significa che non pensi davvero che con la frangia staresti meglio. Hai questi capelli così lunghi e spesso ti coprono il viso.»

    «A me piace coprire il viso.» Mi portai i capelli dietro le orecchie, smentendo la mia affermazione.

    «Cindy è gelosa di te,» affermò con noncuranza, lasciandomi a bocca aperta.

    «Di me? E perché mai?»

    Nel frattempo ci eravamo infilati in una libreria attirati dalla pubblicità appariscente di un nuovo libro sulla cucina vegana. Una di quelle capaci di coinvolgere, tanto che c’era chi sorrideva, e chi si faceva un selfie.

    «Non saprei. Credo pensi che io abbia un debole per te.»

    «Non è così, però,» ribattei, puntando gli occhi su di lui. «Oppure sì?» domandai preoccupata.

    «Certo che no! Quell’unico bacio è stato quasi ridicolo. Probabilmente è perché gliel’ho raccontato in un momento in cui volevo farla ingelosire.»

    «E non potevi raccontare un’altra delle tue cazzate anziché mettere in mezzo me? Non voglio che lei costruisca castelli in aria.»

    «Le passerà. Ma era solo per dirti che secondo me non hai la percezione di quanto tu sia carina.»

    Imbarazzata dal complimento, gli sfregai il braccio a mo’ di ringraziamento. Poi afferrai il libro che aveva attirato la nostra attenzione.

    Osservammo la copertina e discutemmo sulle strategie pubblicitarie che al posto loro avremmo elaborato.

    Nessuno di noi due lo comprò, anche perché molto lontani dal pensiero vegano, e dopo una breve sosta al punto ristoro per una cheesecake e un frappè – ci premurammo di prendere entrambe le cose anche per Liam –, tornammo in giro per i negozi.

    Stanchi di girovagare senza un obiettivo, impiegammo l’ora successiva a telefonare e ad aggiornare i nostri cari sul viaggio e al termine tornammo al furgone.

    Liam si destò al rumore dell’apertura della portiera. Aveva il viso stanco e mi dispiacque. Scese dal mezzo e gli versai nelle mani l’acqua dalla bottiglia affinché si rinfrescasse il viso. I cortissimi capelli castani brillavano per le goccioline tra le ciocche.

    «Vado a cercare un bagno,» ci informò. Prese il giubbotto e si incamminò verso il centro commerciale.

    Tornando a trafficare con i tasti della radio, Seth riuscì a trovare una musica a lui gradita e ne accompagnò il ritmo con la testa. Io ripresi posto vicino ai finestrini e osservai l’andirivieni della gente con i loro pacchettini.

    Liam fece ritorno e risalì nel furgone. «Bene, ripartiamo.» Si sfregò le mani e mi passò il giubbotto perché lo mettessi sul sedile posteriore.

    Man mano che i chilometri aumentavano, la temperatura si abbassò di un paio di gradi; mi complimentai con me stessa per aver deciso di indossare il trench imbottito sopra la felpa con il logo dell’università e i jeans pesanti. Era solo la fine di agosto ma quella zona al confine sembrava non esserne al corrente.

    Lasciammo l’autostrada e la vista delle montagne si fece più vicina e nitida. Le cime più alte erano innevate. Una vegetazione fitta tra pioppi e abeti fiancheggiava la lunga strada. Era pomeriggio inoltrato e avevamo incontrato poche automobili, in un senso e nell’altro.

    All’inizio mi mancò l’aria, la foresta che stavamo attraversando era una vista mozzafiato. Del resto, i parchi nazionali e le riserve indiane dei nativi rappresentavano la vera bellezza del Canada. Nessuno strombazzare di clacson o code né continue fermate ai semafori. Si poteva pensare fosse una strada verso il nulla.

    «Ho bisogno di sgranchirmi le gambe. Ci fermiamo alla prossima piazzola di sosta,» annunciò Liam, scuotendo Seth dal suo ronfare vergognoso.

    Ero d’accordo. «Bene, così mi cerco un cespuglio dove fare pipì.» Incrociai le gambe, a momenti me la facevo addosso.

    Seth sbadigliò. «Che c’è? Siamo arrivati?»

    Gli diedi un colpo sulla testa al quale rispose con un colpo sulla mia mano.

    «Piantatela o mi farete distrarre. Dai, fuori tutti,» intervenne Liam, parcheggiando il furgone in una radura deserta.

    Il gelo mi colpì prima al viso e poi alle gambe. Mi rialzai il bavero e mi guardai intorno. Nessun cespuglio nelle vicinanze, a meno che non mi fossi inoltrata nel bosco.

    «Preferisco trattenerla,» annunciai.

    I miei amici iniziarono ad alzare le braccia e a piegarsi sulle gambe per fare uno stretching rivisitato.

    «Non essere sciocca. Mettiti dietro il furgone,» mi disse Seth.

    «Promettete di non sbirciare?» domandai sospettosa.

    «Cosa c’è da sbirciare? Sei coperta fino all’inverosimile. E poi ho già visto dei culi.»

    «Dei culi non sono il mio,» risposi fiera del mio didietro prominente.

    Liam rise. «E anche questo è vero.» Stava cercando di chiamare Allyson, ma forse qualcosa non andava nella linea, perché iniziò a imprecare.

    «Questo progetto si è rivelato parecchio faticoso,» ammise Seth.

    Io, nel frattempo, mi ero accucciata dietro le ruote posteriori.

    «Sono io l’unico a potersi lamentare,» lo rimproverò Liam. «Non mi sento le chiappe.»

    «Neanch’io.» Mi rialzai velocemente gli slip e la zip dei jeans. «Quanto mancherà?»

    «Sette ore circa,» ci informò Liam, inspirando a pieni polmoni.

    Seth si avvicinò a lui. «Cerchiamo un motel e ci fermiamo una notte. Domattina ripartiamo con calma. Ho paura che Mister Scooby si affatichi troppo.»

    Io e Liam lo guardammo confusi.

    «Chi è Mister Scooby?» chiedemmo quasi all’unisono.

    «Lui, no?» Seth diede una pacca sul tettuccio del furgone.

    Liam scosse la testa sorridendo. «Risali su, spiritosone. Tra un paio d’ore ci rifermiamo. Nessun motel.»

    Tornammo tutti a bordo del furgone.

    Cercai gli occhi di Liam nello specchietto retrovisore. «Sei sicuro? Seth ha ragione. Se ci fermiamo una notte potrai riposare.»

    «Sicurissimo,» rispose facendomi l’occhiolino e rimettendo in moto Mister Scooby.

    Dal telefono controllai la mia casella di posta elettronica e rilessi l’allegato con il calendario degli impegni per il nostro dottorato. Avevo idealizzato così tanto il periodo che mi aspettava che non mi chiedevo mai cosa avrei fatto dopo. A volte il pensiero di lasciare il campus e ciò che aveva rappresentato mi inquietava. Mi sentivo protetta in quell’ambiente e, se avessi potuto, ci sarei rimasta per sempre. Non mi vedevo da nessun’altra parte.

    Mio padre talvolta non mancava di sottolineare che forse rifiutavo di crescere e mia madre aggiungeva che la mia vita sentimentale ne era la prova.

    Avevo solo ventiquattro anni ma mi consideravano una zitellona fatta e finita. Aprii il taccuino digitale e appuntai qualche nota sulla prima lezione.

    Il furgone viaggiava silenzioso e la musica in sottofondo conciliava il riposo.

    «Seth, gioca di nuovo con la radio e cerca qualcosa di più movimentato,» gli dissi, scrollandogli la spalla.

    Liam lo bloccò. «Va bene così, Court. Mi rilassa.»

    «Non rilassarti troppo, però. È buio e devi prestare attenzione alla strada.» Tornai ad appoggiarmi al sedile e distesi le gambe in avanti.

    La strada non era illuminata e il vento tra gli alberi ai lati li faceva somigliare a tanti fantasmi che agitavano le braccia. Mi strinsi nella felpa e decisi di chiudere gli occhi per un po’. Ero stanchissima e forse non mi sarebbe scoppiato il mal di testa se mi fossi riposata un po’.

    Non sapevo quanto tempo fosse passato, ma quando riaprii gli occhi a causa di uno scossone più forte degli altri mi accorsi che Seth aveva la tempia poggiata al finestrino e Liam la testa ciondolante e gli occhi che facevano fatica a rimanere aperti.

    Balzai di colpo in avanti e lo scossi per risvegliarlo. «Liam, fermati! Stai dormendo!» gridai spaventata.

    Si riscosse anche Seth, ma il guaio era fatto. Il furgone si era avviato lungo un sentiero laterale della strada. Liam provò a sterzare ma l’impatto fu inevitabile e violento. Vidi letteralmente volare per aria i giubbotti, la bottiglia e lo zaino dai sedili, Seth che batteva la testa contro il parabrezza e tornava indietro per l’impatto. Sentii il panico salirmi dentro, urlai e mi voltai dall’altra parte. Lo schianto fu preceduto un millesimo di secondo prima da una frenata inutile. Poi non vidi più nulla perché battei la testa contro il finestrino e persi i sensi.

    2

    COURTNEY

    Someday he’ll come along

    The man I love,

    And he’ll be big and strong,

    The man I love,

    And when he comes my way

    I’ll do my best to make him stay.

    He’ll look at me and smile,

    I’ll understand.

    Ella Fitzgerald, The Man I love

    Un forte dolore alla tempia mi ridestò dal sopore. Che diavolo è successo? mi chiesi guardandomi attorno.

    «No! No, cazzo!» gridai quando realizzai che avevamo appena avuto un incidente. Distesa sul pavimento del furgone, mi rialzai di scatto, ma un capogiro frenò il mio desiderio di trovare i miei amici.

    Mi appoggiai alla spalliera e riuscii a rimettermi in piedi. Sul sedile anteriore Seth era piegato su se stesso e Liam al contrario aveva il capo fermo sul poggiatesta.

    «Ragazzi, sveglia! Liam, per favore, parla! Seth, apri gli occhi!»

    Il panico mi serrava la gola e le lacrime mi annebbiavano la vista.

    «Cosa diavolo devo fare?» urlai a me stessa mentre mettevo due dita sotto le narici di Seth per sentire il suo respiro. Feci lo stesso con Liam. Erano vivi, grazie a Dio. Cercai un cellulare e quando afferrai quello di Liam, perché non trovavo il mio in mezzo al marasma dell’abitacolo, notai che non c’era campo. Imprecai a voce alta e con delicatezza scossi le spalle prima dell’uno e poi dell’altro.

    Mi giunse un debole lamento da parte di Seth e lo sollecitai ad aprire gli occhi, ma niente; continuava a lamentarsi senza svegliarsi. Liam invece non dava segnali di coscienza. Dovevo uscire e chiedere aiuto. Feci molta fatica ad aprire la portiera perché era ripiegata verso l’interno.

    Una volta fuori, incurante del buio pesto che mi accolse, mi guardai intorno. Mister Scooby era finito addosso al tronco di un maestoso albero in mezzo al bosco. Non c’era odore di benzina, ma ciò non mi rincuorò.

    «AIUTO! C’è qualcuno? Mi serve aiuto,» gridai con tutto il fiato che avevo in gola.

    Nulla. L’atmosfera del bosco era sempre più inquietante e il verso di qualche uccello notturno mi raggelò. Risalii sul furgone per vedere se uno dei due si fosse svegliato, e piombai nel terrore quando non avvertii più i lamenti di Seth.

    Individuai il giubbotto di Liam, lo infilai e mi avventurai nel bosco. Il lampo di una luce lontana mi colpì gli occhi. Doveva provenire dalla strada principale che avevamo lasciato. E io dovevo raggiungerla e fermare la prima automobile.

    Man mano che avanzavo capii che avevo fatto male i miei conti perché le luci erano molto più lontane di quanto avessi supposto. Ero circondata dal buio e non si intravedeva nemmeno la luna. Ritenni fosse il caso di tornare indietro prima di smarrirmi e finire sbranata dai lupi o da un orso. Non sapevo neanche dove ci trovassimo.

    Il silenzio fece giungere alle mie orecchie il lamento di Seth e presi a correre.

    «Court… Liam…» mormorò quando lo raggiunsi.

    «Grazie a Dio ti sei svegliato!» esclamai abbracciandolo.

    «Ahi. Mi fa male il collo e la spalla. Cosa è successo?» domandò confuso.

    «Ci siamo schiantati contro un albero. Siamo in mezzo al nulla. I telefoni non prendono. Ho provato a cercare aiuto e Liam è incosciente.»

    Seth si girò di scatto verso il suo lato sinistro e sbiancò quando vide Liam con la testa abbandonata contro il sedile.

    «Tu come stai?» mi chiese preoccupato.

    «Bene. Io torno fuori a cercare aiuto. Tu stai sveglio, per favore.» Volevo rassicurarlo quando invece ero terrorizzata.

    All’esterno la temperatura sembrava essere scesa ulteriormente rispetto a dieci minuti prima. I miei scarponcini calpestavano le foglie e decisi di girare in tondo senza perdere di vista il furgone. Urlai ancora la mia richiesta di aiuto e poi udii un rumore. Tesi le orecchie e distinsi lo scalpiccio di qualcosa. Gridai più forte per attirare l’attenzione. Pregai che qualcuno mi avesse sentito e ci soccorresse. O poteva essere un pazzo furioso? In fin dei conti era quasi notte e ci trovavamo in un bosco. Me ne infischiai e ripresi a urlare.

    «C’è qualcuno? Ho bisogno di aiuto.»

    Il rumore si fece distinto. Zoccoli?

    Nel buio prese forma la sagoma enorme di un animale nero. Un cavallo. Indietreggiai impaurita perché non mi ero mai ritrovata così vicina a una bestia tanto imponente.

    Nonostante il buio misi a fuoco la figura che montava quello splendido esemplare di animale. Un uomo teneva le redini in una mano mentre spostava un po’ indietro il cappello scoprendosi parte del viso.

    «Abbiamo avuto un incidente. Per favore, mi serve aiuto. I miei amici sono bloccati in auto,» dichiarai.

    «Fammi strada,» mi rispose con voce cavernosa.

    Mi incamminai verso il furgone seguita dal cavallo e dal… cavaliere. Trovai Seth fuori dall’auto, cercava di smuovere Liam.

    «No, non lo toccare,» gli intimai fermandolo, «non sappiamo che problema ci sia e potremmo causargli un danno peggiore.»

    «Saggio consiglio,» rispose la voce profonda del tizio.

    Seth mi guardò stupito e sollevai le spalle. L’uomo scese con sicurezza dal cavallo e ci ritrovammo di fronte almeno centonovanta centimetri di imponenza maschile. Con atteggiamento sicuro legò le redini a un ramo. Non mi ero mai ritenuta di bassa statura, ma quando mi passò accanto mi sentii minuscola.

    Il cappello gli copriva parte del viso e lui, senza darsi la pena di toglierlo, si diresse verso il lato di Liam. Gli tastò il collo e passò al petto e alle gambe. Io e Seth sobbalzammo quando Liam si lamentò a causa dell’ispezione dello sconosciuto.

    Si risvegliò poco dopo, ma non riusciva a tenere gli occhi aperti.

    «Ha un ginocchio rotto,» dichiarò l’uomo, tornando verso di noi.

    Seth raggiunse Liam, che si era riassopito, e provò a destarlo spiegandogli l’accaduto. Io andai verso il nostro soccorritore per ringraziarlo e chiedere ulteriore supporto.

    «Grazie. Potrebbe indicarci come tirarlo fuori e portarlo in osp… Ehi!» esclamai subito dopo. Scostai di scatto la sua mano che si avvicinava al mio viso. «Tenga le mani a posto!»

    «Il tuo sopracciglio sanguina.» Indicò la mia fronte e mi sentii un verme per aver reagito in quel modo.

    «Oh… non me ne ero accorta. Sto bene, però.» Mi portai la mano alla tempia e tastai la zona indicata. Sobbalzai per una fitta di dolore, avevo l’indice sporco di sangue.

    Torreggiava su di me e quando mi voltai di nuovo verso di lui notai che si era portato il cappello dietro la testa e, buon Gesù, se quello non era il maschio più maschio che avessi mai visto.

    Penetranti occhi verde scuro illuminavano un volto squadrato dagli zigomi alti. Le labbra carnose, scolpite alla perfezione, erano contornate da una folta barba scura. Aveva i capelli bruni leggermente mossi. I suoi lineamenti non si potevano definire delicati, quello era un viso virile nel senso pieno del termine. Quanti anni poteva avere? Una rete di rughe sottili circondava gli occhi, ancora puntati su di me.

    Stavo lì, ferma, imbambolata, a ispezionare la parte rimanente del corpo, quando Seth mi chiamò e io mi destai dall’incantesimo in cui sembravo essere caduta.

    «Court, dobbiamo, nell’ordine, aiutare Liam, medicare te e tirare il furgone via da qui,» affermò con una tale semplicità da spiazzarmi.

    «Mi hai preso per Wonder Woman?» ribattei infastidita.

    Agitò le mani per aria. «Ho fatto il punto della situazione. Così come, secondo me, un altro punto ci vorrà all’angolo del tuo sopracciglio.»

    Stavo per alzare la voce quando Liam richiamò la nostra attenzione, mentre il nostro soccorritore ci osservava attento.

    Corremmo da lui. «Diamine, non è il momento di litigare,» si lamentò, «il ginocchio mi fa un male boia!»

    «Oh,» dissi mesta. «Stai tranquillo. Adesso sono sicura che questo gentile signore ci aiuterà a tirarci fuori da questa situazione.» Lanciai un’occhiata supplichevole allo sconosciuto.

    Quest’ultimo sollevò le sopracciglia e un lampo divertito passò nei suoi occhi. Guardò per qualche secondo Mister Scooby e poi, rapido e sicuro di sé, rimontò a cavallo e andò via, lasciandoci a bocca aperta.

    «Ma… ehi! Cazzo… ma se ne è andato?» esplosi allibita. Ci aveva lasciato al nostro destino in quelle condizioni? Che razza di uomo vile era?

    «Splendido,» sospirò amareggiato Seth, «adesso che si fa?»

    «Torno a esplorare la zona a ovest. Se trovo la strada principale dalla quale siamo arrivati forse riesco a bloccare una macchina.»

    «Tu non ti muovi da qui! Non sai nemmeno dove è ovest.»

    Mi abbottonai il giubbotto. «Cosa cambia? Sarà est o sud, ma diamine, io non resto qui ferma a far nulla con la probabilità che ci trovi un animale selvaggio e ci sbrani uno alla volta.»

    «Ci possiamo sempre chiudere nel furgone.»

    «No. Porto con me il telefono e magari riesco a far luce.»

    Ignorai le sue proteste e tornai a cercare segni di vita umana. Ripensai a quello sconosciuto e al menefreghismo che aveva dimostrato andando via.

    Mezz’ora dopo, infreddolita, impaurita e sconfitta nei miei propositi di riuscire a trarci tutti in salvo, stavo per rimettermi a urlare per la frustrazione. Mi era tornato il mal di testa e sentii la guancia umida. Un rivolo di sangue era fuoriuscito dalla ferita impiastricciata del sopracciglio. Con la manica del giubbotto mi asciugai la guancia.

    In lontananza udii il medesimo rumore di zoccoli di poco prima. Gli alberi si erano fatti più radi e fu più semplice mettere a fuoco i due animali che avevo già incontrato: uno lo era per natura, l’altro per il suo comportamento rivoltante.

    Poi il suono cadenzato mi fu sempre più vicino.

    «Non ti hanno mai detto che non si va in giro di notte, da soli, nei boschi?» mi ammonì lo sconosciuto, tirando le redini del cavallo quando mi fu accanto.

    Trattenni l’ira che mi agitava dentro. «Non l’avrei fatto se un essere spregevole non ci avesse lasciato al nostro destino. Si chiama omissione di soccorso!»

    «I tuoi amici sono al sicuro adesso.» Mi tese la mano. «Sali, ti porto da loro.» Il volto era serio e privo di emozioni.

    Sempre più diffidente guardai la sua mano grande, il cavallo nero e altissimo e arretrai.

    «Chi mi dice che tu non abbia ucciso i miei amici e voglia approfittarti di me?» Incrociai le braccia e puntai i piedi.

    Sgranò gli occhi e scoppiò in una risata fragorosa, mentre il cavallo sembrò accompagnare quella esplosione di ilarità con un nitrito.

    «L’obiezione è giusta, ma se avessi voluto avere a che fare con il tuo corpo l’avrei già fatto scendendo dal cavallo e gettandoti per terra, non ti pare?»

    Sempre più circospetta scrutai la sua espressione ancora divertita e il cavallo che strofinava uno zoccolo sul terreno.

    «Dove sono i mie amici?» Raddrizzai le spalle.

    «I tuoi amici,» m’informò, «in questo momento dovrebbero essere arrivati in un posto caldo, in attesa di un medico, mentre il furgone sta per essere trainato via.»

    «Come faccio a sapere se stai dicendo la verità?»

    «Oh, beh, non puoi. O ti fidi oppure no. Sta a te scegliere se venire con me oppure lasciare che un animale selvatico o un folle ti faccia un bel servizietto. Almeno hai la minima percezione di dove ti trovi?»

    Scossi la testa imbarazzata e indicai il cellulare fuori uso.

    Sospinse indietro il cappello e si grattò la fronte. Il suo collo fu attraversato dal guizzare delle vene. La giacca imbottita gli copriva il busto e i suoi piedi nelle staffe stringevano sulla pancia del cavallo.

    «Sei a settanta chilometri da Calgary, a dodici dalla guardia medica di Creekmore e a venticinque dall’ospedale. E nel bosco più fitto della zona,» mi informò placido. «Ti risulta più chiaro così?»

    «Insomma, direi che non ho scelta,» ammisi. Guardai la sua mano, di nuovo tesa verso di me. «Come ci arrivo lì sopra?» chiesi accennando con la testa alla groppa del cavallo.

    Con un balzo deciso scese dall’animale e me lo ritrovai di fronte. Le sue spalle larghe parvero oscurare anche la debole luce della luna.

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