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Sulle sponde della Magna Grecia: Il Novecento di Spagnoletti, Carrieri, Grisi e gli altri
Sulle sponde della Magna Grecia: Il Novecento di Spagnoletti, Carrieri, Grisi e gli altri
Sulle sponde della Magna Grecia: Il Novecento di Spagnoletti, Carrieri, Grisi e gli altri
E-book291 pagine4 ore

Sulle sponde della Magna Grecia: Il Novecento di Spagnoletti, Carrieri, Grisi e gli altri

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Dove sono gli scrittori e le scrittrici del meridione che hanno caratterizzato il Novecento letterario? Non nei manuali. Per questa ragione, Sulle sponde della Magna Grecia. Il Novecento di Spagnoletti, Carrieri, Grisi e gli altri costituisce un’eccezione nel panorama editoriale italiano. Il saggio, scritto da Pierfranco BruniMarilena Cavallo, Micol Bruni, e Rosaria Scialpi ripercorre la più recente storia letteraria del meridione attraverso una lente d’ingrandimento unica: l’appartenenza alla Magna Grecia. Riscoprire una terra per riscoprirne l’identità plurima e composita, per riscoprirsi fra memorie e storie, fra Storia collettiva e ricordi. 

A cura di Rosaria Scialpi.

Rosaria Scialpi è nata a Taranto nel 1996. Laureata in Lettere moderne con lode, ha scritto articoli per riviste scientifiche, collaborato con testate giornalistiche del territorio pugliese e ha curato la comunicazione di un festival letterario. Fra i suoi scritti: Lembi di verità (L’Erudita, 2022), vincitore del Premio Saffo poesia giovane e del Premio Troccoli Magna Graecia, e La trilogia del Nostos di Pierfranco Bruni (Pellegrini, 2023). Alcuni suoi racconti appaiono in diverse antologie. 
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita5 lug 2023
ISBN9791222423586
Sulle sponde della Magna Grecia: Il Novecento di Spagnoletti, Carrieri, Grisi e gli altri

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    Sulle sponde della Magna Grecia - Rosaria Scialpi

    Nota della curatrice

    Sulle sponde della Magna Grecia. Il Novecento di Spagnoletti, Carrieri, Grisi e gli altri è un testo che colma la lacuna, ma sarebbe più corretto chiamarla voragine, fra Ottocento e Novecento, fra quanto considerato canonico e pertanto studiato, nelle scuole e nelle università, e quanto sfugge alla costrizione della maglia del canone e non trova rappresentazione nei manuali e nelle antologie.

    Questo è quanto accade, ormai da diversi decenni, a moltissime autrici e moltissimi autori del Novecento e in particolare alle scrittrici e agli scrittori del meridione italiano, soprattutto poeti.

    A tal proposito, già nel 2018, il ricercatore Simone Giusti parlava, per la prestigiosa rivista La ricerca di Loescher, della raccolta firme, partita da Napoli, in cui si richiedeva l’inserimento dei poeti meridionali nei manuali. Lo stesso Giusti aveva già affrontato l’argomento, ben quindici anni prima, con un saggio dal titolo Proposte per una linea meridiana, in aperta polemica con la predilezione del mondo editoriale per la cosiddetta Linea lombarda.

    Il saggio, scritto a più mani da Pierfranco Bruni, Micol Bruni e da Marilena Cavallo, allora accorcia le distanze fra passato e presente, fra nord e sud, con uno sguardo attento a quell’area che, in tempi remoti, assunse il nome di Magna Grecia.

    Quella stessa Magna Grecia che fu prima fenicia, apula, ausonia, sannitica e che poi fu teatro di guerre e conquiste, di scambi e contatti; di quella stessa Magna Grecia che non è solo greca, ma è anche un po’ araba e normanna, ma poi anche spagnola, francese, albanese e germanica.

    La Magna Grecia di cui parlano i due autori è un crogiuolo di popoli e di identità millenarie che si sono sommate e hanno dato vita a una pastura che si è rivelata fondamentale per la crescita degli intellettuali di cui si parla in queste pagine. Una crescita vissuta nel segno del radicarsi, che non equivale alla stasi, ma ha un sapore di appartenenza pur nell’incertezza della vita dei molti – troppi – costretti al trasferimento. Un radicarsi, dunque, che significa avere sempre un’ancora a cui

    aggrapparsi, un’ancora che sappia resistere anche alle tempeste, che si incrini, ma non si spezzi, nemmeno dinanzi alla portentosa voracità di Scilla e di Cariddi o di fronte il perturbante e disumanizzante ritmo della contemporaneità.

    Ma radicamento è anche tradizione, storia, bagaglio.

    Una tradizione identitaria, quella meridionale, che, come si accennava prima, è composita e pluristratificata. Impossibile leggerne solo uno strato. Gli strati sono fusi, policromi, inscindibili.

    Essere figlie e figli della Magna Grecia, quindi del Mediterraneo, significa allora immettere nel mondo (culturale e non solo), più o meno consapevolmente, una simbologia che trova la sua forza nell’appartenenza a un mondo di credenze, di tarantolate e di ditirambi, di melodie egizie e di canti greci, di sapienza popolare e di filosofia, che convivono e si compenetrano, di sole abbacinante e di mari che danno vita ma che sanno anche toglierla.

    La Magna Grecia è allora la Madre Terra di questi autori.

    Lei genera – o accoglie – e pasce uomini e donne, scrittrici e scrittori, che vivono in un segno che, come ha modo di approfondire Bruni, non è localismo a meno che con localismo non si intenda la capacità di trasformare il senso dell’appartenenza in arte, in linguaggio, in espressione onirica, in visioni simboliche.

    La Magna Grecia, che a tutto sottende, ha un linguaggio terragno e salino, suo, unico, irripetibile e che sa essere radice ma al contempo trovare modo di raggiungere le mobili foglie e innovarsi, forte però di una resistente linfa che ha secoli di storia.

    Gli scrittori di una Magna Grecia, che non ha mai smesso del tutto di essere tale, benché abbia cambiato nome e apparentemente sembrerebbe avere cambiato anche connotati, allora devono misurarsi con tutto ciò, oltre che con il proprio cammino esperienziale. È per loro essenziale farsi radice ma anche inerpicarsi fino le foglie e raggiungere la volta di Urano, vivendo sempre nel mezzo fra i due poli.

    Sono scrittori, quelli di cui parlano gli autori, che hanno saputo farlo e hanno irrimediabilmente cambiato la storia della Letteratura e delle arti più in generale perché

    è anche dalla marginalità che discende, spesso, la tendenza a intravedere il possibile dove gli altri non potrebbero mai scorgerlo.

    Questa marginalità nel canone e nel territorio, però, non deve trarre in inganno. Sono molti, se non quasi tutti, gli artisti, di cui qui gli autori parlano, che hanno lastricato strade anche dalla più remota provincia e hanno intessuto legami con le avanguardie e gli scrittori noti; sono molti, fra l’altro, a essersi resi artefici della nascita di riviste e movimenti; sono molti coloro che hanno saputo trovare il proprio spazio e in quello hanno proliferato. Si citano, in questa sede, come esempi, Spagnoletti, Carrieri, Fornaro, Troccoli e Grisi. Autori del sud, di quelle regioni considerate sovente provincia della penisola e mai insieme di entità vive e brulicanti.

    Proprio ad essi – con altri –, in questo viaggio-saggio, sono state dedicate ampie sezioni. Era inevitabile. Parlare della storia della Letteratura senza approfondire la loro poetica non sarebbe stato possibile ed è per questo che, allo stato attuale ed escluso questo e altri sparuti interventi editoriali, manca un prospetto realistico e attinente al vero nelle antologie e nei manuali.

    Come si può pensare di dedicare capitoli ad autori come Pasolini e Pavese senza approfondire l’attività critica e artistica di un intellettuale come Spagnoletti che per la diffusione dei loro scritti fu essenziale?

    Come si può slegare in maniera definitiva e senza soluzione di causa Merini da

    Pierri?

    Come si può pensare di dedicare pagine e pagine a Dante senza filtrarlo anche attraverso la lettura inedita che di lui fecero Spagnoletti e Fornaro? Come renderlo meno indigesto agli studenti se non lo si slega dal rigorismo accademico se non si conoscono i due autori e il loro lavoro critico?

    Come si può cercare di capire Maria Corti senza riconoscere la grecità e la mediterraneità che in lei, pur essendo nata a Milano, scorrevano come sangue nelle vene?

    Come si può anche lontanamente ritenere di poter ricostruire una storia letteraria della Calabria senza approfondire Troccoli?

    Come parlare di Taranto senza il Convegno della Magna Grecia e gli intellettuali che da sempre vi partecipano?

    Come dare lustro ulteriore al MArTA prescindendo dalla conoscenza de Il tesoro di Taras di Belli?

    Come si può cancellare l’apporto che Grisi ebbe, fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, nello sdoganare le avanguardie e nella ardita missione di far conoscere le nuove penne del panorama letterario italiano?

    Come si può pensare di valorizzare un territorio, che è anche ciò che esso non è più, senza conoscere e far conoscere la poetica dei luoghi di Grisi o di Selvaggi?

    Ma per parlare di Magna Grecia non si può in alcun modo prescindere dallo studio di Salvatore Quasimodo, premio Nobel e scrittore di raffinata cultura. D’altronde, per riconoscere i segni sedimentati della cultura greca, classica più in generale, e intrecciatasi con gli stimoli ricevuti dall’esterno, autori come lui, che hanno saputo tradurre Leonida da Taranto, restituendo poesia alla poesia, sono imprescindibili.

    Quasimodo che, nei suoi scritti, ha fuso latinità e grecità con quel profumo di Arabia che ha pervaso le strade della sua Sicilia; Quasimodo che ha fatto proprio il valore della pietas, intesa in senso classico e cristiano al contempo; Quasimodo che si è reso cantore dell’eredità greca attraverso la permanenza dei suoni e del mito, traghettatore di idee fra passato e presente; Quasimodo, senza il quale, oggi la storia della Letteratura italiana sarebbe forse claudicante. Non si poteva fare a meno di lui in questo volume. Dargli spazio significa quindi recuperare passato remoto e passato- contemporaneo.

    Se è vero, infatti, che senza passato non esiste futuro, allora si dovrebbe conoscere anche quello prossimo. Il Novecento, territorio-non luogo spesso semi- inesplorato, dice molto su quelli che siamo oggi e su quelle che sono oggi la nostra Letteratura e la nostra filiera editoriale.

    In pochi si cimentano in un’azione di riscoperta e valorizzazione (senza la prima, d’altronde, non può esserci la seconda), ecco perché, oltre alla pregevolezza degli scritti in esso contenuti, questo libro si rivela fondamentale, al sud più che mai.

    Per onestà intellettuale, si ritiene necessario rendere esplicito che alcuni degli scritti contenuti in Sulle sponde della Magna Grecia. Il Novecento di Spagnoletti, Carrieri, Grisi e gli altri furono pubblicati, in passato, in riviste e quotidiani. Tuttavia, in virtù del duplice lavoro di riscoperta e valorizzazione, a cui si faceva cenno nelle righe precedenti, e della volontà autoriale di ricostruire una geografia esistenziale che parte da un dato fisico (la terra di Magna Grecia) e fenomenologico e costruisce un fitto reticolato di simboli e sentimenti, sono state effettuate un’approfondita revisione e un’opera di ampliamento e aggiornamento degli stessi. Non si poteva, d’altra parte, permettere che un siffatto lavoro sul Novecento meridionale andasse perso o disperso nella frammentazione della talvolta effimera e fugace lettura via web.

    Un volume, questo, che però non si ferma al solo universale; non mancano, infatti, impressioni e ricordi, tutti documentati, dei due studiosi, Bruni e Cavallo, in relazione agli scrittori di cui qui si parla e con cui hanno avuto il piacere di collaborare, in uno scambio reciproco, continuo e proficuo di idee e metafore danzanti, in un reticolato che incrocia personale e universale, sfera privata e sfera pubblica, storia familiare, come nel caso dei Gaudinieri, e storia italiana.

    Nel saggio, fra l’altro, sono presenti, per gentile concessione di Bruni e del Centro Studi e Ricerche Francesco Grisi, poesie postume di Francesco Grisi su Taranto, Martina Franca e Grottaglie.

    Si sottolinea, infine, che questo libro è frutto di un’attività di diffusione dei saperi e di sensibilizzazione al tema della letteratura meridionale che Cavallo e Bruni Micol e Pierfranco portano avanti, sia sinergicamente che in autonomia, da anni, sia attraverso la scrittura che mediante l’organizzazione di incontri culturali, anche e soprattutto mirati ai giovani e agli scolari, affinché non si perda traccia di chi, pur non comparendo nei manuali e quasi ostracizzato da essi, ha però cambiato le sorti della Letteratura della terra di Magna Grecia e dell’Italia tutta.

    Gli autori e l’editore hanno ritenuto necessario un ampliamento della prima edizione del saggio, con il fine di restituire un quadro più veritiero e variegato della Magna Grecia. Non solo scrittori di primo mestiere, in questa edizione rivista e ampliata, ma anche risvolti inaspettati con l’attore Rodolfo Valentino e visioni del meridione da occhi estranei innamorati ed esploratori con Pavese e Pascoli. È così, allora, che assieme a Pierri, Carrieri, Spagnoletti, Fornaro, Grisi, Selvaggi, Tebano, Corti, Pinto, Viola, De Giorgio, Belli e D’annunzio si esplorano Pavese, Alvaro, Scotellaro, Sinisgalli, Levi, Rinaldi, Riviello, Pasolini, Calabrò, Pascoli, Parrella, D’Arrigo, Piccolo, Tedeschi, Gatto, Rio, Valentino, Buttitta e Lippo.

    Il Mediterraneo dei poeti

    Sud, Mediterraneo e letteratura.

    Un tema antico che risulta ancora affascinante e intrigante sia sul piano puramente letterario che su quello culturale più in generale.

    Quello fra il Mediterraneo e la letteratura è un rapporto che diventa sempre più problematico e armonico, un rapporto che raccoglie istanze e modelli di tutto il contesto meridionale.

    C’è da dire che, nel corso di questi mesi 1, si è sviluppato un significativo dibattito che ha interessato la cultura poetica ma, in modo particolare, la poesia nei suoi contesti regionali. Qui si chiama in causa in prima istanza la poesia meridionale. Ma è la poesia in sé che costituisce un capitolo fondamentale di una questione letteraria che va riletta nell’ottica dei processi creativi.

    La poesia, come il teatro, è quella che maggiormente ha incarnato la certificazione di quel localismo che si decodifica nel popolare, in prima istanza, ma che poi assume un taglio universale.

    In tutto il Sud non c’è poesia, o non si dà poesia, se manca l’immagine del luogo. La letteratura si esprime attraverso sentimenti, sentieri onirici, riappropriazione di luoghi che raccontano attraverso la metafora il tempo e la storia.

    Ci sono eredità in letteratura che attraversano non solo i contenuti e le dimensioni tematiche ma si innervano nel linguaggio. Il linguaggio non è soltanto una forma di comunicazione. È la costante dell’essere che vive tra la parola e il tempo. Si pensi al rapporto tra la tradizione popolare e l’identità delle letterature. Tradizione popolare, favola, racconto sono sottolineature di un processo letterario che nel Sud trova una sua più esplicita forma comunicativa e documentaria. Il Sud, la poesia e il radicamento popolare. Sono tre elementi che caratterizzano il senso del localismo. In letteratura il localismo si identifica anche con il senso delle radici, con il regionalismo culturale, con l’identità della tradizione.

    Non esiste una letteratura locale. Esiste, invece, una letteratura di autori che vivono nella propria terra. Oppure esiste una letteratura che racconta, ora con motivi lirici ora con motivi realisti, l’appartenenza ad una terra. Tommaso Fiore e il suo raccontare quel "popolo di formiche 2", Leonardo Sciascia e la Sicilianità, Corrado Alvaro e la Calabresità, Rocco Scotellaro e i contadini della Lucania, Silone e i suoi cafoni sono forse il portato di un localismo? Certamente sì. Se localismo è capacità di trasformare il senso dell’appartenenza in arte, in linguaggio, in espressione onirica, in visioni simboliche.

    Cosa è dunque il localismo rispetto all’universalismo?

    Me lo sono spesse volte posto anche scrivendo il mio saggio – antologia sulla letteratura pugliese del Novecento e i miei testi sulla letteratura calabrese e meridionale e sui poeti del Mediterraneo. Ed è un aspetto che ritorna soprattutto in una visione di letteratura o di poesia del ritorno. Ovvero di poesia che si identifica non nella schizofrenia avanguardistica ma in un modello di linguaggio che recupera la tradizione e fa della tradizione un progetto di vita-letteratura. Poeti che raccontano i luoghi in una geografia che non è soltanto paesaggio e natura ma è geografia dell’anima il cui linguaggio ha ben catturato gli stilemi della forma e dei contenuti che sono vivi nella letteratura mediterranea.

    La stessa poesia mediterranea non è forse poesia localista? E poeti come quelli che si portano il Sud appiccicato nella carne e nelle parole sono forse poeti da definire localisti, per toccare i tasselli della poesia dialettale?

    Luigi Fallacara: "Mi commuovono i canti un tempo uditi/e poi per sempre dentro me fuggiti/come in un luogo dove ancora esistono 3".

    Che bel localismo c’è in Immagini del Salento 4 di Girolamo Comi. Solo due versi: Cristalli di luce varia/spaccano l’ozio dei suoli.

    Che localismo di luce solare si avverte in Paesi bianchi 5 di Raffaele Carrieri.

    O nei versi di Chi è passato prima di me 6:

    "…Non era la colomba d’Archita Quando tra questi ulivi

    Mi colse prima morte".

    La parola che inebria e che sa dare voce a tutto il Sud. L’emblema di quel localismo che è fatto di appartenenza in Bodini si fa destino e comunanza:

    "Tu non conosci il Sud, le case di calce da cui uscivano al sole come numeri dalla faccia d’un dado 7".

    O, sempre di Bodini, la poesia dal titolo Torchiarolo 8:

    "Sulla piazza di Torchiarolo dalle case rosse e blu

    le anime sante del purgatorio invocano Maria e Gesù".

    In questi ultimi versi c’è tutto il sentire di una meditazione arcaica che è dentro il concetto di localismo e resta come pietra miliare nella poesia dei luoghi, delle partenze, dei ritorni. In quella poesia che si legge attraverso due modelli interpretativi: il sacro e il mito.

    Ma non era anche Salvatore Quasimodo un poeta localista?

    E Corrado Alvaro? Poeta e scrittore? Poeta o scrittore?

    Il localismo invade sia nella narrativa che nella poesia, se di localismo si deve parlare. La letteratura pugliese degli ultimi anni è una letteratura che ha sperimentato temi e forme. È naturale che tutto questo è localismo. Ma è piuttosto un termine che non ha valore soprattutto in letteratura. Non esiste una letteratura locale. La letteratura si caratterizza certamente per le cose che riesce a dire e che lascia nel lettore. Se poi invece il cosiddetto sentimento del radicamento rientra nel localismo è un altro discorso e mi auguro di non dover affrontare.

    C’è tutta una poesia, invece, che va riletta, va ristudiata, va riproposta.

    E si tratta appunto di una poesia di autori locali che vanno tenuti in alta considerazione.

    La storia letteraria d’altronde è piena di contraddizioni del genere. Bisogna seguire, studiare e proporre una chiave di lettura per educare e innescare un confronto con le realtà poetiche vivono nel territorio. La letteratura, dunque, traccia sempre percorso il cui rapporto è tutto giocato tra la parola (il linguaggio) e la vita. Anche in questo caso il Sud è nella letteratura-vita.

    Taranto e i tracciati poetici del Novecento: Pierri, Carrieri, Spagnoletti, Fornaro

    Taranto tra i frammenti della poesia italiana del Novecento.

    Per non dimenticare.

    La poesia contemporanea trova nella dimensione dei luoghi una tensione lirica che diventa fondamentale per una contestualizzazione di una geografia che non è soltanto una visione del sentimento dell’anima e dell’essere ma di un sentimento dell’appartenenza.

    Il luogo come territorio, il paese o la città come rapporto fisico con l’esistente, le strade come metafora di un tracciato che indica un viaggio. Il tutto in un intreccio in cui il suono della memoria incontra il presente. Gli echi del tempo sono filtrati dalla realtà e la parola diventa un linguaggio ovattato da simboli che recitano il quotidiano che è custodito nel sempre. Poeti solari, nella affermazione dei luoghi.

    La poesia, ma la letteratura in senso più generale, trova nelle immagini un codice che è semantico certamente ma è sostanzialmente destoricizzato perché vive il luogo, ovvero il territorio, come partecipazione al tempo della memoria. un percorso come testimonianza.

    Allora. Michele Pierri (Napoli, 1899 - Taranto, 1988), Raffaele Carrieri (Taranto, 1905 - Milano, 1984), Giacinto Spagnoletti (Taranto, 1920 - Roma, 2003), Cosimo Fornaro (Taranto, 1928 – Taranto, 1992), sono un percorso in una poesia che ha tratteggiato quei luoghi della Magna Grecia che ha trovato in una città come Taranto l’incantesimo della magia delle radici. Il cuore del Mediterraneo che pulsa tra il mare e la ricerca delle radici.

    Quattro poeti che segnano, nella temperie contemporanea, pur in una diversità generazionale, una ridefinizione di un rapporto tra luogo dell’essere, luogo dell’esistere, luogo delle radici, luogo della partenza. Il territorio per questi poeti è una dimensione della spiritualità e il linguaggio della poesia costituisce l’ancoraggio a delle metafore che superano il tempo quotidiano. Un tempo fatto di allegorie.

    C’è un legame costante tra tempo e territorio e il tempo resta un sillabario che proviene da una straordinaria impaginazione dell’infanzia. Un’infanzia vissuta nel luogo e il dialogo tra luogo e poesia diventa un raccordo dell’immaginazione che trova nel ricordo una chiave di espressione esistenziale. Immaginazione su un tempo e su un luogo e non finzione e non mascheramento. Il senso del ritorno è un sentimento.

    Pierri, pur non essendo nato a Taranto, in questa città si ritrova e rilegge i segmenti di una civiltà che lo portano a determinare una scelta che ha rimembranze remote, dipinte in un quotidiano vivere perché del luogo, di questo luogo, conosce gli intagli e i nascosti anditi della sua storia. Un poeta del sublime che ben ha saputo raccogliersi in una geografia dell’essere. Una geografia che si incastra nella memoria.

    Carrieri ha recitato il mare nell’infinito destino dei viaggiatori che cercano un approdo. Il mare della sua infanzia è nell’indefinibile desiderio di raccogliere i cocci di una stagione di tempo che vive dentro l’anima. "L’infanzia/Del mare/Mescolai/Alla mia 1". L’intercalare espressivo è un salto rievocativo che non smarrisce, comunque, le tracce del mito che danno un senso indelebile alla storia stessa di un luogo.

    Giacinto Spagnoletti ha decodificato atmosfere e stagioni, paesaggi e passaggi di una città troppo legata ai suoi antichi radicamenti. Così. "Mi parevano così lunghi quei tramonti/soffocati dal gorgo delle rondini/e dagli addii delle campane./Tardi s’accendevano i fanali,/le acetilene scoprivano i meloni e le cozze/all’occhio dei passanti 2". La luce e le stagioni in un Mediterraneo che è ricordo d’infanzia.

    Nella ragnatela poetica di Cosimo Fornaro ci sono lampi in cui il tremore dell’infanzia è una sottolineatura lirico-esistenziale di estremo appagamento.

    "Nella città il sole si coglie a spigoli o a strisce tra le file dei palazzi o gli angoli delle strade. Nei paesi no. Non lo si vede perché splende uniforme con una violenza che ossessiona, specie in estate 3".

    Il territorio è un’espressione del tempo-memoria che si articola in un intreccio parossistico alla cui base c’è l’incontro reale e metaforico con la dimensione dell’appartenenza. Il territorio è appartenenza e nella poesia si legge come un modello rappresentativo singolare. Ma è sul territorio che i poeti si ritrovano. Territorio dell’anima e della storia.

    Poeti che hanno delineato non dei messaggi ma hanno definito, appunto, delle immagini. Immagini che durano proprio perché sono state trattate attraverso il linguaggio che trasmette. Un altro autore che entra come riferimento tra i destini delle metafore che raccontano un territorio come

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